LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Cavallini Lovanio, elettivamente in Roma, piazza Augusto Imperatore n. 4, presso l'avv. Piero Amenta che unitamente all'avv. Paolo Fanfani lo rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso, ricorrente, contro la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei geometri, intimata, e sul secondo ricorso n. 2860/90 proposto dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei geometri in persona del legale rappresentante pro-tempore elettivamente domiciliata in Roma, via Roncigliana n. 3, presso l'avv. Salvatore Gullotta che la rappresenta e difende per procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale; controricorrente e ricorrente incidentale, contro Cavallini Lovanio, intimato, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Firenze in data 20 novembre 1989 dep. il 22 novembre 1989 (r.g. n. 418/1989); Udita nella pubblica udienza tenutasi il giorno 10 maggio 1991 la relazione della causa svolta dal cons. rel. gen. Nuovo; Udito l'avv. Gullotta; Udito il p.m. nella persona del sost. proc. gen. dott. Gennaro Salvatore Tridico che ha concluso per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per contrasto dell'art. 2, quinto comma, della legge n. 773/1982 con art. 3 e 38 della Costituzione. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il geometra Lovanio Cavallini dal 1' febbraio 1986 percepisce una pensione di vecchiaia liquidata a norma dell'art. 2, quinto comma, della legge 20 ottobre 1982, n. 773, dell'importo annuo di L. 25.702 mensili. Sostenendo l'errata interpretazione della suddetta norma e l'applicabilita' nella specie del quarto comma del predetto art. 2, che avrebbe comportato una pensione annua iniziale di L. 5.700.000, con ricorso del 4 ottobre 1988 conveniva la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei geometri davanti al pretore di Firenze per ottenere la differenza fra quanto corrisposto a quanto dovuto con rivalutazione e interessi. La convenuta si opponeva a tali richieste, con il giudice adito con sentenza del 3 maggio 1989 accoglieva la domanda del Cavallini. Avverso tale pronuncia la Cassa ricorse in appello e il tribunale di Firenze con decisione del 20 novembre 1989, rilevato che il quarto e quinto comma dell'art. 2 in esame vanno interpretati nel senso che la pensione di vecchiaria non puo' essere inferiore alla misura minima tra la media decennale dei redditi rivalutati al 100% e il sestuplo del contributo minimo versato nell'anno anteriore a quello di una maturazione del diritto a pensione, rigettava la domanda proposta dal pensionato. Contro tale pronuncia il Cavallini ricorre per cassazione deducendo due motivi di impugnazione, illustrati con successiva memoria. Resiste la Cassa nazionale di previdenza, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. MOTIVO DELLA DECISIONE Con il primo motivo, denunciando la violazione dell'art. 2 della legge 20 ottobre 1982, n. 773, ricorda il ricorrente che, anteriormente a tale norma, vigeva l'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 583, che prevedeva una pensione annua di vecchiaia e di invalidita' pari, per ogni anno d'effettiva iscrizione e contribuzione, all'1,75% della media del reddito professionale imponibile dichiarato dall'iscritto ai fini Irpef nei cinque anni precedenti, con un importo minimo, dovuto in ogni caso, di L. 2.210.000, corrispondente pressappoco a seivolte il contributo minimo annuale, che allora era di L. 350.000. Aggiunge il Cavallini che allo stesso modo andrebbe interpretato il quarto comma dell'art. 2 della legge vigente che un sistema simile (salvo alcune varianti relative al requisito minimo di contribuzione, al periodo su cui calcolare la media del reddito professionale, alla rilevanza solo parziale di tale reddito e alla sua rivalutabilita') ha stabilito che la misura della pensione non puo' essere inferiore a sei volte il contributo soggettivo minimo a carico dell'iscritto nell'anno anteriore a quello di maturazione del diritto a pensione. Ne consegue, secondo il ricorrente, che l'ulteriore limite stabilito nel quinto comma (e cioe' che la pensione minima non puo' in alcun caso superare la media del reddito professionale, rivalutato nella misura del 100%) si applicherebbe solo nel caso in cui la pensione superi la misura minima del sestuplo del contributo soggettivo annuo. Rileva il ricorrente che l'interpretazione opposta della norma, effettuata dalla sentenza impugnata, comporterebbe una diversita' di trattamento fra iscritti a parita' di contributi versati, a seconda che il periodo di contribuzione minima si riferisca all'ultimo decennio o ad un periodo precedente. Osserva altresi' che tale interpretazione comporterebbe che se un geometra, pur avendo maturato i requisiti minimi per la pensione vigente la legislazione precedente, avesse continuato ad essere iscritto alla cassa, si vedrebbe privato di un diritto ormai acquisito alla liquidazione della pensione nella misura del sestuplo del contributo minimo soggettivo e si vedrebbe liquidata la prestazione previdenziale in una misura del tutto irrisoria (nella specie di L. 25.000 mensili). Sulla stessa questione verte il ricorso incidentale della Cassa, con il quale, in relazione ad un'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, si chiedono a questa Corte precisazioni, che non attengono al caso deciso e che dovrebbe essere utile in ipotesi di- verse. Con il secondo motivo, denunciando la violazione dell'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, lamenta il ricorrente che il Tribunale non abbia tenuto conto che in base alla norma sopra citata i trattamenti pensionistici corrisposti alla cassa di previdenza per i liberi professionisti non possono essere di importo inferiore a quello minimo a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti. Tralasciando l'esame del ricorso incidentale e del secondo motivo del ricorso principale, coi quali vengono prospettati aspetti secondari e questioni subordinate, va rilevato che l'interpretazione del quarto e quinto comma dell'art. 2 della legge 20 ottobre 1982, n. 773, suggerita dal ricorrente, non puo' essere condivisa. Prima di tale legge, il sistema di liquidazione della pensione di vecchiaia (e di invalidita') era molto semplice. La misura della pensione veniva determinata col sistema a percentuale direttamente correlato alla media del reddito dichiarato negli ultimi 5 anni, ma non poteva in ogni caso essere inferiore a L. 2.210.000 annue (vedi art. 2 legge 8 agosto 1977, n. 583). La legge 20 ottobre 1982, n. 773, ha conservato (sia pure con qualche variante) il sistema di liquidazione normale della pensione, disponendo che essa venga determinata col metodo a percentuale in base alla media di una parte del reddito dichiarato negli ultimi 10 anni con la rivalutazione Istat al 75%. Diverso e' divenuto, invece il sistema di liquidazione della pensione minima. Il legislatore, infatti, non si e' limitato a disporre che la misura di detta pensione non puo' essere inferiore a sei volte il contributo soggettivo minimo a carico dell'iscritto nell'anno anteriore a quello di maturazione del diritto a pensione, ma ha aggiunto che la misura di essa non puo' in alcun caso superare la media del reddito professionale degli ultimi 10 anni rivalutati nella misura del 100%. Ora, quando il ricorrente sostiene che quest'ultima norma trova applicazione solo nel caso che la pensione spettante superi la misura minima del sestuplo del contributo soggettivo annuo, propone un'interpretazione che non trova fondamento alcuno ne' sul piano letterale ne' su quello sistematico. Sul piano letterale va rilevato che la norma in esame parla esplicitamente di "misura della pensione minima", (e cioe' di una pensione che, se liquidata col sistema a percentuale, comporterebbe una prestazoine previdenziale inferiore e che quindi deve essere integrata dalla cassa fino a raggiungere l'importo stabilito dalla legge) mentre l'ipotesi che fa il ricorrente e' di una pensione liquidata col normale sistema a percentuale e che, comportando una pensione annua in misura superiore al minimo, non e' una pensione minima e non ha bisogno di interpretazione. Ma anche dal punto di vista sistematico l'intepretazione suggerita dal ricorrente non e' fondata. La norma in esame, prevedendo un calcolo della pensione sempre a percentuale ma con un tasso di rivalutazione dei redditi dichiarati nella superiore misura del 100% (rispetto alla misura normale del 75%), ha un significato e una funzione solo come metodo diverso di determinazione della pensione minima per poi giungere all'attribuzione della concreta prestazione previdenziale dovuta nella misura minore risultante dell'adozione dell'uno o dell'altro sistema di liquidazione della pensione minima. Applicata, invece, come sostiene il ricorrente, il diverso caso di una pensione superiore al minimo liquidata col sistema normale, la disposizione suddetta porterebbe sempre e in ogni caso a una liquidazione maggiore (derivante dall'adozione di un tasso di rivalutazione superiore) ma non potrebbe trovare applicazione, perche' in ogni caso al pensionato spetterebbe la pensione liquidata col sistema normale. Tali considerazioni trovano l'avallo indiretto della Corte costituzionale, che nella sentenza 15 maggio 1990, n. 243, occupandosi del criterio stabilito dall'art. 2, quinto comma, in relazione alle pensioni di inabilita' e invalidita' dei geometri, non ha adottato una sentenza interpretativa di rigetto, come sarebbe avvenuto se avesse ritenuto fondata l'interpretazione suggerita dall'attuale ricorrente, ma ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 4, secondo comma, e 5, terzo comma, della legge 20 ottobre 1982, n. 773, proprio perche' tali articoli, col richiamo in essi contenuto all'art. 2, quinto comma, consentono una pensione liquidata col cosiddetto criterio del sottominimo. In tale decisione, sia pure con particolare riguardo alle pensioni di inabilita' e invalidita', ha rilevato la Corte costituzionale che nella previdenza a favore dei liberi professionisti il principio di corrispettivita' fra contribuzione e prestazione previdenziale e' soggetto al correttivo del principio di solidarieta' nella misura necessaria per assicurare a tutti i membri della categoria una prestazione adeguata alle loro esigenze di vita, tanto piu' che tale solidarieta' trova fondamento finanziario in specifiche contribuzioni poste a carico sia degli iscritti alla cassa che dei semplici iscritti all'albo. Ha quindi ritenuto che il quinto comma, dell'art. 2, ripristinando rigorosamente il principio di proporzionalita' della pensione ai redditi professionali ed escludendo ogni intervento di solidarieta', contrasta col principio di razionalita' di cui all'art. 3 della Costituzione e col principio del minimo vitale garantito dall'art. 38 della Costituzione. Tale pronuncia non puo' avere diretta applicazione nel caso in esame, in cui si controverte sulla pensione di vecchiaia, innanzitutto perche' detta decisione (occupandosi delle pensioni di invalidita' e inabilita') ha ritenuto inammissibile l'impugnazione diretta dell'art. 2, quinto comma, che si occupa della pensione di vecchiaia, e in secondo luogo perche' oggetto del giudizio di legittimita' costituzionale e non la norma ricavabile attraverso l'interpretazoine della disposizione di legge ma la disposizione medesima, per cui e' precluso al giudice ordinario di disapplicare un'altra disposizione di legge, solo perche' essa si basa sugli stessi principi ritenuti costituzionalmente illegittimi dalla Corte cotituzionale. Cio' comporta pero' che debba ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, quinto comma, della legge 20 ottobre 1982, n. 773 (direttamente applicabile nel caso in esame in cui si controverte della pensione di vecchiaia) perche' in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, per tutti i motivi gia' accolti nella citata decisione della Corte costituzionale. Tale questione e' rilevante nel presente processo, anche se fosse fondata la tesi del ricorrente sull'avvenuta abrogazione di detta norma in forza dell'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, dato che la pensione in godimento del geometra Cavallini, in relazione alla quale si chiedono le relative differenze con rivalutazione e interessi, risale al 1' febbraio 1986.