IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  Montresor  Roberto (n. 72/91 r. gen. trib.), imputato del
 reato p. e p. dagli artt. 81 del codice penale e 3, n. 8, della legge
 20 febbraio 1958, n. 75, commesso in Verona  nel  1983  in  danno  di
 Welponer Wally;
    Premesso  che  in  sede di esposizione introduttiva e richiesta di
 prove il pubblico ministero - dopo aver rappresentato che l'accusa si
 fonda essenzialmente sulle dichiarazioni rese  dalla  persona  offesa
 dal  reato, Welponer Wally, e dal di lei marito, Corbioli Gabriele, e
 che, essendosi reso  conto  dei  motivi  di  dissidio  esistenti  tra
 l'imputato  e la persona offesa, nonche' di talune qualita' morali di
 quest'ultima e del teste Corbioli tali da svalutare  l'attendibilita'
 sostanziale delle predette fonti di prova - si dichiarava convinto di
 non  poter  efficacemente  sostenere  l'accusa  nel  giudizio,  e non
 richiedeva l'assunzione di  alcun  mezzo  di  prova,  in  particolare
 decideva  per  "economia processuale" di non richiedere l'esame della
 Welponer e del Corbioli, gia' indicati nella lista  dei  testimoni  a
 norma dell'art. 468 del codice di procedura penale;
      che  la  difesa,  parimenti,  non  provvedeva  in  detta  sede a
 richiedere alcun mezzo di prova,  neppure  quelli  gia'  indicati  in
 apposite   liste   o   richieste  gia'  depositate,  giudicando  cio'
 corrispondente al proprio interesse in  conseguenza  della  strategia
 processuale   scelta   dal  pubblico  ministero,  ma  si  limitava  a
 richiedere  l'acquisizione  di  documenti  e  l'esame  di   testi   e
 dell'imputato  solo  per il caso in cui il tribunale avesse deciso di
 esercitare il potere di cui all'art.  507  del  codice  di  procedura
 penale;
      che  il  pubblico ministero in un secondo tempo - e dopo che era
 stato gia' dato l'avviso all'imputato  ex  art.  494  del  codice  di
 procedura  penale  e  gia'  si  era  ritirato  una  prima  volta,  il
 Tribunale, per  decidere  in  ordine  all'eventuale  espletamento  di
 attivita'  istruttoria  su impulso ufficioso - il pubblico ministero,
 dunque, richiedeva l'esame di due testi per  dar  corpo  ai  dati  di
 fatto   da  cui  aveva  tratto  il  convincimento  della  sostanziale
 inattendibilita' della persona offesa e del teste Corbioli, richiesta
 questa, pero', alla quale si opponeva la difesa giudicandola  tardiva
 ed irrituale;
    Ritenuto  che,  stante  l'eccezione  della  difesa,  la  richiesta
 successiva del pubblico ministero e'  inammissibile  perche'  tardiva
 essendo  stata formulata dopo "esaurita l'esposizione introduttiva" e
 dopo l'avviso di cui all'art. 494 del  codice  di  procedura  penale,
 quando  ormai la situazione si era cristallizzata sul se poteva o non
 esercitarsi il potere del giudice di disporre d'ufficio  nuovi  mezzi
 di  prove,  mentre  era  chiaro  che  nessuna decisione doveva essere
 adottata ex art. 495 del codice di procedura  penale  non  avendo  le
 parti richiesto attivita' istruttoria;
    Ritenuto che, in conseguenza di quanto sopra, risulta rilevante la
 decisione  in  ordine  al punto dell'applicabilita' al caso di specie
 dell'art. 507 del codice di procedura penale, apparendo  chiaro  che,
 in  difetto  di  qualsivoglia  attivita'  istruttoria, al giudice non
 resterebbe   altro   che   pronunciare   l'assoluzione   nel   merito
 dell'imputato;
    Rilevato  altresi'  che  l'art. 507 del codice di procedura penale
 subordina l'esercizio dei poteri istruttori d'ufficio  del  tribunale
 al  fatto che sia terminata l'acquisizione delle prove, evidentemente
 quelle richieste dalle parti, apparendo chiaro  il  tenore  letterale
 della  norma  che  limita  detto  potere  al caso in cui vi sia stata
 richiesta di prove dalle parti e conclusa  la  fase  di  acquisizione
 delle  stesse,  norma che essendo di carattere eccezionale (art. 190,
 secondo  comma  del  codice  di  procedura   penale)   non   consente
 applicazione analogica; tutto cio' e' premesso e osservato, in ordine
 alla  interpretazione  del  contenuto  dell'art.  507  del  codice di
 procedura penale, quanto segue:
    "E' indubitabile che il nuovo codice  di  procedura  penale  abbia
 introdotto  un  nuovo  sistema  di ricerca della prova incentrato sul
 principio del rito  accusatorio  di  stampo  anglosassone  mentre  il
 codice  abrogato  si  ispirava  esclusivamente  ai  principi del rito
 inquisitorio. Va pero' subito chiarito che il rito  inquisitorio  non
 e'  stato  completamente bandito dal nuovo processo penale residuando
 vaste  aree  di  applicazione  dello  stesso.  Ci  si  riferisce   in
 particolare  a  tutti  i casi di giudizio abbreviato, di applicazione
 della pena su richiesta delle parti, al procedimento per decreto,  in
 pratica  a  tutti i riti che consentono di pervenire alla definizione
 del procedimento utilizzando  come  prove  gli  atti  delle  indagini
 preliminari  compiuti  dal pubblico ministero o anche sviluppando una
 istruzione secondo i meccanismi  tipici  del  rito  inquisitorio.  Si
 pensi  all'attivita'  istruttoria  supplementare  svolta  in  sede di
 udienza preliminare e  condotta  direttamente  dal  giudice  o  anche
 all'attivita'  istruttoria  condotta  direttamente  dal  giudice  del
 giudizio pretorile sull'accordo delle  parti  (anche  se  sulla  base
 delle  domande  e contestazioni proposte dal pubblico ministero e dai
 difensori, art. 576 del codice di  procedura  penale)  oppure  ancora
 alla  previsione  che  sia  lo  stesso  giudice  a  condurre la prova
 disposta ex art. 507 del codice di procedura penale nel caso  in  cui
 cio'  sia  avvenuto d'ufficio (art. 151, secondo comma delle norme di
 attuazione  del  codice  di  procedura  penale.  Se  si  pone   mente
 all'importanza   dei  riti  speciali,  attibuita  loro  dallo  stesso
 legislatore ai fini di poter pervenire alla  deflazione  dei  carichi
 giudiziari,  si  comprende  anche - ancorche' siano definiti speciali
 tali riti  e  ancorche'  dunque  considerati  derogativi  al  sistema
 ordinario  sviluppato  secondo  il rito accusatorio - la vastita' del
 campo di applicazione di meccanismi tipici del rito inquisitorio.  La
 norma dell'art. 507 del codice di procedura penale non si pone dunque
 come  una disposizione del tutto incoerente ed avulsa dal sistema del
 codice  benche'  preveda  condizioni  precise all'esercizio di poteri
 d'ufficio istruttorio da parte del giudice.  Questi  solo  dopo  aver
 assistito  all'istruzione  dibattimentale  ammessa su richiesta delle
 parti e solo ove risulti  assolutamente  necessario  potra'  disporre
 l'assunzione  di nuovi mezzi di prova, ove la novita' di questi e' da
 porre in  relazione  all'istruzione  conclusasi  ed  espletata  sulla
 richiesta delle parti.
    Anche  la  dottrina nell'esporre i principi cardini del nuovo rito
 penale che concernono  l'attivita'  istruttoria  ha  evidenziato  tre
 aspetti   fondamentali  di  detta  attivita':  la  necessita'  di  un
 provvedimento immediato ed espresso del giudice  sulla  richiesta  di
 prova  formulata  dalle parti; la presunzione di ammissibilita' della
 prova richiesta dalle parti, che andra' esclusa solo se vietata dalla
 legge o manifestamente superflua o  irrilevante  -  art.  190,  primo
 comma  -;  la  presunzione  di  completezza  della  prova  ammessa su
 richiesta delle parti che deriva dalla  disposizione  dell'art.  190,
 secondo  comma, secondo cui l'ammissione della prova d'ufficio ad op-
 era del giudice e' eccezionale ed  e'  possibile  soltanto  nei  casi
 espressamente  previsti  dalla  legge. La piu' significativa di dette
 ipotesi tassative e' quella prevista  dall'art.  507  del  codice  di
 procedura   penale:  'per  la  sua  portata  generale,  riferibile  a
 qualsiasi mezzo di prova, la norma svolge un  ruolo  di  clausola  di
 chiusura  del  sistema  e  vale a definire l'intervento d'ufficio del
 giudice, non solo come eccezionale, ma anche come residuale  rispetto
 all'iniziativa delle parti, essendo destinato ad operare come extrema
 ratio,  quando  il  giudice  rilevi  che  in  concreto  le prove gia'
 acquisite  su   richiesta   di   parte   richiedono   un'integrazione
 assolutamente  necessaria  ad assicurare la funzione conosciutiva del
 processo'.
    Quale che sia la portata che  si  intende  attribuire  al  potere,
 riconosciuto al giudice dall'art. 507 del codice di procedura penale,
 non  sembra sia esclusa la funzione sussidiaria di garanzia acche' il
 processo tenda effettivamente alla ricerca della verita',  quantomeno
 tenda  non  ad  un  risultato qualsiasi ma a quel risultato che e' il
 meno lontano possibile dalla verita'. E, pur con  sfumature  diverse,
 la dottrina invero non l'ha affatto esclusa.
    Da  taluni  si  e' infatti solo voluto negare che il giudice possa
 estendere i suoi poteri a spazi di ricerca della prova estranei  alle
 contrapposte  tesi  affacciate  dalle  parti  in  nome di una verita'
 assoluta, ancorche' extraprocedimentale, ma non si e' escluso  -  pur
 sottolineandosi  il ribaltamento rispetto al sistema precedente - che
 il giudice si attivi  "la'  dove  le  parti  si  dimostrano  inerti",
 intervenendo  in supplenza, ma sempre con riferimento alle tesi dalle
 medesime prospettate.
    Da altri - premesso che secondo l'opzione  di  fondo  del  sistema
 accusatorio  non  v'e'  una  verita' oggettiva da ricercare e l'unica
 verita' e' quella che scaturisce dal conflitto tra le parti e che  il
 sistema  inquisitorio  muove  invece  dalla  impostazione  filosofica
 opposta della ricerca della verita' oggettiva che  si  ritiene  possa
 essere  avvicinata da un soggetto animato da coscienza e ragione - si
 e'  evidenziato   come   il   legislatore   dopo   aver   abbracciato
 evidentemente  il  sistema  dialogico di ricerca della prova, 'si sia
 accorto - e non poteva non  accorgersene  -  che  il  conflitto  puo'
 produrre  delle  distorsioni:  il  legislatore  del 1988 ha scelto la
 procedimentalita' ma sempre con un occhio ai valori. Ed e' per questo
 che  se  ha  stabilito  che due e' meglio di uno (e su questo si puo'
 esser anche d'accordo) non ha affatto escluso che tre sia  meglio  di
 due'.
    Si  puo'  dunque ritenere che il codice abbia 'preferito la figura
 del    giudice    tutore    in    seconda    battuta    dei    valori
 extraprocedimentali'.  Il  giudice  lascera' le parti giocare fino in
 fondo la loro partita dismettendo il ruolo di protagonista; ma si  e'
 ben   lontani  da  poteri  istruttori  ufficiosi  da  intendere  come
 espressione di 'eccezionalita' quasi patologica'.
    Cio' costituisce inoltre un fattore di equilibrio  importante  (in
 un  sistema  che 'contempla ancora molte parti che sono troppo deboli
 per lasciarle affogare o troppo forti per lasciarle spadroneggiare').
    Il sistema appare  coerente  con  questa  interpretazione  ove  si
 considerino anche:
      la  direttiva  n. 73 della legge delega del 16 febbraio 1987, n.
 81, ove  contempla  i  poteri  istruttori  del  giudice  e  cioe'  di
 'indicare  alle  parti  temi nuovi od incompleti utili (si badi) alla
 ricerca della verita' .. di disporre l'assunzione di mezzi di  prova'
 (si badi anche qui: 'mezzi di prova' puramente e semplicemente);
      l'art.  523  del codice di procedura penale (interruzzione della
 discussione per l'assunzione  di  nuove  prove  se  non  in  caso  di
 assoluta necessita');
      lo stesso art. 358 del codice di procedura penale che prevede il
 potere-dovere    della   pubblica   accusa   di   svolgere   altresi'
 'accertamenti  su  fatti  e  circostanze  a  favore   della   persona
 sottoposta alle indagini'.
      Infine,  piu'  in  generale,  si e' pure osservato (Cordero) che
 'senza questo residuo  dei  vecchi  poteri,  l'alternativa  decisoria
 sarebbe   disponibile,  e  l'ipotesi  dissona  dai  quadri  culturali
 italiani. La scelta accusatoria non vuole essere adesione  bigotta  a
 modelli  anglosassoni'"  (cfr.  sent.  n.  333  del 9 aprile 1991 del
 tribunale di Verona, imp. Dei Micheli);
    Ritenuto in definitiva che i limiti  imposti  dalla  norma,  cosi'
 come  attualmente  formulata, non possano essere superati da esigenze
 di carattere sistematico che non si  sono  tradotte  in  disposizioni
 esplicite  e  che  anzi  trovano  in  quelle  positivamente  adottate
 ostacoli di ordine letterale evidenti;
    Ritenuto che, intesa nel senso che il giudice non possa esercitare
 il potere di disporre d'ufficio nuove prove se non quando  sia  stata
 conclusa l'acquisizione delle prove richieste dalle parti e non anche
 nel  caso  che prove le parti - nonostante il rinvio a giudizio - non
 ne abbiano richieste affatto,  la  norma  contrasti  con  i  seguenti
 principi costituzionali:
      art.  3  della  Costituzione sia sotto il profilo della coerenza
 interna del sistema e dunque della ragionevolezza della norma  stessa
 che  sotto  il  profilo della disparita' di trattamento di situazioni
 analoghe, non ravvisandosi alcun ragionevole motivo  acche'  non  sia
 equiparata  al  fatto  che  il  giudice  ritenga  incompleta la prova
 richiesta dalle parti la  situazione  in  cui  le  parti,  totalmente
 inerti,  non  consentano  al  giudice  di  conoscere  alcunche' della
 vicenda sostanziale;
      art. 112 della Costituzione risolvendosi la situazione di stallo
 determinata dalla scelta processuale delle parti in un solo apparente
 esercizio dell'azione penale;
      in  conseguenza  di  cio', art. 25 e 3 della Costituzione atteso
 che "il principio di legalita'  che  rende  doverosa  la  repressione
 delle  condotte  ..  abbisogna  ..  della legalita' nel procedere"; e
 questa in un  sistema  come  il  nostro,  fondato  sul  principio  di
 eguaglianza  di  tutti  i  cittadini  di  fronte alla legge, non puo'
 essere salvaguardata  che  attraverso  l'obbligatorieta'  dell'azione
 penale (corte costituzionale sentenza n. 88 del 28 gennaio 1991);
      art.  101,  secondo  comma  della  Costituzione sotto il profilo
 della   salvaguardia   dell'indipendenza   del   pubbico    ministero
 (realizzare   la  legalita'  nell'eguaglianza  non  e'  concretamente
 possibile se l'organo cui l'azione  e'  demandata  dipende  da  altri
 poteri:   sicche'  di  tali  principi  e'  imprescindibile  requisito
 l'indipendenza del publico ministero questi e' infatti, al  pari  del
 giudice  soggetto  soltanto alla legge (art. 101, secondo comma della
 costituzione)  e  si  qualifica  come  "un  magistrato   appartenente
 all'ordine   giudiziario   collocato   come   tale  in  posizione  di
 istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere, che non  fa
 valere  interessi  particolari,  ma  agisce  esclusivamente  a tutela
 dell'interesse generale all'osservanza della legge"  (sentenze  corte
 costituzionale nn. 190/1970 e 96/1975, nonche' n. 88/91 cit.);
      art.  101 secondo comma della Costituzione, sotto il profilo che
 il giudice  nell'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  sarebbe
 vincolato,  in  ordine  alle  decisione nel merito della causa, dalla
 scelta di carattere processuale, per ipotesi anche immotivata,  delle
 parti;
      art.  76 della Costituzione, per eccesso di delega atteso che il
 sistema delineato dalla  legge  delega  per  l'emanazione  del  nuovo
 codice  di procedura penale (direttive n. 37, 42, 49, 50, 51 e 52) e'
 imperniato sul controllo esterno da parte  del  giudice  sull'operato
 del  pubblico ministero, e, nell'attribuzione di poteri istruttori di
 ufficio al giudice, esprime  anche  il  criterio  (direttiva  n.  73)
 dell'utilita' ai fini della ricerca della verita', criterio del tutto
 vanificato  in  caso  di scelte strategiche delle parti svincolate da
 qualsiasi potere di intervento del giudice.