ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 227 della legge
 19 maggio 1975, n. 151, (Riforma del diritto  di  famiglia)  e  degli
 artt.  167,  secondo  comma,  170  e  175  del  codice  civile, nella
 formulazione anteriore alla predetta legge di riforma,  promosso  con
 ordinanza  emessa  l'11  aprile 1991 dalla Corte di Appello di Reggio
 Calabria nel reclamo proposto da Ada Guerrisi, iscritta al n. 518 del
 registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 18 dicembre 1991 il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza emessa l'11 aprile 1991 sul reclamo proposto da
 Ada  Guerrisi, la Corte di appello di Reggio Calabria ha sollevato di
 ufficio questione di  legittimita'  costituzionale,  con  riferimento
 (non  espresso in dispositivo, ma chiaramente desumibile dal contesto
 dell'ordinanza) agli artt. 3 e 29 della Costituzione,  dell'art.  227
 della  legge  19  maggio  1975,  n.  151, nella parte in cui sancisce
 l'ultrattivita' della normativa in materia di patrimonio familiare, e
 degli artt. 167, secondo comma, 170 e 175 del codice civile  -  nella
 formulazione  anteriore  alla  predetta  legge di riforma, ma tuttora
 applicabili in virtu' della  richiamata  disposizione  transitoria  -
 "nella   parte   in  cui  stabiliscono  l'indisponibilita'  dei  beni
 costituenti  il  patrimonio  familiare  sino  allo  scioglimento  del
 matrimonio,   indipendentemente   da   ogni   valutazione  in  ordine
 all'effettiva rispondenza del vincolo ai reali bisogni della famiglia
 e nonostante la mancanza di figli minori".
    Secondo il giudice rimettente, la  conservazione  del  vincolo  di
 indisponibilita'  per i soli rapporti patrimoniali pregressi, essendo
 destinata  a  perpetuarsi  sino  allo  scioglimento  del  matrimonio,
 indipendentemente  dalla  possibilita' di verificare la sua effettiva
 rispondenza ai reali bisogni della  famiglia,  sarebbe  incompatibile
 con  l'assetto  dei  rapporti  patrimoniali introdotto dalla legge di
 riforma del diritto di famiglia che, anche attraverso il  divieto  di
 costituzione  di nuove doti (art. 166- bis del codice novellato) e il
 nuovo  regime  del  fondo  patrimoniale,  ha  ripudiato  ogni   forma
 d'immobilizzazione   dei   beni   familiari.  Quello  del  patrimonio
 familiare e' - avverte il giudice a quo - un istituto che si  riporta
 alle  esigenze  di  una economia prevalentemente agraria, non piu' in
 linea col dinamismo caratterizzante gli odierni  rapporti  economici,
 che   richiedono   invece   pronta   disponibilita'  di  capitali  da
 utilizzare, nell'interesse stesso della famiglia, in piu' proficue  e
 redditizie   forme   speculative,  il  cui  perseguimento  e'  spesso
 incompatibile   coi   tempi   tecnici    necessari    per    ottenere
 l'autorizzazione   giudiziale   prevista,   in  caso  di  necessita',
 dall'art. 170 (vecchia formulazione) del codice civile. In ogni caso,
 poi,  l'istituto  del  patrimonio  familiare  sarebbe   estraneo   al
 generalizzato modo di intendere l'interesse materiale della famiglia,
 la cui migliore garanzia e', semmai, proprio la libera disponibilita'
 dei  beni  per  far  fronte,  specie  in mancanza di figli minori, ai
 bisogni familiari con tutte le sostanze disponibili.
    A  parere  del  giudice  rimettente,  la  disciplina   transitoria
 dell'art.   227   della   legge   n.   151   del  1975  introdurrebbe
 un'incomprensibile disparita' di  trattamento,  pur  in  presenza  di
 identiche  situazioni sostanziali, rispetto al nuovo e corrispondente
 istituto  del   fondo   patrimoniale   che,   all'art.   169   (nuova
 formulazione)  del  codice  civile,  consente in definitiva la libera
 alienazione dei beni, ove ricorra il consenso dei coniugi  e  non  vi
 siano  figli  minori.  Ne'  la  ultrattivita'  della  disciplina  del
 patrimonio familiare per i rapporti pregressi sembra,  a  parere  del
 giudice   a  quo,  giustificata  da  effettive  esigenze  di  diritto
 transitorio, in  considerazione  della  scarsa  applicazione  pratica
 dell'istituto,  gia'  in passato descritto dalla dottrina come un re-
 gime patrimoniale "per  ricchi".  Peraltro,  ove  tale  ultrattivita'
 fosse  da considerare razionale, comunque le disposizioni di cui agli
 artt.  167,  secondo  comma,  170  e   175   (vecchia   formulazione)
 presenterebbero  specifici  profili di irragionevolezza, "conseguenti
 al  mantenimento  della  previgente  disciplina  nel   nuovo   corpus
 normativo  introdotto  dalla legge di riforma in piena sintonia con i
 princip/' costituzionali vigenti in materia".
    Infatti le norme richiamate prevedono l'indisponibilita' dei  beni
 costituenti  il  patrimonio  familiare  sino alla naturale cessazione
 prevista dall'art. 175,  indipendentemente  da  ogni  verifica  della
 rispondenza  del  vincolo alla obiettiva utilita' della famiglia che,
 per  una  preesistente  o  gia'  conseguita  prosperita'   economica,
 potrebbe  anche non sussistere in concreto. Inoltre, allorche' i beni
 costituiti in patrimonio familiare appartengano in proprieta' ad  uno
 solo  dei  coniugi,  il mantenimento di un vincolo d'indisponibilita'
 soltanto  a  carico  dei  beni  di  quest'ultimo  appare  al  giudice
 rimettente  incompatibile  col principio di eguaglianza fra i coniugi
 espresso dall'art. 29, secondo comma, della Costituzione,  ne'  trova
 alcuna giustificazione in ragioni di garanzia dell'unita' familiare.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte di Appello di Reggio Calabria, con ordinanza dell'11
 aprile 1991 (R.O. n. 518 del 1991), con riferimento all'art. 3, sotto
 il  profilo  della ragionevolezza e della eguaglianza, e all'art. 29,
 secondo comma, della Costituzione, sotto quello dell'eguaglianza  mo-
 rale  e  giuridica  fra  i  coniugi,  solleva  d'ufficio questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 227 della legge 19 maggio 1975,
 n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), nella parte in cui sancisce
 l'ultrattivita' della normativa in materia di patrimonio familiare, e
 degli artt. 167, secondo comma, 170 e 175 del  codice  civile,  nella
 formulazione anteriore alla legge di riforma del diritto di famiglia,
 e   tuttora   applicabili  in  virtu'  della  impugnata  disposizione
 transitoria, "nella parte in cui stabiliscono l'indisponibilita'  dei
 beni  costituenti  il patrimonio familiare sino allo scioglimento del
 matrimonio,  indipendentemente  da   ogni   valutazione   in   ordine
 all'effettiva rispondenza del vincolo ai reali bisogni della famiglia
 e nonostante la mancanza di figli minori".
    2. - La questione e' inammissibile.
    Il  giudice  a  quo  ritiene  che l'art. 227 della legge 19 maggio
 1975, n. 151,  disponendo  che  "le  doti  e  i  patrimoni  familiari
 costituiti   prima   dell'entrata  in  vigore  della  presente  legge
 continuano ad essere disciplinati dalle norme  anteriori",  determini
 una  irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto a identiche
 situazioni sostanziali. Il criterio della immobilizzazione  dei  beni
 conferiti in patrimonio familiare, cui si ispira il codice civile del
 1942,  reso  ultrattivo  dalla impugnata norma, sarebbe incompatibile
 con quello opposto,  della  alienabilita',  che  contraddistingue  il
 corrispondente  istituto  del  fondo  patrimoniale,  introdotto dalla
 novella del 1975.
    La incompatibilita' consisterebbe nel carattere anacronistico  dei
 contenuti   normativi,   resi   tuttora   vigenti   dalla  disciplina
 transitoria, corrispondenti alla trascorsa realta' di una societa' ad
 economia prevalentemente rurale, irragionevolmente trattenuti  in  un
 contesto,  quale quello odierno, in cui non immobilizzo, ma mobilita'
 e rapido reinvestimento di capitali possono garantire la  prosperita'
 materiale  della  famiglia.  Ingiustificata  apparirebbe  inoltre  la
 scelta legislativa  di  un  diritto  transitorio  per  conservare  un
 istituto adottato dalla prassi negoziale in frequenze esigue.
    3.  -  Il  giudice  rimettente  sembra chiedere a questa Corte una
 pronuncia additiva che applichi la disciplina prevista dall'art.  169
 del  codice  civile  novellato,  per l'alienazione dei beni del fondo
 patrimoniale,  in  luogo  del  regime  stabilito  per  il  patrimonio
 familiare  dall'art.  170  del  previgente  codice  civile.  Ma  tale
 operazione, coinvolgente anche gli articoli  167,  secondo  comma,  e
 175,  del  previgente  codice civile, equivarrebbe ad una abrogazione
 dell'istituto del 1942, di cui il legislatore del  1975,  invece,  ha
 statuito  la  conservazione  a  titolo transitorio, nei casi in cui i
 privati hanno ritenuto di  adottarlo  prima  dell'entrata  in  vigore
 della  riforma  del  diritto  di  famiglia,  in  evidente ossequio al
 principio  di  diritto  intertemporale  della   immutabilita'   delle
 convenzioni  matrimoniali  in  precedenza stabilite. Un intervento di
 tale ampiezza testuale e di tale portata  normativa  appartiene  alla
 tecnica della produzione legislativa e non a quella del giudice delle
 leggi.
   Si  impone  peraltro  come  ratio decidendi per la inammissibilita'
 della questione la considerazione della molteplicita' delle soluzioni
 riservate alla insindacabile discrezionalita' del  legislatore  (cfr.
 sentenza  n.  194 del 1984), per consentire lo smobilizzo di capitali
 fruttiferi, perdurando o essendo  cessata  la  causa  utilitatis  del
 vincolo  nelle  ipotesi in cui cio' meglio corrisponda agli interessi
 della  famiglia  o  dei  suoi   componenti,   senza   necessariamente
 rinunciare  a  conservare  la  distinzione  tra  le  due  figure  del
 patrimonio familiare e del fondo patrimoniale.