LA CORTE DEI CONTI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso  iscritto  al  n.
 c/121964  del  registro  di segreteria, presentato dal sig. Maloberti
 Achille nato il 14 marzo 1919, elettivamente domiciliato in Roma, via
 Cosseria n. 5, presso lo studio dell'avv. Guido Romanelli, avverso il
 decreto n. 087098 in data 18 agosto 1980 e la nota n. 2993106 in data
 13 gennaio 1984 della direzione generale degli Istituti di previdenza
 (C.P.D.E.L.)  e  nei   confronti   dei   ministeri   del   tesoro   e
 dell'industria,  commercio  ed  artigianato  nonche'  della Camera di
 commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Genova;
    Uditi, nella pubblica udienza del 3 ottobre 1990, con l'assistenza
 del segretario rag. Antonio Giuseppone, il consigliere relatore dott.
 Manlio Licari,  l'avv.  Guido  Romanelli,  procuratore  speciale  del
 ricorrente,  e  il pubblico ministero in persona del vice-procuratore
 generale dott. Gennaro Faracca; non comparso l'avvocato dello Stato;
    Visti gli atti e i documenti tutti della causa.
                           RITENUTO IN FATTO
    Con atto ritualmente notificato, depositato  il  23  maggio  1984,
 seguito  da  memoria depositata il 27 settembre 1990, il sig. Achille
 Maloberti - gia' dipendente  della  camera  di  commercio  I.A.A.  di
 Genova,  cessato  dal  servizio dal 1 gennaio 1977 per esodo ai sensi
 della legge 24 maggio 1970, n. 336 - ha presentato ricorso sostenendo
 che illegittimamente non  e'  stata  considerata  quale  retribuzione
 contributiva   utile   a   pensione   la   "gratificazione   annuale"
 (commisurata  a  due  mensilita'  dello  stipendio,  delle  quote  di
 aggiunta di famiglia e dell'assegno integrativo mensile in godimento)
 di  cui all'art. 40 del regolamento approvato con d.m. 16 marzo 1970,
 relativo al personale camerale.
    A sostegno della propria tesi,  il  ricorrente  ha  esibito  anche
 copia  della  decisione  2  novembre  1981-30  marzo  1982,  n. 5 del
 Consiglio di Stato  in  adunanza  plenaria,  che  ha  effettuato,  in
 sostanza, la natura fissa e continuativa di detto emolumento.
    Con  memoria  depositata  il 24 luglio 1990, l'avvocatura generale
 dello Stato, per la direzione generale degli istituti di  previdenza,
 ha  chiesto  la  reiezione  del  ricorso  perche',  in  sostanza, "il
 disposto del regolamento si scontra con il chiaro disposto  dall'art.
 16  della  legge  n.  1077/1959, che esclude la pensionabilita' delle
 gratificazioni annuali per le categorie rette da regolamento".
    Alla  pubblica  udienza,  l'avv.  Romanelli   ha   insistito   per
 l'accoglimento  del  ricorso;  il pubblico ministero ne ha chiesto la
 reiezione, in conformita' a precedenti pronunce della sezione.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    Il tenore letterale dell'art. 16, secondo  comma,  della  legge  5
 dicembre  1959,  n.  1077  - secondo il quale le eventuali mensilita'
 oltre la tredicesima corrisposta a titolo  di  gratifiche  annuali  o
 altrimenti periodiche, anche se erogate, interamente od in parte, con
 il  sistema  degli acconti a quote mensili, sono da comprendere nella
 retribuzione annua  contributiva  "soltanto"  per  gli  iscritti  con
 trattamento economico di attivita' di servizio regolato da "contratto
 collettivo  di  lavoro"  e  comunque limitatamente alla parte di esse
 corrisposte obbligatoriamente ai sensi del  rispettivo  contratto  di
 lavoro - e la consolidata interpretazione giurisprudenziale quanto al
 rapporto  (di norma speciale a norma generale) fra detta disposizione
 ed il precedente art. 15 (cf Corte  dei  conti  3a  sezione  pensioni
 civili,  6  marzo  1981,  n.  46996, in Rivista della Corte dei conti
 1982,  I,  190),  condurrebbero  alla  reiezione  del   ricorso,   in
 conformita'  a  costante giurisprudenza di questa sezione (decisioni,
 in casi identici e con particolare ampiezza di motivazione, 17 aprile
 1989, n. 62748 e n.  62739, in Riv. Corte dei conti 1989 n. 5, I, 112
 e 1990 n. 1, I, 133; ed ancora, dec. n. 64380 del 12 ottobre 1990).
    Il collegio  ritiene  peraltro  che  debba  porsi  -  perche'  non
 manifestamente  infondata,  oltre  che  palesemente rilevante ai fini
 della   decisione   sul   ricorso   -   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  16,  secondo comma, della legge 5 dicembre
 1959, n. 1077, per contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione.
    Quanto al primo profilo (art. 3 della  Costituzione),  si  osserva
 che  la  limitazione posta dalla suddetta norma (e cioe' la rilevanza
 pensionistica delle disposizioni  dettate  "soltanto"  dal  contratto
 collettivo  dilavoro)  rispetto  alla generale previsione delle fonti
 idonee a statuire retribuzioni rilevanti anche ai  fini  di  pensione
 (precedente  art.  15: leggi, regolamenti o contratti collettivi) era
 chiaramente  intesa  ad  assicurare  un  sufficiente   carattere   di
 "generalita'"  dell'emolumento  in  questione,  anche  ai  fini della
 necessaria tutela dell'equilibrio finanziario delle  Casse  pensioni,
 escludendo l'idoneita' dei molteplici regolamenti organici degli enti
 territoriali  e  pubblici  a  statuire al riguardo, dal momento che -
 quanto alle categorie rette da legge  -  e'  evidente  che  la  fonte
 primaria   avrebbe   sempre  potuto  (e  potrebbe  tuttora)  statuire
 espressamente la pensionabilita'  delle  mensilita'  aggiuntive,  con
 cio' prevalendo sulla norma generale.
    Peraltro, la successiva evoluzione dell'ordinamento, assoggettando
 la  retribuzione  dei dipendenti dei vari Enti alle statuizioni degli
 accordi nazionali (agevolmente assimilabili, sotto questo aspetto, ai
 contratti collettivi) ha ulteriormente ridotto la  rilevazione  della
 limitazione  di  cui  al  predetto  art.  16; ma gia' dall'origine la
 particolarissima situazione dei dipendenti camerali -  il  cui  stato
 giuridico  ed economico era disciplinato da decreto ministeriale (del
 Ministro dell'industria, commercio ed artigianato, di concerto con il
 Ministro  per il tesoro - non sembra essere stata tenuta nella debita
 considerazione dal legislatore  pensionistico,  perche'  detta  fonte
 normativa  appare  perfettamente  idonea ad assicurare oggettivita' e
 generalita' (nell'ambito, ovviamente, di una particolare categoria di
 pubblici dipendenti) degli emolumenti ivi previsti.
    Sembra, pertanto, che irrazionalmente (e cioe' anche discostandosi
 dalla ratio che ne informa la statuizione) il citato art. 16  non  ha
 fatto  salva,  insieme  alla posizione dei dipendenti disciplinati da
 contratto collettivo (e, per quanto si e' detto, dalla legge e  dagli
 accordi  nazionali),  anche  la  posizione  dei  dipendenti camerali,
 disciplinati da regolamento ministeriale (e  non  da  regolamento  di
 singoli  Enti),  con  cio'  discriminandoli  sulla  sola base di tale
 circostanza e di una inesatta  assimilazione  ai  dipendenti  il  cui
 trattamento   economico   era   invece   rimesso   alle   statuizioni
 regolamentari di (numerosissimi) singoli enti.
    Quanto  al  secondo  profilo  (art.  36  della  Costituzione),  le
 argomentazioni contenute nelle decisione del Consiglio di Stato ap. 2
 novembre  1981-30  marzo  1982,  n.  5 (in atti in copia integrale) -
 anche se non consentono di superare, per gli  aspetti  pensionistici,
 il  tenore  letterale  dell'art.  16  della  legge n. 1077 del 1959 -
 esattamente e evidenziano la natura  di  normale  retribuzione  degli
 emolumenti  di  cui  trattasi,  cosicche'  la  negazione  della  loro
 persionabilita' (gia' confliggente,  per  quanto  si  e'  detto,  con
 l'art.  3  Cost.)  appare  anche  incontrasto  con  l'art.  36  della
 Costituzione,  in  relazione  all'art.  15  della  stessa  legge   n.
 1077/1959  e  per  il  noto carattere di retribuzione differita della
 pensione; valgono, a tal proposito, le considerazioni piu' ampiamente
 svolte, in altra fattispecie  involgente  analoga  problematica,  con
 l'ordinanza   di   questa  sezione  2  maggio  1990  in  causa  Arata
 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - 1a serie speciale, n. 44 del 7
 novembre 1990, pag. 66).