LA CORTE DEI CONTI Uditi nella pubblica udienza del 23 ottobre 1991, con l'assistenza del Segretario rag. Antonio Giuseppone il consigliere relatore dott. Silvio Pergameno, gli avvocati: Filippo De Jorio per il ricorrente dott. Graziano; Michelangelo Pascasio per il ricorrente dott. Rossi; Giovanni Vanin per i ricorrenti dott. Dattilo e dott. Simonetti (quest'ultimo su delega dell'avv. Giorgio Natoli); e il p.m. in persona del vice procuratore generale dott. Vittorio Visca; Visti i ricorsi iscritti ai nn.: 125941-bis, 120073, 129939 e 124501 del registro di segreteria; Visti gli atti e i documenti tutti della causa; Ha pronunciato la seguente ordinanza sui seguenti ricorsi: Ricorso n. 125941-bis, dott. Liberato Alberto Graziano, magistrato di appello, cessato dal servizio il 14 ottobre 1969, rappresentato e difeso dall'avv. Filippo De Jorio e domiciliato presso il medesimo in Roma, via Campo Marzio, n. 12 (00186); Ricorso n. 120073, dott. Manlio Rossi, presidente di sezione di Cassazione, cessato dal servizio il 15 settembre 1979, rappresentato e difeso dall'avv. Michelangelo Pascasio e domiciliato presso il medesimo in Roma, via Boncompagni, n. 61 (00187); Ricorso n. 124501, dott. Gustavo Simonetti, magistrato di cassazione, cessato dal servizio il 31 maggio 1973, rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Natoli, e domiciliato presso il medesimo in Roma, via Cicerone, n. 28 (00193); per l'udienza il difensore ha delegato l'avv. Giovanni Vaniu, con atto in data 23 ottobre 1991; Ricorso n. 129939, dott. Arduino Dattilo, consigliere della Corte dei conti, con trattamento economico di presidente di sezione, cessato dal servizio il 1 aprile 1986, con la qualifica di presidente della Corte dei conti (art. 2, secondo comma, della legge 24 maggio 1970, n. 336), rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Vania e domiciliato presso il medesimo in Roma, via Gallia, n. 34 (00183). F A T T O Con il proposto gravame, con memorie aggiunte e con gli interventi dei difensori in udienza i ricorrenti chiedono il riconoscimento del diritto alla riliquidazione del trattamento di quiescenza in applicazione del principio dell'adeguamento automatico della pensione alle variazioni del trattamento economico del personale con pari funzioni in servizio attivo. In particolare: 1. - Il dott. Graziano, cessato dal servizio il 14 ottobre 1969, con d.m. grazia e giustizia del 26 aprile 1989, ha ottenuto la riliquidazione della pensione al 1 gennaio 1988 in applicazione della sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale e del d.-l. 24 marzo 1989, n. 102, sulla base dello stipendio determinato al 1 luglio 1983 con applicazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 425/1984; formulata con l'atto introduttivo del giudizio la richiesta comune a tutti i ricorrenti, la difesa del dott. Graziano, con memorie depositate il 16 e il 21 ottobre 1991 solleva questione di legittimita' costituzionale in ordine all'art. 2 della recentissima legge 8 agosto 1991, n. 265, in quanto il principio dell'adeguamento automatico delle pensioni alle retribuzioni viene totalmente cancellato. La questione e' proposta con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione sulla base delle ben note argomentazioni con le quali in passato analoghe questioni sono state portate alla cognizione del giudice delle leggi (violazione del principio di eguaglianza, natura stipendiale della pensione, principio dell'adeguamento ai bisogni, necessita' del raccordo tra aumenti degli stipendi ed aumenti delle pensioni, violazioni dei criteri di ragionevolezza e razionalita' della legge, che fa corrispondere pensioni decrescenti di fronte ai bisogni crescenti col progredire dell'eta', riscrivendo il d.-l. n. 102/1989, non convertito e piu' volte reiterato, ma sempre senza ottenere la conversione). Il ricorrente, rilevato poi di non avere ottenuto - come invece avevano ottenuto la grande maggioranza dei suoi colleghi - la riliquidazione al 1 gennaio 1988 sulla base dello stipendio maturato a tale data, ne chiede il riconoscimento ad opera di questo giudice, con diritto alla percezione quanto meno fino al 23 agosto 1991, data di entrata in vigore della legge n. 265/1991, la quale, come le leggi in genere, non puo' disporre che per il futuro. Il tutto con espresso richiamo alla sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale ed alle interpretazioni che ne sono state date in sede giurisdizionale e di controllo dalla Corte dei conti. In proposito il ricorrente ha ricordato (con la seconda delle gia' menzionate memorie) che la sua pensione ammonta a L. 2.900.000 mensili a fronte di quella di L. 5.000.000 dei colleghi con pari anzianita' di servizio (anni 31, aliquota 63,8%), i quali avevano adito il Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza delle decisioni della Corte dei conti; inoltre lamenta che nella riliquidazione non e' stato applicato l'art. 15 della legge n. 177, del 1976 (che invece risulta applicato nel decreto innanzi richiamato), ne' l'art. 161 della legge n. 312 del 1980. 2. - Il dott. Manlio Rossi, cessato dal servizio il 15 settembre 1979, ha depositato il suo ricorso il 10 novembre 1983, richiamando il secondo comma dell'art. 11 della legge n. 392 del 1951, norma alla quale andrebbe riconosciuto il valore di disposizione di adeguamento permanente delle pensioni alle variazioni degli stipendi del personale in servizio (norma di rinvio dinamico, tale da doversi ritenere in ragione delle garanzie costituzionali da cui sono assistite le magistrature); insistendo sulla natura della pensione come retribuzione differita e invocando gia', in tale sede, l'applicazione del principio dell'adeguamento automatico, anche con riferimento alle argomentazioni di cui alla decisione di questa medesima sezione n. 49970 del 12 maggio 1982. Dopo l'emanazione della sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale, il dott. Rossi ne chiedeva l'integrale applicazione secondo i principi stabiliti dalle sezioni riunite di questa Corte con decisione di massima n. 76.C del 27 ottobre-14 novembre 1988. Il dott. Rossi otteneva dalla sezione una decisione parziale, con la quale gli veniva riconosciuto il diritto alla riliquidazione della pensione al 1 gennaio 1988, sulla base dello stipendio spettante al magistrato di pari qualifica a tale data, mentre per le successive riliquidazioni veniva sollevata questione di legittimita' costituzionale, nel presupposto dell'assenza di una disposizione di legge che consentisse l'accoglimento della richiesta come sopra formulata (ord. 63792 del 21 maggio-13 giugno 1990). Dopo l'ordinanza n. 95 dell'11-16 febbraio 1991 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'inammissibilita' manifesta della questione di legittimita' come sopra prospettata, il ricorso del dott. Rossi veniva rimesso dal presidente della Corte dei conti alle sezioni riunite della medesima Corte per la risoluzione della questione di massima relativa alla definizione del meccanismo di ulteriore perequazione delle pensioni dei magistrati cessati dal servizio dopo il 1 luglio 1983, se cioe' quello della legge n. 177/1976 e successive modificazioni e integrazioni, dichiarato espressamente applicabile dall'art. 3, secondo comma, della legge n. 141 del 1985 anche ai magistrati e assimilati, ovvero quello risultante dall'applicazione dell'art. 2 della legge n. 27 del 1981. La rimessione e' stata comunque dichiarata inammissibile perche' l'ultimo termine utile per la stessa doveva intendersi consumato, per essere stata la causa discussa nell'udienza del 2 aprile 1990. In occasione dell'udienza odierna la parte ricorrente ha depositato memoria difensiva (il 10 ottobre 1991) con la quale si svolgono deduzioni in ordine all'interpretazione ed applicazione della legge 265 del 1991. Secondo la difesa l'art. 2 di tale legge non avrebbe effetto retroattivo e le nuove disposizioni non potrebbero toccare, in ogni caso, i magistrati che hanno gia' ottenuto le liquidazioni in base ai principi di cui alla decisione delle ss.rr. della Corte dei conti n. 76.C, in ossequio alle norme che tutelano la cosa giudicata. In particolare per quanto concerne il disposto del secondo comma (sempre non retroattivo), la memoria ritiene che lo stesso reintroduca le c.d. "pensioni d'annata" e che si riproducano quindi le situazioni di incostituzionalita' sulle quali la Corte costituzionale ha gia' avuto modo di pronunciarsi con la sentenza n. 501/1988, con la nota declaratoria di illegittimita' costituzionale. Secondo la difesa l'ordinanza n. 95/1991 della Corte costituzionale avrebbe rilevato che la norma di cui all'art. 2 della legge n. 27/1981 va intesa come inscindibilmente riferita all'adeguamento sia degli stipendi sia delle pensioni quale "unico meccanismo rivalutativo", del resto gia' recepito dalle amministrazioni in moltissimi casi e condivise anche dal Ministero del tesoro, che ne prendeva atto nel bilancio di previsione presentato alla Camera il 31 luglio 1990 con il d.d.l. n. 5012/2 ed ai sensi dell'art. 11 terzo comma della legge n. 362 del 1988. Il disposto dell'art. 2 della legge n. 265, prosegue la memoria, riproduce quello di quattro decreti legge decaduti (l'ultimo anzi fu respinto dall'assemblea di Montecitorio, precisa lo scritto difensivo), mentre dagli atti parlamentari risulta (bollettino della commissione lavoro pp.138 e 139) il contrasto con la giurisprudenza costituzionale, la insipienza e la non lungimiranza del governo, che non ha mai assunto sulle pensioni una linea univoca. Ne' puo' violarsi, continua ancora la memoria l'art. 15, lett. e), della legge n. 400/1988 che impedisce il ripristino di una disciplina normativa dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (v. boll. commissione IX, pag. 99), e cio' mentre alla commissione affari costituzionali del senato (seduta del 19 dicembre 1989) fu fatta presente l'eventualita' di un conflitto di attribuzione fra potere legislativo e Corte costituzionale; prosegue poi lamentando che la nuova disciplina crea nuove disparita' tra la posizione dei magistrati i cui trattamenti pensionistici sono stati perequati in applicazione dei principi della sentenza n. 501 della Corte costituzionale e della sentenza 76.C delle ss.rr. della Corte dei conti e quella degli altri che incorrano nella nuova disciplina; richiamando le sperequazioni con le pensioni di altre categorie di statali, per i quali le decisioni della Corte dei conti non hanno trovato ostacoli, nonche' le ancora maggiori sperequazioni rispetto al trattamento pensionistico di parlamentari, dipendenti del Parlamento, della Presidenza della Repubblica, della Banca d'Italia, di altri istituti di credito, di istituti previdenziali, di altri enti, le cui pensioni sono automaticamente e permanentemente rivalutate. La memoria conclude proponendo: questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge n. 265, per i motivi innanzi illustrati, per elusione e contrasto coi principi di cui alla sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale e per altri motivi comuni anche al ricorso del dott. Graziano, di cui gia' e' stata fatta menzione; questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge n. 177/1976 e art. 1 d.-l. 2 marzo 1989, n. 65, per mancata destinazione del gettito delle entrate in conto tesoro al miglioramento del trattamento di quiescenza, con particolare riferimento alla legge 7 aprile 1881,n. 134, che aveva istituito la cassa per le pensioni ai dipendenti civili e militari dello Stato, mai attuata; al riguardo si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 26 aprile 1989, concernente la Ges.Cal.; dell'art. 1, sesto comma (in relazione alla disposizione sul riassorbimento), il tutto per contrasto con gli artt. 3, 36, 38, 101, 102, 103 della Costituzione; e chiedendo, previa declaratoria che la legge 265 non puo' disporre che per il futuro, che al dott. Rossi siano attribuiti in sede pensionistica tutti gli aumenti retributivi riconosciuti al personale in servizio fino al 22 agosto 1991. 3. - Il dott. Simonetti, cessato dal servizio il 31 maggio 1973 presenta situazione analoga a quella del dott. Rossi, essendogli stato riconosciuto da questa Corte con decisione 21 maggio-15 giugno 1990 il diritto alla riliquidazione della pensione al 1 gennaio 1988 sulla base del trattamento economico del personale in servizio ed essendo stata promossa nei suoi confronti, con la medesima ordinanza concernente il dott. Rossi la stessa questione di legittimita' costituzionale, su cui la Corte costituzionale si e' pronunziata con ordinanza n. 95/1991, dichiarando la manifesta inammissibilita' della questione sollevata. Anche il ricorso del dott. Simonetti e' stato poi rimesso alle ss.rr. di questa Corte, che hanno giudicato inammissibile la rimessione (dec. 92.C del 1991); per l'udienza del 23 ottobre la parte ricorrente ha depositato memoria difensiva (in data 17 ottobre 1991) con la quale si insiste per il riconoscimento delle riliquidazioni fino a tutto il 1991, e, per il tempo successivo, si propone questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge n. 265/1991 in termini analoghi a quelli gia' riferiti. 4. - Il dott. Dattilo, cessato dal servizio li 1 aprile 1986, con il proposto gravame e con successive memorie lamenta l'errata applicazione nei suoi confronti dell'art. 5 della legge 6 agosto 1984, n. 425, nel senso che il beneficio previsto dalla detta disposizione gli e' stato calcolato tenendo conto della sola anzianita' effettiva maturata nella qualifica di provenienza e non di tutte le classi e scatti fruiti in detta qualifica (conformemente cioe' non solo alla lettera, ma anche alla ratio della norma, ad avviso del ricorrente, per l'avere la legge n. 425 escluso dal calcolo del trattamento economico del magistrato ogni anzianita' convenzionale in precedenza riconosciuta introducendone di nuove, uguali per tutti, allo scopo di valutare adeguatamente i precedenti di anzianita' e di carriera, e di evitare sperequazioni, quali si verificherebbero attribuendo lo stesso trattamento economico a due magistrati che hanno trascorso il medesimo periodo di tempo nella qualifica di provenienza, ma con diversa anzianita' complessiva; lamenta, inoltre, che in ogni caso non ha trovato applicazione nei suoi confronti l'art. 161 della legge n. 312 del 1980, in quanto nella qualifica di provenienza egli aveva trascorso un periodo di 10 anni e 11 mesi e, quindi, oltre ai 5 aumenti periodici biennali dovevano essergli attribuite, nella determinazione dello stipendio corrispondente alla qualifica di presidente della Corte dei conti a lui conferita, per effetto dell'art. 2 comma secondo della legge n. 336/1970 all'atto della cessazione dal servizio, anche le "quote mensili" del successivo aumento periodico biennale; insiste inoltre per il riconoscimento del diritto alla riliquidazione automatica della pensione in applicazione del principio dell'adeguamento alle variazioni del trattamento economico del personale in servizio. Nei confronti del dott. Dattilo la sezione ha pronunciato decisione di accoglimento parziale delle richieste di cui sopra (decisione n. 63845 del 25-30 maggio 1990), nel senso che gli e' stato riconosciuto il diritto alla riliquidazione della pensione dal 1 gennaio 1988 sulla base dello stipendio spettante a tale data al magistrato di pari qualifica e anzianita', mentre per il periodo successivo il giudizio e' stato sospeso, essendo stata nel frattempo sollevata la questione di legittimita' costituzionale di cui gia' e' stato riferito; e' stato inoltre riconosciuto il diritto del ricorrente all'applicazione dell'art. 161 della legge n. 312 del 1980; inoltre va evidenziato che nessuna pronunzia e' stata adottata in ordine alla richiesta del ricorrente relativa all'applicazione dell'art. 5 della legge n. 425/1984, in ordine alla quale vennero con separata ordinanza disposti accertamenti presso l'amministrazione e che a seguito di tali accertamenti e' stato acclarato che con decreto del Presidente del consiglio 1 febbraio 1991 la pensione del dott. Dattilo e' stata riliquidata dal 1 gennaio 1988 sulla base dello stipendio aggiornato a tale data, determinato, per quanto concerne l'art. 5 della legge n. 425, secondo l'interpretazione restrittiva di detta disposizione (come stabilito dalla sez. del controllo di questa Corte n. 18/1990) e senza tener conto dell'intervenuto riconoscimento delle "quote mensili" di cui all'art. 161 della legge n. 312 del 1980, gia' effettuato con la ricordata decisione della sezione n. 63845; da ultimo, per l'udienza odierna, la parte ricorrente ha depositato memoria difensiva (in data 12 ottobre 1991), con la quale vengono esposte deduzioni e precisate le richieste in ordine alla recente legge n. 265/1991, piu' volte ricordata. Le considerazioni svolte possono cosi' sintetizzarsi: la legge n. 265/1991 dispone solo per il futuro; il riassorbimento previsto dal disposto del 1 comma dell'art. 2 con richiamo al sesto comma dell'art. 1 concerne solo il c.d. "trascinamento" (cioe' la valutazione, in sede di conferimento di qualifica superiore, dell'anzianita' pregressa di cui all'art. 5 della legge n. 425/1984); dal 23 agosto 1991, data di entrata in vigore della legge n. 265/1991, gli adeguamenti periodici di cui all'art. 2 della legge n. 27/1981, non possono piu' essere computati ai fini delle riliquidazioni delle pensioni dei magistrati; nessuna forma di adeguamento delle pensioni dei magistrati e' piu' prevista, in quanto gli adeguamenti di cui alla legge n. 177/1976 e successive modificazioni integrano un meccanismo perequativo che e' stato dichiarato incostituzionale a decorrere dal 1 gennaio 1988; si determina una situazione di anarchia per la grande varieta' di situazioni che si profilano; ed infatti: chi fruisce di pensione adeguata al 1 gennaio 1988, sulla base degli stipendi vigenti a tale data, dovrebbe conservare detto trattamento senza riassorbimento, ma senza ulteriori perequazioni; chi fruisce di pensione adeguata al 1 gennaio 1988, ma sugli stipendi al 1 luglio 1983, sarebbe condannato all'immutabilita' totale nel tempo; chi e' cessato dal servizio dopo il 1 luglio 1983, fruirebbe della pensione nella misura in atto al 22 agosto 1991, senza adeguamenti periodici ne' riassorbimenti; chi ha ottenuto una decisione da parte della Corte dei conti che abbia riconosciuto il diritto alla c.d. "proiezione nel futuro", verserebbe in condizione analoga alla precedente; la parte ricorrente solleva, poi, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 265 con motivazioni in parte analoghe a quelle in precedenza gia' riferite ed in parte diverse e precisamente: la condizione di anarchia innanzi illustrata; la discriminazione con i dirigenti statali per i quali l'adeguamento e' stato disposto con norma generale con la legge 23 febbraio 1991, n. 59; l'assenza di qualunque forma di adeguamento nel tempo delle pensioni dei magistrati (ed assimilati) che viola i principi fissati dalla Corte costituzionale nella sua consolidata giurisprudenza; le dette situazioni evidenzierebbero violazioni degli artt. 3 e 36 della Costituzione. Inoltre vengono riprese le questioni di illegittimita' costituzionale per disparita' di trattamento con altre categorie di dipendenti che fruiscono di adeguamenti costanti e per violazione dell'iter parlamentare della legge n. 265 (quest'ultima in relazione all'art. 72 della Costituzione), in quanto l'art. 2 del d.d.l. n. 4465 era stato soppresso all'unanimita' dalle commissioni congiunte affari costituzionali e giustizia, in sede referente, nella seduta dell'11 luglio 1991, in conformita' del vincolante parere della commissione lavoro, e pertanto non e' stato esaminato nella sua conformita' alla sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale; nella successiva seduta invece il d.d.l. e' stato approvato nel suo complesso (compreso l'art. 2) senza previa votazione articolo per articolo, come stabilisce invece l'art. 27 della Costituzione, sia pure con l'impegno di promuovere un nuovo provvedimento in sede legislativa, da discutere "gia' nella prossima settimana" (cioe' dal 1 agosto 1991), v. Atti parlamentari alleg. Sono stati anche depositati atti di intervento in giudizio del dott. Armando Gallo e del dott. Ernesto Lovera di Maria ed altri; tali atti di intervento (ad adiuvandum) sono stati dichiarati inammissibili con ordinanza collegiale in data 23 ottobre 1991. Nell'odierna udienza l'avv. De Jorio, per il ricorrente dott. Graziano, ha chiesto in primo luogo che sia riconosciuto il diritto alla riliquidazione della pensione in godimento con decorrenza 1 gennaio 1988 e sulla base dello stipendio calcolato a tale data, in conformita' a quanto e' stato effettuato per il colleghi in applicazione della sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale ed in conformita' ai principi di cui alla delibera della Sezione del controllo di questa Corte n. 2018 del 10 novembre 1988 (in sede di riliquidazione si debbono applicare tutte le disposizioni vigenti al momento della riliquidazione stessa); quanto sopra con sentenza parziale; la difesa ha poi confermato la proposizione della questione di legittimita' costituzionale concernente la legge n. 265/1991 nei termini innanzi gia' richiamati, insistendo in particolare sulla nuova divaricazione che si verificherebbe altrimenti tra stipendi e pensioni e sull'irragionevolezza di un sistema che, altrimenti, darebbe luogo a pensioni decrescenti di fronte a un aumento dei bisogni naturalmente conseguente al progredire della senescenza; ha anche ribadito le doglianze dei confronti delle modalita' di svolgimento dell'iter di approvazione della legge n. 265/1991. L'avv. Pascasio, per il dott. Rossi, ha pure insistito sulla violazione delle norme in materia di procedimento di formazione della legge (art. 72 della Costituzione, legge n. 400/1988; ha poi ribadito l'interpretazione per la quale la legge n. 265/1991 disporrebbe soltanto per il tempo successivo al 23 agosto 1991 (data di entrata in vigore della legge stessa, fino alla quale andrebbero applicate le disposizioni precedenti) ed ha quindi insistito per il riconoscimento del diritto del suo assistito alla riliquidazione della pensione sulla base di tutti gli emolumenti spettanti ai magistrati di pari funzioni ancora in servizio, a cio' nulla ostando la sentenza n. 95 della Corte costituzionale che, nel dichiarare l'inammissibilita' della questione oggetto della pronunzia, ha confermato la non separabilita' della pensione dallo stipendio, laddove invece non si deve dimenticare che le amministrazioni sono vincolate dalla pronunzia della sezione del controllo di questa Corte n. 2018/1988 (di cui e' gia' stato riferito); infine l'avv. Pascasio ha individuato nella disposizione di cui all'art. 2 che dispone il riassorbimento di maggiori somme riscosse con riferimento al disposto del sesto comma dell'art. 1 (sempre della legge n. 265/1991) una norma di rinvio "ricettizio" nel senso che la stessa sarebbe applicabile negli stretti limiti in cui il riassorbimento e' previsto nel luogo da ultimo richiamato (cioe' solo per quanto concerne il c.d. "trascinamento"), ipotizzando al limite una questione di legittimita' costituzionale con riferimento all'art. 42 della costituzione, per espropriazione senza indennizzo. L'avv. Vanin, per il ricorrente dott. Dattilo e anche del dott. Simonetti (per quest'ultimo quale delegato per la trattazione in udienza da parte dell'avv. Giorgio Natoli), dopo aver confermato le richieste gia' formulate con gli atti scritti, ha lamentato che le amministrazioni esperino un riassorbimento non previsto ed ha insistito nell'interpretazione che la legge n. 265/1991, soprattutto per quanto riguarda il disposto di cui al secondo comma dell'art. 2, spera solo per il futuro, chiarendo anche che nella fattispecie la legge non modifica una norma, ma un'interpretazione giurisprudenziale; anche per la difesa del dott. Rossi e del dott. Simonetti il riassorbimento va comunque contenuto nei limiti del disposto dell'art. 1, sesto comma, della legge n. 265/1991. L'avv. Vanin ha poi insistito sulle argomentazioni che motivano la proposizione delle questioni di legittimita' costituzionale come il- lustrate negli atti scritti, insistendo in particolare sul punto che la legge n. 265/1991 opera un vero e proprio congelamento delle pensioni dei magistrati e assimilati, in quanto non e' piu' previsto alcun meccanismo adeguativo, con palese violazione dell'art. 3 della costituzione. Per quanto concerne poi le richieste specifiche del dott. Dattilo la difesa ha precisato che il medesimo ha gia' ottenuto il riconoscimento del diritto all'inclusione nella base pensionabile delle c.d. "quote mensili" di cui all'art. 161 della legge n. 312/1980, ma con decorrenza 1 gennaio 1988, mentre tale diritto gli deve essere riconosciuto dalla data del collocamento a riposo (1 aprile 1986), ed effettuandosi poi il relativo conteggio sulla base dell'anzianita' derivante dall'applicazione dell'art. 5 della legge n. 425/1984; infine, per quanto riguarda la richiesta relativa proprio all'applicazione nei confronti del ricorrente del disposto dell'art. 5, si e' rimesso alla giustizia della Corte. E' poi intervenuto il p.m. il quale ha chiesto l'accoglimento delle seguenti richieste: del ricorso del dott. Graziano per quanto concerne la riliquidazione della pensione al 1 gennaio 1988, sulla base dello stipendio calcolato al 1 gennaio 1988; del ricorso del dott. Dattilo per quanto concerne l'applicazione dell'art. 5, peraltro fino al 23 agosto 1991, e per quanto concerne la valutazione delle "quote mensili" di cui all'art. 161 della legge n. 312/1980. Il p.m. ha poi chiesto che le prospettate questioni di legittimita' costituzionale siano dichiarate inammissibili, in quanto l'art. 2 della legge n. 27/1981 concernerebbe soltanto il personale in servizio e la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile, con l'ordinanza n. 95/1991, la questione di legittimita' costituzionale sollevata da questa Sezione in ordine al ricorso del dott. Manlio Rossi, ed ha espresso l'avviso che la legge n. 265/1991 abbia natura soltanto interpretativa della legge 27 del 1981; le questioni di legittimita' costituzionale della legge n. 265/1991, secondo il p.m., mancherebbero di supporto normativo; concludendo il p.m. ha chiesto che, fatta eccezione per le richieste di accoglimento gia' formulate, le altre doglianze dei ricorrenti siano rigettate, previa declaratoria di inammissibilita' e di manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate. Ha brevemente replicato l'avv. Vanin, rilevando che la nuova legge n. 265/1991 disapplica la precedente e che, se si fosse invece ritenuto che in precedenza una legge non esistesse, non sarebbe stato necessario emanare un nuovo provvedimento legislativo per eliminarla. D I R I T T O La Corte rileva l'opportunita' di rinviare alla pronunzia definitiva le particolari richieste avanzate dal ricorrente dott. Dattilo e dispone la riunione dei quattro procedimenti in epigrafe per ragione di connessione ai sensi dell'art. 274 del c.p.c. Rileva inoltre che tutte le richieste relative all'applicazione della disposizione di cui all'ultimo alinea del primo comma dell'art. 2 della legge n. 265/1991 dovranno essere dichiarate inammissibili; non risulta, infatti, che nei confronti di alcuno dei quattro ricorrenti, i cui ricorsi formano oggetto della presente ordinanza, siano stati adottati provvedimenti di "riassorbimento" di maggiori trattamenti spettanti e in godimento, ne' le stesse parti ricorrenti vi hanno fatto espressa menzione. Prima di entrare nel merito delle ragioni per le quali, con la presente ordinanza, la Corte ritiene di sollevare questioni di legittimita' costituzionale in ordine all'art. 2 della legge n. 265/1991, appare opportuno precisare le vicende dalla giurisprudenza della Corte stessa dopo l'emanazione della sentenza n. 501 della Corte costituzionale. Le Sezioni riunite della corte dei conti con decisione di massima n. 76/C del 27 ottobre-14 novembre 1988 stabilivano che le pensioni dei magistrati dovevano essere riliquidate sulla base degli stipendi spettanti al personale in servizio alla data del 1 gennaio 1988 e con decorrenza 1 gennaio 1988, recependosi cioe' il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni di cui all'art. 2 della legge n. 27/1981, con proiezione nel futuro, a cura delle amministrazioni competenti; stabilivano, inoltre, che tale meccanismo trovava applicazione anche nei confronti dei magistrati cessati dal servizio dopo il 1 luglio 1983. Sulla base di tale decisione di massima venivano accolti, con decisioni della sezione terza, i ricorsi degli interessati, con l'applicazione dei principi nella stessa stabiliti, giudicata dalla Corte costituzionale interpretazione "estensiva" della sentenza n. 501. Dopo oltre un anno, pero', e precisamente nell'udienza del 21 maggio 1990, sorgevano perplessita' in ordine alla c.d. "proiezione nel futuro nel senso cioe' che il meccanismo di adeguamento di cui alla legge n. 27/1981 (art. 2) poteva essere recepito fino al 1 gennaio 1988, ma non ulteriormente; la Sezione rimetteva, percio', gli atti alla Corte costituzionale per la verifica dell'art. 2 della legge n. 27/1981, nella parte in cui non prevede l'estensione al personale in quiescenza delle disposizioni ivi dettate, ne' un meccanismo equivalente. Come e' noto, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile tale questione di costituzionalita' (ordinanza n. 95/1991). Successivamente, nella giurisprudenza della Sezione sono emersi due diversi orientamenti, essendosi ritenuto (decisione 66020 del 6 marzo-6 maggio 1991 ed altre) da una parte che potesse essere confermata la precedente giurisprudenza (recepito il meccanismo di adeguamento, esso restava in vigore fino a quando restavano in vigore le disposizioni su cui si fondava, ivi compresa quella contenuta nella sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale, considerata di natura additiva), mentre da un'altra si e' ancora ritenuta l'insussistenza di una norma che disponesse "per il futuro" (decisione n. 66677 del 24 giugno-18 luglio 1991). Come si e' accennato "in fatto", con ordinanza 3 maggio 1991 il presidente della Corte dei conti aveva rimesso alle sezioni riunite i ricorsi dei magistrati dott. Manlio Rossi e dott. Gustavo Simonetti, per risoluzione di questione di massima ai sensi dell'art. 4, secondo comma della legge 21 marzo 1953, n. 161; le ss.rr. con decisione n. 92/C del 12 giugno-23 luglio 1991 dichiaravano inammissibile la questione. Durante il periodo feriale e' entrata in vigore (il giorno 23 agosto 1991) la legge 8 agosto 1991 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 22 agosto 1991), la quale, all'art. 2, detta disposizioni in materia di riliquidazione delle pensioni dei magistrati ed assimilati. E precisamente: "Art. 2. - 1. Le pensioni spettanti ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, nonche' ai procuratori ed avvocati dello Stato, collocati a riposo anteriormente al 1 luglio 1983, sono riliquidate sulla base delle misure stipendiali vigenti, in applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n. 425, alla data del 1 luglio 1983, con esclusione degli adeguamenti periodici di cui al secondo comma. La riliquidazione ha decorrenza dal 1 gennaio 1988. Si applica la disposizione del sesto comma dell'art. 1. 2. In ogni caso, gli adeguamenti periodici previsti dall'art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, per il personale in servizio non sono computati ai fini delle riliquidazioni di trattamenti pensionistici in godimento". Le parti ricorrenti hanno tutte in primo luogo premesso che la legge trova applicazione solo per il futuro (in tal modo si renderebbe possibile riconoscere il diritto alla riliquidazione delle pensioni dal 1 luglio 1983 al 22 agosto 1991, sulla base degli adeguamenti via via ottenuti nel tempo dal personale in servizio attivo, e le proposte questioni di legittimita' costituzionale si porrebbero solo per il tempo successivo alla data indicata); le parti ricorrenti propongono poi questione di legittimita' costituzionale, in via subordinata, per quanto concerne le riliquidazioni fino al 22 agosto 1991 e, in via principale, per il periodo successivo, sia del primo che del secondo comma dell'art. 2 con le motivazioni che come appresso si sintetizzano: i ricorrenti resterebbero del tutto sprovvisti di qualsivoglia meccanismo perequativo oppure si tornerebbe ai vecchi aumenti percentuali che la Corte costituzionale ha gia' dichiarato incostituzionali, in ogni caso in aperta violazione dei principi relativi alla pensione come retribuzione differita, dell'adeguamento costante alle esigenze di un'esistenza libera e dignitosa, dell'adeguamento ai bisogni crescenti con l'avanzare dell'eta', della non divaricazione rispetto alle retribuzioni del personale in servizio; sarebbero anche violati i principi di ragionevolezza e razionalita' che debbono guidare il legislatore nell'esercizio della discrezionalita' legislativa; si realizza una grande disparita' di trattamento fra i magistrati e altre categorie di pubblici pensionati, che fruiscono di meccanismi di adeguamento automatico del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del personale in servizio; in particolare si ricorda la legge 23 febbraio 1991, n. 59. Si realizzano grandi disparita' anche fra gli stessi magistrati pensionati; queste questioni di legittimita' costituzionale sono poste con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione. Sono poi state proposte questioni di legittimita' costituzionale in relazione all'art. 72 della Costituzione per violazione dell'iter di approvazione della legge (anche per violazione dell'art. 15 lett. e) della legge n. 400/1988). Altra questione e' stata sollevata in relazione all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 13 della legge n. 177/1976 e dell'art. 1 del d.l. 2 marzo 1989, n. 65 - con particolare riferimento alla legge 7 aprile 1981, n. 134 - per la mancata costituzione della Cassa pensioni ai dipendenti civili e militari dello Stato (si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 241/1989 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 22, secondo comma della legge n. 67/1988, in quanto parte dei contributi Ges.Cal venivano versati all'Erario e cosi' risultavano distolti dalla loro destinazione specifica alla costruzione di case per i lavoratori); al riguardo si ipotizza anche una violazione dell'art. 42 della Costituzione. Infine il p.m. ha chiesto declaratoria di inammissibilita' e manifesta infondatezza delle questioni proposte, perche' la legge n. 265/1991 e' meramente interpretativa e perche' dette questioni riproducono analoga questione gia' dichiarata inammissibile con la sentenza n. 95/1991 della Corte costituzionale. Quanto sopra esposto, la Sezione osserva preliminarmente che la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 13 della legge n. 177/1976 e all'art. 1 del d.l. n. 65/1989 si rileva non rilevante, in quanto concernente la destinazione delle ritenute in conto entrate tesoro e quindi non attinente alla prerequazione delle pensioni dei magistrati; ne' la legge n. 265/1991 contiene alcun riferimento alla materia contributiva o alla provvista dei fondi necessari per fronteggiare la spesa relativa a tale perequazione. E' poi necessario, prima di procedere alla disamina della costituzionalita'della legge n. 265/1991, che la sezione precisi quale sia l'esatta interpretazione che essa da' dell'art. 2 della legge n. 265/1991. Al riguardo occorre tenere presente che la formulazione delle norme in esso contenute non si presenta in alcun modo con i caratteri di una legge di natura interpretativa; e' una legge di normale contenuto precettivo che, inoltre, non contiene alcun riferimento ad altra legge da interpretare. La Sezione ritiene poi che le disposizioni di cui all'art. 2 della legge n. 265/1991 abbiano effetto retroattivo. Quelle di cui al primo comma stabiliscono infatti che le pensioni dei magistrati ed assimilati cessati prima del 1 luglio 1983 debbono essere riliquidate con decorrenza 1 gennaio 1988; quanto poi a quelle di cui al secondo comma, occorre tenere presente che la legge prende in considerazione tutti i trattamenti pensionistici in godimento e stabilisce che in nessun caso possono essere conteggiati gli adeguamenti periodici di cui all'art. 2 della legge n. 27/1981. Il chiaro intento del legislatore e', cioe', quello di bloccare le riliquidazioni delle pensioni dei magistrati cessati prima del 1 gennaio 1983 sulla base degli stipendi dei colleghi in servizio a tale data e alla data di cessazione dal servizio e per gli altri. Ne' si puo' intendere che il secondo comma possa riferirsi solo all'ipotesi di cui al comma primo, dato che in questa parte dell'art. 2 l'esclusione degli adeguamenti in parola era gia' sancita. Naturalmente restano salvi i limiti generali alla retroattivita' delle leggi, la salvezza cioe' dei diritti quesiti e gli effetti collegati all'intangibilita' delle sentenze passate in cosa giudicata. La sezione passa poi all'esame delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate a cominciare da quella coinvolgente l'art. 72 della Costituzione, per supposta mancata approvazione dell'art. 2 della legge articolo per articolo da parte delle commissioni riunite I (Affari costituzionali, Presidenza del consiglio e Interni) e II (Giustizia) della Camera dei deputati, nella seduta del 25 luglio 1991. Al riguardo si deve, peraltro osservare, che tale questione di legittimita' costituzionale (astrattamente ammissibile in quanto fondata su un vizio che non viene assorbito con la manifestazione di volonta' delle Camere - come accade ad esempio per un difetto relativo alla fase dell'iniziativa legislativa - in quanto attinente proprio al momento dell'approvazione) non puo' che essere dichiarata manifestamente infondata. Infatti dal verbale della seduta in data 25 luglio 1991 delle Commissioni I e II della Camera dei deputati, l'approvazione dell'art. 2 singolarmente considerato (e degli altri articoli) risulta essere stata regolarmente effettuata. Quanto alla questione di legittimita' costituzionale proposta dai ricorrenti con riferimenti agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, e' da osservare, in primo luogo, che le argomentazioni addette ricalcano quelle gia' espresse nella formulazione di precedenti questioni di legittimita' costituzionale. In effetti, sembra a questa sezione che l'art. 2 della legge n. 265/1991 ignori totalmente il principio costituzionale della pensione come retribuzione differita; le disposizioni dell'art. 2 non prevedono alcun adeguamento delle pensioni dopo il 1 gennaio 1988 e riproducono un fenomeno di divaricazione crescente del trattamento di quiescenza rispetto a quello di attivita', non stabilendo alcun raccordo fra evoluzione degli stipendi ed evoluzione delle pensioni. Ne' sembra si possa tornare, al meccanismo ipotizzato dalla legge 27 aprile 1977, n. 176 per effetto del disposto del secondo comma dell'art. 3 della legge n. 141/1983 (applicabilita' anche ai magistrati delle disposizioni sulla perequazione automatica, per effetto dell'art. 1, primo comma, della legge n. 177/1976), in quanto proprio la sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di tale metodo di perequazione nei confronti dei magistrati ed assimilati. La Corte remittente non ignora che la Corte costituzionale ha ritenuto valida l'esistenza di una discrezionalita' del legislatore nell'attuazione dei principi connessi con la natura di retribuzione differita che la costituzione riconosce alla pensione e, quindi, la legittimita' di atti legislativi che graduino nel tempo la concreta attuazione dei principi di cui e' parola; ma nella fattispecie non sembra si possa ravvisare alcun avvio, sia pure ampiamente discrezionale, di tale attuazione. E per di piu' la Corte remittente e' d'avviso che non appaia arbitrario, una volta sussunti sia la pensione che lo stipendio sotto l'unica nozione di retribuzione, ritenere che la discrezionalita' del legislatore si muova entro limiti particolarmente ristretti, proprio perche' una rinnovata distinzione fra retribuzione contestuale alla prestazione di attivita' lavorativa e retribuzione differita finirebbe per reintrodurre una sostanziale separazione fra due aspetti di un medesimo istituto e legittimare una disciplina differenziata, e divaricata, anzi. Una "retribuzione" non cessa di essere tale, cioe' corrispettivo per il lavoro prestato, anche se viene pagata in un momento successivo, con la conseguenza che unitaria dovrebbe essere la regolamentazione normativa degli aspetti economici del trattamento pagato subito e di quello pagato in un tempo futuro. Nozioni consimili sono del resto elaborate nella sentenza n. 57/1973 della Corte costituzionale (e questa sembra essere anche l'esigenza che la difesa del ricorrente dott. Rossi ha inteso dovesse essere tutelata proponendo la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge n. 177/1976, per mancata costituzione di una Cassa pensioni dei dipendenti statali, finanziata con le contribuzioni dei 'lavoratori' e del 'datore di lavoro', questione che la Sezione ha ritenuto irrilevante per i motivi innanzi esposti). La Sezione reputa anche di dover sottolineare altro profilo sotto il quale la mancata attuazione dei principi che si riconnettono alla natura della pensione come retribuzione differita sembra possa integrare una ulteriore violazione dell'art. 3 della Costituzione. Ritiene infatti la Sezione che non si possa trascurare il fatto che la piena attuazione di tali principi potrebbe quanto meno attenuare, se non sanare del tutto, l'inspiegabile e arbitraria discriminazione che, allo stato attuale della legislazione, si verifica tra lavoratori in attivita' di servizio e lavoratori in quiescenza, per l'essere stata ai primi riconosciuta per legge - attraverso l'istituto della contrattazione collettiva che sfocia nell'accordo nazionale unico di lavoro poi recepito con d.P.R. - un'ampia forma di tutela sindacale che viceversa e' del tutto assente per gli altri. Queste osservazioni sembrano assumere particolare rilevanza nei confronti dei magistrati, per i quali anche per il trattamento economico relativo all'attivita' di servizio e' previsto un collegamento automatico con le retribuzioni del personale statale amministrativo, proprio perche' essi sono esclusi dalla contrattazione collettiva. Inoltre, la sezione ritiene di dover rilevare che la questione non puo' essere giudicata manifestamente infondata (o inammissibile), come richiesto in udienza dal p.m., in quanto analoga a quella che aveva formato oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 95/1991; in quest'ultimo caso infatti la questione era stata sollevata nel presupposto dell'inesistenza di una norma che consentisse la c.d. "proiezione nel futuro" o, piuttosto, individuasse l'esistenza di un meccanismo perequativo, alla cui applicazione si riconosceva il diritto (anche per il futuro, a cura delle amministrazioni); e la sentenza n. 95 aveva dichiarato l'inammissibilita' della questione, per non avere la Corte costituzionale funzioni legislative. E' di tutta evidenza come le questioni di legittimita' costituzionale innanzi delineate investivano situazioni affatto diverse. Infine la Sezione ritiene che non possa essere trascurata una conseguenza indefettibile dell'applicazione dell'art. 2 della legge n. 265/1991, e cioe' la consacrazione di grande disparita' fra le pensioni dei magistrati e quelle di altre categorie di pubblici dipendenti che fruiscono di meccanismi di adeguamento automatico del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del personale in servizio; fra il trattamento del magistrato in servizio e quello del magistrato in quiescenza; e fra le pensioni degli stessi magistrati, in particolare tenendo anche conto delle liquidazioni disposte in applicazione dei principi stabiliti con la sentenza costituzionale n. 501/1988, e con le decisioni delle sezioni riunite di questa Corte e di questa medesima sezione, seguite a tale sentenza costituzionale. La sezione, a questo punto, non intende dilungarsi nel riprendere le motivazioni sulle quali si e' ampiamente intrattenuta la difesa dei ricorrenti e che costituiscono oggi per certo un patrimonio acquisito dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, ritenendo piu' utile, invece, una sintetica disamina dei dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge n. 265/1991 nei termini innanzi formulati, alla luce dei piu' recenti criteri elaborati dal giudice delle leggi nella complessa materia, in un'opera di progressiva definizione della portata e delle potenzialita' del precetto costituzionale, anche in rapporto ai molteplici valori di livello costituzionale coinvolti nelle scelte legislative in generale o in quelle in particolare sottese alla materia dell'aggiornamento del trattamento pensionistico dei magistrati ed assimilati. E' all'uopo necessario fare riferimento, in particolare, alla sentenza 27 febbraio-15 marzo 1991, n. 119, della Corte costituzionale, con la quale e' stata dichiarata non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura) nella parte in cui definisce come "non pensionabile" l'indennita' di funzione ivi istituita, in riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione. Con tale sentenza e' stato confermato, in primo luogo, il principio che il trattamento di quiescenza costituisce un prolungamento della retribuzione; si tratta cioe' sempre di retribuzione spettante al lavoratore, e corrisposta in un tempo "differito", in un tempo in cui le prestazioni della parte lavoratrice sono cessate (talora soltanto attenuate, come accade per gli ufficiali delle forze armate in posizione ausiliaria, al cui trattamento economico e' stata sempre riconosciuta natura di "pensione"). Richiamati poi i principi di proporzionalita' al lavoro prestato e dell'adeguatezza alle esigenze di vita per un'esistenza libera e dignitosa, espressamente sanciti nell'art. 36 della Costituzione, la sentenza ribadisce anche che l'attuazione di tali principi deve essere assicurata in tutto il periodo di quiescenza. Tuttavia, viene poi precisato, i ricordati principi non comportano che sia garantita l'integrale corrispondenza fra retribuzione e pensione; questo, afferma la sentenza, costituisce un obbiettivo ottimale, ma quel che e' indispensabile e' che ci sia una corrispondenza del trattamento di quiescenza al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro. E qui, continua sempre il giudice costituzionale, si esercita la discrezionalita' del legislatore, che deve fondarsi su un ragionevole bilanciamento di tutti i valori e interessi costituzionali coinvolti nella graduale attuazione di quei principi. In altri termini, l'esercizio della discrezionalita' del legislatore non puo' allontanarsi dall'obbiettivo di far corrispondere il trattamento di quiescenza dal "reddito" percepito in costanza del rapporto di lavoro; e il reddito non e' certo il solo stipendio. Le disposizioni della legge n. 265/1991, art. 2, sembrano invece discostarsi da tale obbiettivo, che era invece perseguito in passato, quando, in occasione dei miglioramenti del trattamento economico del personale in attivita' di servizio, venivano sempre em- anate disposizioni per la "perequazione" delle pensioni, cioe' per la riliquidazione delle stese sulla base dei nuovi stipendi. La sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale si fondava sull'ancoraggio delle pensioni agli stipendi, mentre la legge n. 265/1991 (art. 2) lo nega, stabilendo che in nessun caso nelle riliquidazioni possono essere considerati gli aumenti di cui all'art. 2 della legge n. 27/1981, che integrano il meccanismo di adeguamento degli stipendi dei magistrati ed assimilati, ormai da un decennio, e prevedendo una riliquidazione con decorrenza 1 gennaio 1988 sulla base degli stipendi di 7 anni prima. Nessun ancoraggio, nessun meccanismo di adeguamento costante e' comunque previsto. Inoltre la sezione rileva che il lavoro che il pensionato ha prestato in un tempo passato e' lo stesso che il magistrato in servizio presta attualmente e quindi, se e' connaturata alla quiescenza una retribuzione quantificata rispetto al lavoro prestato - per qualita' e quantita' -, allora tale retribuzione differita non puo' non essere determinata, quanto alla qualita' del lavoro prestato, che sulla base (la base pensionabile) della retribuzione attuale di quel lavoro e, quanto alla quantita', attraverso la determinazione delle aliquote di tale base che spettano in relazione agli anni di servizio prestati. Ma appare sommamente irrazionale un procedere normativo che nel 1977 (legge n. 176) addirittura aumenta del 18% la base pensionabile costituita dall'ultimo stipendio del servizio attivo, e poi non assicura piu' alcun collegamento con la base pensionabile (cioe' con il trattamento economico del servizio attivo). In altri termini, sembra alla sezione che la discrezionalita' del legislatore abbia ampio campo di dispiegamento nell'ambito innanzi individuato, che e' quello della determinazione dei compensi nel settore del pubblico impiego, stipendi e pensioni unitariamente considerati, e non separabili, senza che si debba considerare la pensione come una variabile indipendente rispetto al trattamento economico del servizio attivo. Tanto piu' che la stessa Corte costituzionale, con la ricordata sentenza n. 119/1991, gia' ricordata, ha anche ritenuto costituzionale la non pensionabilita' di un'indennita' (l'indennita' di funzione dei magistrati), benche' di natura "retributiva", e costituente "componente del normale trattamento economico del magistrato", e cio' in quanto la detta indennita' e' sottoposta a un regime speciale, che la dichiara non pensionabile, non corrisposta quando non c'e' prestazione di servizio (ma in certi casi anche lo stipendio puo' non essere corrisposto) e istituita per fini di valorizzazione delle funzioni giudiziarie, con cio' riconoscendo ampia discrezionalita' al legislatore nel determinare quali componenti del trattamento economico siano "pensionabili" e quali no. La sezione ritiene anche di dover sottolineare la circostanza che nel rapporto di lavoro il trattamento di quiescenza rappresenta una componente di carattere molto rilevante e che l'art. 38 della Costituzione ha voluto espressamente che siano preveduti e assicurati, come un diritto, i mezzi per le esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita', vecchiaia, disoccupazione. E' in questo senso che sembra possa essere intesa la richiesta formulata dalla difesa del ricorrente dott. Rossi, relativa alla costituzione di una cassa pensioni per i dipendenti statali, nel senso appunto di una garanzia obbiettiva rispetto al trattamento di quiescenza, per il quale il lavoratore effettua versamenti durante l'intero rapporto di lavoro, che di regola si protrae per decenni; e per il quale il datore di lavoro dovrebbe a sua volta effettuare versamenti adeguati. Nonostante la legge n. 134/1881, la cassa per le pensioni dei dipendenti statali non e' mai stata costituita, ma, fino al 1977, come si e' gia' avuto modo di ricordare, lo Stato aveva sempre onorato l'impegno dell'adeguamento delle pensioni agli stipendi. Ed e' di tutta evidenza come, proprio per il disposto dell'art. 38 della Costituzione, le pensioni dei dipendenti statali debbano essere assistite da una qualche forma di garanzia obbiettiva, consistente, quanto meno, in una precisa delimitazione dei limiti e dei contorni della discrezionalita' del legislatore; tanto piu' che il pensionato e' sprovvisto di qualsivoglia mezzo di tutela, per l'essere escluso anche dalla contrattazione collettiva e quindi dalla possibilita' di far valere le proprie ragioni in tale sede. Per tutte le ragioni innanzi esposte la sezione ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - che formalmente propone - dell'art. 2 della legge 8 agosto 1991, n. 265, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione. Il giudizio deve, quindi, essere sospeso, con rinvio degli atti alla Corte costituzionale per la conseguente pronunzia.