IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento, impugnato in via giurisdizionale col ricorso n. 737/91 proposto da Lo Passo Oscar, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Sirimarco, contro il Co.Re.Co. delle u.s.l. Catanzaro, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura dello Stato di Catanzaro e l'unita' sanitaria locale n. 4 di S. Marco Argentano, in persona del legale rappresentante pro-tempore (n.c.), per l'annullamento previa sospensione dell'esecuzione, dell'ordinanza n. 15967 del Co.Re.Co., di annullamento della delibera n. 64 in data 21 febbraio 1991 della u.s.l. n. 4 di S. Marco Argentano con la quale il dottor Lo Passo Oscar, veterinario dirigente, veniva trattenuto in servizio sino al raggiungimento dei quaranta anni di servizio utile ai fini pensionistici e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'; Visto il ricorso con i relativi allegati, nonche' gli atti tutti della causa; Vista l'istanza di sospensione del provvedimento impugnato; Udito il relatore dott. Paolo Passoni e udito altresi' l'avv. Giuseppe Sirimarco per il ricorrente, alla camera di consiglio del 4 settembre 1991; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F A T T O Il dott. Lo Passo Oscar, in servizio quale veterinario dirigente presso la u.s.l. n. 4 di S. Marco Argentano (Cosenza), il giorno 22 febbraio 1991 ha compiuto il sessantacinquesimo anno di eta'. In accoglimento della sua istanza in data 14 settembre 1990, preordinata al trattenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta' per non aver maturato il massimo della pensione, la u.s.l. n. 4 di S. Marco Argentano con delibera 64 del 21 febbraio 1991 disponeva il trattenimento in servizio del dott. Lo Passo Oscar sino al raggiungimento dei quaranta anni di servizio utili per il conseguimento del massimo della pensione. Il Co.Re.Co. per la regione Calabria, dopo aver acquisito specifici chiarimenti dalla u.s.l. procedente, con il provvedimento impugnato ha annullato la delibera n. 64 citata, sostenendo la illegittimita' della stesa " ..in quanto nessuna normativa consente il mantenimento in servizio sino al settantesimo anno dei veterinari dirigenti". A sostegno del gravame avverso il diniego tutorio vengono dedotte le seguenti censure: 1) violazione dell'art. 1, comma- 4-quinquies della legge 28 febbraio 1990, n. 37, in connessione con l'art. 47 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e con l'art. 83 del d.P.R. n. 761/1979; in buona sostanza, il ricorrente ritiene che ai sensi dell'ultima norma citata (in base alla quale al personale sanitario si applicano le disposizioni del testo unico n. 3/1957 sul personale civile dello Stato e successive modificazioni ed integrazioni, i benefici attribuiti ex legge n. 37/1990 ai dirigenti dello Stato devono intendersi ope legis estensibili anche alla dirigenza sanitaria, al contrario di quanto ritenuto dall'u.s.l. 18 di Catanzaro; 2) in via subordinata, illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 per violazione degli artt. 3, 38 e 97 della Costituzione nella parte in cui non prevede - similmente a quanto disposto dall'art. 15 della legge n. 37/1990 per i dirigenti statali - che il personale medico delle u.s.l. possa fruire, sussistendone i medesimi presupposti, del beneficio del mantenimento in servizio per raggiungere il massimo della pensione. Alla camera di consiglio del 5 settembre 1991 la parte ricorrente ha insistito sull'adozione del provvedimento cautelare di sospensione della delibera impugnata. Il tribunale con ordinanza collegiale n. 801 del 5 marzo 1991 ha disposto la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato sino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale, una volta deciso l'incidente di costituzionalita' sollevato con la presente ordinanza relativamente agli artt. 1 e 3 della legge 19 febbraio 1991, n. 50. D I R I T T O Occorre preliminarmente rilevare come l'espansione alla dirigenza sanitaria dei benefici pensionistici gia' previsti in via esplicita per la dirigenza statale e scolastica, non possa argomentarsi a mezzo di mera interpretazione estensiva dell'art. 1, comma 4-quinques, della legge n. 37/1990; non giova dunque al ricorrente invocare il rinvio al t.u. impiegati civili dello Stato n. 3/1957 e successive modifiche, posto dall'art. 83 del d.P.R. n. 761/1979 sullo stato giuridico del personale uu.ss.ll.; quest'ultima norma esclude infatti dalla relatio quanto nel decreto medesimo espressamente disciplinato, ed in questo senso l'eta' di collocamento a riposo del personale u.s.l. trova puntuale regolamentazione nell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, denegando cosi' ogni rinvio dinamico in soggetta materia alla normazione vigente per i dirigenti civili dello Stato. Del resto la recente legge 19 febbraio 1991, n. 50, recando espresse disposizioni sul collocamento a riposo di certo personale sanitario dipendente, ha indirettamente confermato l'esclusione della categoria da pregresse normative di analogo contenuto, afferenti a diversi rami del pubblico impiego. Inoltre, la questione di costituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 subordinatamente prospettata dal ricorrente potrebbe ritenersi superata per il personale sanitario dirigente dalla citata legge n. 50/1991, al cui interno deve ora intendersi trasposto ogni rilievo di ingiusto trattamento nei confronti dell'altro personale sanitario apicale escluso dai benefici riservati ai soli primari di ruolo. Il collegio ravvisa pertanto nella citata novella legislativa n. 50/1991 (pure ignorata dal ricorrente) l'elemento determinante che si innesta nella pendente vicenda contenziosa, condizionandone, il relativo esito. Il primo comma dell'art. 1 statuisce che "I primari ospedalieri di ruolo che non abbiano raggiunto il numero di anni di servizio effettivo necessario per conseguire il massimo della pensione possono chiedere di essere trattenuti in servizio fino al raggiungimento di tale anzianita' e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta'", mentre l'art. 3, primo comma delimita l'applicabilita' dei benefici de quibus " .. ai primari ospedalieri di ruolo non collocati a riposo alla data di entrata in vigore della presente legge" (20 febbraio 1991). La disposizione non consente dunque utilita' specifiche nella sfera giuridica del ricorrente, riferendosi ai soli primari ospedalieri di ruolo, con esclusione pertanto degli altri medici di vertice e delle residue categorie sanitarie apicali (precipue, veterinario dirigente). Le violazioni sospettate riguardano gli artt. 3, 38, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione. La disparita' di trattamento ex art. 3 della Costituzione afferisce alla mancata estensione al personale veterinario dirigente delle opzioni di proroga del servizio oltre i sessantacinque anni, opzione riservata - ai sensi dell'art. 1 della legge 19 febbraio 1991, n. 50 - ai soli primari ospedalieri di ruolo (analoga questione di costituzionalita' e' stata rimessa da questo tribunale agli altri medici apicali esclusi). Sebbene il potere di deroga non postuli ex necesse sistematico contrasto costituzionale allorquando risulti preordinato a regolare specifiche e peculiari esigenze di settore, dette esigenze non sembrano peraltro evidenziate o comunque aliunde argomentabili. Preesistenti discriminazioni applicative connesse a benefici di tardivo collocamento a riposo all'interno del personale medico di vertice, sono state infatti ritenute legittime dal giudice costituzionale solo ove la specifica ratio che le governa risulti finalisticamente non dilatabile alle categorie escluse (Corte costituzionale, sentenza n. 134/1986 in riferimento agli artt. 6 della legge n. 336/1964 e 5 della legge n. 402/1982). Nel caso di specie, al contrario della precedente deroga di settore, da una parte la legge n. 50/1991 sembra aver non solo disatteso, quanto piu' in radice superato la regola generale ex art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 sul collocamento a riposo del personale sanitario dirigente al compimento del sessantacinquesimo anno di eta'; dall'altra la dilatazione dei citati benefici alle similari categorie escluse sembra non solo possibile ma logicamente necessaria, pena una sintomatica disparita' di trattamento ex art. 3 della Costituzione. E' infatti da evidenziare che il veterinario dirigente risulta incardinato ex d.P.R. n. 761/1979 allegato 1, nel medesimo ruolo (sanitario) e nella medesima posizione funzionale di vertice del primario ospedaliero (beneficiario dell'opzione previdenziale ex legge n. 50/1991), oltre che degli altri medici apicali, per i quali e' anch'essa pendente questione di costituzionalita'. Inoltre, rispetto alla generalita' del residuo personale sanitario di vertice (biologi, chimici, fisici, psicologhi) il veterinario insieme al farmacista dirigente risulta piu' specificamente assimilato al profilo professionale dei medici in relazione al requisito di esame di idoneita', necessario per la partecipazione ai rispettivi concorsi (artt. 19 e 20 del d.P.R. n. 761/1979), requisito giustificato dalla notevole esperienza professionale nonche' dalle qualificate preparazioni additive che collegano le citate posizioni funzionali. Si vuole pertanto rilevare (per quello che qui interessa) che l'estraneita' dai benefici de quibus dei veterinari dirigenti e di contro l'inclusione dei soli medici primariali non evidenzia rassicurante ponderazione del legislatore in ordine alla diversita' di trattamento ormai radicatasi all'interno dello stesso personale sanitario di vertice, nel quale risulta comunque compreso il ricorrente del giudizio a quo. Oltre alla prospettata violazione dell'art. 3, la presente questione di costituzionalita' investe anche gli artt. 38, secondo comma, e 97 primo comma, della Carta. Il primo sotto il profilo del violato principio di un adeguato trattamento previdenziale di fine rapporto nei confronti di tutti i lavoratori, ed a fortiori, di quelli compresi all'interno di analoghe mansioni. Trattasi di violazione logicamente collegata alla censura per disparita' di trattamento ex art. 3, alla quale si fa rinvio soprattutto in relazione al delineato aspetto dell'argomentabile equiparazione giuridica di alcune se non di tutte le funzioni sanitarie apicali (precipue: medici, veterinari e farmacisti). Quanto all'art. 97 della Costituzione, primo comma, la problematica in esame riguarda l'incidenza sul buon andamento amministrativo di eventuali disparita' di tempi nel collocamento a riposo degli impiegati. Questo tribunale considera al riguardo che il generale orientamento normativo mirato ad estendere a sempre maggiori categorie di lavoratori il trattenimento in servizio per finalita' pensionistiche postula comunque un positivo vaglio del legislatore in ordine all'efficienza professionale di detti impiegati durante i periodi lavorativi supplementari. Non potrebbe infatti ragionevolmente sostenersi che le normative de quibus possano consentire proroghe in servizio di personale non ritenuto idoneo ad esprimere apprezzabili contributi professionali, e cio' anche alla luce del disposto limite invalicabile dei settanta anni, oltre, il quale il legislatore ritiene inaffidabile - indipendentemente da ogni premura di carattere previdenziale - la prosecuzione del rapporto di impiego; anzi, proprio i " ..riflessi positivi del generale miglioramento delle condizioni di vita e di sa- lute dei lavoratori sulla loro capacita' di lavoro", ricordati dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 461/1989 e 444/1990, evidenziano una piena compatibilita' tutoria di esigenze previdenziali e di migliore andamento della p.a., del resto, lo specifico onere di attivazione a carico del lavoratore orientato alla permenanza in servizio oltre i sessantacinque anni, tende a favorire una ponderata autovalutazione sull'efficienza lavorativa, in un'eta' assolutamente peculiare in cui positivi stimoli al lavoro possono garantire rendimenti di altissima qualita', causalmente collegati alla notevole esperienza professionale maturata negli anni. In altre parole, se l'aspetto previdenziale risulta senza dubbio finalita' prevalente nel consentire il tardivo collocamento a riposo del lavoratore (a cio' apertis verbis disposto), sussiste, seppure in via indiretta e conseguenziale, l'interesse pubblico a che la somministrazione periodica di somme di danaro all'impiegato avvenga per il maggior tempo possibile su base sinallagmatico-stipendiale, in cambio di energia lavorativa ancora utile e produttiva. Sotto il citato profilo, inibire al pubblico impiegato la prosecuzione di un rapporto attivo con la p.a. entro tempi e modi consentiti per altri lavoratori in similare posizione, potrebbe costituire aperto sintomo violativo del precetto costituzionale di proficuo andamento dell'azione amministrativa. In via conclusiva si vuole evidenziare come la "lettura" della Carta debba ritenersi soggetta ad una relatio dinamica con il particolare momento storico-politico in considerazione, che si manifesta - nel suo aspetto piu' significativo e riassuntivo - nell'orientamento del legislatore volta per volta prevalente. Nella disciplina in argomento, la primigenia regola generale statuiva il collocamento a riposo di tutti i pubblici impiegati al compimento del 65 anno di eta', mentre carattere derogatorio presentavano quelle disposizioni (peraltro confortate dai necessari presupposti di peculiarita') che da una parte prevedevano - indipendentemente da specifiche finalita' previdenziali - un diverso limite di eta' (volta per volta inferiore o superiore), dall'altra consentivano un trattenimento in servizio mirato ad ottenere il massimo della pensione. Mentre i generali limiti di eta' per singole categorie non hanno subito novazioni normative di rilievo, altrettanto non puo' dirsi per i limiti di eta' elevabili solo fino all'apice pensionabile. E' ormai diritto positivo consolidato quell'evoluzione legislativa - che si manifesta appunto con la seconda modalita' di cui sopra - preordinata alla piu' compiuta attuazione dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, tanto da poter ormai raccordarsi ad un sopravvenuto principio normale, a deroga del quale sono ben possibili interventi normativi diversamente orientati, ma solo per cause specifiche direttamente argomentabili dalla ratio legis, pena la violazione primaria degli artt. 3 e 38, secondo comma, e quella per cosi' dire secondaria e conseguenziale dell'art. 97, primo comma della Costituzione. Nel caso di specie, alla tendenza generale a consentire a sempre piu' vaste categorie di pubblici impiegati l'opzione previdenziale in discorso, si e' peraltro cumulata - ai sensi della legge n. 50/1991 - una previsione ad hoc per i soli medici primariali, con esclusione delle altre posizioni sanitarie apicali pure caratterizzate da similari requisiti di impegno e rigore professionale (nel caso di specie, dirigenza veterinaria). Il collegio ritiene pertanto che ricorrono i presupposti normativi per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale.