ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 4, secondo
 comma, 5, primo, secondo e terzo comma,  e  6,  quinto  comma,  della
 legge  regionale approvata l'1-2 maggio 1991 dall'Assemblea Regionale
 Siciliana (Norme per la ricapitalizzazione dei maggiori enti pubblici
 creditizi aventi la sede centrale in Sicilia ed interventi in  favore
 degli  enti  creditizi  minori  siciliani),  promosso con ricorso del
 Commissario dello Stato per la Regione Siciliana,  notificato  il  10
 maggio  1991,  depositato in cancelleria il 17 successivo ed iscritto
 al n. 26 del registro ricorsi 1991;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Siciliana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  3  dicembre  1991  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi  l'Avvocato  dello  Stato Franco Favara per il ricorrente, e
 gli Avvocati Salvatore Pensabene Lionti  e  Antonino  Mirone  per  la
 Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -  Con  ricorso  regolarmente  notificato  e  depositato,  il
 Commissario  dello  Stato  per  la  Regione  Siciliana  ha  sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  4, secondo
 comma, 5, primo, secondo e terzo comma,  e  6,  quinto  comma,  della
 legge  regionale approvata l'1-2 maggio 1991 e promulgata, nelle more
 del presente giudizio, come legge della Regione Siciliana  19  giugno
 1991,  n.  39  (Norme  per  la  ricapitalizzazione  dei maggiori enti
 pubblici creditizi aventi la sede centrale in Sicilia  ed  interventi
 in  favore  degli  enti  creditizi  minori  siciliani). Ad avviso del
 Commissario  dello  Stato,   le   disposizioni   impugnate,   poiche'
 contrastano  con principi generali del codice civile (libro V, titolo
 V), violano il limite del diritto privato posto alle competenze  leg-
 islative  regionali  previste  dagli  artt.  14  e  17  dello Statuto
 speciale.
    In particolare, l'art. 4,  secondo  comma,  nel  disporre  che  il
 capitale sociale sia sottoscritto per intero dalla Regione Siciliana,
 si  porrebbe  in  contrasto  con  le disposizioni codicistiche, dalle
 quali si desume la natura contrattualistica della societa' per azioni
 e, quindi, la necessaria pluralita' di  soggetti  nel  momento  della
 costituzione della societa' stessa.
    L'art.  5, poi, nello stabilire, al primo comma, che il presidente
 della societa' finanziaria regolata dalla legge impugnata e' nominato
 dalla Regione Siciliana e, al terzo comma, che il predetto presidente
 provvedera' all'assunzione del direttore generale (la cui  carica  e'
 prevista  durare sino all'approvazione dello Statuto), contrasterebbe
 con la disciplina del codice civile, e in particolare con l'art. 2328
 cod. civ., che nega la possibilita' di procedere alle suddette nomine
 prima della costituzione della societa'. La nomina,  da  parte  della
 Regione,  del  presidente della societa' contrasterebbe, inoltre, con
 gli artt. 2458 e 2459 cod. civ., i quali conferiscono  allo  Stato  e
 agli  enti  pubblici  aventi  partecipazioni  azionarie  la nomina di
 amministratori o sindaci, non quella del presidente.
    Anche l'art. 5, secondo comma, contraddirebbe le norme del  codice
 civile  laddove  prevede  che  il  presidente  della societa' duri in
 carica cinque anni e sia confermabile, anziche' durare in carica  tre
 anni,  come  prescrive  l'art. 2383, secondo comma, cod. civ. per gli
 amministratori della societa' per azioni.
    Infine,  l'art.  6, quarto comma, il quale prevede che, in caso di
 violazione delle direttive del Comitato regionale per il credito e il
 risparmio, il  Presidente  della  regione,  su  parere  del  predetto
 Comitato   e  previa  deliberazione  della  Giunta  regionale,  possa
 disporre la revoca degli amministratori  e  dei  sindaci  e  la  loro
 sostituzione,  sarebbe  in  evidente  contrasto  con l'art. 2458 cod.
 civ., che limita l'analogo potere dello Stato e degli  enti  pubblici
 agli amministratori e ai sindaci da essi nominati.
    Lo  stesso  Commissario  dello  Stato  ricorrente  pone,  poi, una
 questione di carattere  preliminare  attinente  a  un  preteso  vizio
 formale  dell'intera  legge. Poiche' la legge regionale approvata gli
 e' stata comunicata il  6  maggio  1991,  anziche',  come  prescritto
 dall'art.  28  dello  Statuto speciale, il 5 maggio, ancorche' questo
 fosse giorno festivo, il ricorrente osserva che, qualora tale ritardo
 non sia censurato, si vanificherebbe l'art. 29, secondo comma,  dello
 stesso  Statuto,  il  quale dispone che la legge deve essere comunque
 promulgata   decorsi   otto   giorni    dall'approvazione.    Poiche'
 quest'ultimo  termine  e'  dato  dalla  somma  di  tre  giorni per la
 comunicazione e cinque giorni per l'eventuale impugnazione  da  parte
 del  Commissario  dello Stato, la tardivita' della comunicazione, ove
 non fosse  considerata  un  vizio  del  procedimento,  finirebbe  per
 comprimere   indebitamente   lo   spazio   riservato   al  potere  di
 impugnazione. E' ben vero, precisa il ricorrente, che  questa  Corte,
 con  la  sentenza  n.  365  del  1990, ha ammesso uno slittamento del
 termine  per  l'impugnazione,  in  modo  da  grantire   comunque   al
 Commissario  uno spazio di cinque giorni, ma sarebbe opportuno, a suo
 giudizio, che la Corte torni di nuovo sul problema.
    2. - Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Regione  Siciliana  per
 chiedere che il ricorso sia dichiarato non fondato.
    Dopo  aver premesso che la legge impugnata tende a dare attuazione
 in ambito regionale alla legge statale 30 luglio 1990, n.  218  e  ai
 relativi  decreti  legislativi  e  dopo  aver sottolineato che quella
 prevista nella legge impugnata e' una societa' finanziaria  regionale
 avente scopi di natura pubblica, e percio' assimilabile al tipo delle
 "societa' d'interesse nazionale", la difesa della Regione contesta la
 fondatezza delle singole censure.
    In  particolare,  i  dubbi sull'art. 4, primo comma, non sarebbero
 fondati  poiche'  la  stessa  normativa   del   codice   civile   non
 escluderebbe,  in  via  di principio, l'ipotesi dell'unico azionista,
 seppure  con  riferimento  a  momenti  successivi  a   quello   della
 costituzione della societa' (art. 2362 cod. civ.). Inoltre, la stessa
 ipotesi  sarebbe  ammessa  sia  dalla  direttiva  CEE  89/667  del 21
 dicembre  1989,  sia  dall'art.  6,  secondo   comma,   del   decreto
 legislativo  n.  356 del 1990, proprio in relazione alla costituzione
 di societa' per azioni, anche per atto unilaterale di  un  solo  ente
 pubblico.
    Quanto  alla  disposizione  contenuta nell'art. 5, primo comma, la
 Regione  osserva  che  essa  persegue  l'intento  di  attribuire   al
 presidente  della  societa',  nominato  prima  della  costituzione di
 quest'ultima,  la  duplice  responsabilita'   di   curare   la   fase
 costitutiva   della   societa'  nell'interesse  della  Regione  e  di
 assicurare la direzione della stessa nei primi decisivi anni del  suo
 funzionamento, come del resto sembrerebbero ammettere anche gli artt.
 2458  e 2459 cod. civ.. L'atto regionale di nomina, pertanto, avrebbe
 un  doppio  contenuto:  quello  di  conferire  un  incarico  inerente
 all'amministrazione regionale e quello  di  determinare  in  capo  al
 prescelto  lo  status  di  presidente  della  societa' per il periodo
 successivo  alla  costituzione  della  stessa.  Ne'  esisterebbe   un
 principio  che  vieta  di assumere la presidenza della societa' a chi
 gestisce le  fasi  della  costituzione  della  stessa.  In  relazione
 all'ulteriore   rilievo   che   la   Regione  potrebbe  nominare  gli
 amministratori, ma non  direttamente  il  presidente,  la  resistente
 osserva che quest'ultima nomina non contrasta con le norme del codice
 civile,  che  non la prevedono, sicche' si dovrebbe ritenere corretto
 che il Governo regionale, avendo la  totalita'  delle  azioni,  abbia
 anche  il  potere  di nomina del presidente. Eguale discorso varrebbe
 per la nomina del direttore generale (art. 5, terzo  comma),  essendo
 quest'ultimo un ausiliario del presidente della societa'.
    Le censure rivolte all'art. 5, secondo comma, sarebbero infondate,
 a  giudizio  della  Regione,  sia perche' l'art. 2383, secondo comma,
 cod. civ., che limita il mandato degli amministratori societari a tre
 anni, non sarebbe applicabile alle  societa'  finanziarie  regionali,
 sia perche' suo scopo e' quello di assicurare omogeneita' tra assetto
 del  capitale  e composizione del consiglio di amministrazione, scopo
 che non avrebbe alcun senso rispetto ad  amministratori  nominati  da
 enti  pubblici,  non  necessariamente  azionisti,  con  provvedimenti
 amministrativi.
    Riguardo alle censure mosse all'art. 6, quinto  comma,  la  difesa
 della  Regione  osserva  che,  essendo  limitato  il potere di revoca
 previsto ai soli amministratori e sindaci nominati dalla Regione,  la
 disposizione  impugnata  si  riferirebbe  a  un potere amministrativo
 discrezionale inconfutabilmente spettante al Governo regionale.
    Infine,  a  proposito  della  censura   sulla   tardivita'   della
 comunicazione  della  legge regionale approvata, la resistente rileva
 che la  tesi  interpretativa  del  Commissario  dello  Stato  sarebbe
 smentita  dalla  sentenza  n.  365  del 1990 di questa Corte. In ogni
 caso, premesso che il termine previsto dall'art. 28 dello Statuto  e'
 ordinatorio  e premesso che, anche se fosse perentorio, la festivita'
 del terzo giorno utile legittimava la Regione a comunicare  la  legge
 il  giorno  dopo,  la  resistente  osserva  che puo' alternativamente
 ritenersi che, con il termine di otto  giorni  per  la  promulgazione
 (art.  29),  lo  Statuto  abbia  inteso  riferirsi  alla scadenza del
 termine utile per la  proposizione  dell'impugnazione  da  parte  del
 Commissario  dello Stato ovvero che abbia semplicemente attribuito al
 Presidente della Regione il potere di promulgare e di  pubblicare  la
 legge   anche   in   pendenza  del  termine  per  l'impugnazione.  La
 resistente,  pur  precisando  di  ritenere   preferibile   la   prima
 soluzione,  sottolinea comunque come la seconda trovi riscontro nella
 facolta' attribuita al Presidente  della  Regione  di  promulgare  la
 legge anche dopo che l'impugnativa sia stata in concreto proposta.
    3. - In prossimita' dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato
 ha  depositato  una memoria difensiva a sostegno del ricorso proposto
 dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana.
    Dopo  aver  ricordato  che  la  legge   impugnata   si   inserisce
 nell'ambito  della legge n. 218 del 1990 e del decreto legislativo n.
 356 del 1990, l'Avvocatura osserva che la  stessa  legge  ricalca  lo
 schema della legislazione statale sul piano regionale, provvedendo al
 finanziamento  del  Banco  di Sicilia e della Cassa di risparmio V.E.
 attraverso  la costituzione di una societa' per azioni fiduciaria con
 capitale interamente sottoscritto dalla  Regione  Siciliana.  Secondo
 l'Avvocatura,  tale  intervento  si svolge in un campo riservato alla
 legislazione statale e, in particolare, al codice civile.
    Venendo alle singole censure,  l'Avvocatura  dello  Stato  osserva
 come  gli  argomenti  addotti dalla Regione sull'art. 4, primo comma,
 sono  inconferenti  sia  perche'  le  norme  da   essa   invocate   a
 giustificazione  del  principio  del  socio unico riguardano societa'
 aventi per oggetto l'attivita' bancaria (e tale non e' la  Finsicilia
 S.p.a.),   sia   perche'   le   direttive   comunitarie   necessitano
 d'intermediazione legislativa per poter essere applicate.
    Quanto alle censure concernenti l'art. 5, primo e  secondo  comma,
 l'Avvocatura  sottolinea  come  le disposizioni contenute negli artt.
 2458 e 2459 cod. civ. siano di carattere eccezionale  e,  come  tali,
 insuscettibili  di  deroga  da  parte  del legislatore regionale. Ne'
 avrebbe alcun rilievo la natura provvedimentale dell'atto  di  nomina
 e,  tantomeno,  l'osservazione  che  la  stessa nomina del presidente
 della societa' sarebbe consentita dall'essere  la  Regione  azionista
 unico: l'uno e l'altro, infatti, non dovrebbero impedire alla Regione
 di  dare  diretta  applicazione  alle  norme  codicistiche. Identiche
 osservazioni sono, poi, formulate  in  relazione  all'art.  5,  terzo
 comma, riguardo alla nomina del direttore generale.
    L'art.  6, quinto comma, infine, si discosterebbe dalla disciplina
 privatistica anche a giudizio della Regione, tanto piu' che  parrebbe
 derogare  anche  all'art. 2400, secondo comma, cod. civ. (secondo cui
 la revoca dev'esser approvata  con  decreto  dal  tribunale,  sentito
 l'interessato).
    In  relazione alla censura relativa alla comunicazione della legge
 approvata e alla possibilita' che leggi della Regione Siciliana siano
 promulgate   e   pubblicate   in    pendenza    del    giudizio    di
 costituzionalita',  l'Avvocatura  sottolinea  l'opportunita'  che  la
 Corte torni a occuparsi del problema, pur dando atto che nel caso  di
 specie  il  ricorso e' stato tempestivamente proposto dal Commissario
 dello Stato e la promulgazione  e'  avvenuta,  non  nel  nono  giorno
 successivo  all'approvazione,  ma  nel quarantesimo giorno successivo
 alla notificazione del ricorso.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Commissario  dello  Stato  per  la  Regione  Siciliana  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 4,
 secondo comma, 5, primo, secondo e terzo comma, e  6,  quinto  comma,
 della  legge  approvata  dall'Assemblea  Regionale  Siciliana il 1'-2
 maggio 1991 e promulgata, nelle more di questo giudizio,  come  legge
 della  Regione  Siciliana  19  giugno  1991,  n.  39  (Norme  per  la
 ricapitalizzazione dei maggiori enti  pubblici  creditizi  aventi  la
 sede centrale in Sicilia ed interventi in favore degli enti creditizi
 minori   siciliani).   Ad  avviso  del  ricorrente,  le  disposizioni
 impugnate, nel disciplinare aspetti relativi alla costituzione di una
 societa' per azioni (Finanziaria  Regionale  Siciliana  -  Finsicilia
 S.P.A.) con norme che si discostano dai principi contenuti nel codice
 civile,  violerebbero  i  limiti  posti  alla  competenza legislativa
 regionale dagli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale, comportanti  la
 riserva allo Stato della disciplina dei rapporti di diritto privato.
    Lo  stesso  Commissario  dello  Stato prospetta preliminarmente un
 vizio attinente al procedimento di formazione della legge, dovuto  al
 fatto  che  la  legge  regionale,  a causa della festivita' del terzo
 giorno, e' stata comunicata al suo ufficio con un giorno  di  ritardo
 rispetto  al termine di tre giorni fissato dall'art. 28 dello Statuto
 speciale. Tale ritardo, a  suo  avviso,  avrebbe  la  conseguenza  di
 vanificare  la  perentorieta'  della prescrizione contenuta nell'art.
 29, secondo comma, dello stesso Statuto, secondo  il  quale,  decorsi
 otto  giorni  dall'approvazione senza che sia pervenuta al Presidente
 regionale copia  dell'impugnazione  proposta  dal  Commissario  dello
 Stato,  la legge va comunque promulgata. Infatti, tenuto conto che il
 termine di otto giorni fissato dall'art. 29 e' costituito dalla somma
 del termine di tre giorni, previsto per la comunicazione del  disegno
 di  legge  approvato,  e  del termine di cinque giorni, stabilito per
 l'impugnazione della  legge  mediante  presentazione  del  ricorso  a
 questa  Corte,  il  Commissario ritiene che sia illegittimo computare
 nel termine utile per la comunicazione a lui della legge approvata il
 giorno successivo a quello festivo.
    2. - La questione sollevata in via preliminare  e'  manifestamente
 infondata.
    In relazione a questioni analoghe proposte in passato dallo stesso
 Commissario  dello  Stato  per  la Regione Siciliana, questa Corte ha
 affermato (v. sent. n. 365 del 1990) e, successivamente, ribadito (v.
 sentt. nn. 484 e 493 del 1991) che il ritardo, dovuto alla festivita'
 del terzo giorno utile, nella comunicazione della legge approvata  al
 Commissario  dello Stato, ai sensi dell'art. 28 dello Statuto, "altra
 conseguenza non produce se non che il termine di cinque  giorni  dato
 al  Commissario  dello Stato per l'impugnazione della legge regionale
 decorre  dall'ulteriore  giorno  dell'effettivo  invio  della   legge
 stessa".  Cio'  significa,  evidentemente,  che  il periodo di cinque
 giorni assicurato al predetto Commissario per la  proposizione  della
 impugnazione  della  legge  e' comunque garantito per intero, sicche'
 gli argomenti addotti dal ricorrente si rivelano privi  di  qualsiasi
 fondamento.
    3.  -  Tutte  le restanti questioni di legittimita' costituzionale
 sollevate dal ricorrente presuppongono la previa  risoluzione  di  un
 problema  comune:  la  definizione  dell'ambito  di  operativita' del
 limite del "diritto privato" - peraltro espressamente richiamato,  in
 materia  d'incentivazione  industriale  e  commerciale, dall'art. 14,
 lettera d, dello Statuto speciale per la Regione Siciliana - rispetto
 alle c.d. societa' finanziarie regionali.
    Tali  societa',   come   e'   noto,   sono   strumenti   operativi
 dell'amministrazione pubblica, ormai diffusamente utilizzati da molte
 regioni,  le  quali,  sul  modello dell'organizzazione amministrativa
 dello Stato, si servono di istituzioni del  diritto  privato,  quali,
 appunto,  le  societa'  per  azioni,  al  fine  di realizzare, in via
 indiretta, finalita' pubbliche connesse all'esercizio  delle  proprie
 competenze.  Lo  sviluppo di questo tipo di amministrazione indiretta
 si  collega  a  una  generale  evoluzione  dello   Stato   nell'epoca
 contemporanea,  in  base  alla  quale quest'ultimo tende a utilizzare
 crescentemente, soprattutto nel campo  dei  servizi  pubblici  e  del
 rapporto  d'impiego  pubblico,  moduli  di azione e di organizzazione
 propri  del  diritto  privato.  Come  sembra  avvertire   lo   stesso
 Commissario  dello  Stato  ricorrente  -  il quale contesta, non gia'
 l'uso del diritto privato, ma la conformita' di quest'uso ai principi
 del  codice civile -, l'evoluzione del diritto positivo nel senso ora
 accennato esige  una  precisazione  della  portata  del  limite  alla
 potesta'  legislativa  regionale  costituito  dalla  "disciplina  dei
 rapporti privati". In  altri  termini,  l'utilizzazione  a  scopi  di
 amministrazione pubblica indiretta di istituzioni proprie del diritto
 privato  impone  di precisare ed, eventualmente, distinguere cio' che
 pertiene all'area dei rapporti generali del diritto  privato  e  cio'
 che concerne l'area dell'organizzazione pubblica regionale.
    Come  questa  Corte  ha da tempo affermato (v. spec. sentt. nn. 72
 del 1965, 154 del 1972, 151 del 1974, 38 del 1977 e 691 del 1988), il
 limite del "diritto privato" si basa sull'esigenza che sia assicurata
 su tutto il territorio nazionale una uniformita' di disciplina  e  di
 trattamento   riguardo  ai  rapporti  intercorrenti  tra  i  soggetti
 privati,  trattandosi  di  rapporti  legati  allo  svolgimento  delle
 liberta'   giuridicamente   garantite   ai  predetti  soggetti  e  al
 correlativo requisito costituzionale del godimento di  tali  liberta'
 in   condizioni   di   formale   eguaglianza   (artt.  2  e  3  della
 Costituzione). In ragione  di  tale  base  giustificativa,  non  v'e'
 dubbio   che,  per  quel  che  concerne  i  rapporti  intersoggettivi
 attinenti alle societa',  le  competenze  legislative  regionali  non
 possono svolgersi in altro modo che nel senso di applicare ad essi le
 norme  del  codice  civile o, piu' in generale, le norme che lo Stato
 detta per la disicplina dei relativi  rapporti,  salvi  ovviamente  i
 campi nei quali le stesse norme rinviano agli usi e alle consuetudini
 locali.  Deroghe  alla  legislazione  di diritto privato - sempreche'
 queste  non  comportino  una  violazione,  ancorche'  indiretta,  dei
 principi  civilistici  e non risultino manifestamente irragionevoli -
 sono, invece, ammesse nell'area dei  rapporti  intercorrenti  tra  la
 societa'  privata  e l'amministrazione regionale, nella misura in cui
 prevale la connotazione relativa alla strumentalita'  della  societa'
 stessa  alle  finalita'  pubbliche  che la regione persegue nei campi
 rientranti nelle competenze ad essa costituzionalmente attribuite.
    4. - Sulla base dei principi  ora  affermati,  va  dichiarata  non
 fondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  concernente
 l'art.  4,  secondo  comma,  della  legge   impugnata.   Secondo   il
 Commissario  dello  Stato ricorrente, tale articolo, nel disporre che
 il capitale della Finanziaria Regionale Siciliana (Finsicilia S.p.a.)
 "e' sottoscritto per intero all'atto della costituzione dalla Regione
 Siciliana", si porrebbe in contrasto con le disposizioni  del  codice
 civile  in  materia  di  costituzione  delle  societa' per azioni, le
 quali,  all'art.  2247  cod.  civ.,   presuppongono   la   necessaria
 partecipazione nel momento iniziale di non meno di due soggetti.
    Siffatto  assunto  non  puo'  essere condiviso per due ragioni fra
 loro concorrenti. Innanzitutto, occorre considerare che, nel caso  di
 societa'   per   azioni   disciplinate   come  strumento  dell'azione
 amministrativa regionale, il profilo della partecipazione azionaria o
 quello  della  sottoscrizione  iniziale   del   capitale   societario
 rientrano nella sfera dei rapporti tra regione e societa' privata che
 connotano  in  modo  essenziale  la  strumentalita'  di  quest'ultima
 rispetto  alla  amministrazione  regionale.  Infatti,  in  tanto   la
 predetta  societa'  finanziaria  puo'  essere  ritenuta uno strumento
 operativo  della  regione,  in   quanto   quest'ultima   possegga   o
 sottoscriva la maggioranza o la totalita' delle azioni societarie. In
 altri  termini,  l'aspetto  ora  considerato  e' indubbiamente uno di
 quelli  che  ammette  la  possibilita'  di  derogare  alla disciplina
 normativa civilistica, sempreche' le deroghe previste siano, come  in
 ipotesi,  ragionevolmente collegate alle finalita' pubbliche connesse
 allo svolgimento delle competenze costituzionalmente  assegnate  alla
 regione   e   sempreche'   le   stesse   non   contrastino,   neppure
 indirettamente,  con   un   principio   generale   deducibile   dalla
 legislazione di diritto privato.
    Quest'ultima evenienza, che occorre ora verificare, non puo' dirsi
 contraddetta   dalla  disposizione  impugnata,  dal  momento  che  la
 disciplina posta dall'art. 2247 cod. civ. risulta  significativamente
 modificata,  nel senso di un'evoluzione del sistema positivo verso il
 superamento del limite  del  socio  unico,  sia  dall'adozione  della
 direttiva  del  Consiglio della Comunita' europea 21 dicembre 1989 n.
 89/667 CEE, sia dall'entrata in vigore della legge 30 luglio 1990, n.
 218  (Disposizioni  in  tema  di  ristrutturazione   e   integrazione
 patrimoniale  degli  istituti  di  credito di diritto pubblico) e del
 decreto legislativo 20 novembre 1990, n.  356  (Disposizioni  per  la
 ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio).
    La  direttiva  comunitaria  ora  ricordata,  dopo  aver stabilito,
 all'art. 2, che la societa' a responsabilita' limitata puo' avere  un
 socio  unico al momento della costituzione e allorche' tutte le quote
 sono concentrate in  una  sola  mano  (c.d.  societa'  unipersonali),
 dispone,  all'art.  6,  che,  quando  uno  Stato-membro  permette una
 societa' unipersonale anche per le societa' per azioni, si  applicano
 le  disposizioni della medesima direttiva. Nel dare attuazione a tali
 articoli, la legge n. 218 del 1990 ha previsto, all'art.  1,  secondo
 comma,   che  le  operazioni  di  fusione,  di  trasformazione  e  di
 conferimento concernenti gli enti pubblici creditizi di cui al  comma
 precedente,  possono  interessare una o piu' societa' per azioni gia'
 esistenti  ovvero  societa'   appositamente   costituite   con   atto
 unilaterale  e  aventi  ad  oggetto  l'attivita'  svolta  dagli  enti
 conferenti o di rami di essa. Il successivo  decreto  legislativo  n.
 356 del 1990, dopo aver riprodotto le predette disposizioni contenute
 nella  legge  delega, ha precisato, all'art. 6, che, per l'attuazione
 delle  operazioni  prima  ricordate,  i   conferimenti   dell'azienda
 bancaria o di rami di essa debbono esser fatti in societa' per azioni
 bancarie,   finanziarie  o  strumentali  alle  precedenti,  di  nuova
 costituzione o gia' esistenti, e ha stabilito, al  comma  successivo,
 ad  integrazione  della precedente disposizione, che "la costituzione
 di societa' per azioni puo' avvenire anche con  atto  unilaterale  da
 parte di un solo ente pubblico conferente nel rispetto delle norme in
 tema  di  costituzione delle societa' per azioni e di quanto previsto
 dal presente decreto".
    Alla luce delle norme ora riferite, risulta chiaro che, quantomeno
 per l'aspetto considerato dall'impugnazione in esame, la legge  della
 Regione Siciliana non contrasta con i principi civilistici desumibili
 dalle   leggi   statali  vigenti  in  materia  e  costituisce,  anzi,
 un'attuazione degli stessi in ambito regionale.  Ne',  contro  questa
 affermazione,  puo'  valere  l'osservazione formulata dall'Avvocatura
 generale dello  Stato,  secondo  la  quale  le  disposizioni  statali
 precedentemente  riferite riguarderebbero soltanto le societa' aventi
 ad oggetto l'attivita' bancaria o, in genere, l'attivita' creditizia,
 e non gia' le societa' finanziarie (qual'e' la Finsicilia S.p.a.). In
 realta', l'art. 6 del decreto legislativo n. 356 del 1990, come si e'
 appena  ricordato,  si  riferisce  all'eventualita'  che un solo ente
 pubblico conferente  possa  costituire  con  atto  unilaterale  anche
 societa'  per  azioni  finanziarie o strumentali a quelle bancarie. E
 tale e' sicuramente la  societa'  finanziaria  regolata  dalla  legge
 impugnata,  dal  momento  che  suo  scopo  e'  quello  di agevolare e
 permettere la ricapitalizzazione dei maggiori enti pubblici creditizi
 aventi  la  sede  centrale  nella  Regione  e  di  rendere  possibili
 interventi in favore degli enti creditizi minori siciliani.
    5.  - Fondate sono, invece, tutte le censure mosse dal Commissario
 dello Stato ricorrente ai primi tre commi  dell'art.  5  della  legge
 regionale impugnata.
    Nelle  disposizioni  considerate,  infatti, sono regolati rapporti
 interni alla struttura societaria, i quali, come tali,  concernono  i
 modi  di  essere  dei  soggetti  privati, che soltanto il legislatore
 statale  puo'  disciplinare  al  fine  di  assicurare  la  necessaria
 uniformita' di trattamento in tutto il territorio nazionale (v. spec.
 sentt. nn. 66 del 1961 e 151 del 1974). Rispetto a tali disposizioni,
 pertanto,  vale la piu' rigorosa applicazione del limite del "diritto
 privato", nel  senso  che,  in  ordine  ai  rapporti  intersoggettivi
 previsti,  le  competenze legislative regionali non possono svolgersi
 in altro modo che  dando  attuazione  alle  norme  statali  che  quei
 rapporti regolano in via generale.
    Sulla   base   di  tali  principi,  va  accolta  la  questione  di
 costituzionalita'  relativa  all'art.  5,  primo  comma,   il   quale
 stabilisce  che  "entro  trenta  giorni  dall'entrata in vigore della
 presente legge il Presidente della Regione provvede alla nomina, pre-
 via  deliberazione  della  Giunta  regionale,  del  Presidente  della
 predetta  societa'". Tale disposizione, infatti, si pone in contrasto
 con l'art. 2380, quarto comma, cod. civ., il quale  dispone  che  "il
 consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi membri il presidente,
 se  questi  non  e'  nominato  dall'assemblea". In altri termini, con
 riferimento alle societa'  alle  quali  partecipa  prevalentemente  o
 totalmente  la  regione,  quest'ultima,  a  norma dell'art. 2458 cod.
 civ., puo' godere della  facolta',  purche'  sia  prevista  dall'atto
 costitutivo,  di  nominare  uno o piu' amministratori o sindaci; e la
 stessa regione puo', altresi', nominare i soci fondatori scegliendoli
 tra i propri dipendenti ovvero tra persone  che  agiscono,  comunque,
 per  suo conto, secondo la propria scelta discrezionale: cio' che non
 puo' fare, tuttavia, e' sostituirsi al consiglio  di  amministrazione
 della societa' nella nomina del presidente della stessa.
    Per  ragioni  analoghe  va  accolta  la  questione di legittimita'
 costituzionale relativa all'art. 5, secondo comma, il  quale  prevede
 che  il  presidente  della  societa' restera' in carica cinque anni e
 potra' essere confermato. Palese e', infatti, il contrasto con l'art.
 2383  cod.   civ.,   il   quale,   al   secondo   comma,   stabilisce
 perentoriamente  che  la nomina degli amministratori, e quindi quella
 del presidente dello stesso consiglio di amministrazione,  "non  puo'
 essere fatta per un periodo superiore a tre anni".
    Parimenti incostituzionale e', infine, il terzo comma dello stesso
 art. 5, il quale attribuisce al presidente della societa', nella fase
 di  prima  applicazione della legge impugnata, il potere di procedere
 all'assunzione del direttore generale, che restera'  in  carica  sino
 all'approvazione  dello  statuto  e  alla  nomina  del  consiglio  di
 amministrazione e del collegio sindacale. La previsione della  nomina
 di  un  direttore  generale  prima  della  stessa  costituzione della
 societa' e', infatti, contraria al principio del  diritto  societario
 attinente  all'autonomia  organizzativa  della societa' stessa e, con
 particolare riguardo alla figura del direttore generale,  al  rilievo
 che  i  poteri  di  quest'ultimo  non  possono non derivare dall'atto
 costitutivo o da una deliberazione dell'assemblea societaria.
    6. - Da ultimo, va accolta  anche  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  6,  quinto  comma,  della  legge regionale
 impugnata.
    In virtu' della norma censurata, il Presidente della  Regione,  su
 parere  del Comitato regionale per il credito e il risparmio e previa
 deliberazione della Giunta regionale, puo' disporre la  revoca  degli
 amministratori  o  dei sindaci e la loro sostituzione nel caso in cui
 questi violino le direttive del predetto Comitato per il credito e il
 risparmio. Il profilo d'illegittimita' costituzionale  sollevato  dal
 Commissario   dello  Stato  non  investe  il  potere  di  revoca  del
 Presidente  regionale  come  tale,  ma  si  riferisce  alla   mancata
 limitazione  dello  stesso  potere  agli  amministratori e ai sindaci
 nominati dalla Regione. In effetti, poiche' il potere di revoca degli
 amministratori di societa'  per  azioni,  che  l'art.  2458,  secondo
 comma,  cod.  civ. attribuisce allo Stato e agli enti pubblici aventi
 partecipazioni azionarie, e'  strettamente  correlato  al  potere  di
 nomina previsto dal primo comma del medesimo art. 2458, il Presidente
 della  Regione  puo'  disporre  la  revoca e la sostituzione dei soli
 amministratori  che  siano  stati   nominati   dall'ente   regionale.
 Pertanto,  la  mancata  limitazione  del  potere  disciplinato  dalla
 disposizione  impugnata  nel  senso  ora  detto,  rende  quest'ultima
 costituzionalmente illegittima.