Ricorso della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta sig. Mario Malossini, autorizzato con delibera della giunta provinciale n. 528 del 27 gennaio 1992, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da mandato speciale a rogito del notaio Pierluigi Mott di Trento in data 27 gennaio 1992, n. 57261 di rep., contro il presidente del consiglio dei ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 4, undicesimo comma, e 19 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, recante "disposizioni in materia di finanza pubblica", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 1991. L'art. 4, undicesimo comma, della legge n. 412/1991 stabilisce che "per le regioni a statuto speciale e per le provincie autonome di Trento e di Bolzano, le misure del 20 per cento, del 10 per cento e del 5 per cento, di cui all'art. 19, primo comma, del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 38, sono sostituite, rispettivamente, dal 28 per cento, dal 14 per cento e dal 7 per cento. Per il finanziamento degli oneri a carico dei rispettivi bilanci conseguenti alle riduzioni disposte dal predetto art. 19, le regioni e le province autonome possono assumere mutui con istituti di credito nel rispetto dei limiti massimi previsti dai rispettivi statuti e dalle vigenti disposizioni". Come e' noto, l'art. 19 del d.-l. n. 415/1989 ha disposto, a decorrere dal 1990, una riduzione delle assegnazioni di parte corrente del fondo sanitario nazionale a favore delle regioni ad autonomia speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano: riduzione che per queste ultime e' del 20 per cento. Tale riduzione, disposta dal legislatore statale "tenuto conto del livello della compartecipazioni ai tributi statali risultanti dai rispettivi ordinamenti", e' stata ritenuta non illegittima da questa Corte con la sentenza n. 381/1990, in quanto "avente il fine di riequilibrare, nei campi considerati, gli effetti distorcenti prodottisi nei flussi finanziari tra Stato e regioni nel corso degli anni precedenti all'emanazione del decreto legge", e quindi non arbitraria e irragionevole "sia con riferimento al raffronto con le regioni a statuto ordinario, sia con riguardo agli effetti sull'equilibrio finanziario degli enti ad autonomia differenziata a seguito della manovra contestata". Ora pero' il legislatore statale ha disposto, con la norma qui impugnata, una ulteriore riduzione dell'otto per cento, la quale non trova alcun fondamento ne' alcuna giustificazione in modifiche della situazione di fatto o normativa che siano intervenute successivamente al d.-l. n. 415/1989. E' innegabile infatti che il finanziamento relativo alla quota del fondo sanitario nazionale debba continuare ad essere assicurato alla provincia autonoma, in quanto si tratta di un fondo istituito "per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale" (art. 5, primo comma della legge 30 novembre 1989, n. 386: cfr. sul punto sentenza n. 381/1990, punto 8 del considerato in diritto). Ora, una ulteriore riduzione della quota spettante, in base ai parametri oggettivi di fabbisogno, alle province autonome, in tanto potrebbe essere ritenute non artitraria e irragionevole, in quanto facesse seguito ad ulteriori squilibri prodottisi nei flussi finanziari a vantaggio di questi enti. Ma nulla di tutto cio' e' intervenuto nel periodo successivo al d.-l. n. 415/1989. E pertanto l'ulteriore riduzione della quota del fondo attribuita alla provincia non si rivela frutto di una ragionevole manovra di riequilibrio, ma di una semplice arbitraria sottrazione, in nessun modo giustificata, di una entrata cui la provincia ha diritto in quanto afferente ad un fondo destinato per eccellenza a garantire livelli uniformi di prestazioni sul territorio, quale e' il fondo sanitario. Che la riduzione sia ingiustificata, e' confermato dalla previsione stessa del legislatore, secondo cui le province autonome, per finanziare gli oneri conseguenti alla riduzione, possono assumere mutui. Cio' significa che si da' per scontato che la spesa provinciale per la sanita' non possa ridursi, e che la provincia non disponga di altre risorse idonee a compensare la riduzione del fondo sanitario, cosi' da essere costretta a ricorrere all'indebitameto. Ma cio' significa, appunto, violare indebitamente l'autonomia finanziaria e di spesa della provincia comprimento i margini di ricorso al credito che per essa rappresentano l'unica possibilita' di manovra per accrescere le spese di investimento. Tali margini verrebbero infatti erosi da esigenze di spesa corrente, con conseguente illegittima compressione della capacita' di spesa e dell'autonomia della provincia medesima, che si esprime soprattutto nella possibilita' di effettuare spese di investimento. Inoltre, costringere a ricorrere a mutui per finanziarie spese correnti (sanitarie) significa indurre una alterazione grave e permanente nell'equilibrio complessivo della finanza provinciale. L'art. 19 della legge n. 412/1991 stabilisce che "le spese sostenute dalle regioni, dalla province, dai comuni, dalle comunita' montane nonche' dei loro consorzi e aziende, per acquisto, gestione e manutenzione di autoveicoli adibiti al trasporto di persone; spese postali e telefoniche; acquisto ed abbonamenti a pubblicazioni; partecipazione a convegni, non potranno nell'anno 1992 superare quelle previste dal bilancio preventivo per il 1991 ci ciascun ente". Il vincolo o "tetto" di spesa, a quanto sembra, riguarda distintamente ciascuna delle voci considerate, e non solo il complesso delle medesime (che comprendono d'altronde spese di natura assai differenziata). Non e' chiaro se tale disposizione si applichi anche alle province autonome e alle regioni a statuto speciale. Non e' poi chiaro il riferimento agli "autoveicoli adibiti al trasporto di persone", espressione con la quale probabilmente il legislatore ha inteso riferirsi alle autovetture di servizio, ma che, per la sua latitudine, sembrerebbe letteralmente comprendere anche i mezzi automobilistici adibiti a trasporto collettivo di persone, come gli autobus (con il che pero' si avrebbe un "tetto" di spesa del quale sarabbe impossibile cogliere il significato). In ogni caso, nell'ipotesi in cui tale disposizione si dovesse intendere come applicabile anche alla provincia ricorrente, il vincolo in questione e' palesemente lesivo dell'autonomia legislativa, organizzativa, finanziaria e di spesa della provincia medesima. Le spese in questione attengono all'ordinario funzionamento dell'apparato provinciale, e la loro determinazione consegue dunque ai criteri della organizzazione degli uffici provinciali (art. 117, prima alinea, della Costituzione), nonche' ad attivita' strumentali rispetto all'esercizio di tutte le competenze provinciali. Non si vede a quale titolo lo Stato possa pretendere di imporre alla provincia uno specifico vincolo alla crescita di tali spese, che si traduce in un abnorme vincolo alle attivita' organizzative e di funzionamento dell'apparato provinciale. La disposizione in esame non potrebbe nemmeno giustificarsi in nome di esigenze di coordinamento finanziario. Il potere statale di coordinamento finanziario puo' esercitarsi, in ipotesi, dettando indirizzi o criteri o vincoli complessivi, mai intervenendo su specifiche attivita' di spesa. Ma, soprattutto, il potere di coordinamento puo' attenere solo allo sviluppo globale della finanza provinciale (che lo Stato controlla strettamente, d'altra parte, dal lato dell'entrata), non alle scelte di destinazione delle risorse all'interno delle finalita' dell'ente, oggetto delle libere determinazioni degli organi provinciali. D'altra parte, l'imposizione di limiti massimi alle spese postali, o per partecipazione a convegni, potrebbe - in via di mera ipotesi - essere misura ragionevole se adottata da un capo di amministrazione nei confronti degli uffici da lui dipendenti, al fine di contenere eventuali sprechi. Ma una simile direttiva amministrativa non puo' certo configurarsi ne' giustificarsi come un vincolo che lo Stato possa porre all'autonomia di spesa, costituzionalmente garantita, delle province autonome. Il vincolo in questione si traduce di fatto in un illegittimo ostacolo allo svolgimento dell'attivita' della provincia, strumentale all'esercizio delle sue attribuzioni. In molti casi, oltre tutto, imporre di non superare la spesa del 1991 significa imporre di ridurre l'attivita' che da' luogo a spesa, in quanto, a parita' di attivita', questa costerebbe di piu' che nel 1991, se non altro perche' sono aumentate, nel corso di tale anno, le relative tariffe (cosi' le tariffe postali e quelle telefoniche). Senza dire, infine, che il vincolo in questione appare del tutto irrazionale, e non solo per l'arbitraria scelta dei capitoli di spesa considerati. Cosi' potrebbe accadere, per esempio, che si prospettino per una regione o provincia, nel 1992, esigenze di spesa per acquisto di autoveicoli particolarmente elevate in vista della obsolescenza dei veicoli in servizio; o che, viceversa, nel 1991 tale spesa sia stata particolarmente ridotta, ad esempio perche' le autovetture potrebbero essere state recentemente acquistate. E si potrebbe proseguire facilmente in questa esemplificazione. Ancora, e' assurda un siffatto vincolo esterno (non derogabile) a spese che non sono rigidamente programmabili a priori nella loro entita' (raggiunto il "tetto", che cosa fara' l'amministrazione: smettera' di scrivere o di telefonare, o non fara' riparare gli autoveicoli?). Non parliamo, poi, delle assurde conseguenze che tale tipo di vincolo potrebbe produrre nell'ambito non gia' di un ente di grande dimensione, come e' la provincia ma di una piccola azienda da essa dipendente, in cui le voci di spesa considerate possono essere assai contenute: eppure la disposizione in esame pone il vincolo con riferimento al bilancio 1991 "di ciascun ente". E' singolare notare come la disposizione impugnata sia sostanzialmente ricalcata nell'art. 23, quarto comma, lett. c), del recentissimo d.-l. 20 gennaio 1992, n. 11, contenente "disposizioni urgenti in materia di finanza locale per il 1992): il quale vieta alle regioni che ricorrono ai mutui straordinari a ripiano dei disavanzi di amminsitrazione, autorizzati dal primo comma dello stesso art. 23, di impegnare per le stesse voci di spesa (oltre che "per consulenza esterna") somme superiori a quelle relative all'anno precedente a quello di contrazione dei mutui. In tale ultimo contesto la disposizione (per quanto molto discutibile) si prospetta come una sorta di "sanzione" a carico della regione "dissestata". Ma non ha evidentemente alcun senso imporre un analogo vincolo a regioni e province che "dissestate" non sono, e non fanno ricorso a strumenti straordinari di finanziamento del disavanzo di amministrazione. Pure sotto questo profilo appare evidente l'illegittimita' della disposizione in questione, anche per violazione dell'art. 3 della Costituzione, essendosi riservato un trattamento identico a situazioni che sono invece diverse (regioni che presentano disavanzi di consuntivo e ricorrono agli speciali mutui a ripiano, ed enti che non presentano tali disavanzi). Si tratta, in definitiva, di una sorta di "disposizione-manifesto" volta forse a rispondere alle frequenti accuse di sprechi che si rivolgono alla pubblica amministrazione. Ma e' evidente che intenti demagogici di tale tipo non possono giustificare reali e gravi lesioni dell'autonomia costituzionalmente garantita della provincia autonoma.