LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'Istituto nazionale assistenza dipendenti enti locali - I.N.A.D.E.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore elettivamente domiciliato in Roma, via Livorno, 58, presso l'avv. Luciano Bason che lo rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso, ricorrente contro Ingemi Giuseppa, elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Corte suprema di cassazione rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Mobilia per procura speciale a margine del controricorso, controricorrente, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Messina in data 15 aprile 1988 dep. il 5 dicembre 1988 (r.g. n. 759/1987); Udita nella pubblica udienza tenutasi il giorno 19 settembre 1991 la relazione della causa svolta dal cons. rel. dott. Fancelli; Udito l'avv. Mobilia; Udito il p.m. nella persona del sost. proc. gen. dott. Gennaro Salvatore Tridico che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO Con sentenza depositata il 5 dicembre 1988 il tribunale di Messina, decidendo sull'appello proposto dall'I.N.A.D.E.L. nei confronti di Ingemi Giuseppina, dipendente da ente locale collocata a riposo il 1' marzo 1985, avverso la sentenza 13 giugno 1987 del pre- tore del luogo, confermava la sentenza stessa che in accoglimento della domanda della Ingemi aveva condannato l'Istituto a corrisponderle a titolo di riliquidazione dell'indennita' premio di servizio (I.P.S.) la maggiore somma di L. 13.112.748, con il risarcimento del danno per il ritardato pagamento secondo gli indici ISTAT e con gli interessi legali a decorrere dalla data della prima liquidazione dell'I.P.S. Riteneva il tribunale, relativamente ai riconosciuti oneri accessori, che ricorrevano nella specie tutti i presupposti per l'applicabilita' dell'art. 1224 del codice civile, mentre non poteva essere invocato al riguardo l'art. 23, quarto comma, del d.-l. 31 agosto 1987, n. 359, convertito con legge n. 440/1987, secondo cui le somme dovute per riliquidazione dell'I.P.S. non danno luogo a corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria, non avendo la legge effetto retroattivo. L'I.N.A.D.E.L. ha proposto ricorso per Cassazione deducendo vizi di violazione e falsa applicazione delle predette norme e dell'art. 429, terzo comma, del c.p.c. OSSERVA IN DIRITTO L'Istituto ricorrente censura la sentenza impugnata che ha riconosciuto sulla somma dovuta a titolo di riliquidazione dell'I.P.S. (in forza della legge n. 297/1982) il diritto al risarcimento del danno per il ritardato pagamento e agli interessi moratori. Sostiene l'I.N.A.D.E.L. che tale diritto e' escluso dall'art. 23 del d.-l. n. 359/1987; che nella specie trattandosi di credito previdenziale non e' applicabile la rivalutazione automatica di cui all'art. 429 del c.p.c.; che non ricorrono i presupposti del ritardo colpevole del debitore e della prova del danno conseguente al ritardato pagamento per poter dare ingresso alla previsione normativa dell'art. 1224 del cod. civ. L'art. 23, quarto comma, del d.-l. citato, con riguardo alla riliquidazione dell'I.P.S. mediante computo dell'indennita' integrativa speciale (I.I.S.) maturata dopo il 31 gennaio 1977 (per effetto dell'art. 4 della legge n. 297/1982 abrogativo degli artt. 1 ed 1- bis del d.-l. 1' febbraio 1977, n. 12, convertito con legge n. 91/1977) esclude, anche nel caso di riliquidazione derivante da sentenza passata in giudicato (e quindi con effetto retroattivo), la corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria. La Corte costituzionale con sentenza n. 1060 del 6 dicembre 1988 ha dichiarato l'illegittimita' della predetta disposizione nella parte statuente l'esclusione degli interessi. A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 12 aprile 1991 che ha disposto la sostanziale equiparazione dei crediti previdenziali ai crediti di lavoro, con conseguente applicazione anche ai primi del principio della rivalutazione automatica di cui all'art. 429, terzo comma, del c.p.c., viene riproposta dal resistente la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, quarto comma, citato nella parte escludente la rivalutazione monetaria. Tale questione e' rilevante per il suo evidente carattere di pregiudizialita' nel presente giudizio, in cui l'applicazione del citato quarto comma dell'art. 23 nel testo risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimita' costituzionale comporterebbe, attesa la sua retroattivita' e dovendosi escludere il diritto alla rivalutazione monetaria riconosciuto dai giudici di merito, la cassazione dell'impugnata sentenza. Nel merito la questione si presenta non manifestamente infondata con riferimento sia all'art. 3 della Costituzione (attesa la discriminazione del credito de quo rispetto ad ogni altro credito previdenziale relativamente alla rivalutazione monetaria), sia all'art. 38 della Costituzione (provvedendosi in modo inadeguato alle comuni esigenze di vita del lavoratore cessato dal servizio). Invero la esclusione della rivalutazione - al contrario di quella relativa agli interessi - era stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1060/1988 in base ai seguenti rilievi: a) per i crediti previdenziali a differenza di quelli di lavoro privato non trova applicazione l'art. 429 della c.p.c. e quindi il principio della rivalutazione automatica del credito, ma l'art. 1224, secondo comma, del cod. civ. in base al quale occorrono la domanda di pagamento del maggior danno e la dimostrazione del pregiudizio patrimoniale subito; b) la tematica relativa agli interessi e' autonoma rispetto alla rivalutazione, in quanto la decorrenza dei termini di pagamento determina automaticamente la mora dell'Istituto, giacche' "i tempi del meccanismo di liquidazione della prestazione sono prefissati per legge decorrenti dalla richiesta del dipendente, pur in assenza dell'emissione del mandato di pagamento"; c) la previsione normativa della esclusione della rivalutazione monetaria corrisponde ad una valutazione non arbitraria e sufficientemente razionale del legislatore, dettata dalla necessita' di sanare la situazione finanziaria venutasi a creare a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 236/1986, la quale risolvendo dubbi interpretativi, aveva sancito l'inclusione dell'I.P.S. dell'indennita' integrativa speciale comprensiva degli incrementi di contingenza; d) il citato art. 23 e' norma eccezionale di durata temporanea (limitata alla contribuzione previdenziale per il quadriennio 1982-1986) e regola situazioni soggettive disomogenee rispetto agli ordinari crediti previdenziali; e) la non eccessivita' della decurtazione dovuta alla mancata rivalutazione non incide sulle condizioni poste dagli artt. 36 e 38 della Costituzione. Orbene la soluzione adottata dalla Consulta in relazione all'art. 23 cit. non appare piu' giustificata alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 156/1991, che, modificando quello che era l'orientamento giurisprudenziale consolidato, si e' pronunciata per l'assimilazione dei crediti previdenziali ai crediti retributivi, ritenendo che la rivalutazione automatica prevista dall'art. 429, terzo comma, del c.p.c. e' una modalita' di attuazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, dettato quale parametro delle esigenze di vita del lavoratore, per cui la sua mancata estensione ai crediti previdenziali comporta una violazione non solo dell'art. 3 della Costituzione, ma anche dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione che avvicina sotto l'aspetto funzionale (di surroga o integrazione di un reddito di lavoro cessato o ridotto) le prestazioni previdenziali ai crediti retributivi. E' chiaro che il riconoscere legittima l'sclusione della rivalutazione monetaria per i crediti previdenziali di cui all'art. 23 citato, imporrebbe l'esclusione proprio del criterio automatico di rivalutazione che la sentenza n. 156/1991 della Corte costituzionale ha inteso introdurre per tutte le prestazioni previdenziali e priverebbe, cosi', di una significativa porzione le spettanze accreditate all' ex dipendente per effetto di meccanismi di liquidazione prefissati per legge (applicazione dell'indice ISTAT di rivalutazione monetaria), non essendo necessario, analogamente a quanto previsto per gli interni legali, alcun accertamento della responsabilita' dell'ente debitore e alcuna prova del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore per il ritardato adempimento e decorrendo entrambi i benefici, per quanto concerne il credito de quo, in applicazione dell'art. 7 della legge 533/1973, dallo scadere del centoventesimo giorno dalla maturazione del diritto, coincidente con il collocamento a riposo dell'interessato. Non appaiono decisive sotto il profilo strettamente giuridico le ragioni di natura sostanzialmente pragmatica legate all'esiguita' della decurtazione (peraltro non piu' sostenibile per effetto del cumulo della rivalutazione automatica del credito con gli interessi legali ammesso dall'art. 429) e alla necessita' di non aggravare ulteriormente la cassa dell'ente. D'altro canto l'inderogabile esigenza di difesa del potere d'acquisto della prestazione previdenziale necessaria per soddisfare gli ordinari bisogni della vita, attuata mediante il meccanismo della rivalutazione automatica, non puo' essere elusa, in considerazione della sua rilevanza costituzionale, dalla eccezionalita' della disposizione di cui al citato art. 23, non rappresentando tale eccezionalita' un ragionevole motivo che possa giustificare un trattamento per i crediti di riliquidazione dell'I.P.S. meno favorevole rispetto a quello riservato agli altri crediti previdenziali, militando anche a favore dei primi tutte le ragioni di salvaguardia del potere d'acquisto in funzione della soddisfazione dei cennati bisogni.