IL TRIBUNALE
    Riunito  in  camera  di  consiglio,  ha  pronunciato  la  seguente
 ordinanza nel procedimento per misura di prevenzione  instaurato  nei
 confronti  di  Del Vecchio Giuseppe su proposta del procuratore della
 Repubblica in sede del 23 ottobre 1991.
    1. - In data 23 ottobre 1991 il procuratore  della  Repubblica  in
 sede,  richiamando  le  emergenze di cui alla relazione informativa 4
 aprile 1991 del n.o. dei cc., compagnia di Viareggio,  proponeva  Del
 Vecchio Giuseppe per l'applicazione della misura di prevenzione della
 sorveglianza  speciale di p.s. per la durata di un anno. Evidenziava,
 tra l'altro, il p.m. che la legittimazione  del  proprio  ufficio  ad
 effettuare  direttamente  la  proposta,  anche  in  difetto di avviso
 orale, doveva ritenersi conseguente al  disposto  ex  art.  19  della
 legge  22  maggio  1975,  n. 152, cosi' come modificato dalla legge 3
 agosto 1988, n. 327.
    La difesa del proposto, nel corso del procedimento camerale, ha di
 contro eccepito il mancato invio al  Del  Vecchio  dell'avviso  orale
 previsto  dall'art.  4  della legge n. 1423, del 1956, implicitamente
 richiamando  altro  provvedimento  di  questo  tribunale  (decreto  4
 ottobre  1991, Sacca') che quell'avviso aveva ritenuto di considerare
 comunque - anche cioe' in presenza di proposta avanzata  direttamente
 dal  p.m.  nei  confronti  di  persone indicate nell'art. 1 nn. 1 e 2
 della legge citata - condizione di procedibilita' per  l'applicazione
 di  misure  di  prevenzione  diverse  da  quelle  antimafia.  Cio' il
 tribunale aveva sostenuto,  nell'occasione,  ritenendo  la  contraria
 opinione,  pur  avallata  dalla prevalente giurisprudenza della Corte
 Suprema, non collimante con i presupposti propri,  in  un  quadro  di
 oggettiva legalita', delle misure di prevenzione di cui alla legge n.
 1423/1956.
    Re melius perpensa, ritiene tuttavia il Collegio non percorribile,
 allo  stato della normativa, la soluzione ermeneutica allora adottata
 seppure al fine di elidere le incongruenze sistematiche del complesso
 di norme disciplinanti la subietica materia.  Invero,  sembra  chiaro
 che, in virtu' del rinvio formale genericamente disposto dall'art. 19
 della legge n. 152/1975 alle disposizioni della legge 31 maggio 1965,
 n.  575,  l'intero  complesso  normativo  di cui alla legge da ultimo
 citata si estende anche alle persone indicate nell'art. 1, nn. 1 e 2,
 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423,  ancorche'  non  indiziate  di
 appartenenza  a  sodalizio mafioso o similare. E dunque, fra le dette
 disposizioni, deve ritenersi estesa alle persone denunciate ai  sensi
 del  citato  art.  1,  nn.  1 e 2, legge n. 1423/1956 anche la regola
 procedurale ex art.  2  della  legge  n.  575/1965,  come  sostituita
 dall'art.  20  del  d.-l.  13  maggio  1991,  n.  152,  convertito in
 costeilegge 12 luglio 1991, n. 203, a mente del quale "le  misure  di
 prevenzione  della sorveglianza speciale e dell'obbligo di soggiorno,
 di cui agli artt. 3 e 4  della  legge  27  dicembre  1956,  n.  1423,
 possono  essere  altresi'  proposte  dal procuratore della Repubblica
 presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona,  anche  se
 non vi e' stato preventivo avviso".
    Senonche',     ritiene    il    tribunale    che    nell'estendere
 incondizionatamente siffatta regula juris, propria di un complesso di
 norme dettate nei confronti di soggetti particolari siccome indiziati
 di appartenere alla mafia,  al  di  fuori  del  suo  naturale  ambito
 applicativo,  con  riferimento cioe' ai diversi soggetti proposti per
 l'applicazione di misure di prevenzione comuni, ai sensi dell'art. 1,
 nn. 1 e 2, legge n. 1423/1956, l'art.  19  della  legge  n.  152/1975
 violi  il principio di eguaglianza costituzionalmente garantito (art.
 3 della Costituzione), determinando un'inammissibile equiparazione di
 trattamento normativo tra situazioni oggettivamente e soggettivamente
 diverse.
    2. - Ai sensi dell'art. 3, primo comma,  legge  n.  1423/1956,  la
 misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. puo' essere
 applicata  alle  persone  indicate nell'art. 1 della stessa legge che
 non abbiano cambiato  condotta  nonostante  l'avviso  orale  previsto
 dall'art.  4, e che risultino pericolose per la sicurezza pubblica. A
 norma   del  citato  art.  4,  l'applicazione  dei  provvedimenti  di
 prevenzione stabiliti dall'art. 3 e'  consentita  solo  dopo  che  il
 questore   territorialmente  competente  ha  provveduto  ad  avvisare
 oralmente la persona interessata che esistono sospetti a suo  carico,
 previa    indicazione    dei   motivi   che   li   giustificano;   e,
 conseguentemente, solo dopo che - in  relazione  all'invito,  rivolto
 alla  persona,  a  tenere  una condotta di vita conforme alla legge -
 costei, nonostante l'avviso, non abbia cambiato contegno. Dal  quadro
 normativo  esposto  emergono  chiaramente,  ad avviso del collegio, i
 presupposti normativi per l'applicazione di misure di  prevenzione  a
 carico  di persone non indiziate di appartenenza alla mafia, e dunque
 non tali da potersi ritenere pericolose per definizione:  a)  che  si
 tratti  di persone avvisate ai sensi dell'art. 4; b) che si tratti di
 persone che, nonostante l'avviso, non abbiano  cambiato  condotta  di
 vita;  c)  che  pertanto,  accertata la condotta abituale antecedente
 l'avviso,  e  raffrontata  questa  con  quella   susseguente,   possa
 ritenersi la persona, in base ad elementi di fatto, pericolosa per la
 sicurezza   pubblica,  idonea  cioe'  a  cagionare  turbamenti  nelle
 condizioni essenziali di vita della collettivita' al di la' del fatto
 di commettere ulteriori reati. L'ultimo tra i cennati presupposti  e'
 quello di maggiore significato; quello cioe' che meglio risponde, con
 riferimento  a  misure  siffatte,  al  fine proprio della prevenzione
 speciale: se non fosse offerta al soggetto, attraverso  l'avviso,  la
 possibilita'  di  cambiare condotta, e se, in relazione al rifiuto di
 codesta possibilita', non fosse possibile accertare la  pericolosita'
 sociale  dell'individuo  in  base  ad  elementi  di  fatto,  e dunque
 collegare l'applicazione della misura ad una combinazione di fattori,
 quali l'immutato abito di vita e la perdurante pericolosita' che sola
 legittima il ricorso ad un complesso di norme-garanzia; se  cio'  non
 fosse,  la  prevenzione  ante  delictum sarebbe in questi casi, fuori
 dagli  schemi  di  legalita'  preventiva.  Essa   darebbe   luogo   a
 fattispecie  apodittiche  di presunta pericolosita', contrastanti con
 l'intero impianto costituzionale dei diritti di liberta'.
    E'  questa  la  ratio  che  governa  gli  adempimenti  preliminari
 stabiliti  dalla  legge  n. 1423/1956: la c.d. prevenzione personale,
 incidente cioe',  in  qualche  modo,  sulla  liberta'  personale  del
 soggetto  in  guisa tale da rendergli piu' difficile la perpetrazione
 di reati, in tanto e' legittima in quanto,  al  di  fuori  di  schemi
 astratti   di   pericolosita',   l'individuo,   per   l'immodificato,
 persistente, abito di vita, possa ritenersi in base  ad  elementi  di
 fatto proclive al delitto.
    3. - Diverso e' il sistema previsto della normativa antimafia.
    La   qualifica   subiettiva   di  "indiziato  di  appartenenza  ad
 associazioni mafiose" legittima di  per  se'  sola  il  ricorso  allo
 strumento   preventivo,  e  dunque  consente  un'accentuazione  delle
 restrizioni ai diritti di liberta' in  nome  di  esigenze  di  difesa
 collettiva.
    Dall'accertamento  relativo  alla  pericolosita'  per la sicurezza
 pubblica, che e' necessario - come  detto  -  per  l'applicazione  di
 misure  di  prevenzione  a  carico  di soggetti indicati nell'art. 1,
 legge n. 1423/1956,  puo'  dunque  prescindersi  in  sede  di  misure
 antimafia,  perche'  e' la legge che in questo caso direttamente pre-
 sume, cosi' come la collettivita'  sociale,  la  pericolosita'  degli
 indiziati  di  appartenenza  a  sodalizi  mafiosi.  Nei  confronti di
 costoro,  allora,  il  procedimento  di prevenzione puo' aprirsi - ed
 anzi deve aprirsi - anche se  non  vi  sia  stato  avviso  orale  del
 Questore,  e  quindi  non  vi  sia  stata inottemperanza all'invito a
 cambiare condotta di vita (art. 2 legge n. 575/1965).
    Invero,  come  convincentemente  e'  stato  rilevato,  le  ipotesi
 rispettivamente considerate dalla legge n. 1423/1956 e dalla legge n.
 575/1965  e successive modificazioni sono tra loro diverse, e diversa
 e' quindi la disciplina cui devono  essere  assoggettate:  nel  primo
 caso,  l'avviso  orale  da  parte  della auutorita' amministrativa e'
 destinato  a  conservare  la  originaria  natura  di   provvvedimento
 essenzialmente  discrezionale  ed  a  funzionare  come  condizione di
 procedibilita'  dell'adozione  di  ulteriori  misure;   mentre,   con
 riguardo   alle   ipotesi  disciplinate  dal  complesso  delle  norme
 cosiddette "antimafia", deve ritenersi priva  di  giustificazione  la
 previsione  di  condizionamenti all'esercizio del potere di proposta,
 nel senso che a tale potere deve ritenersi corrispondere un dovere il
 cui esercizio non puo' essere subordinato ad adempimenti non previsti
 dalla legge (cosi', cass. sez. I, 31 ottobre 1990,  Augusto,  in  Ced
 Cass., 185612).
    4.  -  Ma se cosi' e', cioe' a tali innegabili differenziazioni di
 fatto e' da ricondursi la diversita'  di  disciplina  rispettivamente
 dettata,  quanto  al  modus  procedendi  per la adozione di misure di
 prevenzione, dalla legge n. 1423/1956 e dalla legge  n.  575/1965,  e
 allora  il  dubbio  di costituzionalita' circa l'estensione in blocco
 delle disposizioni della  seconda  legge  a  fattispecie  contemplate
 nella prima (art. 19 della legge n. 152/1975) prende corpo in termini
 pregnanti.
    Se l'appartenenza ad un'associazione mafiosa integra un'ipotesi di
 pericolosita'   qualificata,   solo  in  ragione  della  quale  trova
 legittimazione la regola ex art. 2, legge n.  575/1965,  l'estensione
 incondizionata di tale regola ad ipotesi subiettive diverse da quelle
 ivi  contemplate  costituisce  violazione  palese  del  principio  di
 uguaglianza formale. Ed invero, detto principio, pur  consentendo  al
 legislatore   di   dare   differente   regolamentazione  normativa  a
 situazioni  solo  parzialmente  analoghe,  previa  valutazione  delle
 esigenze   proprie   di  ciascuna  di  esse,  nondimeno  preclude  di
 parificare tra loro situazioni oggettivamente e  soggettivamente  di-
 verse, in ispecie allorquando e' il legislatore stesso a stabilire la
 specificita' di ciascuna delle situazioni medesime.
    Una  figura  macroscopica  di  eccesso  di  potere  legislativo e'
 infatti quella che viene in  essere  allorche'  la  legge,  sia  pure
 implicitamente,    dichiari    diverse    e   poi   parifichi   nella
 regolamentazione talune situazioni di fatto: e proprio questo accade,
 a ben vedere, quanto al combinato disposto degli artt. 2 della  legge
 n. 575/1965 e 19 della legge n. 152/1975.
    Dal  disposto  ex  art. 19 citato infatti deve desumersi che anche
 nei confronti di persone non appartenenti a  sodalizi  mafiosi  possa
 applicarsi  la  piu'  rigorosa  norma  procedurale  secondo  cui,  ad
 iniziativa del p.m., il  procedimento  di  prevenzione  puo'  aprirsi
 senza  necessita'  di  avviso  orale. Con il che, sostanzialmente, la
 specialita' di trattamento previsto per una particolare categoria  di
 persone  (gli  indiziati  di appartenenza alla mafia) viene a perdere
 ogni concreto significato, tanto da divenire ipotesi ordinaria  anche
 per  soggetti  diversi  da  quelli  ai quali originariamente esso era
 destinato.
    Non  ignora  il  collegio  quanto  da  codesta Corte stabilito con
 ordinanza n. 675 del 16  giugno  1988  in  ordine  alla  legittimita'
 dell'art.  19  della  legge  n.  152  del  1975: lo scopo di impedire
 l'eventuale ingresso, nel mercato, del denaro ricavato dall'esercizio
 di  attivita'  delittuose  o  di   traffici   illeciti,   rende   non
 irragionevole  la  scelta  del  legislatore  di  estendere  le misure
 antimafia ad alcune delle categorie di persone socialmente pericolose
 di cui alla legge n. 1423/1956.
    E tuttavia,  se  puo'  convenirsi  sulla  linearita'  di  siffatto
 principio e sulla opportunita' di estendere, dunque, in base ad esso,
 alle  persone  indicate nell'art. 1, nn. 1 e 2, legge n. 1423/1956 le
 disposizioni ex art. 2- bis e seguenti, legge n.  575/1965,  che  per
 l'appunto  rispondono  al  fine  di  un  piu' razionale controllo del
 denaro di provenienza illecita, non pare che in  forza  dello  stesso
 principio  possa  affermarsi la legittimita' costituzionale dell'art.
 19 medesimo nella parte afferente il rinvio all'art. 2 della legge n.
 575 citata.
    In   tal   caso,    infatti,    alcuna    finalita'    legislativa
 costituzionalmente  apprezzabile  sottende l'applicabilita' di misure
 di prevenzione in difetto di avviso orale nei confronti  di  soggetti
 non  indiziati di appartenere alla mafia. Ed e' per tale via, allora,
 che - attesa la rilevanza della questione nel procedimento - si rende
 necessario l'intervento di codesta Corte.