ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi  primo
 e  secondo,  della  legge  15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina
 sanzionatoria  degli  assegni  bancari),  promossi  con  le  seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 27 aprile 1991 dal Pretore di Perugia -
 Sezione distaccata di Assisi nel  procedimento  penale  a  carico  di
 Casagrande  Cuppoloni  Gianfranco  iscritta  al  n.  445 del registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1991;
      2)  ordinanza  emessa  il  14  giugno  1991  dal  Giudice per le
 indagini  preliminari  presso   la   Pretura   di   Alessandria   nel
 procedimento  penale  a  carico di Maldini Rodolfo iscritta al n. 548
 del registro ordinanze 1991 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 4  dicembre  1991  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    Con  ordinanza  del  27 aprile 1991 il Pretore di Perugia, sezione
 distaccata di Assisi - nel  corso  del  giudizio  di  opposizione  al
 decreto  penale  di  condanna  emesso  nei  confronti  di  Casagrande
 Cuppoloni  Gianfranco  per  l'emissione  di  assegni  bancari   senza
 copertura  -  ha  sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.,
 questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 11,  1
 e  2  co.,  della  legge  15 dicembre 1990, n. 386, norma che - per i
 reati di emissione di assegni senza copertura  commessi  prima  della
 data  di  entrata  in  vigore  della  legge  medesima  -  prevede  la
 sospensione del procedimento penale e l'improcedibilita'  dell'azione
 penale  in  caso  di  pagamento degli assegni, degli interessi, della
 penale e delle spese per il protesto, ove effettuato entro 90  giorni
 da tale data.
    Rileva  il giudice rimettente che l'imputato, in quanto dichiarato
 fallito, non puo' giovarsi della particolare  disciplina  transitoria
 introdotta  dall'art.  11  cit.,  non  avendo egli la possibilita' di
 effettuare i pagamenti suddetti (e quindi di beneficiare della  causa
 di  improcedibilita'  del  reato)  in quanto non "in bonis"; ne' tali
 pagamenti  potrebbero  essere  autorizzati  dall'autorita'  vigilante
 perche'  sarebbe  alterata  la  "par  condicio  creditorum". Pertanto
 l'imputato, proprio per  la  sua  condizione  personale  di  fallito,
 risulterebbe irragionevolmente discriminato, soprattutto nell'ipotesi
 in   cui   la   procedura   fallimentare   si   concludesse   con  il
 soddisfacimento dei creditori, giacche' in tal caso egli non  avrebbe
 potuto  evitare  una  condanna  penale  e  nello stesso tempo avrebbe
 pagato il suo debito con gli accessori. Vi sarebbe inoltre violazione
 del diritto di difesa perche'  l'imputato  vedrebbe  preclusa,  sotto
 tale  profilo,  la  possibilita'  di  far valere compiutamente le sue
 ragioni.
    La censura di  incostituzionalita'  investe  sia  il  primo  comma
 dell'art.  11 cit. (nella parte in cui non prevede che per l'imputato
 dichiarato fallito il termine di novanta giorni debba  decorrere  dal
 momento  della  chiusura  della  procedura  fallimentare e quindi dal
 rientro "in bonis"), sia il secondo comma (nella  parte  in  cui  non
 prevede  che  il periodo di 90 giorni di sospensione del procedimento
 penale debba decorrere, per l'imputato dichiarato  fallito,  anziche'
 dalla  data di entrata in vigore della legge, dalla conclusione della
 procedura fallimentare ovvero che  lo  stesso  termine  debba  essere
 sospeso  dal  momento  della  dichiarazione di fallimento, successiva
 alla data di entrata in vigore della legge, fino all'esaurirsi  della
 procedura).
    2.  -  Con ordinanza del 14 giugno 1991 il giudice per le indagini
 preliminari presso  la  Pretura  di  Alessandria  ha  sollevato,  con
 riferimento  all'art.  3 Cost., questione incidentale di legittimita'
 costituzionale  del  medesimo  art.  11,  1  e  2  comma,  cit.   con
 argomentazioni  in parte analoghe a quelle prospettate nell'ordinanza
 del Pretore di Perugia e ritenendo in  particolare  che  il  fallito,
 durante  il periodo di sospensione previsto dalla norma censurata, si
 trovi nell'impossibilita' di evitare  la  commissione  del  reato  di
 emissione  di  assegni  senza  copertura,  anche  per  il  timore  di
 commettere con  il  pagamento  il  piu'  grave  reato  di  bancarotta
 preferenziale.
    3.  -  E'  intervenuto  in  entrambi  i  giudizi il Presidente del
 Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura Generale  dello  Stato
 eccependo   preliminarmente  l'inammissibilita'  della  questione  di
 costituzionalita' perche' viene richiesto alla  Corte  un  intervento
 addittivo  (non  gia'  a  contenuto obbligato, ma) in una materia che
 vede come possibili varie opzioni talche' si rientra nell'area  della
 discrezionalita'  del  legislatore,  il  quale solo puo' operare tale
 scelta.
    Nel merito l'Avvocatura dello Stato sostiene l'infondatezza  della
 questione  atteso  che  la  condizione  di fallito rientra nel novero
 degli  status  riconducibili  al  fatto  dell'interessato  e  non   a
 situazioni  di  caso fortuito o di forza maggiore; d'altra parte tale
 condizione ha comunque  effetti  collaterali  nell'ambito  penale  ad
 altri  fini (applicazione dell'attenuante del risarcimento del danno,
 adempimento dell'obbligazione pecuniaria in  relazione  al  reato  di
 insolvenza fraudolenta).
                        Considerato in diritto
    1.  -  E'  stata  sollevata  questione incidentale di legittimita'
 costituzionale - in riferimento agli artt. 3 Cost. (sotto il  profilo
 della  disparita'  di trattamento) e 24 Cost. (sotto il profilo della
 lesione del diritto di difesa) - dell'art.  11,  1  comma,  legge  15
 dicembre  1990  n.  386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni
 bancari) nella parte in cui non prevede che  il  termine  di  novanta
 giorni  dalla data di entrata in vigore della legge medesima (termine
 entro il quale - in regime di disciplina transitoria -  il  pagamento
 dell'assegno    e   degli   accessori   comporta   l'improcedibilita'
 dell'azione  penale)  non  decorra   -   in   caso   di   intervenuta
 dichiarazione  di  fallimento dell'imputato - dal momento di chiusura
 della procedura e quindi dal rientro "in bonis" del fallito.
    Analoga censura di sospetta  illegittimita'  costituzionale  -  in
 riferimento  agli stessi parametri - ha investito l'art. 11, 2 comma,
 della medesima legge n. 386 del 1990 nella parte in cui  non  prevede
 che  il  termine  di  novanta  giorni dalla data di entrata in vigore
 della legge stessa (termine fino al quale - in regime  di  disciplina
 transitoria  -  il  procedimento  penale e' sospeso) non decorra - in
 caso di intervenuta dichiarazione di fallimento dell'imputato  -  dal
 momento  di  chiusura della procedura e quindi dal rientro "in bonis"
 del fallito.
    2. - La legge 15 dicembre 1990  n.  386  ha  introdotto  la  nuova
 disciplina   sanzionatoria   degli   assegni  bancari  prevedendo  in
 particolare  (all'art.  2)   come   ipotesi   delittuosa   il   fatto
 dell'emissione  di  assegno senza copertura, che, presentato in tempo
 utile, non venga pagato in  tutto  od  in  parte  per  difetto  della
 provvista.  Nel nuovo regime quindi il mancato pagamento dell'assegno
 viene  ad  integrare  la fattispecie penale, mentre ne era fuori alla
 stregua della precedente disciplina dettata  dall'art.  116  R.D.  21
 dicembre  1933  n. 1736, come modificato dall'art. 139 della legge 24
 novembre 1981 n. 689.
    Un'ulteriore innovazione introdotta dalla cit. legge  n.  386  del
 1990 e' poi rappresentata dalla previsione di una speciale condizione
 di  procedibilita', disciplinata dall'art. 8, norma che contempla che
 l'azione penale non puo' essere iniziata o proseguita  se  non  siano
 decorsi  sessanta  giorni  dalla  data  di  scadenza  del  termine di
 presentazione del titolo e sempre che  entro  tale  termine  non  sia
 stato  effettuato  dall'emittente  il  pagamento  dell'assegno, degli
 interessi, della penale e delle spese  per  il  protesto  (o  per  la
 constatazione equivalente).
    Per  raccordare  tale  nuovo  regime,  cosi'  caratterizzato, alla
 precedente disciplina, il successivo art. 11 prevede una  particolare
 disposizione   transitoria   che   introduce   un'analoga   causa  di
 improcedibilita' per i reati commessi prima della data di entrata  in
 vigore  della  cit. legge n. 386. L'art. 11 infatti contempla che per
 tali reati non si  procede  se  l'imputato  effettua,  entro  novanta
 giorni  (e non gia' sessanta come secondo la disciplina a regime), il
 pagamento dell'assegno, degli interessi, della penale e  delle  spese
 per    il    protesto   (o   per   la   constatazione   equivalente);
 conseguentemente prevede che per lo stesso termine di novanta  giorni
 il procedimento penale sia sospeso.
    3.  -  Questo  essendo  il  quadro  normativo  di  riferimento, va
 ulteriormente  puntualizzato  che  le   censure   di   illegittimita'
 costituzionale,   mosse   nelle  ordinanze  dei  giudici  remittenti,
 attengono entrambe a reati commessi prima della data  di  entrata  in
 vigore  della  legge  n.  386 cit.; tale e' infatti il presupposto di
 applicabilita' della disposizione transitoria contenuta nell'art. 11,
 che  altrimenti  non  verrebbe  in  rilievo.   Si   appalesa   quindi
 inconferente   la   prospettazione   di   possibile   disparita'   di
 trattamento, contenuta nell'ordinanza del g.i.p. presso il Pretore di
 Alessandria,  sotto  il  profilo  che  il   fallito   si   troverebbe
 nell'impossibilita'  di evitare la commissione del reato di emissione
 di assegni a vuoto nella nuova formulazione di cui all'art.  2  della
 legge  n.  386  cit.,  temendo la commissione del piu' grave reato di
 bancarotta preferenziale. Infatti il nuovo reato di  cui  all'art.  2
 cit.  non  puo' che riguardare fatti successivi all'entrata in vigore
 della  legge  stessa  (in  ragione  dell'irretroattivita'   di   tale
 disposizione  in  quanto  norma penale) e quindi non viene affatto in
 rilievo; ne' nella fattispecie in esame il  fallito  si  trova  nella
 condizione  di  commettere  o non commettere il reato di emissione di
 assegno a vuoto  dibattendosi  unicamente  del  regime  (transitorio)
 della  procedibilita'  dell'azione penale in riferimento a reati gia'
 commessi.
    4. - Cosi' circoscritta la questione  di  costituzionalita',  deve
 dichiararsene  l'inammissibilita'  - sotto il profilo sia dell'art. 3
 Cost. che dell'art. 24 Cost. - perche' attinge  l'area  delle  scelte
 discrezionali del legislatore.
    Le  censure  mosse  dai  giudici  rimettenti  non  attengono  allo
 specifico della disciplina transitoria dettata - per  le  evidenziate
 ragioni   di  coordinamento  -  dall'art.  11  cit.,  ma  muovono  da
 considerazioni di carattere generale sullo stato di  indisponibilita'
 del  proprio  patrimonio  in cui viene a trovarsi il fallito. Ma tale
 status spiega effetti riflessi nella sfera  penale  sotto  molteplici
 aspetti,  incidendo  sulla  possibilita' (che di fatto e' preclusa al
 fallito) di risarcire il danno per beneficiare dell'attenuante di cui
 all'art. 62 n. 6, c.p.; di adempiere, prima della condanna,  al  fine
 di  estinguere  il  reato,  l'obbligazione  assunta  dissimulando  il
 proprio stato di insolvenza (art. 641 c.p.); di pagare - al  medesimo
 fine  -  la frazione della pena dell'ammenda prevista per l'oblazione
 (art. 162 c.p.). Ne' puo' omettersi di notare che analoga  situazione
 si   riscontra  in  riferimento  alla  nuova  fattispecie  delittuosa
 introdotta dall'art. 2 della legge n. 386 del 1990, cit., atteso  che
 chi   abbia   emesso   un   assegno   bancario   senza   copertura  e
 successivamente sia dichiarato  fallito,  non  puo'  ripristinare  la
 provvista  affinche'  l'assegno,  una  volta presentato, sia pagato e
 conseguentemente non risulti integrata la fattispecie penale.
    Quindi sotto variegati aspetti, attinenti tutti alla sussistenza o
 alla gravita' di un reato, incide lo stato  di  indisponibilita'  del
 proprio patrimonio in cui versa il fallito.
    5.  -  Mette  conto  allora  evidenziare  che,  se  nel caso della
 speciale causa di improcedibilita' introdotta dall'art. 11, cit.,  e'
 possibile   ipotizzare  il  meccanismo  processuale  prospettato  dai
 giudici rimettenti come contenuto di una pronuncia additiva di questa
 Corte, per cui la gia' prevista sospensione del processo penale  (per
 novanta  giorni)  si  dilaterebbe fino alla data della chiusura della
 procedura  fallimentare  e  solo  da  quella  data  comincerebbe   (o
 riprenderebbe) a decorrere il suddetto termine accordato dall'art. 11
 per  pagare  l'assegno  ed  evitare  la  (possibile) condanna penale,
 analogo meccanismo non e' configurabile negli altri casi, talche'  la
 particolare  garanzia che conseguirebbe alla valorizzazione (invocata
 dai giudici rimettenti) della tutela del fallito agli  effetti  della
 disciplina  transitoria  in  esame  non  sarebbe  riproducibile,  ne'
 generalizzabile,  e  ridonderebbe   in   inammissibile   incongruenza
 rispetto agli altri effetti penali riflessi del medesimo status.
    Dal  che, per altro verso, emerge la possibilita' di ipotizzare un
 intervento  del  legislatore  a  monte,  ossia  un  intervento  nella
 disciplina  stessa  della procedura fallimentare, che, in una visione
 piu'  organica,  dia  nuovo  assetto   alle   indirette   conseguenze
 penalistiche  della dichiarazione di fallimento, nella prospettiva di
 un diverso bilanciamento - da affidare alla discrezionale valutazione
 del legislatore - tra esigenze della par condicio creditorum e tutela
 del fallito.
    Sicche' la soluzione proposta in via additiva dal giudice a quo si
 palesa non la unica costituzionalmente  obbligata,  ma  soltanto  una
 delle possibili, la scelta fra le quali non puo' non essere riservata
 ancora al legislatore.
    6.  -  Ne' alla dichiarazione di inammissibilita' - che si viene a
 pronunciare - e' di ostacolo la sentenza n. 149 del  1971  di  questa
 Corte  che  ha  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 136, primo comma, c.p. nella parte in  cui  ammetteva,  per  i  reati
 commessi  dal  fallito  in  epoca  anteriore  alla  dichiarazione  di
 fallimento, la conversione della pena pecuniaria in  pena  detentiva,
 prima  della  chiusura  della  procedura  fallimentare, atteso che la
 violazione dell'art. 3 Cost. e' stata ravvisata (non gia' in generale
 nell'autonoma  valutazione  dei  riflessi  penalistici dello stato di
 incapacita' in cui versa  il  fallito  per  il  fatto  di  non  poter
 disporre  dei  propri beni, ma) nell'illegittima equiparazione tra la
 situazione di insolvibilita', che da' luogo  alla  conversione  della
 pena   pecuniaria,   e   quella   di  insolvenza  (condizione  questa
 contingente e, talvolta, provvisoria), in cui  viene  a  trovarsi  il
 fallito   (equiparazione  peraltro  non  piu'  presente  nella  nuova
 disciplina della conversione della pena, quale introdotta dagli artt.
 101 e 106 della legge 24 novembre 1981 n. 689, talche' la Corte,  con
 ordinanza n. 295 del 1987, ha dichiarato la manifesta infondatezza di
 analoga  questione  di  costituzionalita', successivamente sollevata,
 del medesimo art. 136 c.p., come modificato dall'art. 101 cit.).
    L'impossibilita' di trarre da tale  settoriale  comparazione  (tra
 insolvibilita'  ed  insolvenza)  elementi  di valutazione a carattere
 generale e' gia' stata ritenuta da questa Corte nella sentenza n. 135
 del 1976, che ha dichiarato non fondata la questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  162  c.p.  nella parte in cui non consente
 all'imputato fallito di effettuare l'oblazione per le contravvenzioni
 punite con la sola ammenda in ragione della situazione di incapacita'
 derivante dalla dichiarazione di fallimento.
    Al di la' quindi di tale settoriale verifica di costituzionalita',
 del tutto interna alla specifica disciplina della  conversione  della
 pena  pecuniaria,  rimane  il  piu'  generale  disegno  dei  riflessi
 penalistici dello status di fallito che e' investito dalle  ordinanze
 dei  giudici  a  quibus e che invece, per le ragioni esposte, rientra
 nella sfera di dicrezionalita' del legislatore.