IL TRIBUNALE Nel procedimento di sorveglianza per la conversione della pena pecuniaria di L. 15.000.000 di multa inflitta con sentenza della Corte d'appello di Cagliari del 6 febbraio 1985 nei confronti di Bullitta Marinella nata a Sestu (Cagliari) il 18 giugno 1954 elettivamente domiciliata c/o studio Andrea Biccheddu in Cagliari, piazza Galilei, a scioglimento della riserva espressa all'udienza ritualmente svolta il 5 dicembre 1991, come da verbale in atti ha pronunciato la seguente ordinanza. Accertata la insolvibilita' della sig.ra Bullitta ai fini della evasione della pena pecuniaria come risulta dalle informazioni della polizia municipale di Cagliari del 15 ottobre 1991 in atti, occorre procedere alla conversione della multa nella sanzione sostitutiva della liberta controllata. Preso atto che con ordinanza del 10 luglio 1991, il magistrato di sorveglianza di Napoli ha sollevato d'ufficio questione di legittimita' costituzionale degli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981 nella parte in cui stabilendo un tetto massimo di durata della sanzione sostitutiva applicabile in sede di conversione della pena pecuniaria appaiono in contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 24 e 27 della Costituzione. Considerato che nel procedimento in esame deve essere applicata la disposizione di legge costituente oggetto della questione rimessa alla Corte costituzionale (ordinanza di rimessione n. 636 Gazzetta Ufficiale prima serie speciale n. 41 del 16 ottobre 1991). Ritenuta da questo giudice la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sospende il procedimento in corso e trasmette gli atti alla Corte costituzionale facendo proprie le motivazioni addotte nella ordinanza di rimessione del magistrato di sorveglianza di Napoli. In particolare osserva che l'art. 660 del c.p.p. introduce nel sistema penal-processuale una disciplina assolutamente innovativa e garantistica, giurisdizionalizzando "in toto" la fase della conversione e/o rateizzazione della pena pecuniaria, con applicazione della sanzione sostitutiva soltanto " previo accertamento della effettiva insolvibilita' del condannato". In presenza di situazioni di insolvenza, ex art. 660, quarto comma del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza, se non ritiene di dover disporre la rateizzazione " .. con l'ordinanza che dispone la conversione .. determina le modalita' delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti". Viene, quindi, chiamata in causa la normativa in materia di esecuzione e conversioni di pene pecuniarie, disposta dagli artt. 101, 102, 103 e seguenti della legge n. 689/1981. Il primo comma dell'art. 102 della legge n. 689/1981 recita: " .. La pena della multa e della ammenda non eseguita per insolvibilita' del condannato si convertono nella liberta' controllata per un periodo massimo, rispettivamente, di un anno e di sei mesi". Il primo comma dell'art. 103 della legge n. 689/1981 recita: " .. Quando le pene pecuniarie devono essere convertite per insolvibilita' del condannato la durata complessiva della liberta' controllata non puo' superare un anno e sei mesi, se la pena convertita e' quella della multa e nove mesi se la pena convertita e' quella dell'ammenda". Prescindendo dalle problematiche inerenti la alternativita' della applicazione degli articoli 102 e 103 della legge n. 689/1981, atteso che l'unico elemento determinante atto ad individuare gli "spazi corrispondenti sembra essere l'aggettivo "complessiva", leggi "durata complessiva", con riserva di applicabilita' dell'art. 103 della legge n. 689/1981 in caso di pluralita' di condanne a pene pecuniarie; sorvolando, pertanto, sulle molteplicita' di interpretazioni sull'argomento con l'auspicio comunque, di un autorevole intervento della suprema Corte; gli articoli 102 e 103 della lege n. 680/1981 pongono seri dubbi di legittimita' costituzionale, in contrasto con i principi di legalita', uguaglianza e umanizzazione della pena, nella parte in cui fissando un tetto massimo di durata, valido erga omnes, non tengono in debita considerazione la entita', rilevanza e gravita' della pena pecuniaria in concreto irrogata con sentenza di condanna. Restano, invero, superate le perplessita' costituzionali inerenti la conversione della pena pecuniaria in una sanzione, che senza essere detenzione, comporta pur sempre una restrizione della liberta' personale, vuoi la liberta' controllata, vuoi il lavoro sostitutivo, atteso che la Corte costituzionale nella sentenza n. 131/1979 non ha voluto considerare illegittima ogni forma di conversione, ma si e' limitata a dichiarare la illegittimita' costituzionale di quella particolare configurazione della conversione "retaggio di concezioni arcaiche" contenute nel codice del 1930. La medesima Corte nella sentenza n. 108/1987 riconosce che la legge n. 689/1981, realizzata sulla base dell'indirizzo costituzionale espresso nella sentenza n. 131/1979, attua quel bilanciamento di valori costituzionali, principio di legalita' ed uguaglianza anche in carenza di meccanismi di adeguamento alle con- crete condizioni economiche del condannato. In effetti la Corte, nella sentenza n. 131/1979, precisava che, una volta accertata la necessita' della conversione, il rispetto del principio di uguaglianza pur nella inevitabilita' di misure succedanee alle pene pecuniarie non corrisposte di indubbia maggiore gravita', potrebbe richiedere una riduzione minima di tale divieto. Il che sarebbe soddisfatto con l'agevolazione dell'adempimento della pena pecuniaria medesima, leggi rateizzazione, e tetto massimo di durata delle misure applicate in sostituzione, lavoro e liberta' controllata, si' da evitare restrizioni di piu' lungo momento. Bilanciamento di valori costituzionali, attuato nella legge n. 689/1981, cui il nuovo codice di procedura penale reca suffragio ulteriore con il disposto dell'art. 660, terzo comma, laddove sancisce la necessita' dell'accertamento della effettiva insolvibilita' anche al momento della scadenza della singola rata, nel caso di pena rateizzata, si' da ricondurre la disciplina della conversione della pena rateale alla regola generale. Cosi' ricostituito, il complesso normativo in tema di esecuzione di pena pecuniaria sembra uscire indenne da ogni qualsivoglia attacco alla tutela dei valori costituzionali gia' indicati. Resta da determinare se la indiscriminata parita' di trattamento imposta dagli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981 pur in presenza di situazioni soggettive ed oggettive assolutamente divergenti, connesse a comportamenti consapevoli e non a circostanze contingenti, rispetta oggettivamente quei principi di uguaglianza, legalita' della pena, tanto conclamati. Va sottolineato, in via preliminare, che l'art. 660 del c.c.p., che disciplina il procedimento di conversione della pena pecuniaria, si innesta in un contesto procedurale inerente l'esecuzione della pena, ex art. 655 e seguenti del c.c.p. Il procedimento si svolge innanzi il magistrato di sorveglianza competente, ai sensi dell'art. 678, del c.p.p. il quarto comma dell'art. 660 del c.p.p. precisa che con l'ordinanza che dispone la conversione, il magistrato di sorveglianza determina le modalita' delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti. E cio', quale esplicita concretizzazione di quanto auspicato dalla Corte costituzionale nella succitata sentenza n. 108/1987, nella parte in cui evidenziava nella disciplina precedente, legge n. 689/1981 art. 55 e seguenti, le incongruenze di una distinzione delle fasi della conversione - provvedimento di conversione e determinazione delle modalita' esecutive della sanzione - demandato ad organi diversi, in cui la garanzia del contraddittorio era inversamente proporzionale all'incidenza del provvedimento sui diritti del condannato, essendo previsto un procedimento giurisdizionale per la determinazione delle modalita' di esecuzione della sanzione sostitutiva, dinanzi al magistrato di sorveglianza, mentre il provvedimento di concessione veniva emesso di ufficio dal p.m., nella piu' completa assenza di ogni garanzia costituzionale. Giurisdizionalizzazione, quindi, dell'intero procedimento di conversione della pena pecuniaria, si innesta in un contesto procedurale inerente l'esecuzione della pena, ex art. 655 e seguenti del c.p.p. Il procedimento si svolge innanzi il magistrato di sorveglianza competente, ai sensi dell'art. 578, del c.p.p. il quarto comma dell'art. 660 del c.p.p. precisa che con l'ordinanza che dispone la conversione, il magistrato di sorveglianza determina le modalita' delle sanzioni conseguenti in osservanza delle norme vigenti. E cio', quale esplicita concretizzazione di quanto auspicato dalla Corte costituzionale nella succitata sentenza n. 108/1987, nella parte in cui evidenziava nella disciplina precedente legge n. 689/1981 art. 55 e seguenti, le incongruenze di una distinzione delle fasi della conversione - provvedimento di conversione e determinazione delle modalita' esecutive della sanzione - demandato ad organi diversi, in cui la garanzia del contraddittorio era inversamente proporzionale all'incidenza del provvedimento sui diritti del condannato, essendo previsto un procedimento giurisdizionale per la determinazione delle modalita' di esecuzione della sanzione sostitutiva, dinanzi al magistrato di sorveglianza, mentre il provvedimento di concessione veniva emesso di ufficio dal p.m., nella piu' completa assenza di ogni garanzia costituzionale. Giurisdizionalizzazione, quindi, dell'intero procedimento, con un giudizio che si celebra dinanzi al magistrato di sorveglianza gia' al momento della conversione della pena pecuniaria, previo accertamento della effettiva insolvibilita' del condannato. Giurisdizionalizzazione, pero', che nasce pur nell'ambito della esecuzione di una pena, pur se pecuniaria, gia' determinata dal giudice della cognizione e irrogata con sentenza definitiva. Il magistrato di sorveglianza interviene con un procedimento di sorveglianza ai sensi dell'art. 678 del c.p.p., che richiama l'art. 666 del c.p.p., nel rispetto, pero', della normativa vigente in materia di sanzioni sostitutive, leggi artt. 101, 102, 103 e seguenti della legge n. 689/1981. Il magistrato di sorveglianza, pertanto, e' chiamato alla conversione della pena pecuniaria insoluta, nel rispetto dei limiti degli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981, sicche' la liberta' controllata o il lavoro sostitutivo imposti, non potranno superare il limite massimo, rispettivamente, di un anno e di sei mesi. Desta pero', quanto meno perplessita', dei limiti e della natura delle pene trova posto in altra parte del codice penale, vedi art. 15 e seguenti, e in altro momento procedurale, ovvero la cognizione della sentenza di condanna. Le stesse problematiche inerenti la costituzionalita' delle pene pecuniarie, fisse e proporzionali, attengono, comunque, alla fase della cognizione e della condanna, in particolare al momento della determinazione della pena; mentre gli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1z981 operano nel campo proprio della esecuzione della pena precedentemente determinata. E se e' vero, che la giurisdizionalizzazione della esecuzione della pena e' finalizzata in massima parte alla individualizzazione della pena con adeguamento della stessa alla progressiva responsabilizzazione del condannato, come dal dettato della sentenza n. 204/1974 della Corte di cassazione, fonte della normativa sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure pre- ventive e limitative della liberta', legge n. 354/1975 e successive modifiche. Se e' vero, come e' vero, che il principio di uguaglianza impone di tenere conto della necessita' che, al variare delle condizioni essenziali valutate dal giudice della cognizione, devono corrispondere entro i limiti posti dal principio di legalita', quelle modificazioni e quegli adattamenti in fase di esecuzione, idonei a soddisfare in concreto il principio di individualizzazione della pena, e' altrettanto verosimile che, nella fase della esecuzione, non possono essere introdotti limiti legislativi, che operano indipendentemente e al di la' di valutazioni strettamente penal- processuali e che di fatto, sottraggono una parte della pena al vaglio giurisdizionale. Gli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981, varati dal legislatore dal 1981 intervengono, in verita', in un momento procedurale in cui ben altri interventi legislativi, rispondendo ad altrettanta produzione giuridico-costituzionale, hanno preferito incentivare l'azione giurisdizionale a garanzia dei diritti del condannato in uno alla difesa della collettivita'. Limiti che in verita' integrano una sorta di rinunzia dello Stato alla integrale soddisfazione di quel "diritto alla pena" piu' volte richiamato nella citata sentenza n. 204/1974, in rapporto al quale lo Stato sembra disposto a subire restrizioni soltanto in presenza giurisdizionale. In effetti, l'introduzione nell'ordinamento di una complessa normativa, sia pure per tappe successive, ha condotto alla concreta possibilita' di ridefinire, in sede di esecuzione, sia la durata della pena che le modalita' della sua esecuzione con notevole ridimensionamento del principio della inderogabilita' della pena. La stessa Corte, pero', ha tenuto a precisare, nella sentenza n. 282/1989 richiamando quanto gia' ribadito nella sentenza n. 204/1974 che i casi in cui si viene ad incidere sulla qualita' e quantita' della pena, in attuazione della c.d. "pena costituzionale", trovano nella legge una solida e ragionevole garanzia giurisdizionale, lungi dal rappresentare graziose concessioni od effetto di una ingustificata rinuncia dello Stato alla ulteriore esecuzione della pena detentiva. Ne' il discorso puo' mutare soltanto perche' si verte in terma di esecuzione di una pena pecuniaria. Nessuno pone in discussione che la pena pecuniaria presenta tutti i requisiti propri della pena, afflittivita' e restrizione, ne', d'altronde, si pone in contrasto con la stessa funzione rieducatrice, come gia' affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 12/1966 e n. 67/1963. La considerazione che ha ispirato l'introduzione dei limiti previsti dagli artt. 102 e 103, ovvero la necessita' di superare le perplessita' costituzionali insite nella conversione della pena pecuniaria in una sanzione sostitutiva di indubbia maggiore afflittivita', si presenta, nell'attuale sistema penale-processuale, alla luce degli artt. 660 del c.p.p. e 101 e seguenti della legge n. 680/1981, dove le garanzie giurisdizionali abbondano e consentono una ampia tutela costituzionale in ogni momento dell'esecuzione, come un'isolata ed inutile roccaforte. E' tutto questo, anche a voler prescindere dal gravissimo nocumento che di fatto deriva dall'ottemperanza alle disposizioni de quo per quelle finalita' di prevenzione e difesa sociale, cui la pena pur sempre e' indirizzata. Non c'e' chi non vede quali vantaggi provengono dall'attuale sistema per la delinquenza organizzata, per il criminale di grosso calibro, per lo spacciatore, il sequestratore, per quei delitti, insomma, che nella loro forma piu' grave comportano la condanna in una alla reclusione, a pene pecuniarie economicamente rilevanti. Tutto lo sforzo socio-giuridico-processuale, che e' alla base di tali condanne, resta vanificato dall'ossequio doveroso agli artt. 102 e 103 della legge n. 689/1981, che con i loro tetti massimi equiparano il grosso delinquente al ladro di biciclette; con il risultato di eliminare "in toto" l'incidenza negativa di una pena pecuniaria che, altrimenti eseguita, in tutta la sua efficacia potrebbe avere effetto e conseguentemente da non sottovalutare o, quantomeno, tutte da sperimentare. La questione prospettata appare infine rilevante nel concreto nel caso in esame in quanto dalla soluzione che ad essa sara' data dipendera' la possibilita' di dare esecuzione o meno interamente alla pena pecuniaria irrogata nella sentenza di condanna. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e successive modifiche.