IL PRETORE Letti gli atti. Rilevato che la signora Talamo Luigia possedeva i requisiti medico-legali per la concessione della pensione/assegno di invalidita' fin dalla data della domanda amministrativa (non risulta dalla c.t.u. allegata agli atti), ritiene non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge n. 222/1984, nella parte in cui prevede che la prestazione richiesta non spetti a coloro che hanno gia' compiuto il cinquantacinquesimo anno di eta', all'epoca della proposizione della domanda di invalidita'. Occorre preliminarmente osservare che il r.d.-l. 14 aprile 1939, n. 636, all'art. 9, sub 2, modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, prevedeva la concessione della pensione di invalidita' a qualunque eta'. Sinche' la norma contenuta nell'art. 3 della legge n. 222/1984 ha introdotto una inammissibile reformatio in pejus che modifica, restringe e limita le tutele gia' garantite da altre leggi e che contrasta con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 24 e 36 della Costituzione. Invero le assicurazioni sociali obbligatorie si propongono di garantire allo esaminato il soddisfacimento diretto ed immediato di peculiari prestazioni liberandolo cosi' dai bisogni vitali al verificarsi di eventi che riducono o annullano la capacita' di lavoro e di guadagno, in attuazione della disposizione del secondo comma dell'art. 38 della Costituzione che parla espressamente di un diritto alla previdenza. Pertanto la limitazione introdotta dal citato art. 3 della legge n. 222/1984 appare tanto piu' odiosa e afflittiva e irrazionalmente penalizzante in quanto e' intervenuta nel momento in cui la gamma delle pensioni erogate per legge dall'I.N.P.S. hanno conseguito notevoli e costanti evoluzioni in condotte a piu' umane esigenze e allo auspicato stato sociale, idoneo a garantire il cittadino "dalla culla alla bara". Tale norma impedisce alla lavoratrice assicurata di andare al pensionamento, pur essendo portatrice di infermita' invalidanti e ancorche' possa far valere i requisiti di contribuzione richiesti. Va altresi' considerato che l'assicurata non potra' ottenere la restituzione delle contribuzioni acquisite sul suo conto personale dall'I.N.P.S. (circa nove anni) stante l'obbligatorieta' della assicurazione. E' vero che avrebbe potuto (perche' ormai e' deceduta) proseguire i contributi volontariamente per il perfezionamento del requisito contributivo per la pensione di vecchiaia, ma cio' avrebbe comportato l'assoggettamento ad uno sforzo oneroso ed usurante, inconciliabile con la posizione di una invalida e per di piu' l'attesa di un lasso di tempo non inferiore a circa sette anni, per il raggiungimento del requisito contributivo minimo. La norma in esame viola dunque l'art. 3 della Costituzione, laddove afferma che e' compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Ne' possono invocarsi motivi contingenti di contenimento della spesa pubblica, dato che i recuperi potrebbero assai piu' giustamente effettuarsi sugli sperperi di denaro pubblico e sulle dilaganti evasioni. La norma viola anche l'art. 38 della Costituzione in quanto esso riconosce espressamente un diritto alla previdenza.