ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma secondo, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1991 dal Pretore di Napoli sul ricorso proposto da Esposito Luigi contro la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 595 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visti gli atti di costituzione di Esposito Luigi e della Cassa nazionale previdenza ed assistenza Avvocati e Procuratori nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni; Uditi gli avvocati Luigi Esposito per se medesimo, Annibale Marini per la Cassa nazionale previdenza ed assistenza Avvocati e Procuratori e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio promosso dall'avv. Luigi Esposito nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza degli avvocati e procuratori legali per ottenere la pensione di anzianita', il Pretore di Napoli, con ordinanza del 5 luglio 1991, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sulla previdenza forense, in riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma della Costituzione. Ad avviso del giudice remittente, la norma impugnata - in quanto subordina la corresponsione della pensione di anzianita' alla cancellazione dagli albi di avvocato e procuratore e ne stabilisce l'incompatibilita' con l'iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi e con qualsiasi attivita' di lavoro dipendente - violerebbe anzitutto il principio di eguaglianza, discriminando oltre misura il trattamento della pensione di anzianita' rispetto al trattamento della pensione di vecchiaia. La discriminazione, legittima entro limiti di ragionevolezza data la diversita' delle due forme di pensione, non sarebbe piu' contenuta entro tali limiti dopo la sentenza n. 1008 del 1988 di questa Corte, che ha cancellato nell'art. 2 della legge n. 576 le norme destinate a disincentivare la prosecuzione oltre i settant'anni dell'attivita' professionale da parte degli avvocati beneficiari della pensione di vecchiaia. Poiche' la norma impugnata persegue, in termini piu' drastici, la medesima finalita' nei confronti dei pensionati per anzianita', tale disincentivo non appare piu' giustificato, essendo ormai privo di corrispondenza nella disciplina della pensione di vecchiaia. Se poi da un confronto interno alla categoria forense si passa a un confronto col regime generale dell'assicurazione invalidita' e vecchiaia, la violazione dell'art. 3 si manifesta ancor piu' gravemente, atteso che a tale regime sono soggette anche categorie di lavoratori autonomi, come gli artigiani e i commercianti, i quali possono ottenere la pensione di anzianita' pur continuando la loro attivita', essendo ad essi vietato soltanto il lavoro dipendente. Considerato il modesto ammontare della pensione di anzianita' corrisposta dalla Cassa, il divieto di iscrizione a qualsiasi altro albo professionale e di svolgere qualsiasi attivita' di lavoro dipendente violerebbe anche l'art. 38, secondo comma, Cost., impedendo al pensionato di far fronte adeguatamente alle proprie esigenze di vita. Il termine "vecchiaia", usato dalla citata disposizione costituzionale, "sicuramente comprende (sempre secondo il giudice a quo) anche il concetto di anzianita'". Sarebbero infine violati il diritto al lavoro e l'obbligo di promuovere le condizioni per il suo effettivo esercizio, sanciti dagli artt. 4 e 35 Cost., almeno nella misura in cui la norma impugnata non prevede, anziche' la cancellazione dall'albo, una sospensione temporanea fino al conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia. 2. - Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituito il ricorrente aderendo alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione, che ha poi sviluppato in una memoria difensiva insistendo soprattutto sull'ingiustificatezza della norma impugnata ai fini della tutela dell'"interesse di entrata" dei giovani nella professione, e sull'inadeguatezza dell'ammontare della pensione alle esigenze di vita del pensionato. Si e' pure costituita la Cassa di previdenza per gli avvocati chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Osserva la Cassa che la diversita' tra le due figure di pensione, riconosciuta dallo stesso giudice remittente, e' una diversita' radicale di ratio. Solo la pensione di vecchiaia presuppone lo stato di bisogno dipendente dall'eta', tutelato dall'art. 38, secondo comma, Cost., mentre la pensione di anzianita', fondata esclusivamente sull'anzianita' di iscrizione alla Cassa, attribuisce all'iscritto il diritto di fruire anticipatamente del trattamento pensionistico in alternativa alla prosecuzione dell'attivita' lavorativa fino al conseguimento delle condizioni della pensione di vecchiaia. Sono percio' prive di consistenza le ipotizzate violazioni dei parametri costituzionali richiamati dal giudice remittente. 3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per una dichiarazione di infondatezza della questione con argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla Cassa, integrate dalla considerazione che la pensione di anzianita' mira, in sostanza, a tutelare il soggetto dall'usura psico- fisica prodotta dall'attivita' protratta nel tempo, onde anche sotto questo profilo si giustifica l'incompatibilita' con la prosecuzione dell'attivita' lavorativa. Considerato in diritto 1. - Dal Pretore di Napoli e' sollevata questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., dell'art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sulla previdenza forense, in quanto: a) subordina la corresponsione della pensione di anzianita' alla cancellazione dagli albi di avvocato e di procuratore; b) ne prevede l'incompatibilita' con l'iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi e con qualsiasi attivita' di lavoro dipendente. 2. - In relazione alla condizione sub a) la questione non e' fondata. Il confronto con la disciplina della pensione di vecchiaia, sul quale insiste il giudice remittente, non e' producente ai fini dell'art. 3 Cost. La pensione di anzianita' non e' un ipotesi particolare della pensione di vecchiaia, ma e' una forma previdenziale affatto diversa, indipendente dall'eta' e fondata esclusivamente sulla durata dell'attivita' lavorativa e sulla correlativa anzianita' di contribuzione effettiva (cfr. sent. n. 194 del 1991). A differenza delle norme dell'art. 2, sesto e ottavo comma, dichiarate illegittime dalla sent. n. 1008 del 1988, l'art. 3, secondo comma, non ha una funzione di disincentivo della prosecuzione dell'attivita' professionale da parte dei titolari di pensione di anzianita': disincentivo di un'attivita' e divieto della medesima sono concetti incompatibili. L'abbandono della professione, comprovato dalla cancellazione dagli albi degli avvocati e dei procuratori, e' una condizione strettamente inerente alla ratio di questa forma di pensione, sia che la si intenda, analogamente alla pensione di anzianita' dei lavoratori subordinati, come forma di riconoscimento e di premio a coloro che hanno adempiuto il dovere prescritto dall'art. 4, secondo comma, Cost. con una partecipazione assidua a un'attivita' di produzione sociale durata almeno trentacinque anni, sia che la si intenda, secondo la prospettazione dell'Avvocatura dello Stato, come anticipo del godimento della pensione concesso in considerazione del presumibile logoramento psico- fisico sopravvenuto dopo un lungo periodo di attivita' professionale. Ne' vale osservare che per alcune categorie di lavoratori autonomi, come i coltivatori diretti, gli artigiani e i commercianti, la concessione della pensione di anzianita' non e' subordinata alla cessazione dell'attivita', essendo richiesto soltanto che non prestino attivita' di lavoro subordinato (art. 22, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153). La diversa disciplina si spiega perche' il trattamento pensionistico di queste categorie di lavoratori autonomi e' agganciato al sistema dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti. Confrontata con la disciplina della pensione di anzianita' dei liberi professionisti, essa puo' apparire un privilegio, ma, appunto perche' appartenente a un sistema previdenziale diverso da quello della previdenza forense, non puo' essere addotta come criterio di valutazione ai fini del principio di eguaglianza. 3. - La questione e' fondata in relazione alle incompatibilita' di cui al punto 1, sub b), fatta salva l'incompatibilita' con l'iscrizione agli albi di avvocato e di procuratore. La ratio sopra spiegata, mentre giustifica la condizione sub a), non e' sufficiente per fondare l'incompatibilita' con l'iscrizione a qualsiasi altro albo o elenco di lavoratori autonomi, nonche' con qualsiasi prestazione di lavoro subordinato. La norma impugnata consente al titolare di pensione di anzianita' di svolgere un'attivita' di lavoro autonomo per la quale non sia richiesta l'iscrizione a un albo o elenco di lavoratori autonomi, per esempio, un'attivita' di consulenza legale, di arbitro, di amministratore di societa'. Data questa possibilita', e' irrazionale vietare altre attivita', eventualmente di minore impegno, solo perche' richiedono l'iscrizione a un albo o un elenco. Nemmeno si comprende facilmente perche', mentre al titolare di pensione di anzianita' e' permessa un'attivita' continuativa e coordinata di consulenza in favore di un'impresa, gli sia vietato prestare la medesima attivita' con un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale. Il logorio psico-fisico, che si suppone essere la causa che induce il professionista a ritirarsi dalla professione per fruire della pensione di anzianita', non dipende esclusivamente, ne' per la maggior parte, dalla durata giornaliera dell'impegno di lavoro, ma da vari fattori (stress, preoccupazioni, responsabilita', carico di spese di gestione, ecc.) che in altre attivita' non sono presenti o lo sono in misura piu' attenuata. Ne' varrebbe richiamare, a giustificazione dell'incompatibilita' della pensione di anzianita' col lavoro subordinato, l'analoga incompatibilita' prevista, nella disciplina dell'assicurazione generale obbligatoria, anche per i coltivatori diretti, gli artigiani e i commercianti. Per queste categorie di lavoratori autonomi il divieto di lavoro subordinato si giustifica in ragione della loro equiparazione, ai fini del trattamento pensionistico, ai lavoratori subordinati, mentre tale ratio e' estranea al sistema della previdenza forense. 4. - Oltre al principio di razionalita' di cui all'art. 3 Cost., e' violato anche il principio del diritto al lavoro, di cui all'art. 4, primo comma, Cost. Mentre nel sistema dell'assicurazione generale obbligatoria la pensione di anzianita' e' pienamente equiparata alla pensione di vecchiaia quando sopraggiunge l'eta' pensionabile (art. 22, sesto comma, legge n. 153 del 1969), con conseguente cessazione dell'incompatibilita' con attivita' di lavoro subordinato, tale equiparazione non e' ammessa nel sistema della previdenza forense, cosi' che la norma impugnata limita in misura eccessivamente gravosa le possibilita' di lavoro del pensionato per tutto il resto della vita. 5. - Rimangono assorbiti i motivi di impugnativa dedotti dal giudice a quo in riferimento agli artt. 35, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.