Ricorso  della  provincia  autonoma  di  Bolzano,  in  persona  del
 presidente   della   giunta   provinciale   pro-tempore   dott.  Luis
 Durnwalder, giusta deliberazione della giunta n. 178 del  27  gennaio
 1991,  rappresentata  e difesa - in virtu' di procura speciale del 27
 gennaio  1991,  autenticata  dall'avv.  Giovanni  Salghetti   Drioli,
 segretario generale della giunta ed ufficiale rogante (rep. n. 16347)
 - dagli avvocati professori Sergio Panunzio e Roland Riz, e presso il
 primo  di  essi elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n.
 3, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri,  in  persona  del
 Presidente   del   Consiglio  in  carica,  per  la  dichiarazione  di
 incostituzionalita' degli artt. 4, undicesimo comma, 9, 19 e 22 della
 legge 30 dicembre 1991, n. 412, recante "Disposizioni in  materia  di
 finanza pubblica".
                               F A T T O
    E'  ben  noto  che  l'autonomia  delle  regioni  e  delle province
 autonome di Trento e Bolzano trova il suo essenziale  supporto  nella
 loro autonomia finanziaria. Onde - come e' stato affermato da codesta
 ecc.ma  Corte  fin  dalla sentenza n. 21/1956 - le regioni e province
 autonome hanno un "diritto costituzionalmente garantito"  a  disporre
 dei  mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad adempiere
 alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della  provincia
 autonoma ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art. 119
 della  Costituzione)  nello  statuto speciale della regione Trentino-
 Alto Adige (d.P.R. 31 agosto  1972,  n.  670),  spec.  artt.  69  ss.
 (titolo  VI)  -  come modificati ed integrati dalla legge 30 novembre
 1989, n. 386 - anche in relazione agli artt. 8-10, e  nelle  relative
 norme d'attuazione.
    Se  poi  si  considera  come  anche  per  le  regioni ad autonomia
 speciale e per le due province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  la
 massima  parte  delle  loro risorse finanziarie sia costituita da una
 finanza "derivata", e cioe' consistente nei  periodici  trasferimenti
 di  risorse  da  parte dello Stato, ben si comprende come non solo la
 quantita', ma anche  la  regolarita',  la  tempestivita'  e,  in  una
 parola,  l'affidabilita'  di  tali  trasferimenti  sia essenziale per
 garantire alle regioni e province autonome  una  effettiva  autonomia
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  il  buon andamento delle loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    E' esemplare, a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali
 e  provinciali  in  materia  di  sanita',  la cui spesa e' alimentata
 essenzialmente  dai  trasferimenti  annuali  provenienti  dal   Fondo
 sanitario  nazionale.  Proprio  in  relazione  a tale settore codesta
 ecc.ma Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante  dal
 rispetto  dei  valori costituzionali) che gli interventi dello Stato,
 ivi compresi quelli finanziari, siano  improntati  ad  organicita'  e
 stabilita'.  In  particolare  nella  sentenza  n.  307/1983  essa  ha
 rilevato come "il susseguirsi di anno  in  anno  di  provvedimenti  a
 carattere  contingente,  in  deroga  alla  disciplina ordinaria renda
 quanto mai disorganico e provvisorio il quadro attuale della  finanza
 regionale";  e  poi  nella  sentenza  n. 245/1984 - a proposito delle
 disposizioni in materia sanitaria contenute nella  legge  finanziaria
 1984  -  osservava  come  per  dare  una  disciplina  organica  e per
 assicurare efficienza al servizio sanitario  nazionale  "non  servono
 allo  scopo  le  leggi  finanziarie,  ne'  gli altri provvedimenti di
 carattere urgente o comunque contingente:  la'  dove  sono  in  gioco
 funzioni  e  diritti  costituzionalmente  previsti  e  garantiti,  e'
 infatti indispensabile superare la prospettiva del puro  contenimento
 della  spesa  pubblica,  per assicurare la certezza del diritto ed il
 buon andamento delle pubbliche amministrazioni,  mediante  discipline
 coerenti e destinate a durare nel tempo".
    Non  si puo' certo dire che lo Stato si sia dimostrato sensibile a
 tali ammonimenti. In particolare per quanto riguarda il servizio e la
 spesa sanitaria lo  Stato  ha  continuato  ad  emanare  tentativi  di
 riforme  per lo piu' abortite (i decreti-legge 25 marzo 1989, n. 111,
 e 29 maggio 1989, n. 189, non convertiti  in  legge),  ed  interventi
 "tampone"  di  vario  genere,  per  lo piu' adottati con lo strumento
 improprio  del  decreto-legge  (nonostante  i  moniti  che,  anche  a
 proposito  del  cattivo  uso  di  tale strumento, sono stati fatti da
 codesta ecc.ma Corte: sent. n. 245/1984).
    Fra i vari interventi di questo genere, dobbiamo ricordare,  anche
 perche' ad esso si collega la disciplina della legge n. 412/1991 oggi
 impugnata, il d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415 (poi convertito in legge
 28  febbraio 1990, n. 38). In particolare il primo comma dell'art. 19
 del decreto-legge n. 415/1989 stabiliva che  "A  decorrere  dall'anno
 1990  alle  regioni  a  statuto speciale e alle provincie autonome di
 Trento e di Bolzano le  assegnazioni  di  parte  corrente  del  fondo
 sanitario  nazionale  sono  ridotte,  tenuto  conto del livello delle
 compartecipazioni  ai  tributi  statali  risultanti  dai   rispettivi
 ordinamenti,  del 20 per cento per la regione Valle d'Aosta, e per le
 province autonome di Trento e di Bolzano, del 10  per  cento  per  le
 regioni  Sicilia  e  Friuli-Venezia  Giulia  e del 5 per cento per la
 regione Sardegna".
    Tale disciplina legislativa venne  a  suo  tempo  impugnata  dalla
 provincia  autonoma  ricorrente, soprattutto perche' essa, operando a
 suo carico dei tagli assai consistenti ai  trasferimenti  finanziari,
 in  relazione  ad  attivita' e spese che peraltro la provincia stessa
 deve comunque effettuare (per vincolo costituzionale o di legge dello
 Stato), ne violava gravemente l'autonomia:  sia  quella  finanziaria,
 sia quella "funzionale" (costringendola in ogni caso a coprire quelle
 spese  sottraendo proprie risorse finanziarie ad altre destinazioni e
 comprimendo e pregiudicando il livello e la  qualita'  dell'esercizio
 delle funzioni e dei servizi).
    Ma,  com'e'  noto,  con la sentenza n. 381 del 1990 codesta ecc.ma
 Corte dichiaro' non fondata la suddetta  questione  (sollevata  anche
 dalla provincia autonoma di Trento e da tutte le regioni ad autonomia
 speciale),  pur  confermando,  peraltro, i principi sopra richiamati,
 gia' enunciati nella precedente giurisprudenza. Ed in realta' codesta
 ecc.ma, in quella sentenza, non nego' che, in effetti, l'art. 19  del
 d.-l.  n.  415/1989  determinasse  un  grave squilibrio nella finanza
 delle province autonome  e  delle  regioni  a  statuto  speciale;  ed
 affermo'  anche  che  la  specificita'  della  loro  autonomia  "deve
 riflettersi anche sul piano finanziario, nel senso che le  regioni  e
 le province autonome cui la Costituzione e gli statuti assegnano piu'
 ampie  e  significative  competenze  debbono essere messe in grado di
 avere  a  disposizione  risorse  finanziarie  maggiori  e,  comunque,
 adeguate  alla  piu'  elevata quantita' e qualita' delle attribuzioni
 loro spettanti".
    Ma cio' che, secondo la motivazione  della  sentenza  n.  381/1990
 (spec.  n.  5 della motivazione "in diritto"), valse ad escludere una
 dichiarazione  di  incostituzionalita'  dell'art.  19  del  d.-l.  n.
 415/1989  fu  essenzialmente  il  carattere  di "provvisorieta'" e di
 "urgenza"  che  a  quella   disciplina   legislativa   venne   allora
 riconosciuta.  Una  disciplina  che - come allora fu detto da codesta
 ecc.ma Corte - si giustificava in quanto "propedeutica" rispetto agli
 imminenti  "futuri   aggiustamenti   che   verranno   definitivamente
 apportati  a seguito di trattative del Governo con le singole regioni
 (o  province)  ad  autonomia  differenziata  e  nell'ambito  di   una
 riconsiderazione  globale  della materia, basata su piu' approfondite
 analisi del rapporto tra i flussi finanziari esistenti fra lo Stato e
 le regioni (e le province  autonome)  e  le  funzioni  esercitate  da
 queste  ultime".  E  la  sentenza n. 381/1990 non manco' di precisare
 anche   che   gli   strumenti  normativi  appropriati  per  stabilire
 finalmente una  disciplina  che  realizzasse  un  equilibrio  tra  le
 risorse  finanziarie  assegnate  alle  regioni  (e  alle province) ad
 autonomia differenziata e i piu'  complessi  compiti  assegnati  alle
 medesime  sono  costituiti  non  gia'  da  provvedimenti  legislativi
 contingenti, episodici e  frammentari,  ma  invece  "dalle  norme  di
 attuazione  e  dalle  leggi  previste  dagli statuti per la revisione
 delle proprie norme finanziarie".
    Ma due anni dopo il d.-l. n. 415/1989, anziche'  la  preannunciata
 revisione  globale della vigente disciplina della finanza provinciale
 e del rapporto fra entrate e spese, sulla base di apposite trattative
 fra governo e provincia autonoma e mediante  lo  strumento  normativo
 costituzionalmente  corretto,  si  e'  avuto  invece  in  materia  un
 ennesimo intervento "contingente": prova  ulteriore,  se  mai  ce  ne
 fosse stato bisogno, che troppe volte il legislatore rende definitivo
 cio' che invece doveva essere provvisorio.
    Ci  riferiamo,  appunto,  alla  recente legge 30 dicembre 1991, n.
 412, recante "Disposizioni in materia di finanza  pubblica",  con  la
 quale  il  Parlamento,  dopo  una tormentata gestazione, ha stabilito
 delle norme sulla manovra finanziaria per l'anno in corso.
    Fra le disposizioni contenute nella legge n. 412/1991,  fa  spicco
 l'undicesimo  comma  dell'art.  4, il quale recita: "Per le regioni a
 statuto speciale e per le province autonome di Trento e  di  Bolzano,
 le  misure  del  20 per cento, del 10 per cento e del 5 per cento, di
 cui all'art. 19, primo comma, del d.-l. 28  dicembre  1989,  n.  415,
 convertito,  con  modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 38,
 sono sostituite, rispettivamente, dal 28 per cento, dal 14 per  cento
 e  dal  7  per  cento.  Per il finanziamento degli oneri a carico dei
 rispettivi bilanci conseguenti alle riduzioni disposte  dal  predetto
 art. 19, le regioni e le province autonome possono assumere mutui con
 istituti  di  credito  nel  rispetto  dei limiti massimi previsti dai
 rispettivi statuti e dalle vigenti disposizioni".
    Tale disposizione della legge n. 412/1991,  cosi'  come  le  altre
 gia'  indicate in epigrafe e che verranno successivamente illustrate,
 sono incostituzionali  e  lesive  delle  competenze  della  provincia
 autonoma  di  Bolzano, che pertanto le impugna, per i seguenti motivi
 di
                             D I R I T T O
    1. - Violazione, da parte dell'art.  4,  undicesimo  comma,  della
 legge impugnata, delle competenze provinciali di cui agli artt. 8 e 9
 (in  particolare  9,  primo  comma,  n.  10); 16, primo comma; 69 ss.
 (titolo VI, come modificato ed  integrato  dalla  legge  30  novembre
 1989,  n.  386,  spec.  art.  5);  e  104  dello statuto speciale del
 Trentino-Alto Adige e delle relative norme d'attuazione (spec. d.P.R.
 31 agosto 1972, n. 670) e delle relative  norme  d'attuazione  (spec.
 d.P.R.  28  marzo  1975,  n.  474; e d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197);
 nonche' degli artt. 3, 81, 116 e 119 della Costituzione.
    1.1. - Come si e' visto, l'art. 4, undicesimo comma,  della  legge
 n.  412/1991  riduce  ulteriormente  (dal  20)  al  28  per  cento le
 assegnazioni alla provincia della parte corrente del fondo  sanitario
 nazionale, di cui all'art. 51 della legge n. 833/1978.
    Un aspetto essenziale della disciplina impugnata sta nel fatto che
 con   essa  lo  Stato  (aggravando  la  situazione  gia'  determinata
 dall'art. 19 del d.-l. n. 415/1989)  ha  ulteriormente  ridotto  alla
 provincia  le risorse che ad essa sono peraltro necessarie al fine di
 effettuare  prestazioni  di  servizi e correlative spese obbligatorie
 per la provincia stessa: prestazioni e spese del tutto "rigide" nella
 loro  entita'  e,  comunque,  non  dipendenti  da   autonome   scelte
 provinciali, ma piuttosto da determinazioni dello Stato.
    In  altri  termini,  con  tale disciplina si pone ancora di piu' a
 carico della  provincia  la  spesa  sanitaria,  senza  che  pero'  la
 provincia abbia gli strumenti per controllarla e tano meno ridurla; e
 quindi  la  si costringe a coprire il deficit risultante da tagli nei
 trasferimenti del  fondo  sanitario  o  ricorrendo  all'indebitamento
 (come  suggerisce  lo  stesso  art.  4, undicesimo comma, impugnato),
 oppure destinando a tali spese le  risorse  finanziarie  proprie  che
 debbono  quindi  essere  distoltre dai loro impieghi, cosi' riducendo
 altri tipi di interventi provinciali, ostacolando  l'esercizio  delle
 normali   funzioni   della   provincia,   impedendole  una  razionale
 programmazione degli interventi, sconvolgendo le stesse previsioni di
 bilancio.
    Che la provincia non abbia effettivi  poteri  di  controllo  sulla
 spesa  sanitaria  e'  cosa  sin  troppo  nota  per  indugiare  qui ad
 analitiche dimostrazioni. Salvo  ritornare  sul  punto  in  ulteriori
 scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi.
    Per  quanto  riguarda  le  funzioni  ospedaliere,  sia  i  livelli
 retributivi che in genere il trattamento del personale non  dipendono
 dalla  provincia  (ma  sono  regolati  da accordi stipulati a livello
 nazionale); anche le spese per acquisti di beni e  servizi  dipendono
 essenzialmente  da necessita' obiettive e dal livello dei prezzi. Per
 quanto  riguarda  l'assistenza  farmaceutica  spetta  allo  Stato  il
 controllo  sui  prezzi  dei  prodotti farmaceutici, l'inserimento nel
 prontuario terapeutico, la disciplina dei  tiket.  Anche  per  quanto
 riguarda  l'assistenza  specialistica  e  la  medicina  di base, e' a
 livello statale che vengono predisposte le convenzioni con  i  medici
 privati.  Cosi'  come,  in  genere,  e'  sempre a livello statale che
 vengono stabiliti gli standards dei servizi sanitari.
    Tutto cio', del resto, e' ben noto  a  codesta  ecc.ma  Corte,  la
 quale  gia'  in  passato  (sent.  n.  245/1984, e poi n. 452/1989) ha
 rilevato  come  "non  si  puo'  presuppore  'che  le  amministrazioni
 regionali  portino  ( ..) l'effettiva responsabilita' degli eventuali
 disavanzi delle U.S.L.' in quanto gran parte della spesa sanitaria e,
 fra questa,  gli  oneri  derivanti  dalle  prescrizioni  mediche,  si
 formano  indipendentemente  dalle  scelte  regionali  (e dalle stesse
 deliberazioni  degli  organi  di  gestione  delle  unita'   sanitarie
 locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti
 costituzionalmente  garantiti  e,  quindi, essenzialmente a scelte di
 ordine  generale   degli   organi   centrali   di   governo   dettate
 dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i cittadini".
    Ed  ha  poi  ribadito  (sent.  n.  452/1989) che la garanzia della
 autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non
 possano essere addossati al bilancio regionale  (o  provinciale)  gli
 oneri  derivanti  da  decisioni non imputabili alla regione stessa (o
 alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza  di
 tutelare  interessi  pubblici o diritti costituzionali dei cittadini,
 la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e  non
 certo quella essenziale - alla regione".
    E'  appena  il  caso di osservare, a questo punto, che il senso di
 queste osservazioni non e' certo quello di contestare  la  necessita'
 di un intervento dello Stato per il risanamento della spesa pubblica.
 Ne'  si ritiene, evidentemente, che le regioni e le province autonome
 non debbano essere chiamate a sopportare anch'esse  l'onere  in  modo
 proporzionale.  Il  problema  e' piuttosto un altro (come gia' si era
 detto  in  occasione  dell'impugnativa  dell'art.  19  del  d.-l.  n.
 415/1989).  Ed e' che l'onere non puo' essere caricato esclusivamente
 sulle regioni a statuto speciale e sulle due  province  di  Trento  e
 Bolzano.  E  che  se il governo vuole risanare il deficit della spesa
 sanitaria lo dovra'  fare,  in  primo  luogo,  riformandone  in  modo
 organico  -  come e' di sua competenza - le strutture, i servizi, gli
 standards, la disciplina del personale  del  servizio  sanitario,  il
 tutto  in  modo  da  ridurre  le  spese;  e  solo a seguito di questo
 riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece
 - come pretenderebbe di fare il governo con la disciplina impugnata -
 lasciando immutate la regolamentazione  del  servizio  e  la  entita'
 degli oneri, e pero' riducendo ulteriormente i relativi finanziamenti
 alle  sole  regioni  a statuto speciale e province autonome, e quindi
 scaricando su di esse (e solo su di esse) il costo e  le  conseguenze
 della manovra finanziaria.
    Una  siffatta  disciplina,  che  fa  gravare  ancora di piu' sulla
 provincia ricorrente la responsabilita' della spesa per  un  servizio
 volto  a  soddisfare  un  diritto costituzionale dei cittadini, senza
 fornire pero' ad essa i mezzi  finanziari  necessari,  ne'  strumenti
 rilevanti  per  il  controllo ed il governo della spesa stessa, viola
 dunque, ad un tempo, il principio costituzionale di ragionevolezza  e
 quello di autonomia finanziaria della provincia, specie (ma non solo)
 in  materia  di  sanita'  (artt.  9,  n.  10,  16,  e titolo VI dello
 statuto);  ed  al  tempo  stesso  viola  il  principio  di  copertura
 finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione.
    Un  principio,  quest'ultimo,  che  si  estende  anche  alle spese
 accollate dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico  allargato,
 e  del  quale  e' puntuale espressione l'art. 27 della legge 5 agosto
 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto
 forma di minori entrate, a carico dei bilanci degli enti  di  cui  al
 precedente  art.  25 devono contenere la previsione dell'onere stesso
 nonche'  l'indicazione  della  copertura  finanziaria   riferita   ai
 relativi  bilanci  annuali  e pluriennali". Un principio alla stregua
 del quale la  ultronea  previsione  -  contenuta  nella  disposizione
 impugnata  -  della  possibilita'  per  la  provincia  ricorrente  di
 contrarre mutui per  coprire  i  maggiori  oneri  appare  francamente
 derisoria,  prima  ancora  che  elusiva  del dettato del quarto comma
 dell'art. 81 della Costituzione.
    La fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  invero,  nella
 giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte, che in piu' occasioni (ma
 spec. con le gia' citate sentenze n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio
 facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e  la
 responsabilita'    della    relativa    spesa    ha   dichiarato   la
 incostituzionalita' di norme legislative  statali  con  le  quali  si
 veniva  a  far  gravare  sui  bilanci  delle regioni e delle province
 autonome (senza disporre i corrispondenti  trasferimenti  di  risorse
 finanziarie)  spese  necessarie  per  il  funzionamento  del servizio
 sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro  a
 tali  enti,  o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo
 le  regioni  stesse  (e  le province autonome) a prelevare le risorse
 necessarie a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art.  8
 della  legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o dalle
 corrispondenti entrate di  parte  corrente  previste  dai  rispettivi
 ordinamenti  (per  le  altre regioni a statuto speciale e le province
 autonome) o comunque dalla finanza "propria".
    Riassumendo.  La  disciplina  stabilita  dall'art.  4,  undicesimo
 comma,  della  legge  impugnata  e' dunque incostituzionale, in primo
 luogo, perche' essa viola il principio della  copertura  della  spesa
 stabilita  dall'art.  81,  quarto  comma,  della  Costituzione,  come
 esplicitato ed attuato anche dall'art. 27 della legge n. 468/1978, in
 quanto essa accolla  alla  provincia  ricorrente  nuove  spese  senza
 prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte.
    Cosi'  facendo  la  disciplina  impugnata  viola, al tempo stesso,
 l'autonomia finanziaria della provincia in materia - in primo luogo -
 di sanita' (artt. 9, n. 10, 16 e titolo  VI  dello  statuto,  nonche'
 art.  119  della  Costituzione),  ma  anche  nelle  altre  materie di
 competenza propria (artt. 8-10 dello statuto). Cio'  in  quanto  tale
 disciplina,   senza   tenere  minimamente  conto  delle  esigenze  di
 coordinamento della spesa statale con quella provinciale, scarica sul
 bilancio della provincia spese di cui essa non ha il governo,  e  che
 non  possono da essa essere sostenute altro che indebitandosi, ovvero
 stornando proprie risorse finanziarie destinate ad altri settori;  e,
 quindi,  riducendo  le  capacita'  di  spesa  e  di  intervento della
 provincia anche nelle altre materie di propria competenza.
    1.2. - Come gia' si puo'  desumere  da  quanto  si  era  detto  in
 precedenza,  non  riteniamo che questa volta possa essere addotto, ad
 evitare  una  pronuncia  di   incostituzionalita'   della   impugnata
 disciplina    della    legge    n.    412/1991,   l'argomento   della
 "provvisorieta'", che valse ad evitare  l'annullamento  dell'art.  19
 del d.-l. n. 415/1989.
    La  norma  oggi  impugnata,  invero, non ha ne' il carattere della
 provvisorieta' ne' quello dell'urgenza (che  nel  caso  dell'art.  19
 poteva anche fondarsi sulla circostanza formale che si trattava di un
 d.-l.).  Non  vi e' nessun elemento nella disciplina legislativa oggi
 impugnata  che   possa   farla   ragionevolmente   considerare   come
 necessariamente  "propedeutica" rispetto ad una disciplina in itinere
 che costituisca una revisione organica della  materia.  Piuttosto  si
 potrebbe  osservare,  al  riguardo,  che  e' lo stesso persistere del
 legislatore statale in un medesimo tipo di  intervento,  di  per  se'
 inadeguato  a  regolare  la materia nel rispetto dell'autonomia delle
 regioni a statuto speciale e delle province autonome, a fare dubitare
 retrospettivamente   del   carattere   di   "provvisorieta'"   e   di
 "propedeuticita'"  precedentemente riconosciuto all'art. 19 del d.-l.
 n. 415/1989.
    Quanto poi al fine "perequativo" (cioe' il fine  di  riequilibrare
 il  rapporto  fra  i  flussi finanziari tra Stato e regioni a statuto
 speciale e province autonome, rispetto  a  quello  intercorrente  fra
 Stato  e  regioni  ad  autonomia  ordinaria)  che  nella  sentenza n.
 381/1990 si riconobbe  alla  disciplina  dell'art.  19  (e  ad  altre
 disposizioni  della  legge  n.  415/1989),  se  tale fine deve essere
 ancora oggi realizzato, la strada non e' certo  quella  percorsa  dal
 legislatore con la disciplina qui impugnata.
    Come  proprio  codesta  ecc.ma  Corte  aveva chiaramente affermato
 nella motivazione della sentenza n. 381/1990, la strada non puo'  che
 essere  quella  delle  previe  "trattative del Governo con le singole
 regioni (o province) ad  autonomia  differenziata"  e,  quindi  della
 emanazione  delle  particolari  "leggi  previste dagli statuti per la
 revisione delle proprie norme finanziarie" (nel caso della  provincia
 ricorrente si tratta dell'art. 104 dello statuto), e dalla emanazione
 di nuove "norme di attuazione" dello statuto.
    Ma  nulla  di  tutto  cio'  si  e'  avuto, appunto, nel caso della
 disciplina oggi impugnata, che non e' il frutto ne'  delle  procedure
 statutariamente previste, ne' - comunque - di quelle "trattative" che
 erano state previste nella sentenza n. 381/1990.
    1.3. - Quanto ora si e' detto, ci consente di dedurre un'ulteriore
 profilo   di   incostituzionalita'   della   disciplina   legislativa
 impugnata. Essa, infatti, si scontra con  un  fondamentale  principio
 che  -  ad  integrazione e svolgimento della disciplina del titolo VI
 dello statuto - e' stabilito dall'art.  5  della  legge  30  novembre
 1989,  n.  386  (legge,  questa,  adottata ai sensi e con la speciale
 procedura di cui all'art. 104 dello statuto). Stabilisce  infatti  il
 primo  comma  dell'art.  5 che "le province autonome partecipano alla
 ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi
 di prestazione in modo uniforme su  tutto  il  territorio  nazionale,
 secondo i criteri e le modalita' per gli stessi previsti".
    E'  pacifico  che il Fondo sanitario nazionale rientra tra i fondi
 speciali di cui all'art. 5 della legge n. 386/1989 (cosi' infatti  la
 stessa  sentenza n. 381/1989), ed e' noto come l'art. 5 di tale legge
 costituisca una norma "rinforzata", insuscettibile di essere derogata
 da leggi successive non adottate con lo stesso procedimento (sent. n.
 116/1991).
    Orbene,  non  sembra  che  la  ulteriore  discriminazione  operata
 dall'art.  4, undicesimo comma, della legge impugnata possa ritenersi
 compatibile con il principio stabilito dall'art.  5  della  legge  n.
 386/1989.  Tale  principio,  infatti,  e'  fondamentalmente diretto a
 garantire - per cio' che concerne la ripartizione  dei  fondi  -  una
 parita'  di  trattamento delle provincie autonome rispetto alle altre
 regioni (anche se, come affermato da codesta ecc.ma Corte nella sent.
 n. 381/1990, questo non significa che l'art. 5 della  legge  n.  833,
 garantisca alle province autonome "una determinata quota, vale a dire
 una   quantita'   di  risorse  finanziarie  definita  direttamente  o
 attraverso il rinvio a precisi indici".
    Cio' significa, allora, che una volta  stabiliti  da  parte  dello
 Stato  determinati indici e standards diretti a garantire uniformita'
 di livelli di prestazioni sanitarie (e riferibili ai posti letto,  al
 personale,  alla  popolazione,  ecc.),  non  vi  e'  poi  ragione  di
 discriminare stabilendo dei tagli (differenziati)  nei  trasferimenti
 del  fondo sanitario a carico delle sole regioni a statuto speciale e
 delle province autonome.
    Infatti, sia le esigenze di riequilibrio del rapporto  tra  flussi
 finanziari  esistenti  fra  lo  Stato  e  le regioni e le province ad
 autonomia differenziata, sia le  esigenze  di  carattere  perequativo
 richiamate  anch'esse nella sentenza n. 381/1990, costituiscono tutti
 problemi  che  vanno  affrontati  nelle  sedi  e  con  gli  strumenti
 appropriati.  E  questi  non  sono costituiti, appunto, dai tagli nei
 trasferimenti del fondo sanitario o  di  altri  fondi  consimili;  ma
 invece  (come  del resto gia' rilevato da codesta ecc.ma Corte) nella
 revisione  della  disciplina  delle finanze "proprie" contenuta negli
 statuti speciali  (e  nelle  norme  integrative  e  d'attuazione);  e
 soprattutto,  nel  caso  della  provincia  autonoma ricorrente, nella
 determinazione della "quota  variabile"  di  cui  all'art.  78  della
 Costituzione.
    Questo, almeno, se si vuole realmente procedere, sulla base di una
 riconsiderazione  globale  della materia, ad una piu' definizione non
 piu'  provvisoria  della  effettiva   autonomia   finanziaria   della
 provincia.
    1.4.  -  Un  ultimo  profilo  di  incostituzionalita' dell'art. 4,
 undicesimo  comma,  della  legge  impugnata   e'   costituito   dalla
 violazione  degli  artt.  3  e 116 della Costituzione. Esso, infatti,
 discrimina la provincia ricorrente, in modo del tutto irrazionale  ed
 ingiustificato,  nei  confronti delle regioni ad autonomia ordinaria,
 che non subiscono  riduzioni  di  assegnazioni  di  quote  del  fondo
 sanitario.
    Gia'  si  e' detto in precedenza, e qui lo si ribadisce, come tale
 discriminazione in peius, oltre  che  inammissibile  in  se',  e'  in
 contrasto  con  le  ragioni  della  specialita'  dell'autonomia della
 provincia ricorrente, sancita in  primo  luogo  dall'art.  116  della
 Costituzione.
    Una  discriminazione, quella ora evidenziata, che non puo' neppure
 essere  giustificata  da  finalita'  di   perequazione   finanziaria.
 Infatti,  come  gia' si e' detto, il fondo sanitario nazionale (cosi'
 come gli altri fondi di cui all'art. 5, primo comma, della  legge  n.
 386/1989)  deve  assicurare,  a  parita'  di  livelli  e standards di
 prestazioni  su  tutto  il  territorio  nazionale,  una  parita'   di
 trattamento fra regioni a statuto ordinario e regioni (e province) ad
 autonomia   differenziata,   mentre  gli  obiettivi  di  perequazione
 finanziaria  debbono  essere  perseguiti   mediante   gli   strumenti
 appropriati,  che  -  come  gia' si e' detto - sono del tutto diversi
 (modifiche delle norme finanziarie degli statuti speciali,  modifiche
 delle  norme  di  attuazione,  modifica  -  nel  caso della provincia
 autonoma ricorrente - della "quota  variabile"  ex  art.  79  statuto
 Trentino-Alto Adige).
    2. - Violazione, da parte dell'art. 9 della legge impugnata, delle
 competenze  provinciali di cui agli artt. 8, n. 1, e 16, primo comma,
 dello statuto Trentino-Alto Adige, e relative norme d'attuazione.
    L'art. 9 della legge  n.  412/1991,  intitolato  "Disposizioni  in
 materia  di lavoro straordinario", stabilisce che "a decorrere dal 1›
 luglio  1992  le  amministrazioni  pubbliche  anche  ad   ordinamento
 autonomo, gli enti locali e le unita' sanitarie locali presso i quali
 non   sono   regolarmente   operanti  strumenti  o  procedure  idonei
 all'accertamento dell'effettiva durata della prestazione  di  lavoro,
 non  possono  ricorrere a lavoro straordinario. Le regioni e le prov-
 ince autonome di Trento  e  di  Bolzano  adeguano,  entro  lo  stesso
 termine,  le norme regionali e provinciali al principio stabilito dal
 presente articolo".
    Il "principio" stabilito dall'art. 9 (che la legge  assume  essere
 vincolante  anche per la provincia autonoma ricorrente) consisterebbe
 dunque in cio',  che  le  regioni  e  le  province  autonome  debbano
 introdurre nell'ordinamento dei propri uffici e del personale ad essi
 addetto,   strumenti   o   procedure  idonee  all'accertamento  della
 effettiva durata delle prestazioni di lavoro dei dipendenti,  ed  ove
 tali  strumenti  o  procedure  non vi siano (o non siano regolarmente
 operanti), le regioni e le province autonome non possono ricorrere  a
 lavoro straordinario per il funzionamento dei propri uffici.
    Le   esigenze   che   la  norma  statale  intende  soddifare  sono
 sostanzialmente condivise dalla provincia ricorrente,  ma  spetta  ad
 essa (e non allo Stato) di soddisfarle nel suo territorio.
    La  norma in questione non costituisce un principio della materia,
 in senso proprio; comunque, meno che mai essa puo' essere qualificata
 come un principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato,  o
 come  una  norma  fondamentale  di  riforma  economico  sociale della
 Repubblica. Pertanto, nella parte in cui essa pretende di  applicarsi
 alla  provincia autonoma ricorrente, obbligandola ad adeguare ad essa
 la  propria  legislazione,  la  norma  impugnata  e'   lesiva   della
 competenza  legislativa  esclusiva che l'art. 8, n. 1), dello statuto
 Trentino-Alto Adige attribuisce alla provincia autonoma ricorrente in
 materia di ordinamento degli uffici e del personale ad essi addetto.
    La suddetta violazione della competenza provinciale e'  poi  tanto
 piu'  grave  ed  evidente  per  il  fatto  stesso  che  la disciplina
 dell'accertamento dell'effettivo  orario  di  lavoro  e'  stato  gia'
 adottato  dalla  provincia con il decreto del presidente della giunta
 provinciale 27 giugno 1991, n. 18  (regolamento  per  il  recepimento
 delle   norme  previste  dall'accordo  sull'introduzione  dell'orario
 flessibile per il personale degli  uffici  provinciali),  emanati  ai
 sensi  dell'art.  3, lett. e), della legge provinciale 13 marzo 1990,
 n. 6.
    3. - Violazione, da parte  dell'art.  19  della  legge  impugnata,
 delle  competenze provinciali di cui agli artt. 80 e 16 dello statuto
 Trentino-Alto Adige, e relative norme d'attuazione (spec.  d.P.R.  28
 marzo 1975, n. 473).
    L'art.  19 della legge n. 412/1991 (intitolato "contenimento delle
 spese degli enti locali") dispone che "1. Le  spese  sostenute  dalle
 regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunita' montane, nonche'
 dai loro consorzi e aziende, per acquisto, gestione e manutenzione di
 autoveicoli   adibiti  al  trasporto  di  persone;  spese  postali  e
 telefoniche; acquisti ed abbonamenti a pubblicazioni;  partecipazione
 a  convegni, non potranno nell'anno 1992 superare quelle previste dal
 bilancio preventivo per il 1991 di ciascun ente".
    Tale  disciplina  e'  lesiva  delle  competenze  attribuite   alla
 provincia  autonoma  ricorrente  dall'art.  80 (e dall'art. 16, primo
 comma) dello statuto.
    Questo infatti (nel testo sostituito dall'art. 7  della  legge  n.
 386/1989)  stabilisce  che "Le province hanno competenza legislativa,
 nei limiti stabiliti dall'art. 5, in materia di finanza locale".
    Spetta dunque alla legge provinciale, e non a quella  statale,  di
 stabilire,  ove  occorrano,  divieti e limiti di spese a carico degli
 enti locali, cosi' come la individuazione delle specifiche  spese  da
 controllare.  Che  si  tratti  di  materia  riservata alla competenza
 provinciale e' poi tanto piu' certo per il fatto che l'art. 1,  primo
 comma,  del  d.P.R.  28  marzo  1975,  n.  473  (recante  le norme di
 attuazione dello statuto in materia di finanza locale) stabilisce che
 spettano alla provincia le attribuzioni in ordine alle autorizzazioni
 in materia di finanza locale  "anche  ai  fini  del  risanamento  dei
 bilanci  dei  comuni",  come  e'  appunto  il  caso  della disciplina
 legislativa.
    4.  -  Violazione,  da  parte  dell'art. 22 della legge impugnata,
 delle competenze provinciali di cui agli  artt.  8,  9  e  16,  primo
 comma,   dello   statuto   Trentino-Alto   Adige   e  relative  norme
 d'attuazione.
    L'art. 22 della legge n. 412/1991 (che reca il  titolo  "Albo  dei
 beneficiari  di  provvidenze  di  natura  economica") dispone che "1.
 Oltre a quanto stabilito dalla  legge  7  agosto  1990,  n.  241,  le
 amministrazioni  dello  Stato,  le  regioni,  comprese  le  regioni a
 statuto speciale, e le province autonome di Trento e di Bolzano,  gli
 enti locali e gli altri enti pubblici sono tenuti ad istituire, entro
 il  31  marzo  1992,  l'albo  dei  soggetti,  ivi comprese le persone
 fisiche, cui  siano  stati  erogati  in  ogni  esercizio  finanziario
 contributi,  sovvenzioni,  crediti,  sussidi  e  benefici  di  natura
 economica a carico dei rispettivi bilanci. Gli albi  sono  aggiornati
 annualmente  e  trasmessi  alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
 ento il 30 aprile di ogni anno.
    2. Per ciascun soggetto che figura nell'albo viene indicata  anche
 al  disposizione  di  legge  sulla  base  della  quale hanno luogo le
 erogazioni di cui al primo comma.
    3. Gli albi istituiti ai sensi del  primo  comma,  possono  essere
 consultati  da  ogni cittadino. Le amministrazioni pubbliche preposte
 alla tenuta degli albi e la Presidenza del Consiglio dei Ministri  ne
 assicurano la massima facilita' di accesso e pubblicita'".
    Anche  per  tale  disciplina  della legge impugnata (come gia' per
 l'art. 9), la provincia ricorrente non dubita certo della  necessita'
 di   soddisfare   le   esigenze   di   pubblicita',   trasparenza  ed
 imparzialita' dell'azione amministrativa cui essa mira.  Il  problema
 e'  pero' che spetta alla provincia stessa di legiferare in tal senso
 (come ha gia' fatto) e non allo Stato.
    La "materia" disciplinata dall'art. 22 rientra,  in  primo  luogo,
 nella  competenza  a  disciplinare  l'ordinamento e l'attivita' degli
 uffici  dell'amministrazione,   ed   inoltre   nella   competenza   a
 disciplinare  l'esercizio  delle  diverse funzioni amministrative cui
 afferiscono le "erogazioni" di  cui  al  primo  comma  dell'art.  22.
 Pertanto  la  disciplina  dell'art.  22,  nella parte in cui essa sia
 applicabile anche alla provincia di  Bolzano,  e'  lesiva  della  sua
 competenza  esclusiva  in  materia  di  ordinamento dei propri uffici
 (art.  8,  n.  1),  nonche'  delle  altre  competenze,  esclusive   e
 concorrenti,  che  gli  artt.  8  e  9  ad essa riservano nelle varie
 materie interessate dalle "erogazioni" di cui all'art. 22 (come,  per
 esempio,  l'artigianato,  l'edilizia  sovvenzionata, fiere e mercati,
 trasporti,   agricoltura,   assistenza   e   beneficienza   pubblica,
 commercio,  incremento  produzione  industriale,  attivita' sportive,
 ecc.).  E'  alla  provincia  ricorrente,  dunque,   che   spetta   di
 disciplinare  le  forme  di  pubblicita'  degli  atti  concessivi  di
 contributi,  sovvenzioni,  crediti,  sussidi  e  benefici  di  natura
 economica a carico del proprio bilancio.
    Sembra  inoltre  che  non  sia conforme all'autonomia provinciale,
 come configurata dello statuto, l'imposizione  di  un  obbligo  (come
 quello  di  cui  all'ultima  parte  dell'art.  22,  primo  comma)  di
 trasmettere alla Presidenza del  Consiglio  dei  Ministri  copia  dei
 suddetti provvedimenti e dei loro beneficiari, od elenchi riassuntivi
 dei medesimi.
    Del  resto, che non spetti alla legge statale di disciplinare tale
 materia nella provincia di Bolzano e'  tanto  piu'  evidente  per  il
 fatto  che  (come  si  era  gia' anticipato) vi ha gia' provveduto la
 legge provinciale. Infatti, non solo la provincia ha  gia'  informato
 la  propria  attivita'  amministrativa  ai principi della chiarezza e
 trasparenza dell'apparato  e  della  pubblicita'  degli  atti  e  dei
 procedimenti  (legge provinciale 21 maggio 1981, n. 11, art. 1, primo
 comma,  lett.  a)  e  b));  ma  soprattutto  l'art.  8  della   legge
 provinciale  28  dicembre  1981,  n.  34  (legge finanziaria 1982) ha
 espressamente disposto la  pubblicazione  semestrale  nel  bollettino
 ufficiale  della  regione degli elenchi di ogni intervento economico,
 con indicazione, fra l'altro,  degli  estremi  del  provvedimento  di
 concessione  e  relativi  dati  di  registrazione,  del  nome o della
 ragione  sociale  e  domicilio  dei  beneficiari,   dello   scopo   e
 dell'importo globale dell'intervento finanziario concesso.