LA CORTE DEI CONTI
    Uditi nella pubblica udienza del 23 ottobre 1991, con l'assistenza
 del Segretario rag. Antonio Giuseppone il consigliere relatore  dott.
 Silvio  Pergameno,  gli  avvocati: Filippo De Jorio per il ricorrente
 dott. Graziano; Michelangelo Pascasio per il ricorrente dott.  Rossi;
 Giovanni  Vanin  per  i  ricorrenti  dott.  Dattilo e dott. Simonetti
 (quest'ultimo su delega dell'avv.  Giorgio  Natoli);  e  il  p.m.  in
 persona del vice procuratore generale dott. Vittorio Visca;
    Visti  i  ricorsi  iscritti  ai  nn.: 125941-bis, 120073, 129939 e
 124501 del registro di segreteria;
    Visti gli atti e i documenti tutti della causa;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sui seguenti ricorsi:
    Ricorso n. 125941-bis, dott. Liberato Alberto Graziano, magistrato
 di appello, cessato dal servizio il 14 ottobre 1969, rappresentato  e
 difeso dall'avv. Filippo De Jorio e domiciliato presso il medesimo in
 Roma, via Campo Marzio, n. 12 (00186);
    Ricorso  n.  120073,  dott. Manlio Rossi, presidente di sezione di
 Cassazione, cessato dal servizio il 15 settembre 1979,  rappresentato
 e  difeso  dall'avv.  Michelangelo  Pascasio  e domiciliato presso il
 medesimo in Roma, via Boncompagni, n. 61 (00187);
    Ricorso  n.  124501,  dott.  Gustavo  Simonetti,   magistrato   di
 cassazione,  cessato  dal servizio il 31 maggio 1973, rappresentato e
 difeso dall'avv. Giorgio Natoli, e domiciliato presso il medesimo  in
 Roma,  via  Cicerone,  n.  28  (00193); per l'udienza il difensore ha
 delegato l'avv. Giovanni Vaniu, con atto in data 23 ottobre 1991;
    Ricorso n. 129939, dott. Arduino Dattilo, consigliere della  Corte
 dei  conti,  con  trattamento  economico  di  presidente  di sezione,
 cessato  dal  servizio  il  1›  aprile  1986,  con  la  qualifica  di
 presidente  della Corte dei conti (art. 2, secondo comma, della legge
 24 maggio 1970, n. 336), rappresentato e  difeso  dall'avv.  Giovanni
 Vania  e  domiciliato  presso  il medesimo in Roma, via Gallia, n. 34
 (00183).
                               F A T T O
    Con il proposto gravame, con memorie aggiunte e con gli interventi
 dei difensori in udienza i ricorrenti chiedono il riconoscimento  del
 diritto   alla   riliquidazione  del  trattamento  di  quiescenza  in
 applicazione del principio dell'adeguamento automatico della pensione
 alle variazioni del trattamento  economico  del  personale  con  pari
 funzioni in servizio attivo. In particolare:
    1.  -  Il dott. Graziano, cessato dal servizio il 14 ottobre 1969,
 con d.m. grazia e giustizia  del  26  aprile  1989,  ha  ottenuto  la
 riliquidazione  della  pensione  al  1›  gennaio 1988 in applicazione
 della sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale e del d.-l.  24
 marzo  1989,  n.  102,  sulla  base dello stipendio determinato al 1›
 luglio 1983 con applicazione  degli  artt.  3  e  4  della  legge  n.
 425/1984; formulata con l'atto introduttivo del giudizio la richiesta
 comune  a  tutti  i  ricorrenti,  la  difesa  del dott. Graziano, con
 memorie depositate il 16 e il 21 ottobre 1991  solleva  questione  di
 legittimita'  costituzionale  in ordine all'art. 2 della recentissima
 legge 8 agosto 1991, n. 265, in quanto il principio  dell'adeguamento
 automatico   delle   pensioni   alle  retribuzioni  viene  totalmente
 cancellato. La questione e' proposta con riferimento agli artt. 3, 36
 e 38 della Costituzione sulla base delle ben note argomentazioni  con
 le  quali  in  passato  analoghe  questioni  sono  state portate alla
 cognizione del giudice  delle  leggi  (violazione  del  principio  di
 eguaglianza,    natura    stipendiale   della   pensione,   principio
 dell'adeguamento ai bisogni,  necessita'  del  raccordo  tra  aumenti
 degli  stipendi  ed aumenti delle pensioni, violazioni dei criteri di
 ragionevolezza e  razionalita'  della  legge,  che  fa  corrispondere
 pensioni  decrescenti  di  fronte ai bisogni crescenti col progredire
 dell'eta', riscrivendo il d.-l. n. 102/1989, non  convertito  e  piu'
 volte reiterato, ma sempre senza ottenere la conversione).
    Il  ricorrente,  rilevato  poi di non avere ottenuto - come invece
 avevano ottenuto  la  grande  maggioranza  dei  suoi  colleghi  -  la
 riliquidazione al 1› gennaio 1988 sulla base dello stipendio maturato
 a  tale data, ne chiede il riconoscimento ad opera di questo giudice,
 con diritto alla percezione quanto meno fino al 23 agosto 1991,  data
 di entrata in vigore della legge n. 265/1991, la quale, come le leggi
 in genere, non puo' disporre che per il futuro. Il tutto con espresso
 richiamo alla sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale ed alle
 interpretazioni  che  ne sono state date in sede giurisdizionale e di
 controllo dalla Corte dei conti.
    In proposito il ricorrente ha ricordato (con la seconda delle gia'
 menzionate memorie) che  la  sua  pensione  ammonta  a  L.  2.900.000
 mensili  a  fronte  di  quella  di L. 5.000.000 dei colleghi con pari
 anzianita' di servizio (anni 31, aliquota  63,8%),  i  quali  avevano
 adito il Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza delle
 decisioni   della   Corte   dei  conti;  inoltre  lamenta  che  nella
 riliquidazione non e' stato applicato l'art. 15 della legge  n.  177,
 del   1976   (che   invece  risulta  applicato  nel  decreto  innanzi
 richiamato), ne' l'art. 161 della legge n. 312 del 1980.
    2. - Il dott. Manlio Rossi, cessato dal servizio il  15  settembre
 1979,  ha  depositato il suo ricorso il 10 novembre 1983, richiamando
 il secondo comma dell'art. 11 della legge n. 392 del 1951, norma alla
 quale andrebbe riconosciuto il valore di disposizione di  adeguamento
 permanente   delle   pensioni  alle  variazioni  degli  stipendi  del
 personale in servizio (norma di  rinvio  dinamico,  tale  da  doversi
 ritenere  in  ragione  delle  garanzie  costituzionali  da  cui  sono
 assistite le magistrature); insistendo sulla  natura  della  pensione
 come   retribuzione   differita  e  invocando  gia',  in  tale  sede,
 l'applicazione del principio dell'adeguamento automatico,  anche  con
 riferimento  alle  argomentazioni  di  cui  alla  decisione di questa
 medesima sezione n. 49970 del 12 maggio 1982.
    Dopo  l'emanazione  della  sentenza  n.   501/1988   della   Corte
 costituzionale,  il  dott. Rossi ne chiedeva l'integrale applicazione
 secondo i principi stabiliti dalle sezioni riunite  di  questa  Corte
 con  decisione di massima n. 76.C del 27 ottobre-14 novembre 1988. Il
 dott.  Rossi  otteneva  dalla  sezione una decisione parziale, con la
 quale gli veniva riconosciuto il diritto  alla  riliquidazione  della
 pensione  al 1› gennaio 1988, sulla base dello stipendio spettante al
 magistrato di pari qualifica a tale data, mentre  per  le  successive
 riliquidazioni    veniva    sollevata   questione   di   legittimita'
 costituzionale, nel presupposto dell'assenza di una  disposizione  di
 legge  che  consentisse  l'accoglimento  della  richiesta  come sopra
 formulata (ord. 63792 del 21 maggio-13 giugno 1990).
    Dopo l'ordinanza  n.  95  dell'11-16  febbraio  1991  della  Corte
 costituzionale,  che ha dichiarato l'inammissibilita' manifesta della
 questione di legittimita' come  sopra  prospettata,  il  ricorso  del
 dott.  Rossi veniva rimesso dal presidente della Corte dei conti alle
 sezioni  riunite  della  medesima  Corte  per  la  risoluzione  della
 questione  di  massima  relativa  alla  definizione del meccanismo di
 ulteriore perequazione delle  pensioni  dei  magistrati  cessati  dal
 servizio  dopo  il  1›  luglio  1983,  se cioe' quello della legge n.
 177/1976  e  successive  modificazioni  e  integrazioni,   dichiarato
 espressamente  applicabile dall'art. 3, secondo comma, della legge n.
 141  del  1985  anche  ai  magistrati  e  assimilati,  ovvero  quello
 risultante  dall'applicazione dell'art. 2 della legge n. 27 del 1981.
 La rimessione e'  stata  comunque  dichiarata  inammissibile  perche'
 l'ultimo termine utile per la stessa doveva intendersi consumato, per
 essere stata la causa discussa nell'udienza del 2 aprile 1990.
    In   occasione   dell'udienza   odierna  la  parte  ricorrente  ha
 depositato memoria difensiva (il 10 ottobre 1991)  con  la  quale  si
 svolgono  deduzioni  in  ordine  all'interpretazione  ed applicazione
 della legge 265 del 1991. Secondo la difesa l'art. 2  di  tale  legge
 non   avrebbe   effetto  retroattivo  e  le  nuove  disposizioni  non
 potrebbero toccare,  in  ogni  caso,  i  magistrati  che  hanno  gia'
 ottenuto  le  liquidazioni  in base ai principi di cui alla decisione
 delle ss.rr. della Corte dei conti n. 76.C, in  ossequio  alle  norme
 che tutelano la cosa giudicata. In particolare per quanto concerne il
 disposto  del  secondo  comma  (sempre  non  retroattivo), la memoria
 ritiene che lo stesso reintroduca le c.d. "pensioni d'annata"  e  che
 si  riproducano  quindi  le  situazioni  di incostituzionalita' sulle
 quali la Corte costituzionale ha gia' avuto modo di pronunciarsi  con
 la  sentenza  n. 501/1988, con la nota declaratoria di illegittimita'
 costituzionale. Secondo la difesa l'ordinanza n. 95/1991 della  Corte
 costituzionale  avrebbe rilevato che la norma di cui all'art. 2 della
 legge  n.  27/1981   va   intesa   come   inscindibilmente   riferita
 all'adeguamento  sia  degli  stipendi sia delle pensioni quale "unico
 meccanismo   rivalutativo",   del   resto   gia'    recepito    dalle
 amministrazioni  in  moltissimi  casi e condivise anche dal Ministero
 del  tesoro,  che  ne  prendeva  atto  nel  bilancio  di   previsione
 presentato  alla  Camera il 31 luglio 1990 con il d.d.l. n. 5012/2 ed
 ai sensi dell'art. 11 terzo comma della legge n. 362 del 1988.
   Il disposto dell'art. 2 della legge n. 265,  prosegue  la  memoria,
 riproduce  quello di quattro decreti legge decaduti (l'ultimo anzi fu
 respinto  dall'assemblea  di   Montecitorio,   precisa   lo   scritto
 difensivo),  mentre dagli atti parlamentari risulta (bollettino della
 commissione lavoro pp.138 e 139) il contrasto con  la  giurisprudenza
 costituzionale,  la insipienza e la non lungimiranza del governo, che
 non ha mai  assunto  sulle  pensioni  una  linea  univoca.  Ne'  puo'
 violarsi, continua ancora la memoria l'art. 15, lett. e), della legge
 n.  400/1988  che impedisce il ripristino di una disciplina normativa
 dichiarata  illegittima  dalla   Corte   costituzionale   (v.   boll.
 commissione  IX,  pag.  99),  e  cio'  mentre alla commissione affari
 costituzionali del senato (seduta del  19  dicembre  1989)  fu  fatta
 presente  l'eventualita'  di  un conflitto di attribuzione fra potere
 legislativo e Corte costituzionale; prosegue poi  lamentando  che  la
 nuova   disciplina   crea  nuove  disparita'  tra  la  posizione  dei
 magistrati i cui trattamenti pensionistici sono  stati  perequati  in
 applicazione   dei   principi  della  sentenza  n.  501  della  Corte
 costituzionale e della sentenza 76.C delle  ss.rr.  della  Corte  dei
 conti  e  quella  degli  altri  che incorrano nella nuova disciplina;
 richiamando le sperequazioni con le pensioni di  altre  categorie  di
 statali,  per  i  quali  le decisioni della Corte dei conti non hanno
 trovato ostacoli, nonche' le ancora maggiori  sperequazioni  rispetto
 al   trattamento   pensionistico   di  parlamentari,  dipendenti  del
 Parlamento, della Presidenza della Repubblica, della Banca  d'Italia,
 di  altri  istituti  di  credito, di istituti previdenziali, di altri
 enti,  le  cui  pensioni  sono  automaticamente   e   permanentemente
 rivalutate. La memoria conclude proponendo:
      questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 n. 265, per i motivi innanzi illustrati, per elusione e contrasto coi
 principi  di cui alla sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale
 e per altri motivi comuni anche al ricorso del dott. Graziano, di cui
 gia' e' stata fatta menzione;
      questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  13  della
 legge  n.  177/1976  e  art. 1 d.-l. 2 marzo 1989, n. 65, per mancata
 destinazione  del  gettito  delle  entrate   in   conto   tesoro   al
 miglioramento   del   trattamento   di  quiescenza,  con  particolare
 riferimento alla legge 7 aprile 1881,n. 134, che aveva  istituito  la
 cassa  per  le  pensioni ai dipendenti civili e militari dello Stato,
 mai  attuata;  al  riguardo  si  richiama  la  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 241 del 26 aprile 1989, concernente la Ges.Cal.;
      dell'art.  1,  sesto  comma  (in relazione alla disposizione sul
 riassorbimento),
 il tutto per contrasto con gli artt. 3, 36, 38, 101, 102,  103  della
 Costituzione;  e  chiedendo, previa declaratoria che la legge 265 non
 puo' disporre che per il futuro, che al dott. Rossi siano  attribuiti
 in  sede  pensionistica tutti gli aumenti retributivi riconosciuti al
 personale in servizio fino al 22 agosto 1991.
    3. - Il dott. Simonetti, cessato dal servizio il  31  maggio  1973
 presenta  situazione  analoga  a  quella  del dott. Rossi, essendogli
 stato riconosciuto da questa Corte con decisione 21 maggio-15  giugno
 1990 il diritto alla riliquidazione della pensione al 1› gennaio 1988
 sulla  base  del  trattamento  economico del personale in servizio ed
 essendo stata promossa nei suoi confronti, con la medesima  ordinanza
 concernente  il  dott.  Rossi  la  stessa  questione  di legittimita'
 costituzionale, su cui la Corte costituzionale si e' pronunziata  con
 ordinanza n. 95/1991, dichiarando la manifesta inammissibilita' della
 questione  sollevata.  Anche  il ricorso del dott. Simonetti e' stato
 poi  rimesso  alle  ss.rr.  di  questa  Corte,  che  hanno  giudicato
 inammissibile  la  rimessione (dec. 92.C del 1991); per l'udienza del
 23 ottobre la parte ricorrente ha depositato  memoria  difensiva  (in
 data  17  ottobre 1991) con la quale si insiste per il riconoscimento
 delle   riliquidazioni  fino  a  tutto  il  1991,  e,  per  il  tempo
 successivo,  si  propone  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 2 della legge n. 265/1991 in termini analoghi a quelli gia'
 riferiti.
    4. - Il dott. Dattilo, cessato dal servizio li 1› aprile 1986, con
 il  proposto  gravame  e  con  successive  memorie  lamenta  l'errata
 applicazione nei suoi confronti dell'art.  5  della  legge  6  agosto
 1984,  n.  425,  nel  senso  che  il  beneficio  previsto dalla detta
 disposizione  gli  e'  stato  calcolato  tenendo  conto  della   sola
 anzianita' effettiva maturata nella qualifica di provenienza e non di
 tutte  le  classi  e  scatti fruiti in detta qualifica (conformemente
 cioe' non solo alla lettera, ma anche  alla  ratio  della  norma,  ad
 avviso  del  ricorrente,  per  l'avere  la  legge  n. 425 escluso dal
 calcolo del trattamento  economico  del  magistrato  ogni  anzianita'
 convenzionale  in  precedenza  riconosciuta  introducendone di nuove,
 uguali per tutti, allo scopo di valutare adeguatamente  i  precedenti
 di  anzianita'  e  di  carriera, e di evitare sperequazioni, quali si
 verificherebbero attribuendo lo stesso trattamento  economico  a  due
 magistrati  che  hanno  trascorso  il medesimo periodo di tempo nella
 qualifica di provenienza,  ma  con  diversa  anzianita'  complessiva;
 lamenta,  inoltre,  che  in ogni caso non ha trovato applicazione nei
 suoi confronti l'art. 161 della legge n.  312  del  1980,  in  quanto
 nella  qualifica di provenienza egli aveva trascorso un periodo di 10
 anni e 11 mesi e, quindi,  oltre  ai  5  aumenti  periodici  biennali
 dovevano  essergli  attribuite,  nella determinazione dello stipendio
 corrispondente alla qualifica di presidente della Corte dei  conti  a
 lui  conferita,  per effetto dell'art. 2 comma secondo della legge n.
 336/1970 all'atto della cessazione  dal  servizio,  anche  le  "quote
 mensili"  del  successivo aumento periodico biennale; insiste inoltre
 per il riconoscimento  del  diritto  alla  riliquidazione  automatica
 della  pensione  in  applicazione del principio dell'adeguamento alle
 variazioni del trattamento economico del personale in  servizio.  Nei
 confronti  del  dott.  Dattilo la sezione ha pronunciato decisione di
 accoglimento parziale delle richieste  di  cui  sopra  (decisione  n.
 63845 del 25-30 maggio 1990), nel senso che gli e' stato riconosciuto
 il  diritto  alla  riliquidazione  della pensione dal 1› gennaio 1988
 sulla base dello stipendio spettante a tale  data  al  magistrato  di
 pari  qualifica  e  anzianita',  mentre  per il periodo successivo il
 giudizio e' stato sospeso, essendo stata nel frattempo  sollevata  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  di  cui  gia'  e'  stato
 riferito; e' stato inoltre riconosciuto  il  diritto  del  ricorrente
 all'applicazione  dell'art.  161 della legge n. 312 del 1980; inoltre
 va evidenziato che nessuna pronunzia e' stata adottata in ordine alla
 richiesta del ricorrente relativa all'applicazione dell'art. 5  della
 legge  n.    425/1984,  in  ordine  alla  quale  vennero con separata
 ordinanza disposti accertamenti  presso  l'amministrazione  e  che  a
 seguito  di  tali accertamenti e' stato acclarato che con decreto del
 Presidente del consiglio 1›  febbraio  1991  la  pensione  del  dott.
 Dattilo  e'  stata  riliquidata  dal 1› gennaio 1988 sulla base dello
 stipendio aggiornato a tale data, determinato,  per  quanto  concerne
 l'art.  5  della legge n.  425, secondo l'interpretazione restrittiva
 di detta disposizione (come stabilito dalla  sez.  del  controllo  di
 questa  Corte  n.  18/1990)  e  senza  tener  conto  dell'intervenuto
 riconoscimento delle "quote mensili" di cui all'art. 161 della  legge
 n.  312  del  1980,  gia' effettuato con la ricordata decisione della
 sezione  n.  63845;  da  ultimo,  per  l'udienza  odierna,  la  parte
 ricorrente ha depositato memoria difensiva (in data 12 ottobre 1991),
 con  la  quale  vengono esposte deduzioni e precisate le richieste in
 ordine alla recente legge  n.  265/1991,  piu'  volte  ricordata.  Le
 considerazioni svolte possono cosi' sintetizzarsi:
      la legge n. 265/1991 dispone solo per il futuro;
      il riassorbimento previsto dal disposto del 1› comma dell'art. 2
 con  richiamo  al  sesto  comma  dell'art.  1  concerne  solo il c.d.
 "trascinamento" (cioe' la valutazione, in  sede  di  conferimento  di
 qualifica  superiore,  dell'anzianita'  pregressa  di  cui all'art. 5
 della legge n. 425/1984);
      dal 23 agosto 1991, data di entrata in  vigore  della  legge  n.
 265/1991,  gli adeguamenti periodici di cui all'art. 2 della legge n.
 27/1981,  non  possono  piu'   essere   computati   ai   fini   delle
 riliquidazioni delle pensioni dei magistrati;
      nessuna  forma  di  adeguamento delle pensioni dei magistrati e'
 piu' prevista, in  quanto  gli  adeguamenti  di  cui  alla  legge  n.
 177/1976   e   successive   modificazioni   integrano  un  meccanismo
 perequativo che e' stato dichiarato incostituzionale a decorrere  dal
 1› gennaio 1988;
      si  determina  una situazione di anarchia per la grande varieta'
 di situazioni che si profilano;
 ed infatti:
       chi fruisce di pensione adeguata al 1› gennaio 1988, sulla base
 degli  stipendi  vigenti  a  tale  data,  dovrebbe  conservare  detto
 trattamento senza riassorbimento, ma senza ulteriori perequazioni;
       chi  fruisce  di pensione adeguata al 1› gennaio 1988, ma sugli
 stipendi al 1›  luglio  1983,  sarebbe  condannato  all'immutabilita'
 totale nel tempo;
       chi  e'  cessato dal servizio dopo il 1› luglio 1983, fruirebbe
 della pensione  nella  misura  in  atto  al  22  agosto  1991,  senza
 adeguamenti periodici ne' riassorbimenti;
       chi  ha  ottenuto  una decisione da parte della Corte dei conti
 che abbia riconosciuto il diritto alla c.d. "proiezione nel  futuro",
 verserebbe in condizione analoga alla precedente;
      la  parte  ricorrente  solleva,  poi,  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 2 della legge 265 con motivazioni  in  parte
 analoghe  a  quelle in precedenza gia' riferite ed in parte diverse e
 precisamente:
       la condizione di anarchia innanzi illustrata;
       la  discriminazione  con  i  dirigenti  statali  per  i   quali
 l'adeguamento  e'  stato  disposto con norma generale con la legge 23
 febbraio 1991, n. 59;
       l'assenza di qualunque forma di  adeguamento  nel  tempo  delle
 pensioni  dei magistrati (ed assimilati) che viola i principi fissati
 dalla Corte costituzionale nella sua consolidata giurisprudenza;
 le dette situazioni evidenzierebbero violazioni degli artt.  3  e  36
 della Costituzione.
    Inoltre   vengono   riprese   le   questioni   di   illegittimita'
 costituzionale per disparita' di trattamento con altre  categorie  di
 dipendenti  che  fruiscono  di  adeguamenti costanti e per violazione
 dell'iter parlamentare della legge n. 265 (quest'ultima in  relazione
 all'art.  72  della  Costituzione),  in quanto l'art. 2 del d.d.l. n.
 4465  era  stato soppresso all'unanimita' dalle commissioni congiunte
 affari costituzionali e giustizia, in sede  referente,  nella  seduta
 dell'11  luglio  1991,  in  conformita'  del  vincolante parere della
 commissione lavoro, e pertanto  non  e'  stato  esaminato  nella  sua
 conformita'  alla  sentenza  n.  501/1988 della Corte costituzionale;
 nella successiva seduta invece il d.d.l. e' stato approvato  nel  suo
 complesso  (compreso  l'art.  2)  senza previa votazione articolo per
 articolo, come stabilisce invece l'art. 27  della  Costituzione,  sia
 pure  con  l'impegno  di  promuovere  un  nuovo provvedimento in sede
 legislativa, da discutere "gia' nella prossima settimana" (cioe'  dal
 1› agosto 1991), v. Atti parlamentari alleg.
   Sono  stati  anche  depositati  atti  di intervento in giudizio del
 dott. Armando Gallo e del dott. Ernesto Lovera  di  Maria  ed  altri;
 tali  atti  di  intervento  (ad  adiuvandum)  sono  stati  dichiarati
 inammissibili con ordinanza collegiale in data 23 ottobre 1991.
    Nell'odierna udienza l'avv. De  Jorio,  per  il  ricorrente  dott.
 Graziano,  ha  chiesto in primo luogo che sia riconosciuto il diritto
 alla riliquidazione della pensione in  godimento  con  decorrenza  1›
 gennaio  1988  e sulla base dello stipendio calcolato a tale data, in
 conformita'  a  quanto  e'  stato  effettuato  per  il  colleghi   in
 applicazione della sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale ed
 in  conformita'  ai  principi  di cui alla delibera della Sezione del
 controllo di questa Corte n. 2018 del 10 novembre 1988  (in  sede  di
 riliquidazione  si debbono applicare tutte le disposizioni vigenti al
 momento della  riliquidazione  stessa);  quanto  sopra  con  sentenza
 parziale; la difesa ha poi confermato la proposizione della questione
 di  legittimita'  costituzionale concernente la legge n. 265/1991 nei
 termini innanzi gia'  richiamati,  insistendo  in  particolare  sulla
 nuova  divaricazione  che si verificherebbe altrimenti tra stipendi e
 pensioni e  sull'irragionevolezza  di  un  sistema  che,  altrimenti,
 darebbe  luogo  a  pensioni  decrescenti  di  fronte a un aumento dei
 bisogni naturalmente conseguente al progredire della  senescenza;  ha
 anche   ribadito  le  doglianze  dei  confronti  delle  modalita'  di
 svolgimento dell'iter di approvazione della legge n. 265/1991.
    L'avv. Pascasio, per il  dott.  Rossi,  ha  pure  insistito  sulla
 violazione delle norme in materia di procedimento di formazione della
 legge (art. 72 della Costituzione, legge n. 400/1988; ha poi ribadito
 l'interpretazione  per  la  quale  la  legge  n. 265/1991 disporrebbe
 soltanto per il tempo successivo al 23 agosto 1991 (data  di  entrata
 in vigore della legge stessa, fino alla quale andrebbero applicate le
 disposizioni precedenti) ed ha quindi insistito per il riconoscimento
 del  diritto  del  suo  assistito  alla riliquidazione della pensione
 sulla base di tutti gli emolumenti spettanti ai  magistrati  di  pari
 funzioni  ancora  in servizio, a cio' nulla ostando la sentenza n. 95
 della Corte costituzionale  che,  nel  dichiarare  l'inammissibilita'
 della  questione  oggetto  della  pronunzia,  ha  confermato  la  non
 separabilita' della pensione dallo stipendio, laddove invece  non  si
 deve   dimenticare   che  le  amministrazioni  sono  vincolate  dalla
 pronunzia della sezione del controllo di questa  Corte  n.  2018/1988
 (di   cui   e'  gia'  stato  riferito);  infine  l'avv.  Pascasio  ha
 individuato nella disposizione di  cui  all'art.  2  che  dispone  il
 riassorbimento di maggiori somme riscosse con riferimento al disposto
 del  sesto  comma  dell'art.  1  (sempre della legge n. 265/1991) una
 norma  di  rinvio  "ricettizio"  nel  senso  che  la  stessa  sarebbe
 applicabile negli stretti limiti in cui il riassorbimento e' previsto
 nel  luogo  da  ultimo  richiamato (cioe' solo per quanto concerne il
 c.d.  "trascinamento"),  ipotizzando  al  limite  una  questione   di
 legittimita'   costituzionale   con  riferimento  all'art.  42  della
 costituzione, per espropriazione senza indennizzo.
    L'avv. Vanin, per il ricorrente dott. Dattilo e  anche  del  dott.
 Simonetti  (per  quest'ultimo  quale  delegato  per la trattazione in
 udienza da parte dell'avv. Giorgio Natoli), dopo aver  confermato  le
 richieste  gia'  formulate  con gli atti scritti, ha lamentato che le
 amministrazioni  esperino  un  riassorbimento  non  previsto  ed   ha
 insistito  nell'interpretazione che la legge n. 265/1991, soprattutto
 per quanto riguarda il disposto di cui al secondo comma dell'art.  2,
 spera  solo  per  il futuro, chiarendo anche che nella fattispecie la
 legge    non    modifica    una    norma,    ma    un'interpretazione
 giurisprudenziale;  anche  per  la difesa del dott. Rossi e del dott.
 Simonetti il riassorbimento va  comunque  contenuto  nei  limiti  del
 disposto  dell'art.  1,  sesto comma, della legge n. 265/1991. L'avv.
 Vanin  ha  poi  insistito  sulle  argomentazioni  che   motivano   la
 proposizione  delle questioni di legittimita' costituzionale come il-
 lustrate negli atti scritti, insistendo in particolare sul punto  che
 la  legge  n.  265/1991  opera  un  vero e proprio congelamento delle
 pensioni dei magistrati e assimilati, in quanto non e' piu'  previsto
 alcun  meccanismo adeguativo, con palese violazione dell'art. 3 della
 costituzione. Per quanto concerne poi  le  richieste  specifiche  del
 dott. Dattilo la difesa ha precisato che il medesimo ha gia' ottenuto
 il  riconoscimento del diritto all'inclusione nella base pensionabile
 delle c.d. "quote  mensili"  di  cui  all'art.  161  della  legge  n.
 312/1980,  ma con decorrenza 1› gennaio 1988, mentre tale diritto gli
 deve essere riconosciuto dalla data del  collocamento  a  riposo  (1›
 aprile  1986),  ed effettuandosi poi il relativo conteggio sulla base
 dell'anzianita' derivante dall'applicazione dell'art. 5  della  legge
 n.  425/1984;  infine,  per  quanto  riguarda  la  richiesta relativa
 proprio all'applicazione nei confronti del  ricorrente  del  disposto
 dell'art. 5, si e' rimesso alla giustizia della Corte.
    E'  poi  intervenuto  il  p.m.  il quale ha chiesto l'accoglimento
 delle seguenti richieste:
      del  ricorso  del  dott.  Graziano  per   quanto   concerne   la
 riliquidazione  della  pensione  al 1› gennaio 1988, sulla base dello
 stipendio calcolato al 1› gennaio 1988;
      del ricorso del dott. Dattilo per quanto concerne l'applicazione
 dell'art. 5, peraltro fino al 23 agosto 1991, e per  quanto  concerne
 la  valutazione delle "quote mensili" di cui all'art. 161 della legge
 n. 312/1980.
    Il  p.m.  ha  poi  chiesto  che  le   prospettate   questioni   di
 legittimita' costituzionale siano dichiarate inammissibili, in quanto
 l'art.  2  della legge n. 27/1981 concernerebbe soltanto il personale
 in servizio e la Corte costituzionale  ha  dichiarato  inammissibile,
 con   l'ordinanza   n.   95/1991,   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale sollevata da questa Sezione in ordine al  ricorso  del
 dott.  Manlio Rossi, ed ha espresso l'avviso che la legge n. 265/1991
 abbia natura soltanto interpretativa della  legge  27  del  1981;  le
 questioni  di  legittimita'  costituzionale della legge n.  265/1991,
 secondo il p.m., mancherebbero di supporto normativo; concludendo  il
 p.m. ha chiesto che, fatta eccezione per le richieste di accoglimento
 gia'  formulate,  le  altre doglianze dei ricorrenti siano rigettate,
 previa declaratoria di inammissibilita' e di  manifesta  infondatezza
 delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate.
    Ha brevemente replicato l'avv. Vanin, rilevando che la nuova legge
 n.  265/1991  disapplica  la  precedente  e  che,  se si fosse invece
 ritenuto che in precedenza una legge non esistesse, non sarebbe stato
 necessario emanare un nuovo provvedimento legislativo per eliminarla.
                             D I R I T T O
    La  Corte  rileva  l'opportunita'  di  rinviare   alla   pronunzia
 definitiva  le  particolari  richieste  avanzate dal ricorrente dott.
 Dattilo e dispone la riunione dei quattro  procedimenti  in  epigrafe
 per  ragione  di connessione ai sensi dell'art. 274 del c.p.c. Rileva
 inoltre  che  tutte  le  richieste  relative  all'applicazione  della
 disposizione  di  cui  all'ultimo  alinea del primo comma dell'art. 2
 della legge n. 265/1991 dovranno essere dichiarate inammissibili; non
 risulta, infatti, che nei confronti di alcuno dei quattro ricorrenti,
 i cui ricorsi formano oggetto della presente ordinanza,  siano  stati
 adottati  provvedimenti  di  "riassorbimento" di maggiori trattamenti
 spettanti e in godimento, ne' le stesse  parti  ricorrenti  vi  hanno
 fatto espressa menzione.
    Prima  di  entrare  nel  merito delle ragioni per le quali, con la
 presente ordinanza,  la  Corte  ritiene  di  sollevare  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  in  ordine  all'art.  2  della legge n.
 265/1991, appare opportuno precisare le vicende dalla  giurisprudenza
 della  Corte  stessa  dopo  l'emanazione  della sentenza n. 501 della
 Corte costituzionale.
    Le Sezioni riunite della corte dei conti con decisione di  massima
 n.  76/C  del 27 ottobre-14 novembre 1988 stabilivano che le pensioni
 dei magistrati dovevano essere riliquidate sulla base degli  stipendi
 spettanti  al  personale  in servizio alla data del 1› gennaio 1988 e
 con decorrenza 1› gennaio 1988, recependosi cioe'  il  meccanismo  di
 adeguamento  delle  retribuzioni  di  cui  all'art.  2 della legge n.
 27/1981, con proiezione nel  futuro,  a  cura  delle  amministrazioni
 competenti;   stabilivano,   inoltre,  che  tale  meccanismo  trovava
 applicazione anche nei confronti dei magistrati cessati dal  servizio
 dopo  il  1›  luglio  1983.  Sulla  base di tale decisione di massima
 venivano accolti, con decisioni della sezione terza, i ricorsi  degli
 interessati,  con l'applicazione dei principi nella stessa stabiliti,
 giudicata  dalla  Corte  costituzionale  interpretazione  "estensiva"
 della sentenza n. 501.
    Dopo  oltre  un  anno,  pero',  e precisamente nell'udienza del 21
 maggio 1990, sorgevano perplessita' in ordine alla  c.d.  "proiezione
 nel  futuro  nel  senso cioe' che il meccanismo di adeguamento di cui
 alla legge n. 27/1981 (art. 2) poteva  essere  recepito  fino  al  1›
 gennaio  1988,  ma  non ulteriormente; la Sezione rimetteva, percio',
 gli atti alla Corte costituzionale per la verifica dell'art. 2  della
 legge  n.  27/1981,  nella  parte  in cui non prevede l'estensione al
 personale in  quiescenza  delle  disposizioni  ivi  dettate,  ne'  un
 meccanismo equivalente.
    Come  e' noto, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile
 tale questione di costituzionalita' (ordinanza n. 95/1991).
    Successivamente, nella giurisprudenza della  Sezione  sono  emersi
 due  diversi  orientamenti, essendosi ritenuto (decisione 66020 del 6
 marzo-6 maggio 1991  ed  altre)  da  una  parte  che  potesse  essere
 confermata  la  precedente  giurisprudenza (recepito il meccanismo di
 adeguamento, esso restava in vigore fino a quando restavano in vigore
 le  disposizioni  su  cui  si  fondava, ivi compresa quella contenuta
 nella sentenza n. 501/1988 della Corte costituzionale, considerata di
 natura  additiva),  mentre  da  un'altra  si   e'   ancora   ritenuta
 l'insussistenza   di   una  norma  che  disponesse  "per  il  futuro"
 (decisione n. 66677  del  24  giugno-18  luglio  1991).  Come  si  e'
 accennato "in fatto", con ordinanza 3 maggio 1991 il presidente della
 Corte  dei  conti  aveva  rimesso  alle sezioni riunite i ricorsi dei
 magistrati  dott.  Manlio  Rossi  e  dott.  Gustavo  Simonetti,   per
 risoluzione  di  questione  di  massima ai sensi dell'art. 4, secondo
 comma della legge 21 marzo 1953, n. 161; le ss.rr. con  decisione  n.
 92/C  del  12  giugno-23  luglio  1991  dichiaravano inammissibile la
 questione.
    Durante il periodo feriale e' entrata  in  vigore  (il  giorno  23
 agosto  1991)  la  legge  8  agosto  1991  (pubblicata sulla Gazzetta
 Ufficiale  del  22  agosto  1991),  la  quale,  all'art.   2,   detta
 disposizioni   in   materia  di  riliquidazione  delle  pensioni  dei
 magistrati ed assimilati. E precisamente:
      "Art. 2. - 1. Le  pensioni  spettanti  ai  magistrati  ordinari,
 amministrativi,   contabili,  militari,  nonche'  ai  procuratori  ed
 avvocati dello Stato, collocati a riposo anteriormente al  1›  luglio
 1983,  sono  riliquidate sulla base delle misure stipendiali vigenti,
 in applicazione degli artt. 3 e 4 della legge 6 agosto 1984, n.  425,
 alla  data  del  1›  luglio  1983,  con  esclusione degli adeguamenti
 periodici di cui al secondo comma. La  riliquidazione  ha  decorrenza
 dal  1›  gennaio  1988.  Si  applica  la disposizione del sesto comma
 dell'art. 1.
      2. In ogni caso, gli adeguamenti periodici previsti dall'art.  2
 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, per il personale in servizio non
 sono   computati   ai   fini   delle  riliquidazioni  di  trattamenti
 pensionistici in godimento".
    Le parti ricorrenti hanno tutte in primo  luogo  premesso  che  la
 legge  trova  applicazione  solo  per  il  futuro  (in  tal  modo  si
 renderebbe possibile riconoscere il diritto alla riliquidazione delle
 pensioni dal 1› luglio 1983 al  22  agosto  1991,  sulla  base  degli
 adeguamenti  via  via  ottenuti  nel  tempo dal personale in servizio
 attivo, e le proposte questioni  di  legittimita'  costituzionale  si
 porrebbero solo per il tempo successivo alla data indicata); le parti
 ricorrenti  propongono  poi questione di legittimita' costituzionale,
 in via subordinata, per quanto concerne le riliquidazioni fino al  22
 agosto  1991 e, in via principale, per il periodo successivo, sia del
 primo che del secondo comma dell'art. 2 con le motivazioni  che  come
 appresso si sintetizzano:
      i  ricorrenti  resterebbero del tutto sprovvisti di qualsivoglia
 meccanismo  perequativo  oppure  si  tornerebbe  ai  vecchi   aumenti
 percentuali   che   la   Corte   costituzionale  ha  gia'  dichiarato
 incostituzionali, in ogni caso  in  aperta  violazione  dei  principi
 relativi  alla pensione come retribuzione differita, dell'adeguamento
 costante  alle  esigenze  di   un'esistenza   libera   e   dignitosa,
 dell'adeguamento ai bisogni crescenti con l'avanzare dell'eta', della
 non   divaricazione  rispetto  alle  retribuzioni  del  personale  in
 servizio;
      sarebbero   anche   violati   i  principi  di  ragionevolezza  e
 razionalita' che debbono guidare il legislatore nell'esercizio  della
 discrezionalita' legislativa;
      si   realizza   una  grande  disparita'  di  trattamento  fra  i
 magistrati e altre categorie di pubblici pensionati, che fruiscono di
 meccanismi di adeguamento automatico del  trattamento  di  quiescenza
 alle  retribuzioni  del  personale  in  servizio;  in  particolare si
 ricorda la legge 23  febbraio  1991,  n.  59.  Si  realizzano  grandi
 disparita' anche fra gli stessi magistrati pensionati;
 queste  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sono  poste  con
 riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione.
    Sono poi state proposte questioni di  legittimita'  costituzionale
 in  relazione all'art. 72 della Costituzione per violazione dell'iter
 di approvazione della legge (anche per violazione dell'art. 15  lett.
 e) della legge n. 400/1988).
    Altra  questione  e' stata sollevata in relazione all'art. 3 della
 Costituzione, dell'art. 13 della legge n. 177/1976 e dell'art. 1  del
 d.l.  2  marzo 1989, n. 65 - con particolare riferimento alla legge 7
 aprile 1981, n.  134  -  per  la  mancata  costituzione  della  Cassa
 pensioni  ai dipendenti civili e militari dello Stato (si richiama la
 sentenza della Corte costituzionale n.  241/1989  che  ha  dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale parziale dell'art. 22, secondo comma
 della legge n.  67/1988,  in  quanto  parte  dei  contributi  Ges.Cal
 venivano  versati  all'Erario e cosi' risultavano distolti dalla loro
 destinazione specifica alla costruzione di case per i lavoratori); al
 riguardo  si  ipotizza  anche  una  violazione  dell'art.  42   della
 Costituzione.
    Infine  il  p.m.  ha  chiesto  declaratoria  di inammissibilita' e
 manifesta infondatezza delle questioni proposte, perche' la legge  n.
 265/1991  e'  meramente  interpretativa  e  perche'  dette  questioni
 riproducono analoga questione gia' dichiarata  inammissibile  con  la
 sentenza n. 95/1991 della Corte costituzionale.
    Quanto  sopra  esposto,  la Sezione osserva preliminarmente che la
 questione di legittimita' costituzionale relativa all'art.  13  della
 legge  n.  177/1976  e  all'art.  1 del d.l. n. 65/1989 si rileva non
 rilevante, in quanto concernente la destinazione  delle  ritenute  in
 conto  entrate tesoro e quindi non attinente alla prerequazione delle
 pensioni dei magistrati; ne' la  legge  n.  265/1991  contiene  alcun
 riferimento  alla  materia  contributiva  o  alla provvista dei fondi
 necessari per fronteggiare la spesa relativa a tale perequazione.
    E'  poi  necessario,  prima  di  procedere  alla  disamina   della
 costituzionalita'della  legge  n.  265/1991,  che  la sezione precisi
 quale sia l'esatta interpretazione che essa  da'  dell'art.  2  della
 legge n. 265/1991.
    Al  riguardo  occorre  tenere  presente  che la formulazione delle
 norme in esso contenute non si presenta in alcun modo con i caratteri
 di una legge di  natura  interpretativa;  e'  una  legge  di  normale
 contenuto  precettivo che, inoltre, non contiene alcun riferimento ad
 altra legge da interpretare.
    La Sezione ritiene poi che le disposizioni di cui all'art. 2 della
 legge n. 265/1991 abbiano effetto retroattivo. Quelle di cui al primo
 comma  stabiliscono  infatti  che  le  pensioni  dei  magistrati   ed
 assimilati   cessati   prima   del  1›  luglio  1983  debbono  essere
 riliquidate con decorrenza 1› gennaio 1988; quanto poi  a  quelle  di
 cui  al secondo comma, occorre tenere presente che la legge prende in
 considerazione  tutti  i  trattamenti  pensionistici  in  godimento e
 stabilisce  che  in  nessun  caso  possono  essere  conteggiati   gli
 adeguamenti  periodici  di  cui all'art. 2 della legge n. 27/1981. Il
 chiaro intento del legislatore  e',  cioe',  quello  di  bloccare  le
 riliquidazioni  delle  pensioni  dei  magistrati cessati prima del 1›
 gennaio 1983 sulla base degli stipendi dei  colleghi  in  servizio  a
 tale data e alla data di cessazione dal servizio e per gli altri. Ne'
 si   puo'  intendere  che  il  secondo  comma  possa  riferirsi  solo
 all'ipotesi di cui al comma primo, dato che in questa parte dell'art.
 2  l'esclusione  degli  adeguamenti  in  parola  era  gia'   sancita.
 Naturalmente  restano  salvi  i  limiti  generali alla retroattivita'
 delle leggi, la salvezza cioe' dei  diritti  quesiti  e  gli  effetti
 collegati   all'intangibilita'   delle   sentenze   passate  in  cosa
 giudicata.
    La sezione passa poi all'esame  delle  questioni  di  legittimita'
 costituzionale prospettate a cominciare da quella coinvolgente l'art.
 72  della Costituzione, per supposta mancata approvazione dell'art. 2
 della legge articolo per articolo da parte delle commissioni  riunite
 I  (Affari  costituzionali,  Presidenza del consiglio e Interni) e II
 (Giustizia) della Camera dei deputati, nella  seduta  del  25  luglio
 1991.  Al riguardo si deve, peraltro osservare, che tale questione di
 legittimita'  costituzionale  (astrattamente  ammissibile  in  quanto
 fondata  su un vizio che non viene assorbito con la manifestazione di
 volonta' delle Camere  -  come  accade  ad  esempio  per  un  difetto
 relativo  alla fase dell'iniziativa legislativa - in quanto attinente
 proprio al momento dell'approvazione) non puo' che essere  dichiarata
 manifestamente infondata. Infatti dal verbale della seduta in data 25
 luglio  1991  delle  Commissioni  I  e  II della Camera dei deputati,
 l'approvazione dell'art. 2 singolarmente considerato (e  degli  altri
 articoli) risulta essere stata regolarmente effettuata.
    Quanto  alla questione di legittimita' costituzionale proposta dai
 ricorrenti con riferimenti agli artt. 3, 36 e 38 della  Costituzione,
 e'  da  osservare,  in  primo  luogo,  che  le argomentazioni addette
 ricalcano quelle  gia'  espresse  nella  formulazione  di  precedenti
 questioni di legittimita' costituzionale. In effetti, sembra a questa
 sezione  che  l'art.  2  della legge n. 265/1991 ignori totalmente il
 principio costituzionale della pensione come retribuzione  differita;
 le  disposizioni  dell'art.  2  non prevedono alcun adeguamento delle
 pensioni dopo il  1›  gennaio  1988  e  riproducono  un  fenomeno  di
 divaricazione  crescente  del  trattamento  di  quiescenza rispetto a
 quello di attivita', non stabilendo  alcun  raccordo  fra  evoluzione
 degli  stipendi  ed  evoluzione  delle  pensioni. Ne' sembra si possa
 tornare, al meccanismo ipotizzato dalla legge 27 aprile 1977, n.  176
 per effetto del disposto del secondo comma dell'art. 3 della legge n.
 141/1983 (applicabilita' anche ai magistrati delle disposizioni sulla
 perequazione  automatica, per effetto dell'art. 1, primo comma, della
 legge n. 177/1976), in quanto proprio la sentenza n.  501/1988  della
 Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di
 tale   metodo   di  perequazione  nei  confronti  dei  magistrati  ed
 assimilati.  La  Corte   remittente   non   ignora   che   la   Corte
 costituzionale ha ritenuto valida l'esistenza di una discrezionalita'
 del  legislatore  nell'attuazione dei principi connessi con la natura
 di retribuzione differita che la costituzione riconosce alla pensione
 e, quindi, la legittimita' di atti legislativi che graduino nel tempo
 la  concreta  attuazione  dei  principi  di  cui  e' parola; ma nella
 fattispecie non sembra si  possa  ravvisare  alcun  avvio,  sia  pure
 ampiamente  discrezionale, di tale attuazione. E per di piu' la Corte
 remittente e' d'avviso che non appaia arbitrario, una volta  sussunti
 sia   la   pensione   che  lo  stipendio  sotto  l'unica  nozione  di
 retribuzione, ritenere che la  discrezionalita'  del  legislatore  si
 muova  entro  limiti  particolarmente  ristretti, proprio perche' una
 rinnovata distinzione fra retribuzione contestuale  alla  prestazione
 di  attivita'  lavorativa  e  retribuzione  differita  finirebbe  per
 reintrodurre una  sostanziale  separazione  fra  due  aspetti  di  un
 medesimo  istituto  e  legittimare  una  disciplina  differenziata, e
 divaricata, anzi. Una "retribuzione" non cessa di essere tale,  cioe'
 corrispettivo  per  il  lavoro  prestato, anche se viene pagata in un
 momento successivo, con la conseguenza che unitaria  dovrebbe  essere
 la regolamentazione normativa degli aspetti economici del trattamento
 pagato  subito  e  di  quello  pagato  in  un  tempo  futuro. Nozioni
 consimili sono del resto elaborate nella sentenza  n.  57/1973  della
 Corte  costituzionale (e questa sembra essere anche l'esigenza che la
 difesa del ricorrente dott. Rossi ha inteso dovesse  essere  tutelata
 proponendo  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13
 della legge n.  177/1976,  per  mancata  costituzione  di  una  Cassa
 pensioni  dei dipendenti statali, finanziata con le contribuzioni dei
 'lavoratori' e del 'datore di lavoro', questione che  la  Sezione  ha
 ritenuto irrilevante per i motivi innanzi esposti).
    La  Sezione reputa anche di dover sottolineare altro profilo sotto
 il quale la mancata attuazione dei principi che si riconnettono  alla
 natura  della  pensione  come  retribuzione  differita  sembra  possa
 integrare una ulteriore violazione dell'art.  3  della  Costituzione.
 Ritiene  infatti  la Sezione che non si possa trascurare il fatto che
 la piena attuazione di tali principi potrebbe quanto meno  attenuare,
 se  non sanare del tutto, l'inspiegabile e arbitraria discriminazione
 che,  allo  stato  attuale  della  legislazione,  si   verifica   tra
 lavoratori  in  attivita' di servizio e lavoratori in quiescenza, per
 l'essere  stata  ai  primi  riconosciuta  per  legge   -   attraverso
 l'istituto  della  contrattazione  collettiva che sfocia nell'accordo
 nazionale unico di lavoro poi recepito con d.P.R. - un'ampia forma di
 tutela sindacale che viceversa e' del tutto assente per gli altri.
    Queste osservazioni sembrano assumere  particolare  rilevanza  nei
 confronti  dei  magistrati,  per  i  quali  anche  per il trattamento
 economico  relativo  all'attivita'  di  servizio   e'   previsto   un
 collegamento  automatico  con  le  retribuzioni del personale statale
 amministrativo,   proprio   perche'   essi   sono    esclusi    dalla
 contrattazione collettiva.
    Inoltre, la sezione ritiene di dover rilevare che la questione non
 puo'  essere  giudicata  manifestamente  infondata (o inammissibile),
 come richiesto in udienza dal p.m., in quanto analoga  a  quella  che
 aveva  formato  oggetto  della sentenza della Corte costituzionale n.
 95/1991;  in  quest'ultimo  caso  infatti  la  questione  era   stata
 sollevata   nel   presupposto   dell'inesistenza  di  una  norma  che
 consentisse  la  c.d.   "proiezione   nel   futuro"   o,   piuttosto,
 individuasse  l'esistenza  di  un  meccanismo  perequativo,  alla cui
 applicazione si riconosceva il diritto (anche per il futuro,  a  cura
 delle   amministrazioni);  e  la  sentenza  n.  95  aveva  dichiarato
 l'inammissibilita'  della  questione,  per   non   avere   la   Corte
 costituzionale  funzioni  legislative.  E'  di tutta evidenza come le
 questioni   di   legittimita'   costituzionale   innanzi    delineate
 investivano situazioni affatto diverse.
    Infine  la  Sezione  ritiene  che  non possa essere trascurata una
 conseguenza indefettibile dell'applicazione dell'art. 2  della  legge
 n.  265/1991,  e  cioe'  la consacrazione di grande disparita' fra le
 pensioni dei magistrati e  quelle  di  altre  categorie  di  pubblici
 dipendenti  che fruiscono di meccanismi di adeguamento automatico del
 trattamento  di  quiescenza  alle  retribuzioni  del   personale   in
 servizio;  fra il trattamento del magistrato in servizio e quello del
 magistrato in quiescenza; e fra le pensioni degli stessi  magistrati,
 in  particolare  tenendo  anche  conto delle liquidazioni disposte in
 applicazione dei principi stabiliti con la sentenza costituzionale n.
 501/1988, e con le decisioni delle sezioni riunite di questa Corte  e
 di questa medesima sezione, seguite a tale sentenza costituzionale.
    La  sezione, a questo punto, non intende dilungarsi nel riprendere
 le motivazioni sulle quali si e' ampiamente  intrattenuta  la  difesa
 dei  ricorrenti  e  che  costituiscono  oggi  per certo un patrimonio
 acquisito dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, ritenendo
 piu' utile, invece, una sintetica disamina dei dubbi di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  2  della  legge  n.  265/1991  nei termini
 innanzi formulati, alla luce dei piu' recenti criteri  elaborati  dal
 giudice   delle   leggi  nella  complessa  materia,  in  un'opera  di
 progressiva definizione  della  portata  e  delle  potenzialita'  del
 precetto  costituzionale,  anche  in rapporto ai molteplici valori di
 livello costituzionale coinvolti nelle scelte legislative in generale
 o in quelle in particolare sottese  alla  materia  dell'aggiornamento
 del  trattamento  pensionistico  dei  magistrati  ed  assimilati.  E'
 all'uopo necessario fare riferimento, in particolare,  alla  sentenza
 27 febbraio-15 marzo 1991, n. 119, della Corte costituzionale, con la
 quale  e'  stata  dichiarata non fondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, primo  comma,  della  legge  19  febbraio
 1981,  n.  27  (Provvidenze  per  il personale di magistratura) nella
 parte in  cui  definisce  come  "non  pensionabile"  l'indennita'  di
 funzione  ivi  istituita,  in  riferimento  agli  artt. 36 e 38 della
 Costituzione.
    Con  tale  sentenza  e'  stato  confermato,  in  primo  luogo,  il
 principio   che   il   trattamento   di   quiescenza  costituisce  un
 prolungamento  della  retribuzione;  si  tratta   cioe'   sempre   di
 retribuzione  spettante  al  lavoratore,  e  corrisposta  in un tempo
 "differito",  in  un  tempo  in  cui  le  prestazioni   della   parte
 lavoratrice  sono cessate (talora soltanto attenuate, come accade per
 gli ufficiali delle forze armate  in  posizione  ausiliaria,  al  cui
 trattamento   economico   e'  stata  sempre  riconosciuta  natura  di
 "pensione"). Richiamati poi i principi di proporzionalita' al  lavoro
 prestato  e  dell'adeguatezza  alle esigenze di vita per un'esistenza
 libera  e  dignitosa,  espressamente  sanciti  nell'art.   36   della
 Costituzione,  la  sentenza  ribadisce anche che l'attuazione di tali
 principi deve essere assicurata in tutto il  periodo  di  quiescenza.
 Tuttavia,  viene  poi  precisato, i ricordati principi non comportano
 che sia  garantita  l'integrale  corrispondenza  fra  retribuzione  e
 pensione;  questo,  afferma  la  sentenza,  costituisce un obbiettivo
 ottimale,  ma  quel  che  e'  indispensabile  e'  che  ci   sia   una
 corrispondenza  del trattamento di quiescenza al reddito percepito in
 costanza  di  rapporto  di  lavoro. E qui, continua sempre il giudice
 costituzionale, si esercita la discrezionalita' del legislatore,  che
 deve  fondarsi  su  un  ragionevole bilanciamento di tutti i valori e
 interessi costituzionali coinvolti nella graduale attuazione di  quei
 principi.
    In   altri   termini,   l'esercizio   della  discrezionalita'  del
 legislatore   non   puo'   allontanarsi   dall'obbiettivo   di    far
 corrispondere il trattamento di quiescenza dal "reddito" percepito in
 costanza  del  rapporto  di lavoro; e il reddito non e' certo il solo
 stipendio. Le disposizioni della legge n. 265/1991, art. 2,  sembrano
 invece  discostarsi  da tale obbiettivo, che era invece perseguito in
 passato, quando,  in  occasione  dei  miglioramenti  del  trattamento
 economico del personale in attivita' di servizio, venivano sempre em-
 anate disposizioni per la "perequazione" delle pensioni, cioe' per la
 riliquidazione delle stese sulla base dei nuovi stipendi.
    La  sentenza  n.  501/1988  della  Corte costituzionale si fondava
 sull'ancoraggio delle pensioni agli  stipendi,  mentre  la  legge  n.
 265/1991  (art.  2)  lo  nega,  stabilendo  che  in nessun caso nelle
 riliquidazioni possono essere considerati gli aumenti di cui all'art.
 2 della legge n. 27/1981, che integrano il meccanismo di  adeguamento
 degli  stipendi dei magistrati ed assimilati, ormai da un decennio, e
 prevedendo una riliquidazione con decorrenza 1›  gennaio  1988  sulla
 base  degli  stipendi  di  7  anni  prima.  Nessun ancoraggio, nessun
 meccanismo di adeguamento costante e' comunque previsto.
    Inoltre la sezione rileva che  il  lavoro  che  il  pensionato  ha
 prestato  in  un  tempo  passato  e'  lo  stesso che il magistrato in
 servizio  presta  attualmente  e  quindi,  se  e'  connaturata   alla
 quiescenza  una retribuzione quantificata rispetto al lavoro prestato
 - per qualita' e quantita' -, allora tale retribuzione differita  non
 puo'   non  essere  determinata,  quanto  alla  qualita'  del  lavoro
 prestato, che sulla base (la base  pensionabile)  della  retribuzione
 attuale  di  quel  lavoro  e,  quanto  alla  quantita', attraverso la
 determinazione delle aliquote di tale base che spettano in  relazione
 agli  anni  di servizio prestati. Ma appare sommamente irrazionale un
 procedere normativo che nel 1977 (legge n.  176) addirittura  aumenta
 del  18%  la  base  pensionabile costituita dall'ultimo stipendio del
 servizio attivo, e poi non assicura piu' alcun  collegamento  con  la
 base  pensionabile  (cioe'  con il trattamento economico del servizio
 attivo).
    In altri termini, sembra alla sezione che la discrezionalita'  del
 legislatore  abbia  ampio  campo di dispiegamento nell'ambito innanzi
 individuato, che e' quello  della  determinazione  dei  compensi  nel
 settore  del  pubblico  impiego,  stipendi  e  pensioni unitariamente
 considerati, e non separabili, senza  che  si  debba  considerare  la
 pensione  come  una  variabile  indipendente  rispetto al trattamento
 economico del  servizio  attivo.  Tanto  piu'  che  la  stessa  Corte
 costituzionale,   con   la   ricordata  sentenza  n.  119/1991,  gia'
 ricordata, ha anche ritenuto costituzionale la non pensionabilita' di
 un'indennita' (l'indennita' di funzione dei magistrati),  benche'  di
 natura   "retributiva",   e   costituente   "componente  del  normale
 trattamento economico del magistrato", e  cio'  in  quanto  la  detta
 indennita'  e'  sottoposta  a un regime speciale, che la dichiara non
 pensionabile, non corrisposta quando non c'e' prestazione di servizio
 (ma in certi casi anche lo stipendio puo' non essere  corrisposto)  e
 istituita  per fini di valorizzazione delle funzioni giudiziarie, con
 cio'  riconoscendo  ampia   discrezionalita'   al   legislatore   nel
 determinare   quali   componenti   del  trattamento  economico  siano
 "pensionabili" e quali no.
    La sezione ritiene anche di dover sottolineare la circostanza  che
 nel  rapporto  di lavoro il trattamento di quiescenza rappresenta una
 componente di  carattere  molto  rilevante  e  che  l'art.  38  della
 Costituzione   ha   voluto   espressamente   che  siano  preveduti  e
 assicurati, come un diritto, i mezzi per le esigenze di vita in  caso
 di  infortunio,  malattia, invalidita', vecchiaia, disoccupazione. E'
 in questo senso che sembra possa essere intesa la richiesta formulata
 dalla difesa del ricorrente dott. Rossi, relativa  alla  costituzione
 di  una cassa pensioni per i dipendenti statali, nel senso appunto di
 una garanzia obbiettiva rispetto al trattamento di quiescenza, per il
 quale il lavoratore effettua versamenti durante l'intero rapporto  di
 lavoro,  che  di  regola  si  protrae  per decenni; e per il quale il
 datore di lavoro dovrebbe a sua volta effettuare versamenti adeguati.
 Nonostante la legge  n.  134/1881,  la  cassa  per  le  pensioni  dei
 dipendenti  statali  non  e'  mai stata costituita, ma, fino al 1977,
 come si e' gia' avuto  modo  di  ricordare,  lo  Stato  aveva  sempre
 onorato l'impegno dell'adeguamento delle pensioni agli stipendi.
    Ed e' di tutta evidenza come, proprio per il disposto dell'art. 38
 della Costituzione, le pensioni dei dipendenti statali debbano essere
 assistite  da  una qualche forma di garanzia obbiettiva, consistente,
 quanto meno, in una precisa delimitazione dei limiti e  dei  contorni
 della  discrezionalita' del legislatore; tanto piu' che il pensionato
 e' sprovvisto di qualsivoglia mezzo di tutela, per  l'essere  escluso
 anche  dalla contrattazione collettiva e quindi dalla possibilita' di
 far valere le proprie ragioni in tale sede.
    Per tutte le ragioni innanzi esposte la sezione ritiene  rilevante
 e   non   manifestamente   infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale - che formalmente propone - dell'art. 2 della legge  8
 agosto  1991,  n.  265,  per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della
 Costituzione.
    Il giudizio deve, quindi, essere sospeso, con  rinvio  degli  atti
 alla Corte costituzionale per la conseguente pronunzia.