IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato in pubblica udienza la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Klieber Ralph, nato il 15 ottobre 1961 a Bolzano - atto di nascita n. 2082/I/A - residente in Innsbruck, Speckbacherstrasse n. 8 - 6020 Austria; domicilio eletto in Verona, stradone San Fermo n. 13; gia' recluta del battaglione alpini "Mondovi'" in Cuneo, imputato del reato di: "mancanza alla chiamata aggravata" (artt. 151 e 154, n. 1, del c.p.m.p.) perche', chiamato alle armi mediante pubblico manifesto ai sensi della circolare n. 707/1988 non si presentava senza giusto motivo al distretto militare di Bolzano o ad altra autorita' militare nei cinque giorni successivi al 27 agosto 1989, termine ultimo di presentazione per gli appartenenti al secondo contingente 1989, rimanendo arbitrariamente assente fino al 22 ottobre 1990, quando veniva dispensato dal servizio militare di leva ex art. 100 del d.P.R. n. 237/1964 come sostituito dall'art. 7 della legge n. 958/1986; Con l'aggravante della durata dell'assenza superiore ai sei mesi; Sentito il p.m. e la difesa nelle conclusioni di merito, su eccezione sollevata dalla difesa; OSSERVA IN FATTO E DIRITTO 1. - In esito all'odierno dibattimento celebratosi a carico di Klieber Ralph, imputato del reato di mancanza alla chiamata aggravata (artt. 151 e 154, n. 1, del c.p.m.p.), come descritto in epigrafe, e' pacificamente emerso, sulla scorta delle prove documentali ammesse su richiesta delle parti del collegio, che il giovane, nato in Italia da genitori stranieri e, percio', cittadino straniero iure sanguinis, acquistava successivamente la cittadinanza italiana in base all'art. 3, n. 3, della legge 13 giugno 1912, n. 555. Veniva quindi regolarmente arruolato in Italia per prestare il servizio militare ed otteneva numerosi rinvii per motivi di studio, fino a che, non avendo presentato per l'anno 1989 istanza di ammissione al ritardo, veniva interessato alla chiamata alle armi indetta con pubblico manifesto, alla stregua del quale avrebbe dovuto egli presentarsi all'autorita' militare entro il 27 agosto 1989. Ne' a tale data, ne' in seguito, egli adempiva tale obbligo, in quanto, come e' emerso, gia' da tempo, aveva trasferito la propria residenza in Austria ed aveva, gia' da prima della data fissata per la presentazione alle armi, perso la cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 8, primo comma, n. 2, della legge citata. La chiamata alle armi, costituente il presupposto di fatto del reato di cui oggi il Klieber e' chiamato a rispondere, discende dall'applicazione dell'art. 1, lett. b), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, secondo il quale continuano ad essere soggetti alla leva " b) coloro che, sebbene abbiano perduto la cittadinanza italiana sono rimasti obbligati al servizio militare a tenore delle leggi vigenti in materia di cittadinanza"; il che si verifica puntualmente nel caso in questione, versando il Klieber nella richiamata ipotesi dell'art. 8, primo comma, n. 2, e ultimo comma, della legge n. 555/1912. 2. - Cio' premesso, ritiene il collegio non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale, sollevata dalla Difesa, dell'art. 1, lett. b), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e reclutamento obbligatorio nell'Esercito, nella Marina e nell'Aeronautica) - che necessariamente va correlato, a parere del tribunale all'art. 8, ultimo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555 (sulla cittadinanza) - in relazione agli artt. 2, 3 e 52 della Costituzione. Relativamente alla sussistenza del requisito della rilevanza, dopo quanto in precedenza accennato, vale la pena di aggiungere che, nell'ipotesi di declaratoria di incostituzionalita' della normativa impegnata, dovrebbe ritenersi inesistente il presupposto della chiamata alle armi nei confronti del giudice, non rientrando la sua posizione in alcuna delle rimanenti ipotesi di assoggettabilita' al servizio militare; ne deriverebbe l'assoluzione dal reato ascrittogli per insussistenza dell'elemento materiale. Passando poi all'ipotizzata violazione dell'art. 3 della Costituzione, una prima disparita' di trattamento si ravvisa tra coloro che perdono la cittadinanza per le ragioni previste dall'art. 8 della legge n. 555/1912 e coloro che la perdono ai sensi dell'art. 7, stessa legge: solo a favore di questi ultimi, stante il mancato richiamo dell'art. 8, ultimo comma, all'art. 7, si verifica l'effetto liberatorio del soggetto che ha perso la cittadinanza italiana nei confronti della leva, mentre in capo ai primi non si realizza analogo vantaggio anche a seguito della perdita del detto status. Non ignora il tribunale che nei riferiti termini la questione e' gia' stata dichiarata manifestamente infondata (Corte costituzionale ordinanza del 26 gennaio 1988, n. 109), sul rilievo della sostanziale disomogeneita' tra la situazione prevista dall'art. 8, primo comma, n. 1 - cui era limitata la questione - e quella contemplata dall'art. 7: solo quest'ultimo prevederebbe come presupposto un evento naturale (la nascita) che consentirebbe di evitare eventuali abusi di natura strumentale, in ipotesi verificabili se l'effetto liberatorio fosse collegato - come nel caso previsto dell'art. 8, primo comma, n. 1 - ad un fatto meramente volontario (la fissazione della propria residenza all'estero). Tuttavia, se nella cennata questione rivestiva risolutiva rilevanza il fattore della casualita' del presupposto dante origine all'acquisto di altra cittadinanza - si' da rendere diversificabili le due ricordate situazioni -, non appare riscontrabile analoga disomogeneita' qualora il rapporto con l'art. 7 riguardi l'ipotesi prevista dal n. 2 dell'art. 8 - rilevante nel caso di specie e non investita dall'attenzione dell'ordinanza summenzionata - in cui e' un fatto involontario, variabile in base agli ordinamenti stranieri e preesistente alla rinuncia della cittadinanza italiana ad aver determinato l'acquisto di cittadinanza straniera. Le situazioni suddette si presentano omogenee e non connotabili per sostanziale diversita': in entrambe infatti la positiva e volontaria manifestazione di rinuncia e' preceduta da fatti involontari (la nascita in un caso; altro accadimento non legato alla volonta', nell'altro); ne deriva una prima violazione del principio stabilito nell'art. 3 della Costituzione. 3. - Sotto diverso aspetto, il giudice delle leggi ha di recente stabilito l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1, lett. b), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 ed 8, ultimo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555 "nella parte in cui non prevedono che siano esentati dall'obbligo del servizio militare coloro che abbiano perduto la cittadinanza italiana a seguito dell'acquisto di quella di altro Stato nel quale abbiano gia' prestato servizio militare". Si e' voluto cosi' porre fine ad una situazione di evidente disparita' dovuta alla previsione espressa dell'esonero dal servizio militare secondo le convenzioni internazionali - e, segnatamente, la convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963, ratificata dall'Italia con legge 4 ottobre 1966, n. 876 - a favore del cittadino avente doppia cittadinanza, che abbia gia' svolto il servizio militare in uno dei due Stati, rispetto a colui che, avendo addirittura perso la cittadinanza italiana e prestato servizio militare nello Stato di acquisita cittadinanza, sia ancora tenuto a prestare il servizio militare in Italia in virtu' dell'art. 8, ultimo comma, della legge n. 555/1912. Le due situazioni sono, a parere della Corte costituzionale, omogenee, presentando, la seconda, addirittura caratteri di minore disvalore rispetto alla prima, sicche' l'esigenza costituzionale di parita' trattamento impone l'esonero di entrambi i soggetti dal servizio militare in Italia. Alle due prospettate situazioni se ne affianca, tuttavia, una terza, a parere del collegio non disomogenea rispetto ad esse: quella di chi - come l'imputato - avendo perso la cittadinanza italiana ex art. 8, primo comma, n. 2, ed acquistato la cittadinanza straniera (nella specie, austriaca, e quindi rientrante nella disciplina dalla convenzione di Strasburgo), pur non avendo ancora effettuato il servizio militare in alcuno dei due Stati, sia tenuto a prestarlo, secondo la normativa ivi vigente, nel Paese di acquisita cittadinanza. Esigere a tal punto la prestazione del servizio militare anche nello Stato italiano, in osservanza del principio di "ultrattivita'" della cittadinanza italina, fissata nell'art. 8, ultimo comma, della legge n. 555/1912, significa contraddire la regola secondo cui la prestazione (o l'obbligo futuro) del servizio militare in uno dei due Stati esonera dall'effettuarlo anche nell'altro; tale principio, comune alle due ipotesi contemplate dalla sentenza n. 974/1988 della Corte costituzionale, non puo' che estendersi, in osservanza al canone di uguaglianza, anche all'omogenea situazione in esame, in cui il dato che la prestazione del servizio militare in uno Stato non e' ancora avvenuta e' meramente secondario rispetto alla considerazione che il soggetto e' comunque tenuto ad effettuarlo secondo le leggi vigenti. Di qui un'ulteriore violazione dell'art. 3 della Costituzione. 4. - Vero e', che il principio della "ultrattivita'" della cittadinanza italiana, stabilito dalla normativa impugnata, fu fissato dal legislatore del 1912 per disincentivare cambiamenti di cittadinanza. Mentre, al riguardo, la Dichiarazione universale del diritti dell'uomo, adottata dall'assemblea generale dell'O.N.U. il 10 dicembre 1948 - non applicabile nel nostro ordinamento per mancanza di ratifica o, secondo un'interpretazione minoritaria, costituzionalizzata dell'art. 10 della Costituzione - stabilisce proprio tra i diritti fondamentali del soggetto quello "di mutare cittadinanza". Un siffatto diritto appare d'altronde tutelato dalla stessa Costituzione che "garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'" (art. 2 della Costituzione): sono tali quelli inerenti alla natura spirituale dell'uomo, patrimonio irretrattabile della persona (sentenza n. 252/1983) e tra essi ben si inquadra il diritto del soggetto a mutare la propria cittadinanza in conformita' alle proprie intime aspirazioni e a collocarsi percio' in seno ad una collettivita' ritenuta piu' vicina al proprio modo di sentire. Vale poi la pena di aggiungere che l'affermazione del carattere "aperto" di tale categoria, non limitato ai soli diritti fondamentali previsti da altre disposizioni della Corte costituzionale, prevale nella giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 561/1987), oltre che nella migliore dottrina; il che comporta la possibilita' di individuare altre posizioni soggettive inviolabili mediante interpretazione storico-evolutiva. La Corte stessa, d'altronde, appare attribuire al diritto di mutare liberamente la propria cittadinanza rilievo di diritto inviolabile; cio' si evince dall'invito rivolto al legislatore - ma da questi non raccolto - con la menzionata ordinanza 26 gennaio 1988, n. 109, di procedere ad un'organica revisione legislativa che tenga conto del tempo trascorso dal momento in cui la vigente normativa (n.d.r.: sulla cittadinanza), fu emanata, nonche' dell'evoluzione dei rapporti e degli scambi che ha finito per favorire sempre piu' la liberta' di stabilimento nei Paesi stranieri, rendendo cosi' inattuali disposizioni dettate con riferimento ad un diverso assetto della societa' e facendo apparire superate, sotto molteplici aspetti, quelle cautele che l'avevano ispirata. Il tempo e' inutilmente trascorso nell'inadempienza del legislatore e non e' piu' sopportabile che si protragga un'indebita compressione del diritto invidabile del cittadino di stabilire altrove la propria cittadinanza, dovuta all'"ultrattivita'" della persa cittadinanza italiana ai fini della prestazione degli obblighi di leva in Italia, come risulta dalla normativa impugnata, che pertanto appare violare anche il citato art. 2 della Costituzione. 5. - Per quanto attiene, infine, all'art. 52 della Costituzione il primo comma stabilisce l'obbligo di difesa della Patria a carico del cittadino, mentre il secondo il dovere di prestazione del servizio militare nei limiti stabiliti dalla legge. Secondo la comune interpretazione quest'ultimo costituisce la normale esplicazione del primo, inteso invece in modo piu' ampio e generale e se ne distingue perche' limitato nei nessi e circoscritto nel tempo, consistendo in una serie di prestazioni aventi durata prestabilita dalla legge e finalizzato all'istruzione di coloro ai quali e' affidata la difesa in armi della Patria. Nel concetto di cui al primo comma, vanno poi ricomprese talune forme non riconducibili alla prestazione del servizio militare, quali il servizio sostitutivo civile e l'obbligo di difesa incombente, in caso di necessita', su soggetti per la legge non tenuti a sottostare alla leva. E' convinzione del collegio, in piu' stretta aderenza alla questione in esame, che il primo comma, costituzionalizzando il dovere di difesa della Patria solo a carico del cittadino, non escluda pero' che, in sede di legiferazione ordinaria, esso possa essere esteso anche nei confronti di soggetti non avente detto sta- tus. Il che sembra, d'altronde, confermato dal comma successivo, il quale, prescindendo dalla cittadinanza, affida alla legge il compito di determinare che sia tenuto alla forma tipicamente satisfattoria dell'obbligo di difesa, vale a dire, la prestazione del servizio militare. Vero e', pero', che gli obblighi previsti dall'art. 52 della Costituzione, comportando una compressione dei diritti fondamentali (subordinazione gerarchica, restrizioni nella liberta' di movimento, di manifestazione del pensiero ecc., giuramento di fedelta' assoluta, sottoposizione e normativa penale piu' aspra), trovano giustificazione solo se inquadrati e finalizzati al dovere di "solidarieta' politica" di cui all'art. 2 della Costituzione, il quale deve ritenersi operante, pero', solo in presenza di un legame attuale ed effettivo, ancorche' non identificabile con la cittadinanza, del soggetto con lo Stato italiano. In mancanza di tale criterio - ravvisabile anche nella residenza o, addirittura, nella dimora di un soggetto non avente cittadinanza italiana - non deve un vincolo di natura meramente morale tradursi in obbligo giuridico, munito di sanzione penale, in quanto il dovere di solidarieta' politica contenuto nell'art. 52 della Costituzione non puo' porsi a carico del cittadino straniero non avente alcun legame con lo Stato italiano, se non la perduta cittadinanza italiana. Nei termini esposti si configura anche in relazione all'art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, lett. b) del d.P.R. 14 giugno 1912, n. 555.