ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 482, primo
 comma, e 382, primo comma, del codice di procedura  penale  del  1930
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  30 aprile 1991 dal Tribunale di
 Trapani nel procedimento penale a carico di Cizio Giuseppe ed  altro,
 iscritta  al  n.  512  del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  33,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 18 dicembre  1991  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  30  aprile 1991 il Tribunale di
 Trapani ha sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  24 della Costituzione, dell'art. 482,
 primo comma - in relazione all'art. 382, primo comma - del codice  di
 procedura   penale   abrogato,  nella  parte  in  cui,  nel  caso  di
 proscioglimento dell'imputato  da  reato  punibile  a  querela  della
 persona offesa, impone di condannare il querelante al pagamento delle
 spese  processuali  anticipate  dallo Stato anche in assenza di colpa
 del querelante stesso.
    2. - Il giudice a quo - premesso che nel caso  sottoposto  al  suo
 esame  il  proscioglimento degli imputati dal reato di diffamazione a
 mezzo stampa consegue al riconoscimento del legittimo  esercizio  del
 diritto di critica garantito dall'art. 21 Cost., e quindi con la for-
 mula "perche' il fatto non costituisce reato" - rileva che a siffatta
 pronuncia   dovrebbe   inevitabilmente  conseguire  la  condanna  del
 querelante al  pagamento  delle  spese  processuali  in  quanto,  dal
 combinato  disposto  degli  artt.  482  e 382 dall'abrogato codice di
 rito, ed eccettuati i casi di proscioglimento per perdono  giudiziale
 o  per  altra  causa  estintiva  sopravvenuta  alla  querela,  non e'
 consentita alcuna valutazione del suo comportamento.
    Al querelante, pertanto, andrebbe addossata la responsabilita' per
 le spese quand'anche non sia ravvisabile  nei  suoi  confronti  alcun
 profilo di colpa.
    Il  Tribunale  di Trapani rammenta che gia' con le sentenze n. 284
 (rectius: n. 165)  del  1974  e  n.  52  del  1975  questa  Corte  ha
 dichiarato  la  parziale illegittimita' costituzionale delle norme in
 questione, individuando la ratio unitaria delle ipotesi di  esenzione
 del  querelante  dalla  responsabilita'  per  le  spese nel fatto che
 "l'assoluzione dell'imputato derivi da circostanze non  riconducibili
 al   querelante,   cui  nessuna  colpa  puo'  essere  addebitata",  e
 riconoscendo che contrastava col principio di eguaglianza la  mancata
 considerazione  di  quegli  altri casi allora sottoposti al suo esame
 (proscioglimento del non imputabile per incapacita' di intendere e di
 volere, querela  contro  ignoti  per  reato  realmente  verificatosi)
 rispetto ai quali era ravvisabile la medesima ratio.
    Ad  avviso  del  remittente,  pero',  detto  intervento  non  puo'
 ritenersi risolutivo degli accennati profili di  incostituzionalita';
 in  particolare,  l'equiparazione  fra  l'obbligo  al pagamento delle
 spese incombente sull'imputato riconosciuto  colpevole  e  l'identico
 obbligo   del   querelante,   nel  caso  di  assoluzione  del  primo,
 apparirebbe  irragionevole  e  contrastante  con  il   principio   di
 eguaglianza   poiche'   assoggetta   alla  medesima  disciplina,  per
 l'aspetto in esame, due situazioni radicalmente differenti: quella di
 chi viene condannato a seguito  di  giudizio  necessariamente  esteso
 alla  colpevolezza  e  quella  di  chi, invece, si vede addossata una
 responsabilita' di ordine patrimoniale prescindendo del tutto da ogni
 considerazione sulla colpa.
    Inoltre,  il  criterio  dell'automaticita'  della   condanna   del
 querelante alle spese (salve le tassative eccezioni prima rammentate)
 evidenzierebbe  un  ulteriore profilo di irragionevolezza nella parte
 in cui, escludendo ogni  valutazione  del  comportamento  di  chi  ha
 esercitato  il  diritto  di  querela,  impone di addossare egualmente
 l'onere delle spese  processuali  tanto  al  querelante  avventato  o
 temerario  quanto  a  quello  cui  nessun  addebito  del genere possa
 muoversi.
    A cio' deve aggiungersi, ad avviso del  remittente,  un  ulteriore
 profilo  di illegittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 24
 della Costituzione, emergente dal fatto che la persona offesa  da  un
 reato  perseguibile  a querela viene a trovarsi esposta al rischio di
 responsabilita' patrimoniale per circostanze a lui estranee;  il  che
 importerebbe  un'indebita  ed ingiustificata compressione del diritto
 di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti.
    Infine, i  dubbi  di  illegittimita'  delle  norme  denunciate  si
 prospetterebbero  ancor piu' fondati a seguito dell'entrata in vigore
 del nuovo codice di rito penale, nel quale gli artt. 542 e  427,  pur
 mantenendo  fermo  il  criterio dell'automatismo assoluzione-condanna
 del querelante alle spese, hanno ristretto le ipotesi di condanna  ai
 soli  casi  di  assoluzione  perche'  il fatto non sussiste o perche'
 l'imputato  non  l'ha  commesso;   con   esclusione,   quindi   della
 responsabilita'  per  le  spese  nel  caso di assoluzione con formula
 "perche' il fatto non costituisce reato".
    Questa nuova e diversa normativa introdurrebbe quindi un ulteriore
 profilo  di  irragionevole  disparita'  di   trattamento   tra   vari
 querelanti  a seconda che i relativi processi vengano celebrati - per
 ragioni casuali, anche indipendenti dal tempo di presentazione  della
 querela - applicando l'una o l'altra disciplina processuale.
    3.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 concludendo per l'infondatezza della sollevata questione.
    Ritiene l'Avvocatura che i richiami alle due sentenze con le quali
 questa  Corte  ha  gia'  dichiarato  la  parziale incostituzionalita'
 dell'art. 382 del codice  di  procedura  penale  abrogato  non  siano
 conferenti.
    In quelle ipotesi la condotta del querelante non era meritevole di
 essere sanzionata, mentre nel caso in esame non sarebbe comprensibile
 per  quali  motivi  il  querelante  risulterebbe  esente da colpa. Ad
 avviso della difesa del  governo,  infatti,  la  responsabilita'  del
 querelante  discenderebbe  proprio  dall'aver  omesso  di prendere in
 considerazione, prima di formulare l'istanza punitiva, la sussistenza
 a favore degli imputati di quel diritto di critica costituzionalmente
 garantito ed i cui parametri sono sufficientemente ben definiti.
                        Considerato in diritto
   1.   -  Il  Tribunale  di  Trapani  ritiene  che  il  principio  di
 eguaglianza ed il diritto di difesa, garantiti dagli  artt.  3  e  24
 della  Costituzione,  siano violati dalle disposizioni previste dagli
 artt. 482, primo comma, e 382, primo comma, del codice  di  procedura
 penale  del  1930,  nelle  parti  in  cui  prevedono  la condanna del
 querelante alle spese del procedimento anticipate dallo  Stato  anche
 in  assenza  di  colpa del querelante stesso; vale a dire, per quanto
 riguarda  il  giudizio  a  quo,   nell'ipotesi   di   proscioglimento
 dell'imputato perche' il fatto non costituisce reato.
    2.  -  In primo luogo il giudice remittente, premesso che nel caso
 sottoposto al suo esame si impone il proscioglimento  degli  imputati
 dal reato di diffamazione a mezzo stampa per l'esistenza di una causa
 di giustificazione, sostiene che l'applicazione della norma impugnata
 comporterebbe una irragionevole equiparazione, sotto il profilo della
 responsabilita' patrimoniale, del querelante avventato o temerario al
 querelante cui nessun addebito possa muoversi.
    Sotto questo profilo la questione e' fondata.
    Questa Corte ha gia' avuto occasione di rilevare (v. sentt. n. 165
 del  1974  e  52 del 1975) che le indicate disposizioni, nel sancire,
 anche al fine di  evitare  liti  temerarie,  la  responsabilita'  del
 querelante  per  il  pagamento  delle  spese  processuali nel caso di
 proscioglimento dell'imputato, stabiliscono alcune eccezioni rette da
 una  ratio  unitaria,  che  e'  quella  di   esentare   dalla   detta
 responsabilita'  chi  ha esercitato il diritto di querela allorquando
 l'assoluzione dell'imputato derivi da circostanze  non  riconducibili
 al  querelante  stesso  al  quale,  quindi, nessuna colpa puo' essere
 addebitata: "Ove ricorrano tali estremi - ha dichiarato  la  sentenza
 n.  52  del 1975 - contrasta con il principio di eguaglianza la norma
 giuridica, come quella denunciata, che egualmente imponga la condanna
 alle spese processuali".
    Anche nell'ipotesi in esame si realizza una simile situazione.
    Invero  la  formula  di  proscioglimento  "perche'  il  fatto  non
 costituisce  reato"  deve  essere  adottata  quando, pur affermandosi
 l'esistenza del  fatto  nella  sua  materialita',  manchi  l'elemento
 soggettivo  del  dolo o della colpa, ovvero quando sussista una causa
 di giustificazione: circostanze tutte il cui accertamento non  e'  in
 alcun  modo  riconducibile  al  querelante;  ne' la sussistenza delle
 medesime  puo'  essere  ritenuta  sintomo  di  una   avventatezza   o
 temerarieta'  della  querela,  tant'e'  che  detta  formula, in linea
 generale, non e' preclusiva dell'azione civile, ben potendo il  fatto
 lamentato   non  costituire  illecito  penale  ma  costituire  invece
 illecito civile.
    Val la pena di sottolineare che  nel  nuovo  codice  di  procedura
 penale del 1988 il legislatore (seguendo alcune indicazioni contenute
 nelle  citate  sentt. nn. 165 del 1974 e 52 del 1975 di questa Corte)
 ha gia' adottato la  medesima  soluzione  eliminando  la  formula  di
 proscioglimento  in questione dal novero delle ipotesi che comportano
 la condanna del querelante alle spese del procedimento.
    Sussiste quindi il lamentato contrasto in ordine all'art. 3  della
 Costituzione   mentre  rimane  assorbita  la  questione  proposta  in
 riferimento all'art. 24 della Costituzione.