IL PRETORE
    Visti  gli atti del procedimento penale n. 490/1991 r.g. (513/G/90
 p.m.) a carico di Mosca Franca;
    Sciogliendo la riserva assunta all'udienza  del  2  ottobre  1991,
 considerato  che  Mosca  Franca e' imputata del reato di cui all'art.
 708 del c.p., onde le questione  di  legittimita'  costituzionale  di
 tale disposizione e' rilevante nel presente giudizio;
    Considerato  altresi'  che,  benche' la questione di leggittimita'
 costituzionale anzidetta gia' stata decisa dalla Corte costituzionale
 con la sentenza n. 110/1968 e 141/1971,  essa  puo'  tuttavia  essere
 riproposta sotto altri profili;
      che,  in  particolare, la disposizione in oggetto, come e' stato
 autorevolmente ritenuto in dottrina, costituisce uno  dei  principali
 esempi  di "reati di mero sospetto" poiche' realizzati non gia' da un
 fatto ma da "una situazione individuale, che di  per  se  stessa  non
 costituisce  infrazione  di alcun comando o divieto penale, ma che e'
 incrimanata soltanto per il sospetto che  desta";  onde  l'evento  di
 tale   reato   risulterebbe,   quindi,  non  "che  una  azione  o  da
 un'omissione   individuale",   ma   da   "un   apprezzamento    fatto
 dall'autorita'  in base a determinati elementi stabiliti dalla legge"
 (Manzini); che quindi tale previsione  normativa  sembra  contrastare
 con  l'art.  25,  secondo  comma  della  Costituzione laddove questo,
 identificando il reato, testualmente, in un "fatto commesso", esclude
 la possibilita' di incriminare situazioni non  riconducibili  ad  una
 condotta commissiva od omissiva;
      che  sotto  questo  profilo  il reato di cui all'art. 708 appare
 redicalmente  diverso,  nonostante  la  contraria   opinione   spesso
 sostenuta,  da quello di cui all'art. 707 del c.p., poiche' mentre e'
 concepibile il divieto, penalmente sanzionato,  della  detenzione  di
 strumenti atti ad aprire o sforzare serrature, cosi' come e' previsto
 il  divieto di detenere strumenti atti a offendere la persona, ovvero
 armi od esplosivi, concretizzandosi in tali  casi  il  reato  in  una
 condotta  di per se' non offensiva, ma che pertuttavia il legislatore
 intende vietare ai fini di ostacolare la commissione di altri  reati,
 non  e' concepibile che possa sanzionarsi i possesso di denaro di cui
 non si accerti in alcun modo l'illeggittima provenienza, essendo tale
 possesso  normale   esplicazione   di   una   situazione   soggettiva
 costituzionalmente garantita, e non vedendosi a quale ulteriore scopo
 criminoso  possa essere finalizzato; che pertanto tale considerazione
 rafforza la tesi della mancanza, nel reato de quo agitur, di una vera
 e propria condotta criminosa  (ossia  di  un  "fatto  commesso");  ma
 suggerisce anche, in via subordinata, ove si ritenesse essere data la
 condotta  incriminata  dal  fatto di possedere denaro, di prospettare
 l'incostituzionalita' della norma in esame per  violazione  dell'art.
 42 della Costituzione;
      che,  infine,  ove  si  ritenesse di poter ravvisare la condotta
 incriminata  nel  rifiuto  di  fornire   giustificazioni   circa   la
 provenienza  del denaro o delle altre cose indicate nell'art. 708 del
 c.p., cio' potrebbe, in via ulteriormente  subordinata,  a  ravvisare
 contrasto tra la citata disposizione e l'art. 24, secondo comma della
 Costituzione,  poiche',  visti  gli scopi della norma e i soggetti ai
 quali e' rivolta, essa finirebbe in  pratica  con  l'incriminare,  in
 ipotesi  non  marginali, il rifiuto di confessare modi illegittimi di
 acquisto delle  suddette  cose,  cosi'  ponendosi  in  contrasto  col
 principio  nemo  tenetur  se  detegere  che  non  puo'  non ritenersi
 compreso nei diritto alla difesa.