Ricorso della regione autonoma della Sardegna, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore on.le ing. Antonello Cabras, giusta delibera della giunta, n. 3/1 del 28 gennaio 1992, rappresentata e difesa - in virtu' di mandato a margine del presente atto - dall'avv. prof. Sergio Panunzio, e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3; contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica; per la dichiarazione di incostituzionalita' degli articoli 4, undicesimo comma, 9 e 22 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, recante "Disposizioni in materia di finanza pubblica". F A T T O E' ben noto che l'autonomia delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano trova il suo essenziale supporto nella loro autonomia finanziaria. Onde - come e' stato affermato da codesta ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21 del 1956 - le regioni e province autonome hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad adempiere alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della regione ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art. 119 Cost.) nello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), spec. articoli 69 ss. (titolo sesto) - come modificati ed integrati dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 - anche in relazione agli articoli 8-10, e nelle relative norme d'attuazione. Se poi si considera come anche per le regioni ad autonomia speciale e per le due province autonome di Trento e Bolzano, la massima parte della loro risorse finanziarie sia costituita da una finanza "derivata", e cioe' consistente nei periodici trasferimenti di risorse da parte dello Stato, ben si comprende come non solo la quantita', ma anche la regolarita', la tempestivita' e, in una parola, la affidabilita' di tali trasferimenti sia essenziale per garantire alle regioni e province autonome una effettiva autonomia nell'esercizio delle loro funzioni, il buon andamento delle loro amministrazioni e dei servizi pubblici di loro competenza, la programmabilita' della loro azione. E' esemplare, a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali e provinciali in materia di sanita', la cui spesa e' alimentata essenzialmente dai trasferimenti annuali provenienti dal Fondo sanitario nazionale. Proprio in relazione a tale settore codesta ecc.ma Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal rispetto dei valori costituzionali) che gli interventi dello Stato, ivi compresi quelli finanziari, siano improntati ad organicita' e stabilita'. In particolare nella sentenza n. 307/1983 essa ha rilevato come "il susseguirsi di anno in anno di provvedimenti a carattere contingente, in deroga alla disciplina ordinaria renda quanto mai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale"; e poi nella sentenza n. 245/1984 - a proposito delle disposizioni in materia sanitaria contenute nella legge finanziaria 1984 - osservava come per dare una disciplina organica e per assicurare efficienza al servizio sanitario nazionale "non servono allo scopo le leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di carattere urgente o comunque contingente: la' dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, e' infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo". Non si puo' certo dire che lo Stato si sia dimostrato sensibile a tali ammonimenti. In particolare per quanto riguarda il servizio e la spesa sanitaria lo Stato ha continuato ad emanare tentativi di riforme per lo piu' abortite (i dd.-ll. 25 marzo 1989, n. 111, e 29 maggio 1989, n. 189, non convertiti in legge), ed interventi "tampone" di vario genere, per lo piu' adottati con lo strumento improprio del d.-l. (nonostante i moniti che, anche a proposito del cattivo uso di tale strumento, sono stati fatti da codesta ecc.ma Corte: sent. n. 245/1984). Fra i vari interventi di questo genere, dobbiamo ricordare, anche perche' ad esso si collega la disciplina della legge n. 412/1991 oggi impugnata, il d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415 (poi convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 38). In particolare il primo comma dell'art. 19 del d.-l. n. 415/1989 stabiliva che "a decorrere dall'anno 1990 alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano le assegnazioni di parte corrente del fondo sanitario nazionale sono ridotte, tenuto conto del livello delle compartecipazioni ai tributi statali risultanti dai rispettivi ordinamenti, del 20 per cento per la regione Valle d'Aosta, e per le province autonome di Trento e di Bolzano, del 10 per cento per le regioni Sicilia e Friuli-Venezia Giulia e del 5 per cento per la regione Sardegna". Tale disciplina legislativa venne a suo tempo impugnata dalla regione ricorrente, soprattutto perche' essa, operando a suo carico dei tagli assai consistenti ai trasferimenti finanziari, in relazione ad attivita' e spese che peraltro la regione stessa deve comunque effettuare (per vincolo costituzionale o di legge dello Stato), ne violava gravemente l'autonomia: sia quella finanziaria, sia quella "funzionale" (costringendola in ogni caso a coprire quelle spese sottraendo proprie risorse finanziarie ad altre destinazioni e comprimendo e pregiudicando il livello e la qualita' dell'esercizio delle funzioni e dei servizi). Ma, com'e' noto, con la sentenza n. 381 del 1990 codesta ecc.ma Corte dichiaro' non fondata la suddetta questione (sollevata anche dalle province autonome di Trento e di Bolzano e da tutte le altre regioni ad autonomia speciale), pur confermando, peraltro, i principi sopra richiamati, gia' enunciati nella precedente giurisprudenza. Ed in realta' codesta ecc.ma, in quella sentenza, non nego' che, in effetti, l'art. 19 del d.-l. n. 415/1989 determinasse un grave squilibrio nella finanza delle province autonome e delle regioni a statuto speciale; ed affermo' anche che la specificita' della loro autonomia "deve riflettersi anche sul piano finanziario, nel caso che le regioni e le province autonome cui la Costituzione e gli statuti assegnano piu' ampie e significative competenze debbono essere messe in grado di avere a disposizione risorse finanziarie maggiori e, comunque, adeguate alla piu' elevata quantita' e qualita' delle attribuzioni loro spettanti". Ma cio' che, secondo la motivazione della sentenza n. 381/1990 (spec. n. 5 della motivazione "in diritto"), valse ad escludere una dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 19 del d.-l. n. 415/1989 fu essenzialmente il carattere di "provvisorieta'" e di "urgenza" che a quella disciplina legislativa venne allora riconosciuta. Una disciplina che - come allora fu detto da codesta ecc.ma Corte - si giustificava in quanto "propedeutica" rispetto agli imminenti "futuri aggiustamenti che verranno definitivamente apportati a seguito di trattative del Governo con le singole regioni (o province) ad autonomia differenziata e nell'ambito di una considerazione globale della materia, basata su piu' approfondite analisi del rapporto tra i flussi finanziari esistenti fra lo Stato e le regioni (e le province autonome) e le funzioni esercitate da queste ultime". E la sentenza n. 381/1990 non manco' di precisare anche che gli strumenti normativi appropriati per stabilire finalmente una disciplina che realizzasse un equilibrio tra le risorse finanziarie assegnate alle regioni (e alle province) ad autonomia differenziata e i piu' complessi compiti assegnati alle medesime sono costituiti non gia' da provvedimenti legislativi contingenti, episodici e frammentari, ma invece "dalle norme di attuazione e dalle leggi previste dagli statuti per la revisione delle proprie norme finanziarie". Ma due anni dopo il decreto-legge n. 415/1989, anziche' la preannunciata revisione globale della vigente disciplina della finanza regionale e del rapporto fra entrate e spese, sulla base di apposite trattative fra Governo e regione e mediante lo strumento normativo costituzionalmente corretto, si e' avuto invece in materia un ennesimo intervento "contingente": prova ulteriore, se mai che ne fosse stato bisogno, che troppe volte il legislatore rende definitivo cio' che invece doveva essere provvisorio. Ci riferiamo, appunto, alla recente legge 30 dicembre 1991, n. 412, recante "Disposizioni in materia di finanza pubblica", con la quale il Parlamento, dopo una tormentata gestazione, ha stabilito delle norme sulla manovra finanziaria per l'anno in corso. Fra le disposizioni contenute nella legge n. 412/1991, fa spicco il comma undicesimo dell'art. 4, il quale recita: "per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano, le misure del 20 per cento, del 10 per cento e del 5 per cento, di cui all'art. 19, primo comma, del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 38, sono costituite, rispettivamente, dal 28 per cento, dal 14 per cento e dal 7 per cento. Per il finanziamento degli oneri a carico dei rispettivi bilanci conseguenti alle riduzioni disposte dal predetto art. 19, le regioni e le province autonome possono assumere mutui con istituti di credito nel rispetto dei limiti massimi previsti dai rispettivi statuti e dalle vigenti disposizioni". Tale disposizione della legge n. 412/1991, cosi' come le altre gia' indicate in epigrafe e che verranno successivamente illustrate, sono incostituzionali e lesive delle competenze della regione autonoma della Sardegna, che pertanto le impugna, per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione, da parte dell'art. 4, undicesimo comma, della legge impugnata, delle competenze regionali di cui agli articoli 3, 4 (in particolare 4, primo comma; lett. i), agli artt. 5 e 6, e del titolo terzo (artt. 7-14) dello statuto speciale della Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) e delle relative norme d'attuazione; nonche' degli artt. 3, 81, 116 e 119 della Costituzione. 1.1. - Come si e' visto, l'art. 4, undicesimo comma, della legge n. 412/1991 riduce ulteriormente (dal 5) al 7 per cento le assegnazioni alla regione della parte corrente del fondo sanitario nazionale, di cui all'art. 51 della legge n. 833/1978. Un aspetto essenziale della disciplina impugnata sta nel fatto che con essa lo Stato (aggravando la situazione gia' determinata dall'art. 19 del d.-l. n. 415/1989) ha ulteriormente ridotto alla regione le risorse che ad essa sono peraltro necessarie al fine di effettuare prestazioni di servizi e correlative spese obbligatorie per la regione stessa: prestazioni e spese del tutto "rigide" nella loro entita' e, comunque, non dipendenti da autonome scelte regionali, ma piuttosto da determinazioni dello Stato. In altri termini, con tale disciplina si pone ancora di piu' a carico della regione la spesa sanitaria, senza che pero' la regione abbia gli strumenti per controllarla e tanto meno ridurla; e quindi la si costringe a coprire il deficit risultante da tagli nei trasferimenti del fondo sanitario o ricorrendo all'indebitamento (come suggerisce lo stesso art. 4, undicesimo comma, impugnato), oppure destinando a tali spese le risorse finanziarie proprie che debbono quindi essere distolte dai loro impieghi, cosi' riducendo altri tipi di interventi regionali, ostacolando l'esercizio delle normali funzioni della regione, impedendole una razionale programmazione degli interventi, sconvolgendo le stesse previsioni di bilancio. Che la regione non abbia effettivi poteri di controllo sulla spesa sanitaria e' cosi' sin troppo nota per indugiare qui ad analitiche dimostrazioni. Salvo ritornare sul punto in ulteriori scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi. Per quanto riguarda le funzioni ospedaliere, sia i livelli retributivi che in genere il trattamento del personale non dipendono dalla regione (ma sono regolati da accordi stipulati a livello nazionale); anche le spese per acquisti di beni e servizi dipendono essenzialmente da necessita' obiettive e dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo sui prezzi dei prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico, la disciplina dei ticket. Anche per quanto riguarda l'assistenza specialistica e la medicina di base, e' a livello statale che vengono predisposte le convenzioni con i medici privati. Cosi' come, in genere, e' sempre a livello statale che vengono stabiliti gli standards dei servizi sanitari. Tutto cio', del resto, e' ben noto a codesta ecc.ma Corte, la quale gia' in passato (sent. n. 245/1984, e poi n. 452/1989) ha rilevato come "non si puo' presupporre "che le amministrazioni regionali portino ( ..) l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle U.S.L.", in quanto gran parte della spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita' sanitarie locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente a scelte di ordine generale degli organi centrali di governo dettate dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i cittadini". Ed ha poi ribadito (sent. n. 452/1989) che la garanzia della autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla regione". E' appena il caso di osservare, a questo punto, che il senso di queste osservazioni non e' certo quello di contestare la necessita' di un intervento dello Stato per il risanamento della spesa pubblica. Ne' si ritiene, evidentemente, che le regioni e le province autonome non debbano essere chiamate a sopportare anch'esse l'onere in modo proporzionale. Il problema e' piuttosto un altro (come gia' si era detto in occasione dell'impugnativa dell'art. 19 del d.-l. n. 415/1989). Ed e' che l'onere non puo' essere caricato esclusivamente sulle regioni a statuto speciale e sulle due province di Trento e Bolzano. E che se il governo vuole risanare il deficit della spesa sanitaria lo dovra' fare, in primo luogo, riformandone in modo organico - come e' di sua competenza - le strutture, i servizi, gli standards, la disciplina del personale del servizio sanitario, il tutto in modo da ridurre le spese; e solo a seguito di questo riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece - come pretenderebbe di fare il Governo con la disciplina impugnata - lasciando immutate la regolamentazione del servizio e la entita' degli oneri, e pero' riducendo ulteriormente i relativi finanziamenti alle sole regioni a statuto speciale e province autonome, e quindi scaricando su di esse (e solo su di esse) il costo e le conseguenze della manovra finanziaria. Una siffatta disciplina, che fa gravare ancora di piu' sulla regione ricorrente al responsabilita' della spesa per un servizio volto a soddisfare un diritto costituzionale dei cittadini, senza fornire pero' ad essa i mezzi finanziari necessari, ne' strumenti rilevanti per il controllo ed il governo della spesa stessa, viola dunque, ad un tempo, il principio costituzionale di ragionevolezza e quello di autonomia finanziaria della regione, specie (ma non solo) in materia di sanita' (artt. 4, lett. i), 6 e titolo terzo dello statuto); ed al tempo stesso viola il principio di copertura finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Un principio, quest'ultimo, che si estende anche alle spese accollate dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico allargato, e del quale e' puntuale espressione l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente art. 25 devono contenere la previsione dell'onere stesso nonche' l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci annuali e pluriennali". Un principio alla stregua del quale la ultronea previsione - contenuta nella disposizione impugnata - della possibilita' per la regione ricorrente di contrarre mutui per coprire i maggiori oneri appare francamente derisoria, prima ancora che elusiva del dettato del quarto comma dell'art. 81 della Costituzione. La fondatezza di tali censure trova sostegno, invero, nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che in piu' occasioni (ma spec. con le gia' citate sentenze n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e la responsabilita' della relativa spesa ha dichiarato la incostituzionalita' di norme legislative statali con le quali si veniva a far gravare sui bilanci delle regioni e delle provincie autonome (senza disporre i corrispondenti trasferimenti di risorse finanziarie) spese necessarie per il funzionamento del servizio sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro a tali enti, o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo le regioni stesse (e le provincie autonome) a prelevare le risorse necessarie a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale e le provincie autonome) o comunque dalla finanza "propria". Riassumendo. La disciplina stabilita dall'art. 4, undicesimo comma, della legge impugnata e' dunque incostituzionale, in primo luogo, perche' essa viola il principio della copertura della spesa stabilita dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, come esplicitato ed attuato anche dall'art. 27 della legge n. 468/1978, in quanto essa accolla alla regione ricorrente nuove spese senza prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte. Cosi' facendo la disciplina impugnata viola, al tempo stesso, l'autonomia finanziaria della regione in materia - in primo luogo - di sanita' (artt. 4, lett. i), 6 e titolo terzo statuto, nonche' art. 119 della Costituzione), ma anche nelle altre materie di competenza propria (artt. 3-5 dello statuto). Cio' in quanto, tale disciplina, senza tenere minimamente conto delle esigenze di coordinamento della spesa statale con quella regionale, scarica sul bilancio della Regione spese di cui essa non ha il governo, e che non possono da essa essere sostenute altro che indebitandosi, ovvero stornando proprie risorse finanziarie destinate ad altri settori; e, quindi, riducendo le capacita' di spesa e di intervento della regione anche nelle altre materie di propria competenza. 1.2. - Come gia' si puo' desumere da quanto si era detto in precedenza, non riteniamo che questa volta possa essere addotto, ad evitare una pronuncia di incostituzionalita' della impugnata disciplina della legge n. 412/1991, l'argomento della "provvisorieta'", che valse ad evitare l'annullamento dell'art. 19 del d.-l. n. 415/1989. La norma oggi impugnata, invero, non ha ne' il carattere della provvisorieta' ne' quello dell'urgenza (che nel caso dell'art. 19 poteva anche fondarsi sulla circostanza formale che si trattava di un d.-l. Non vi e' nessun elemento nella disciplina legislativa oggi impugnata che possa farla ragionevolmente considerare come necessariamente "propedeutica" rispetto ad una disciplina in itinere che costituisca una revisione organica della materia. Piuttosto si potrebbe osservare, al riguardo, che e' lo stesso persistere del legislatore statale in un medesimo tipo di intervento, di per se' inadeguato a regolare la materia nel rispetto dell'autonomia delle regioni a statuto speciale e delle provincie autonome, a fare dubitare retrospettivamente del carattere di "provvisorieta'" e di "propedeuticita'" precedentemente riconosciuto all'art. 19 del d.-l. n. 415/1989. Quanto poi al fine "perequativo" (cioe' il fine di riequilibrare il rapporto fra i flussi finanziari tra Stato e regioni a statuto speciale e provincie autonome, rispetto a quello intercorrente fra Stato e regioni ad autonomia ordinaria) che nella sentenza n. 381/1990 si riconobbe alla disciplina dell'art. 19 (e ad altre disposizioni della legge n. 415/1989), se tale fine deve essere ancora oggi realizzato, la strada non e' certo quella percorsa dal legislatore con la disciplina qui impugnata. Come proprio codesta ecc.ma Corte aveva chiaramente affermato nella motivazione della sentenza n. 381/1990, la strada non puo' che essere quella delle previe "trattative del governo con le singole regioni (o provincie) ad autonomia differenziata" e, quindi della emanazione delle particolari "leggi previste dagli statuti per la revisione delle proprie norme finanziarie" (nel caso della regione ricorrente si tratta dell'art. 54, terzo comma dello statuto), e dalla emanazione di nuove "norme di attuazione" dello Statuto. Ma nulla di tutto cio' si e' avuto, appunto, nel caso della disciplina oggi impugnata, che non e' il frutto ne' delle procedure statutariamente previste, ne' - comunque - di quelle "trattative" che erano state previste nella sentenza n. 381/1990. 1.3 - Un ultimo profilo di incostituzionalita' dell'art. 4, undicesimo comma, della legge impugnata e' costituito dalla violazione degli artt. 3 e 116 della Costituzione. Esso, infatti, discrimina la regione ricorrente, in modo del tutto irrazionale ed ingiustificato, nei confronti delle regioni ad autonomia ordinaria, che non subiscono riduzioni di assegnazioni di quote del fondo sanitario. Gia' si e' detto in precedenza, e qui lo si ribadisce, come tale discriminazione in peius, oltre che inammissibile in se', e' in contrasto con le ragioni della specialita' dell'autonomia della regione ricorrente, sancita in primo luogo dall'art. 116 della Costituzione. Una discriminazione, quella ora evidenziata, che non puo' neppure essere giustificata da finalita' di perequazione finanziaria. Infatti, il fondo sanitario nazionale deve assicurare, a parita' di livelli e standards di prestazioni su tutto il territorio nazionale, una parita' di trattamento fra regioni a statuto ordinario e regioni (e provincie) ad autonomia differenziata, mentre gli obiettivi di perequazione finanziaria debbono essere perseguiti mediante gli strumenti appropriati, che - come gia' si e' detto - sono del tutto diversi (modifiche delle norme finanziarie degli statuti speciali, e quindi delle finanze regionali "proprie", e modifiche delle norme di attuazione. 2. - Violazione, da parte dell'art. 9 della legge impugnata, delle competenze regionali di cui agli artt. 3, lett. a), e 6, dello statuto della Sardegna, e relative norme d'attuazione. L'art. 9 della legge n. 412/1991, intitolato "Disposizioni in materia di lavoro straordinario", stabilisce che "a decorrere dal 1 luglio 1992 le amministrazioni pubbliche anche ad ordinamento autonomo, gli enti locali e le unita' sanitarie locali presso i quali non sono regolarmente operanti strumenti o procedure idonei all'accertamento dell'effettiva durata della prestazione di lavoro, non possono ricorrere a lavoro straordinario. Le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano adeguano, entro lo stesso termine, le norme regionali e provinciali al principio stabilito dal presente articolo". Il "principio" stabilito dall'art. 9 (che la legge assume essere vincolante anche per la regione ricorrente) consisterebbe dunque in cio', che le regioni e le provincie autonome debbano introdurre nell'ordinamento dei propri uffici e del personale ad essi addetto, strumenti o procedure idonee all'accertamento della effettiva durata delle prestazioni di lavoro dei dipendenti, ed ove tali strumenti o procedure non vi siano (o non siano regolarmente operanti), le regioni e le provincie autonome non possono ricorrere a lavoro straordinario per il funzionamento dei propri uffici. Le esigenze che la norma statale intende soddisfare sono sostanzialmente condivise dalla regione ricorrente, ma spetta ad essa (e non allo Stato) di soddisfarle nel suo territorio. La norma in questione non costituisce un principio della materia, in senso proprio; comunque, meno che mai essa puo' essere qualificata come un principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato, o come una norma fondamentale di riforma economico sociale della Repubblica. Pertanto, nella parte in cui essa pretende di applicarsi alla provincia autonoma ricorrente, obbligandola ad adeguare ad essa la propria legislazione, la norma impugnata e' lesiva della comptenza legislativa esclusiva che l'art. 3, lett. a) dello statuto della Sardegna attribuisce alla regione ricorrente in materia di ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi regionali e di stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto. La suddetta violazione della competenza regionale e' poi tanto piu' grave ed evidente per il fatto stesso che la disciplina dell'accertamento dell'effettivo orario di lavoro e' stata gia' adottata dalla regione con l'art. 20, ultimo comma, del decreto del presidente della giunta regionale 7 giugno 1990, n. 116 (norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo contrattuale del 31 maggio 1990 per il triennio 1988/1990 relativo al personale dell'amministrazione della regione autonoma della Sardegna e dei relativi enti pubblici strumentali), emanato ai sensi dell'art. 2, secondo comma, n. 5, della legge regionale 25 giugno 1984, n. 33. 3. - Violazione, da parte dell'art. 22 della legge impugnata, delle competenze regionali di cui agli artt. 3, 4, 5 e 6, dello statuto della Sardegna e relative norme d'attuazione. L'art. 22 della legge n. 412/1991 (che reca il titolo "Albo dei beneficiari di provvidenze di natura economica") dispone che "1. Oltre a quanto stabilito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, le amministrazioni dello Stato, le regioni, comprese le regioni a statuto speciale, e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali e gli altri enti pubblici sono tenuti ad istituire, entro il 31 marzo 1992, l'albo dei soggetti, ivi comprese le persone fisiche, cui siano stati erogati in ogni esercizio finanziario contributi, sovvenzioni, crediti, sussidi e benefici di natura economica a carico dei rispettivi bilanci. Gli albi sono aggiornati annualmente e trasmessi alla Presidenza del Consiglio dei ministri entro il 30 aprile di ogni anno. 2. Per ciascun soggetto che figura nell'albo viene indicata anche la disposizione di legge sulla base della quale hanno luogo le erogazioni di cui al primo comma. 3. Gli albi istituiti ai sensi del primo comma possono essere consultati da ogni cittadino. Le amministrazioni pubbliche preposte alla tenuta degli albi e la Presidenza del Consiglio dei ministri ne assicurano la massima facilita' di accesso e pubblicita'". Anche per tale disciplina della legge impugnata (come gia' per l'art. 9), la regione ricorrente non dubita certo della necessita' di soddisfare le esigenze di pubblicita', trasparenza ed imparzialita' dell'azione amministrativa cui essa mira. Il problema e' pero' che spetta alla regione stessa di legiferare in tal senso e non allo Stato. La "materia" disciplinata dall'art. 22 rientra, in primo luogo, nella competenza a disciplinare l'ordinamento e l'attivita' degli uffici dell'amministrazione, ed inoltre nella competenza a disciplinare l'esercizio delle diverse funzioni amministrative cui afferiscono le "erogazioni" di cui al primo comma dell'art. 22. Pertanto la disciplina dell'art. 22, nella parte in cui essa sia applicabile anche alla regione Sardegna, e' lesiva della sua competenza esclusiva in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 3, lett. a), dello statuto), nonche' delle altre competenze, esclusive, concorrenti, ed integrative che gli artt. 3, 4 e 5 ad essa riservano nelle varie materie interessate dalle "erogazioni" di cui all'art. 22 (come, per esempio, l'artigianato, l'edilizia sovvenzionata, trasporti, agricoltura, assistenza e beneficienza pubblica, commercio, industria, linee marittime, ecc.). E' alla regione ricorrente, dunque, che spetta di disciplinare le forme di pubblicita' degli atti concessivi di contributi, sovvenzioni, crediti, sussidi e benefici di natura economica a carico del proprio bilancio. Sembra inoltre che non sia conforme all'autonomia regionale, come configurata dello statuto, l'imposizione di un obbligo (come quello di cui all'ultima parte dell'art. 22, primo comma) di trasmettere alla Presidenza del Consiglio dei ministri copia dei suddetti provvedimenti e dei loro beneficiari, od elenchi riassuntivi dei medesimi.