IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa relativa a controversia in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie iscritta al numero 2477 dell'anno 1991 del ruolo generale delle controversie in materia di lavoro promossa da: Bursi Romano, Forni Franco Alvaro, Servo Vincenzo, Servo Luigi, Serrai Raffaello, Zanni Daniele, Viglino Giancarlo, Giberti Giorgio, Defez Ada, Vaccari Lodovico, Bertacchini Gianni, Degoli Ernesto, Malavasi Moritz, Paltrinieri Roberto, Ferraresi Martino, Orlandi Emilio, Andreoli Carlo Alberto, Lusvardi Enrico, Sacchetti Enrico, Zerbini Francesco, Cisi Gaetano, Mucci Guglielmo, Silvestri Giorgio, Grilli Walter, Cinti Paolo, Gozzoli Nello, Mari Arnaldo, Poppi Mauro, Previdi Giancarlo, Gualandri Uber, Vicini Pietro, Silvestri Enea, tutti trentadue rappresentati e difesi dal proc. avv. Giorgio Guidetti e nel suo studio, in Modena, largo Porta Bologna 27, elettivamente domiciliati, attori contro la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti, con sede in Roma; rappresentata e difesa dal proc. avv. Umberto D'Amico e presso di lui, in Bologna, via Farini 4, elettivamente domiciliata, convenuta; All'esito dell'udienza di discussione della causa del giorno 5 novembre 1991; Esaminati gli atti del processo ed i documenti prodotti dalle parti; Sentiti i procuratori delle parti stesse; A scioglimento della riserva formulata; O S S E R V A I ricorrenti sono tutti ingegneri o architetti iscritti nel rispettivo albo professionale di Modena e sono tutti titolari di pensione di vecchiaia per effetto della passata iscrizione ad una forma di previdenza obbligatoria in dipendenza della prestazione da parte loro di attivita' lavorativa subordinata, nonche' a seguito del loro avvenuto collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta', con attribuzione del relativo trattamento pensionistico o di quiescenza. Gli attori, i quali non avevano potuto iscriversi alla Cassa nazionale di previdenza per gli ingegneri e gli architetti finche' prestavano attivita' lavorativa subordinata, giusta il disposto dell'art. 2 della legge 11 novembre 1971, n. 1046 e dell'art. 21 della successiva legge 3 gennaio 1981, n. 6, che escludevano ed escludono tuttora l'iscrizione alla cassa degli iscritti a forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attivita' esercitata, una volta collocati a riposo e divenuti titolari di pensione, in quanto non piu' iscritti ad altra forma di previdenza ma pensionati, sono stati o sarebbero costretti ad iscriversi alla cassa convenuta e conseguentemente obbligati al versamento degli ingenti contributi che l'iscrizione comporta, nonostante la loro tarda eta' e, a cagione di questa, la pratica impossibilita' di conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, diritto che sorge soltanto dopo almeno trenta anni di effettiva iscrizione e contribuzione. Essi hanno pertanto proposto due alternative domande, chiedendo o l'accertamento del loro diritto ad essere iscritti alla cassa di previdenza sin da quando avevano iniziato ad esercitare la libera professione con carattere di continuita' (quindi l'accertamento del diritto ad una iscrizione retroattiva) ovvero l'accertamento dell'inesistenza di un obbligo attuale di iscrizione (dunque di una iscrizione tardiva ed inutile) avendo ormai raggiunto l'eta' pensionabile ed essendo gia' titolari di pensione. A sostegno di tali domande sono state sollevate due distinte ed alternative questioni di legittimita' costituzionale, entrambe concernenti l'art. 21 quinto comma della legge n. 6 del 1981. La disposizione e' stata infatti in primo luogo ritenuta costituzionalmente illegittima (ma la questione andrebbe estesa all'art. 2 della legge n. 1046 del 1971 alla quale la norma successiva rinvia) perche' non consente l'iscrizione alla cassa di previdenza degli ingegneri e degli architetti iscritti ad altra forma di previdenza in dipendenza di un rapporto di lavoro, ancorche' essi contemporaneamente esercitino la libera professione con carattere di continuita'. Alternativamente la stessa disposizione di legge e' stata censurata di incostituzionalita' perche', non prevedendo la loro esclusione, impone l'iscrizione alla cassa anche degli ingegneri e degli architetti che, per essere stati iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria e per essere stati collocati a riposo per raggiunti limiti di eta', siano gia' titolari di pensione. La cassa di previdenza convenuta ha eccepito che per alcuni dei ricorrenti l'obbligo di iscrizione e' gia' stato affermato, con efficacia di giudicato, dal tribunale di Reggio Emilia, quale giudice di rinvio, con la sentenza 25 e 26 settembre 1990 n. 665 prodotta ed ha sostenuto altresi', oltre all'infondatezza nel merito delle domande attrici alla luce della giurisprudenza della Corte suprema, l'inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale ex adverso sollevate giacche' esse costituirebbero l'unica principale domanda fine a se stessa e con portata strumentale in relazione ad un giudizio di merito assolutamente improponibile. Entrambi tali rilievi difensivi sono pero' infondati e non idonei a far ritenere irrilevanti, o altrimenti inammissibili, le due questioni di costituzionalita'. Innanzi tutto l'eccezione di giudicato esterno riguarda soltanto una (la seconda) delle due domande proposte dai ricorrenti e dunque soltanto la seconda delle questioni di legittimita' costituzionale da essi sollevate. Inoltre la res judicata si e' formata unicamente nei riguardi di quattro delle trentadue attuali parti attrici (gli ingegneri Franco Alvaro Forni, Vincenzo Servo, Luigi Servo, Arnaldo Mari) non avendo le altre ventotto partecipato al giudizio definito con la sentenza 25 e 26 settembre 1990 del tribunale di Reggio Emilia e non potendo essere pertanto pregiudicate, giacche' la sentenza fa stato solo tra le parti (art. 2909 del cod. civ.). Per tutti i ventotto ricorrenti diversi dai quattro teste' nominativamente indicati l'eccezione di giudicato e' dunque ictu oculi infondata e non idonea a rendere irrilevante e/o inammissibile la questione di costituzionalita'. Entrambe le questioni non sono state proposte in via principale, ma quale mezzo processuale pregiudiziale indispensabile per determinare, mediante la sollecitata pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale, una modificazione dell'assetto normativo vigente al fine di rendere in tal modo accoglibile l'una o l'altra delle domande attrici. Essendo evidente la mera strumentalita' delle due questioni, nonche' la natura squisitamente incidentale del procedimento avanti al giudice della legittimita' delle leggi che con esse si mira ad instaurare, non puo' dubitarsi dell'ammissibilita' sotto tale aspetto del procedimento medesimo. Reputa peraltro il decidente che la censura di incostituzionalita' mossa dall'art. 21 quinto comma della legge n. 6/1981, perche' esclude dall'iscrizione alla cassa convenuta gli ingegneri e gli architetti pur esercenti con carattere di continuita' la libera professione, che siano iscritti a forme di previdenza obbligatoria in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato, o comunque di altra attivita' esercitata, sia irrilevante per altre considerazioni. Gli attori tendono infatti ad ottenere (ed hanno chiesto) l'accertamento, non del loro attuale diritto all'iscrizione, bensi' del loro diritto ad una iscrizione retroattiva alla cassa di previdenza. Ma l'iscrizione retroattiva oggetto della prima delle domande da essi proposte non appare possibile non essendo prevista e regolata dalla legge. E' stata persino abolita dall'art. 21 della legge 11 ottobre 1990 n. 290, che ha integralmente sostituito l'art. 20 della legge n. 6/1981, la facolta', in caso di reiscrizione, di ripristinare il precedente periodo di anzianita' assicurativa; facolta' che era concessa e regolata dall'originario ultimo comma (ora soppresso) dall'art. 20 del 1981. A maggior ragione si deve pertanto ritenere non consentita una iscrizione con effetto retroattivo, che avverrebbe quando ormai e' stata superata, o sta per essere entro breve tempo raggiunta, l'eta' del pensionamento per vecchiaia e che determinerebbe pertanto la realizzazione di un rischio precostituito (o quasi precostituito) eludendo la funzione stessa dell'assicurazione obbligatoria. Questa ha per scopo di sovvenire ad evenienze e ad esigenze future ed incerte degli iscritti e l'erogazione delle prestazioni di vecchiaia non puo' dipendere da una condizione (il raggiungimento dell'eta' pensionabile) ormai verificatasi o prossima a verificarsi. Una questione di legittimita' costituzionale quale quella di cui ora si discute potrebbe essere utilmente sollevata da chi, ingegnere od un architetto libero professionista e parte nel contempo di un rapporto di lavoro subordinato, od esercente altra attivita' comportante la sua iscrizione ad una diversa forma di previdenza obbligatoria, vorrebbe nondimeno iscriversi anche alla cassa convenuta ma ne sia impedito dal disposto dell'art. 21 quinto comma. La stessa questione non appare invece rilevante se sollevata da chi, come i ricorrenti, non sia piu' iscritto ad altra forma di previdenza, cosicche' a lui l'iscrizione non soltanto e' consentita, ma e' imposta. E' invece rilevante la questione concernente lo stesso art. 21 quinto comma nella parte in cui e perche' non esclude dall'iscrizione alla cassa, oltre agli ingegneri ed agli architetti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o di altra attivita' esercitata, anche coloro che, per essere gia' stati iscritti ad una diversa forma di previdenza, siano gia' divenuti titolari di pensione. La giurisprudenza della suprema Corte, tra le altre con le sentenze 13 novembre 1986 nn. 6638 e 6340, delle sezioni unite e con la sentenza 28 agosto 1987 n. 7097 della sezione lavoro ha affermato che l'ingegnere e l'architetto, il quale gia' goda di un trattamento pensionistico per un pregresso rapporto di lavoro, subordinato od autonomo, ed in virtu' dell'iscrizione alla corrispondente forma di previdenza obbligatoria, qualora svolga con carattere di continuita' la libera professione, non puo' esimersi dall'obbligo di iscriversi alla cassa nazionale di previdenza per gli ingegneri e architetti, ancorche' non possa conseguire con certezza e per intiero i vantaggi previdenziali previsti. Siffatta interpretazione giurisprudenziale dell'art. 21 quinto comma, che esclude dalla nozione di iscritti ad una forma di previdenza i titolari di pensione e considera tali solo coloro che il diritto alla pensione non abbiano ancora acquisito, in considerazione dell'autorevolezza dell'organo giudicante e della reiterazione delle sue decisioni conformi, va considerata "diritto vivente" e va posta a base dell'ulteriore disamina. Da cio' deriva peraltro che la domanda dei ricorrenti di accertamento della loro esclusione dall'iscrizione alla cassa convenuta, quindi dell'inesistenza dell'obbligo relativo e della conseguenziale obbligazione contributiva, potrebbe trovare accoglimento soltanto se la questione fosse ritenuta fondata e la norma dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede l'esclusione dall'iscrizione dei titolari di pensione (od almeno dei pensionati per vecchiaia). Deve essere affermata pertanto la rilevanza della questione. La questione di cui ora si tratta, oltre che rilevante, appare altresi' non manifestamente infondata. Appare irragionevole, quindi contrario al generale principio di razionalita' desumibile dall'art. 3 primo comma della Costituzione, che l'iscrizione alla cassa di previdenza sia imposta anche agli ingegneri ed agli architetti ai quali era stata fino allora vietata e proprio nel momento in cui essi, essendo stati collocati in quiescenza per raggiunti limiti di eta' e comunque essendo divenuti titolari di pensione, vengono a trovarsi nella particolarissima situazione personale per effetto della quale, da un lato, attesa l'eta' avanzata, non hanno alcuna concreta possibilita' di acquisire il diritto alle prestazioni della cassa stessa (occorrendo per la pensione di vecchiaia una iscrizione almeno trentennale), e d'altro lato di tali prestazioni non hanno bisogno godendo gia' di un trattamento pensionistico. L'obbligo di iscrizione per i liberi professionisti ormai pensionati si risolve in un gravoso onere di contribuzione da assolversi senza speranza e senza alcuna aspettativa, ancorche' futura ed incerta, di corrispettivita', essendo invece certa l'assoluta inutilita' e gratuita' del versamento dei contributi assicurativi. All'obbligazione contributiva che essi sono tenuti ad adempiere difetta dunque l'indispensabile carattere e la necessaria finalita' previdenziale. Tale obbligazione appare tanto piu' iniqua ed illogica qualora si consideri che il versamento dei contributi non ha potuto avere luogo quando sarebbe stato utile ed e' invece imposto proprio allorquando e perche', essendo divenuta in concreto impossibile una relazione di teale sinallagmaticita' con le prestazioni conseguibili, determina una locupletazione sine causa della cassa di previdenza. Come ha esattamente rilevato la difesa dei ricorrenti l'art. 21 quinto comma, sotto il profilo ora preso in esame, costituisce uno ius singulare odiosum, cosicche' appare in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 primo comma della Costituzione, principio che vieta una disparita' di trattamento di situazioni giuridiche analoghe o assimilabili. Non e' dato invero ravvisare nell'ordinamento vigente alcuna altra ipotesi in cui, pur nella persistenza nel tempo del medesimo presupposto (in particolare l'esercizio di una libera professione con carattere di continuita') l'iscrizione ad una determinata forma di previdenza sia inibita ad alcuni, ai quali l'iscrizione potrebbe risultare proficua e che avrebbero interesse ad ottenerla, per essere poi agli stessi imposta quando ormai e' sopravvenuto l'interesse contrario e l'iscrizione e' divenuta inutilmente onerosa. Sotto tale riguardo l'art. 21 quinto comma riserva agli ingegneri ed agli architetti un trattamento gravemente discriminatorio che soltanto l'esclusione dell'obbligo di iscrizione dei liberi professionisti pensionati potrebbe attenuare sino a ricondurre ad equita' la normativa vigente. Detta normativa appare altresi' non in linea neppure con l'art. 38 secondo comma della Costituzione. Questa disposizione prescrive bensi' che siano apprestate per i lavoratori provvidenze atte a soddisfare le loro esigenze nei casi (tra gli altri) di invalidita' e vecchiaia. Ma esse, proprio per questo, non consente il gravoso apprestamento di ulteriori, teoriche, ma in realta' inaccessibili provvidenze per chi gia' ne goda e non versi dunque piu', ne potrebbe mai piu' versare, nelle situazioni di bisogno alle quali il legislatore costituzionale ha inteso sovvenire. Non sembra conferente il riferimento in senso contrario al principio di solidarieta'. Non soltanto perche' detto principio e' ambivalente e la solidarieta' non puo' essere a senso unico, ma, se viene data, deve essere, almeno potenzialmente ma concretamente, ricevuta. Perche' inoltre e soprattutto la stessa Corte costituzionale, con le sentenze 132 e 133 del 4 maggio 1984, se aveva ricondotto ad un sistema di tipo solidaristico la previdenza forense, aveva espressamente affermato che opposta soluzione era stata adottata dal legislatore per la previdenza degli ingegneri e degli architetti, da ricondursi dunque ad una sistema di tipo essenzialmente mutualistico. La Corte suprema ha esattamente affermato che comunque, anche in un sistema previdenziale approntato al principio di solidarieta', gli oneri contributivi connessi all'iscrizione debbono in qualche modo rapportarsi al grado di protezione garantito dalla legge non solo alla categoria ma altresi' al singolo che di essa venga per un certo tempo a fare parte. Orbene la Corte di cassazione ha individuato l'indispensabile collegamento tra la solidarieta' nei confronti della categoria e la imprescindibile tutela individuale del singolo nell'art. 20 della legge n. 6/1981 che, all'epoca delle pronunce della Corte, prevedeva il diritto dell'iscritto o dei suoi eredi al rimborso dei contributi inutilmente versati, maggiorati degli interessi legali, qualora cessasse l'iscrizione alla cassa senza che fossero maturati i requisiti minimi necessari per il conseguimento del diritto alla pensione, diretta ed indiretta. Orbene tale quadro normativo e' nel frattempo profondamente mutato. Con l'art. 15 della legge n. 290 del 1990 e' stato integralmente sostituito l'art. 20 della legge n. 6/1981. Ora il diritto al rimborso dei contributi non compete piu' all'erede dell'iscritto, la cui iscrizione sia cessata senza conseguimento del diritto a pensione, ma soltanto ai superstiti ai quali avrebbe potuto spettare la pensione indiretta (coniuge, figli minorenni e figli maggiorenni inabili a proficuo lavoro) e sui contributi da rimborsarsi non e' piu' dovuto l'interesse legale, ma un interesse pari alla meta' di quello legale. Il rimborso e' divenuto pertanto non piu' certo (un erede esiste sempre ex art. 586 cod. civ.) ma soltanto eventuale, e sempre piu' improbabile con il progredire dell'eta' dell'iscritto, ed avverra' (se dovesse avvenire) a condizioni ancora piu' inique in raffronto all'attuale redditivita' del denaro ed in considerazione del costante, progressivo svilimento del potere di acquisto della moneta. Per effetto della nuova disciplina del rimborso dei contributi introdotta con l'art. 15 della legge n. 290/1990 a maggior ragione e' da ritenersi dubbia la legittimita' costituzionale dell'art. 21 quinto comma in parte qua, per violazione dei principi di razionalita' e di uguaglianza. La protezione dell'iscritto e' divenuta meramente casuale e sostanzialmente apparente, mentre certa e' divenuta per contro una ingiustificata locupletazione, in danno suo o degli eredi, della cassa di previdenza. La questione va dunque rimessa all'esame della Corte costituzionale ed il processo sospeso.