IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi nn. 1229 e 1947 del 1990 proposti dal sig. Giuseppe Brasca rappresentato e difeso dall'avv. Renato Recca presso il quale e' elettivamente domiciliato in Roma, piazza Prati degli Strozzi n. 31 come da procura speciale al rogito notaio Edmondo Milozza rep. n. 128896 del 23 aprile 1991 in atti contro il Ministero del tesoro, ragioneria generale dello Stato, in persona del Ministro del tesoro pro-tempore e, limitatamente al ric. n. 1947 del 1990 contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri dipartimento della funzione pubblica in persona del legale rappresentante pro-tempore costituiti in giudizio col patrocinio dell'avvocatura generale dello Stato presso cui sono per legge domiciliati; per l'annullamento: a) ric. n. 1229/1989: del provvedimento "in corso di perfezionamento" comunicato il 13 marzo 1989 con nota prot. n. 62517, datata 10 novembre 1968, con il quale viene disposto il collocamento a riposo del ricorrente per raggiunti limiti di eta' con effetto dal 1 novembre 1989; b) ric. n. 1947/1990: 1) del provvedimento 19 aprile 1990, n. 29518, comunicato all'interessato il 20 aprile 1990, con cui il Ministero del tesoro, ragioneria generale dello Stato ha respinto un'istanza del Brasca diretta ad ottenere la riammissione in servizio; 2) della circolare 3 aprile 1990 n. 48509, con cui il Dipartimento per la funzione pubblica ha, tra l'altro, ritenuto che destinatari dell'art. 1, comma 4-quinquies, d.-l. n. 413/1989 convertito in legge n. 37/1990, siano i dirigenti civili dello Stato, "in servizio alla data di entrata in vigore del d.-l. n. 413/1989 (31 dicembre 1989)"; 3) di ogni altro atto antecedente, contestuale, successivo, e/o comunque connesso; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 9 maggio 1991 la relazione del consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani e udito, altresi', l'avv. Recca; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O 1. - Il dott. Giuseppe Brasca, nato a Vibo Valentia l'11 ottobre 1924, ha impugnato con un primo ricorso (notificato il 12 aprile 1989 e depositato il successivo 6 maggio) il provvedimento "in corso di perfezionamento" comunicatogli il 13 marzo 1989 con nota prot. n. 62517 del 10 novembre 1988, col quale l'amministrazione di appartenenza (Ministero del tesoro, ragioneria generale dello Stato) ha disposto il suo collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta' con effetto dal 1 novembre 1989. Premesse talune notazioni sulla normativa vigente al tempo della immissione in ruolo (1 luglio 1953) e quella sopravvenuta nel tempo, il ricorrente lamenta che nei suoi confronti abbia trovato applicazione l'art. 4, primo comma, del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, in forza del quale, appunto, e' stato collocato a riposo dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento del sessantacinquesimo anno di eta', nonostante il mancato conseguimento, a tale data di quaranta anni di servizio effettivo. Il provvedimento in questione sarebbe illegittimo per violazione e falsa applicazione di legge (primo motivo), violazione e falsa applicazione del potere organizzatorio di cui all'art. 97 della Costituzione (secondo motivo), violazione di diritto quesito e disparita' di trattamento (terzo motivo). Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente prospetta una lettura dell'art. 4 del testo unico n. 1092/1973 (terzo e quarto comma) in relazione all'art. 4 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, e del precedente testo unico del 1895 (vigente al tempo della assunzione in servizio) in forza della quale si rinverrebbe, nella vigente normativa il principio secondo cui il dipendente statale che non abbia compiuto il periodo massimo di permanenza in servizio vi debba essere mantenuto anche oltre il raggiungimento del limite di eta' onde consentirgli di realizzare il tetto massimo del trattamento pensionistico. Il secondo ed il terzo motivo pongono invece, subordinatamente, argomenti volti a sostenere la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4 della legge 15 febbraio 1958, n. 46 e 4 del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui escludono dal diritto a rimanere in servizio oltre il limite del sessantacinquesimo anno di eta' e fino al raggiungimento dei quaranta anni di servizio effettivo e non oltre il settantesimo anno di eta', il personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 15 febbraio 1958, n. 46 e del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. All'esito favorevole del giudizio della Corte costituzionale, cui si chiede che gli atti vengano rimessi, conseguirebbe l'illegittimita' riflessa del provvedimento impugnato e quindi l'annullamento per tali motivi, del provvedimento medesimo. Il potere del legislatore di organizzare i pubblici uffici incontrerebbe il limite fissato dall'art. 97 della Costituzione il quale non consentirebbe che solo per talune categorie di dipendenti e non per altri sia annesso il beneficio della permanenza in servizio oltre il limite di eta' quando una legge sopravvenuta muti il tetto anagrafico di permanenza in servizio, e cio' anche per la considerazione che tale beneficio sembrerebbe rispondere ad un principio acquisito dall'ordinamento, come emergerebbe dal diffondersi della normativa con tale contenuto (art. 6 della legge 30 maggio 1964, n. 336, art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 777, art. 6 della legge 26 febbraio 1982, n. 54 - secondo motivo). D'altra parte, la circostanza che il beneficio si riconosca a talune categorie di personale, colloca fra i diritti quesiti quello al mantenimento di un determinato regime ai fini del trattenimento in servizio, e determina disparita' di trattamento al danno di quanti di tale beneficio non fruiscano (terzo motivo). 2. - Con atto notificato il 6 giugno 1990 e depositato il successivo 12 giugno, il medesimo ricorrente impugna il provvedimento con cui e' stata respinta la sua istanza diretta ad ottenere la riammissione in servizio e la circolare meglio specificata in epigrafe con cui il Dipartimento per la funzione pubblica ha, tra l'altro, ritenuto che destinatari dell'art. 1, comma 4-quinquies, del d.-l. n. 413/1989, convertito in legge n. 37/1990 fossero i soli dirigenti civili dello Stato in servizio alla data di entrata in vigore del d.-l. n. 413/1989. A sostegno dell'impugnazione si deduce: 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 4-quinquies, del d.-l. n. 413/1989 convertito in legge n. 37/1990 e contraddittorieta' della circolare in epigrafe. Sostiene il ricorrente che la locuzione che fissa la decorrenza della norma invocata "dalla data di entrata in vigore" del decreto- legge de quo (e cioe' 31 dicembre 1989) non starebbe a significare che destinatari della norma siano i soli dirigenti ancora in servizio alla data anzidetta, occorrendo, invece che il dirigente sia ancora in condizione di prestare il servizio a tale data (anche mediante riassunzione) in modo da raggiungere il massimo della pensione (o il settantesimo anno di eta'). Una diversa interpretazione della disposizione perpetuerebbe infatti una situazione di disparita' di trattamento fra dipendenti in posizione analoga. Peraltro la questione assume rilievo nella fattispecie in cui l'interessato non ha prestato acquiescenza al collocamento a riposo proponendo il ricorso di cui prima si e' detto; fra l'altro si verte in una situazione in cui l'interessato non ha provveduto al riscatto degli studi universitari e del servizio militare per cui non sussisterebbero ostacoli e preclusioni all'applicazione della normativa; 2) violazione dell'art. 131 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3. Nella specie risulterebbe altresi' violata la norma sopracitata per la considerazione che vacante il posto, non si sarebbe potuto esprimere il diniego alla riassunzione senza aver prima acquisito il parere del consiglio di amministrazione; 3) su entrambi i ricorsi e' stata respinta dal tribunale la domanda incidentale di sospensione; 4) l'amministrazione si e' costituita in giudizio per resistere ad entrambi i ricorsi; 5) per completezza espositiva va infine soggiunto che per entrambi i ricorsi all'interessato ha variamente mutato il difensore, procuratore legale, ed il domicilio, risultando da ultimo, difeso e rappresentato dall'avv. Renato Recca con studio in Roma, piazza Prati degli Strozzi n. 31 ed ivi elettivamente domiciliato, come da procura speciale in notar Edmondo Milozza rep. n. 128896 del 23 aprile 1991, in atti; 6) con memoria 27 aprile 1991 unica per entrambi i ricorsi, il nuovo difensore costituito ha altresi' sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4-quinques, del d.-l. n. 413/1989 convertito dalla legge n. 37/1990 per violazione degli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione chiedendo altresi' l'affermazione del diritto dell'attuale ricorrente a permanere in servizio fino al raggiungimento del quarantesimo anno di servizio. D I R I T T O 1. - Pregiudizialmente il collegio ritiene di dover consentire alla riunione dei ricorsi, richiesta dal ricorrente in considerazione delle connessioni oggettive che si rinvengono nelle due controversie. 2. - Va quindi precisato che il dott. Giuseppe Brasca, dirigente superiore della ragioneria generale dello Stato e' stato collocato a riposo anteriormente alla entrata in vigore della legge 28 marzo 1990, n. 37, che, in sede di conversione, ha introdotto l'art. 1, comma 4-quinquies, al d.-l. n. 413/1989, ed ancor prima anche della entrata in vigore del citato decreto (31 dicembre 1989) e cioe' a far tempo dal 1 novembre 1989, a seguito del compimento del sessantacinquesimo anno di eta'. E pero', all'atto di entrata in vigore della nuova normativa la questione era sub indice per avere l'interessato gia' proposto impugnazione contro il provvedimento "in corso" comunicatogli con nota 13 marzo 1989. Successivamente, il medesimo ricorrente, alla luce della sopravvenuta normativa ha fatto istanza tempestiva di riammissione in servizio per fruire del trattenimento fino al conseguimento del quarantesimo anno di servizio (e non oltre il compimento del settantesimo anno di eta') con cio' provocando il provvedimento negativo oggetto del secondo ricorso. 3. - Cosi' riassunta sinteticamente la vicenda in fatto, osserva il collegio che, allo stato della normativa vigente, del tutto ultroneo e fuorviante e' il riferimento al r.d. 21 febbraio 1895, n. 70, espressamente abrogato (come anche fatto notare dalla resistente amministrazione) dall'art. 254 del testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, in forza del quale risultano anche espressamente abrogate le successive modificazioni e integrazioni del t.u. del 1895 cit., il r.d. 22 aprile 1909, n. 229 e le relative modificazioni e integrazioni, nonche' "tutte le altre norme relative al trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato vigenti alla data del 21 dicembre 1973, salve le disposizioni richiamate dal presente testo unico". Quanto al correttivo previsto dall'art. 4, primo comma, della legge 15 febbraio 1958, n. 46, esso aveva (come sempre ricordato dall'amministrazione) una valenza molto limitata nel tempo (un quinquennio dalla data di entrata in vigore della legge medesima) e pertanto non se ne possono desumere ne' la volonta' del legislatore di fare salve - in maniera generalizzata - "aspettative" sorte nel previgente regime, ne', a maggior ragione, argomenti interpretativi dell'art. 4, terzo comma, del t.u. n. 1092/1973 tali da far ritenere applicabile, all'attuale ricorrente, una normativa diversa da quella di cui l'amministrazione ha inteso fare applicazione. Peraltro, la formula normativa e' ben chiara, nel precisare che "gli impiegati civili di ruolo e non di ruolo sono collocati a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' (art. 4, primo comma, del t.u. n. 1092/1973)" cosi' come e' puntuale nello stabilire le eccezioni alla regola generale dianzi espressa (art. 4, terzo comma, del t.u. cit.). Altrettanto e' da dire della nuova normativa che ha esteso ai dirigenti civili dello Stato le disposizioni che consentono al personale della scuola di rimanere in servizio oltre il sessantacinquesimo anno di eta' e fino al raggiungimento del numero di anni di servizio richiesto per conseguire il massimo della pensione e non oltre il settantesimo anno di eta' (legge 30 luglio 1973, n. 477, art. 15). In particolare, con riguardo a quest'ultima normativa (art. 1, comma 4-quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990 n. 37) correttamente l'amministrazione (con la circolare impugnata con il secondo ricorso) ha individuato i destinatari della disposizione nel personale dirigente civile delle amministrazioni dello Stato cui trovino applicazione le norme del t.u. n. 1092/1973, in servizio alla data del 1 ottobre 1974 ed ancora in servizio alla data di entrata in vigore del d.-l. n. 413/1989 (31 dicembre 1989), salvo quanto disposto dall'art. 10, sesto comma, del d.-l. n. 357/1989 convertito con modificazioni nella legge n. 417/1989. 4. - Osserva peraltro il collegio che la posizione dell'attuale ricorrente, cosi' come definita sulla base del t.u. del 1973 era ancora sub indice all'atto dell'entrata in vigore della nuova disciplina che ha introdotto un trattamento sperequativo dei dirigenti in servizio alla data del 1 ottobre 1974, favorendo quanti erano ancora in servizio alla data del 31 dicembre 1989, rispetto ai dirigenti statali che, anche per poco, a tale data avevano cessato di essere in servizio. Essa pertanto, qualora trovasse soluzione favorevole la questione di legittimita' costituzionale sollevata con la citata memoria, sarebbe suscettibile di essere regolata dallo ius superveniens scaturente dalla eventuale sentenza additiva della Corte costituzionale. Una siffatta considerazione induce a ritenere rilevante la questione anzidetta la quale, come e' noto puo' essere proposta in ogni stato e grado del giudizio, senza che rilevi, in relazione alle censure proposte con il secondo dei ricorsi in esame, la circostanza che il vizio di legittimita' costituzionale si appalesi proposto per la prima volta con la memoria non notificata, trattandosi di questione che, in relazione alla norma invocata a sostegno dell'impugnazione puo' anche essere rilevata d'ufficio e la cui soluzione e' destinata comunque a riflettersi sull'uno e sull'altro dei ricorsi in esame, in senso favorevole per l'attuale ricorrente. 5. - Cio' premesso, ritiene il collegio che delle due questioni di legittimita' costituzionale rilevanti nei giudizi de quibus la prima (illegittimita' dell'art. 4 della legge 15 febbraio 1958, n. 46 e 4 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione) debba dichiararsi manifestamente infondata, mentre la seconda (illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 4-quinquies del d.-l. 7 dicembre 1989, n. 413, come convertito con modificazioni dalla legge 27 dicembre 1989, n. 413, in relazione agli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione) debba essere rimessa alla Corte costituzionale, essendo non manifestamente infondato il sospetto di incostituzionalita' avanzato dal ricorrente e comunque formulabile d'ufficio. 6.1. - Quanto alla prima questione osserva il collegio che appare del tutto ragionevole che l'art. 4 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, nel modificare il regime giuridico delle pensioni ordinarie a carico dello Stato abbia posto una disciplina transitoria di maggior favore, quanto al limite di eta', per un ristretto numero di soggetti costituito da dipendenti ormai prossimi al collocamento a riposo, i quali avevano fatto affidamento sulla possibilita' di conseguire un determinato trattamento pensionistico, ed in vista di cio' avevano organizzato in massima parte le proprie economie ed il proprio personale regime di vita e di lavoro. In tal senso, nessuna sperequazione puo' ravvisarsi fra tale categoria di dipendenti e quanti, viceversa (come l'attuale ricorrente), avessero invece da poco iniziato a prestare la propria attivita' alle dipendenze delle amministrazioni statali e fossero pertanto in grado di dare un diverso tipo di organizzazione alla propria esistenza, anche per gli aspetti economici connessi alla cessazione dal servizio. 6.2. - Per diverse considerazioni ritiene il collegio manifestamente infondata anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del t.u. del 1973, seguendo anche, in cio', l'insegnamento della Corte costituzionale. Appartiene infatti alla discrezionalita' del legislatore stabilire trattamenti privilegiati per categorie omogenee di pubblici dipendenti. E, pertanto, l'art. 4 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui mantiene in vita "le norme vigenti che stabiliscono limiti fissi di eta' per il collocamento a riposo di dipendenti civili dello Stato che appartengono a particolari categorie e quelle che stabiliscono per il personale insegnante una particolare decorrenza della cessazione dal servizio nonche' le norme che prevedono il trattenimento in servizio dopo il raggiungimento dei limiti fissi di eta'" (art. 4, quarto comma, t.u. cit.) non si presta al sospetto di contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, trattandosi di disposizione che trova la sua ragione di essere nella particolarita' delle situazioni disciplinate dalle norme speciali e che non consente accostamenti di alcun genere fra la generalita' dei soggetti cui si indirizzano i primi due commi dell'art. 4 e le categorie particolari destinatarie delle norme di favore. 7. - A diverse riflessioni induce la normativa contenuta nell'art. 1, comma 4-quinquies, del d.-l. 7 dicembre 1989, n. 413, piu' volte citato. La norma ha avuto, come e' logico ritenere, un intento perequativo nei confronti dei dirigenti dello Stato in rapporto al personale ispettivo, direttivo, docente e non docente della scuola in servizio alla data del 1 ottobre 1974. In favore di quest'ultima categoria infatti la legge 3 luglio 1973, n. 477 (art. 15, secondo e terzo comma) ha stabilito la possibilita' di rimanere in servizio oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di eta' (e non oltre quello del compimento del settantesimo anno di eta') al fine di conseguire il trattamento massimo o minimo della pensione o un trattamento piu' favorevole oltre il minimo (cfr. Corte costituzionale 9 luglio 1986, n. 207, in Gazzetta Ufficiale n. 38 del 1 agosto 1986) salvo quanto precisato dall'art. 10, sesto comma, del d.-l. n. 357/1989 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 417/1989, circa il servizio utile da prendere in considerazione per i fini che qui interessano. Ora non puo' non vedersi come tale intento perequativo resti frustato, all'interno della stessa categoria dei dirigenti che il legislatore ha inteso beneficiare, attraverso la limitazione derivante dalla decorrenza impressa alla disposizione medesima (31 dicembre 1989), decorrenza che taglia fuori dal beneficio gran parte dei dipendenti in servizio il 1 ottobre 1974, cosi' da fare, della norma di favore, quasi un provvedimento ad personam, a beneficio esclusivo di pochi eletti, senza che nulla giustifichi, sul piano della identita' delle posizioni, dei bisogni di vita, delle aspettative, la diversita' di trattamento rispetto a quanti, in qualita' di dirigenti, abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno di eta' anteriormente (anche se di poco) al 31 dicembre 1989. Il collegio non condivide la tesi del ricorrente secondo cui l'attuale sistema normativo sarebbe nelle linee comuni e generali orientato nel senso del diritto al mantenimento in servizio fino al conseguimento del massimo della pensione, quale che sia l'eta' dell'interessato e comunque fino e non oltre, il compimento del settantesimo anno di eta'. Al contrario sussistano ancora, nel vigente ordinamento, sistemi differenziati che trovano ragion d'essere nelle particolarita' proprie delle situazioni variamente disciplinate con speciale normativa di favore. Nella specie il sospetto di illegittimita' costituzionale alla stregua degli artt. 3 e 97 (e non anche dell'art. 36 irrilevante nella fattispecie) nasce dalla impossibilita' di individuare all'interno della stessa categoria dei dirigenti statali cui la norma si indirizza (quelli in servizio al 1 ottobre 1974) elementi differenziati che lascino intravedere una ragionevole spiegazione della disparita' di trattamento fra coloro che hanno compiuto il sessantacinquesimo anno di eta' prima del 31 dicembre 1989 e quanti abbiano raggiunto tale limite successivamente, tale cioe' da giustificare soltanto per i secondi e non anche per i primi il trattenimento in servizio al fine di far loro conseguire il trattamento pensionistico piu' favorevole. A meno che la giustificazione non debba farsi risiedere nell'esigenza di contenimento della spesa pubblica. Ma e' piu' che evidente, in tal caso, che nessuna particolarita' delle situazioni soggettive e' idonea a rendere ragione del limite posto alla operativita' della disciplina di favore che cosi' come congegnata finirebbe col fare, dell'atto legislativo, una sostanziale elargizione ad personam, per pochi eletti, per nessun'altra ragione piu' meritoria se non per essere piu' giovani. Ma cio' appare tanto piu' incongruente ove si consideri che per gli uni e per gli altri il piano economico personale, per cio' che concerne la cessazione dal servizio si e' svolto sulla previsione del limite massimo del sessantacinquesimo anno di eta' mentre del tutto identici si prospettano, su un piano generale, i meriti connessi alla posizione di carriera e di servizio, le analogie con altre categorie gia' beneficiate nel medesimo senso, le difficolta' connesse all'allungamento della vita media in relazione alla cessazione dal servizio in rapporto alla opportunita' di garantire il miglior trattamento pensionistico e di quiescenza. Il collegio pertanto deve condividere e per quel che occorre formulare autonomamente d'ufficio il sospetto di illegittimita' costituzionale della norma sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui esclude dal beneficio i dirigenti che, in servizio alla data del 1 ottobre 1974, abbiano compiuto il sessantacinquesimo anteriormente alla entrata in vigore della suddetta norma incriminata, senza peraltro aver potuto conseguire il massimo del trattamento pensionistico, e senza che, d'altra parte, le posizioni di quiescenza risultino definite per l'acquiescenza prestata dagli interessati ai pregressi provvedimenti. 8. - Per tali aspetti, destinati a riflettersi sui ricorsi all'esame del collegio i giudizi relativi devono essere sospesi e gli atti devono essere rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita' costituzionale di cui trattasi.