IL PRETORE
    Sciogliendo   la   riserva,   sulle   questioni   di  legittimita'
 costituzionale  sollevate,   osserva   non   apparire   le   medesime
 manifestamente infondate.
    La  piu'  gran  parte  delle  spese  per la giustizia nel bilancio
 statale e' coperta dalla  quota  che  le  e'  assegnata  del  gettito
 fiscale  generale,  offerto  cioe'  dalle  imposte dirette e comunque
 dalla imposizione non teleologicamente assoggettante gli  utenti  del
 servizio.
    Tuttavia  concorre  la  sua  parte  anche la c.d. imposta di bollo
 (relativamente, nella specie, ai  fogli  da  impiegare  nella  difesa
 scritta   nel   giudizio   civile)   e,  come  tale,  sostanzialmente
 configurabile  come  corrispettivo  tributario  ovvero  come   tassa,
 appunto  dovuta  in  relazione alla "prestazione giurisdizionale" (il
 "bollo" si configura nei diversi contesti ora come imposta  ora  come
 tassa).
    Peraltro non e' illogico che al fruitore del "servizio giustizia",
 che, da potenziale, e come tale "comune" soggetto di imposta, divenga
 attuale, si chieda una ulteriore contribuzione.
    Non  gli si chiedera' certo il pagamento integrale dello specifico
 servizio resogli: se  questo  fosse  l'intendimento  del  legislatore
 (sicuramente  pero'  non  portato  ad  effetto)  allora  il "servizio
 giustizia" cesserebbe (il che e' per  piu'  versi  inammissibile)  di
 essere  un servizio pubblico, ricadendo nella logica mercantile della
 fruizione, dei costi assorbiti dal prezzo richiesto per la medesima e
 di questa intesa come circoscrivibile esaustivamente a coloro che  in
 concreto   di   una   controversia  insorta  chiedano  la  giudiziale
 soluzione.
    Risponde invece ad un interesse (pubblico) della collettivita' (di
 tutti i cittadini e di ciascuno) l'esistenza stessa di  una  funzione
 giurisdizionale  dello  Stato  attiva ed attivabile, come garanzia di
 legalita', vitale per l'ordinamento ed essenziale vuoi nel  ruolo  di
 generale   prevenzione  ed  ammonizione  che  svolge  sia  nella  sua
 evocabilita' sia nei suoi concreti interventi, vuoi nel ruolo appunto
 risolutivo che in questi si concretizza. Tutti  percio'  vi  dovranno
 (vi devono) fiscalmente contribuire (anche se non vi facciano poi mai
 concreto  ricorso),  con  ancor  piu'  forte  ragione  (se possibile)
 dell'obbligo generale di  contribuire  alle  spese  per  la  pubblica
 istruzione, la sanita', ecc. Ed in effetti vi contribuiscono, secondo
 le leggi fiscali vigenti.
    Per  questo  motivo  "ontologico", il fruitore specifico e attuale
 trovera' gia' pagata dalla collettivita'  dei  contribuenti  la  gran
 parte  della  quota  delle  spese  di  giustizia  configurabile  come
 relativa al suo caso (valutata in termini di costi - pro quota  -  di
 materiali ed attrezzature e di tempo-lavoro).
    Se  il  contributo  che  gli  si chiede (con il prezzo della carta
 bollata, e altre voci) valga a coprire la parte rimasta  scoperta  di
 quella  quota, non puo' dirsi, poiche' non puo' affermarsi "a priori"
 ne' quale sia quella quota ne' quale sia di essa la parte coperta dal
 gettito fiscale c.d. generale.
    Cio' che puo' invece affermarsi e' che se anche si ritiene  (e  lo
 si  ritiene)  corretto  chiedere al fruitore attuale un contributo "a
 chiusura" - o  tendenzialmente  tale  -,  e  se  percio'  si  intende
 procedere alla determinazione di esso, esso non potrebbe non essere -
 per   sua   propria   natura   matematico-contabile  -  proporzionale
 all'ipotizzabile  costo  totale  del   processo   nell'ambito   della
 pluralita'  dei  costi  di  tutti  i  processi  ed  in presenza della
 distribuzione fra essi delle entrate fiscali generali  devolute  alla
 giustizia   civile,  giacche'  lo  Stato  e  la  collettivita'  hanno
 interesse a che tutte le controversie, se non bonariamente  composte,
 sfocino in una soluzione giudiziale, e questo generale pari interesse
 si  esprimera' attraverso la teorica copertura proporzionale da parte
 delle entrate generali (quale che ne  sia  la  misura  possibile):  e
 percio', ad esempio, prevista una entrata 1000 e formulata la ipotesi
 -  "di  lavoro", e completamente da verificare - di 100 processi, per
 una spesa globale in gran  parte  predeterminabile  anche  a  cagione
 delle  sue  predominanti  componenti  stipendiali, e che si indica in
 1225 e che,  attese  le  ipotizzabili  differenziate  gravosita'  dei
 processi  stessi, puo' distribuirsi in ragione di 25 x 20 + 25 x 15 +
 25 x 10 + 25 x 5, allora la attribuzione delle entrate  al  costo  di
 ciascuno  di  essi  dovra'  avvenire  - nella ricostruzione teorica -
 secondo il costante  rapporto  1000/1225,  cui  si  accompagnera'  la
 distribuzione    egualmente    proporzionale    delle    entrate   da
 "corrispettivo tributario specifico" (che queste raggiungano o no  il
 tetto  della  spesa  globale  residua - 225 - e' problema che qui non
 rileva).
    Questo  principio  di  proporzionalita'  si  impone,  vuoi   nella
 distribuzione  teorica delle entrate fiscali generali, vuoi (quel che
 ci riguarda piu'  da  vicino)  nella  determinazione  del  contributo
 specifico  richiesto,  non  solo per il generale pari interesse sopra
 cennato, ma anche perche', nei rapporti con lo Stato  "prestatore  di
 servizi-impositore",  i  cittadini  che  si  rendano fruitori attuali
 devono pagare secondo criteri che rispettino la misura della spesa da
 ciascuno di essi indotta.  Resiste  cioe'  l'esigenza  di  parita'  e
 ragionevolezza  che  vieta  di imporre corrispettivi tributari uguali
 per  spese  diverse  i.e.  specifici  servizi  di  diverso  costo  (e
 viceversa).
    Inoltre,  i  contributi richiesti alle parti manifestano anche una
 natura di  imposta  in  senso  proprio  (pur  sempre  finalizzata  al
 bilancio della giustizia): come una specifica ulteriore imposizione a
 carico  dei fruitori attuali. Del resto ha una sua convincente logica
 lo  speculare  aggancio  al   tema   dell'interesse   generale   alla
 giurisdizione,   valido   sia   per   coloro  che  non  ne  fruiscano
 direttamente sia per coloro che direttamente ne fruiscano e che pero'
 e  percio'  in  tale  momento  legittimamente  vengano  richiesti  di
 ulteriore   contribuzione   riferibile  anche  alla  generalita'  del
 servizio. Ed e' questa una ragione di piu' (se ve ne  fosse  bisogno)
 per  pretendere  per  quei  contributi  proporzionalita': o al valore
 della  causa  (analogamente  al  criterio  che  regola  l'imposizione
 indiretta  o  sugli  affari  -  valore  della  negoziazione gravata o
 assoggettata, a sua volta poi in qualche modo espressivo anche di  un
 reddito  dei  soggetti  -)  e  esplicitamente  al reddito delle parti
 (cosi'  come  secondo  tale   criterio   -   connotato   inoltre   di
 progressivita'  - i cittadini concorrono con imposizione diretta alle
 entrate fiscali generali).
   Ora,  la  quantita'  dei  fogli  difensivi  necessaria  o  comunque
 adoperata  non ha affatto una univoca espressivita' rispetto al costo
 del processo. Se intendiamo infatti la  spesa  della  amministrazione
 della giustizia riferibile al singolo procedimento come precipuamente
 caratterizzata  dal  lavoro  del  giudice  visto sub specie di studio
 degli atti (e questo aspetto - in se' del resto di un certo rilievo -
 costringono a mettere a fuoco proprio le  specifiche  "occasioni"  di
 imposta  qui in discorso, i fogli difensivi) deve rilevarsi come esso
 non sia necessariamente in  proporzione  diretta  con  il  numero  di
 questi,  prodotti  in  udienza  o  sottoposti  alla  attestazione  di
 deposito in cancelleria e quindi offerti alla sua lettura. Ben spesso
 infatti da una difesa lunga e approfondita e consapevole di  tutti  i
 problemi   rilevanti  implicati  dalla  controversia  il  giudice  e'
 condotto ad una decisione piu' rapida e meno travagliata o laboriosa,
 e - diversa ipotesi - una difesa spesso  puo'  essere  lunga  perche'
 ripetitiva e comunque ben poco densa di argomenti, e quindi per altro
 verso non impegnativa per il lettore. Si parla di difesa nel processo
 prevalentemente  scritto,  qual'e' l'attuale, e che si intende quindi
 scritta. E se  si  tratta  invece  di  difesa  orale,  come  pure  e'
 consentita,  il  prevalere di questo tipo su quello non implicherebbe
 nell'attuale sistema di "assegnazione a sentenza" -  e  comunque,  in
 generale  -  un  alleggerimento dell'impegno decisionale, tutt'altro,
 mentre in un sistema a prevalenza orale e con sentenza pronunciata in
 esito  a  camera  di   consiglio   immediatamente   successiva   alla
 discussione  e'  evidente  che il parametro cartaceo perde ogni anche
 apparente giustificazione (v. del resto la disciplina del  bollo  nel
 processo del lavoro). Ne' il costo del processo e' necessariamente in
 proporzione  diretta con il numero dei fogli impiegati per la stesura
 della decisione stessa - la lunghezza della quale puo' ben  dipendere
 soltanto   da   una   non  particolarmente  impegnativa  esigenza  di
 descrizione del fatto, ecc. -.
    Percio', il bollo in misura fissa per ogni  pagina  difensiva  non
 risponde  al  principio  di proporzione al costo del processo. Potra'
 solo dirsi che una lunga,  approfondita  e  puntuale  difesa  scritta
 costera'  piu'  impegno agli avvocati, e quindi maggiori onorari alle
 parti. Ma cio', si ripete,  non  significhera'  affatto  di  per  se'
 maggior costo ("pubblico") del processo.
    Poiche'  inoltre  la  quantita'  dei  fogli difensivi necessaria o
 comunque  adoperata  non  ha  alcun  necessitato  rapporto,   neppure
 apparente,  con  il  valore  della causa, ecco che allora il bollo in
 misura fissa (ed uguale per i giudizi  sia  davanti  al  Pretore  sia
 davanti al Tribunale) per ogni pagina ancor meno realizza un criterio
 di   proporzione   ad   esso  valore,  criterio  cui  debbono  invece
 riconoscersi, al fine che ne occupa, due fondamenti,  vuoi  cioe'  la
 possibilita'  di  esprimere  un accettabile rapporto prezzo-costo (il
 valore della causa inteso  come  indice  alquanto  attendibile)  -  a
 differenza  della  quantita'  dei  fogli  difensivi  -  del costo del
 processo:  l'elevato  valore  richiede  di   per   se'   un   impegno
 particolarmente  attento,  cosi' come, e per la stessa ragione, oltre
 un certo limite richiede il giudizio di tre  magistrati  anziche'  di
 uno   (cioe'   con   un   accresciuto   paradigma  tempo-lavoro),  e,
 procedendosi  per  scaglioni,  fonda  da  se'  solo  il  diritto  del
 difensore  a  compensi  vieppiu'  elevati  (con  riflessi anche sugli
 onorari), vuoi  il  carattere  anche  di  imposta  in  senso  proprio
 rivestito  nella  specie  dalla c.d. imposta di bollo, e alla stregua
 del quale e' ragionevole considerare  il  valore  della  causa,  come
 valore  dell'"affare"  nell'ottica della imposizione indiretta e come
 espressivo di reddito o di  patrimonio  nell'ottica  dell'imposizione
 diretta.
    Il  contributo  in  misura fissa per ogni pagina risponde poi meno
 che mai ad un criterio di proporzionalita' (semplice  o  progressiva)
 al  reddito  personale  delle  parti.  Peraltro,  poiche'  la vicenda
 processuale,  per  il  principio  della  soccombenza,   si   conclude
 generalmente  con  l'addebito  di  tutte le spese - e quindi anche di
 quelle in discussione - ad una sola parte, se quelle  si  son  venute
 determinando  sulla  scorta  del  reddito,  il  soccombente si vedra'
 indirettamente, con la rifusione, caricato anche di valutazioni rela-
 tive al reddito altrui, e, piu' da vicino, se soccombente  di  fronte
 ad  un  avversario  piu' povero, paghera' complessivamente di meno di
 quanto pagherebbe se soccombente di  fronte  ad  un  avversario  piu'
 ricco:  in  tal  modo  la  rifusione  delle  spese  aggiungerebbe  al
 significato  di  una  sanzione  del  torto  nella  lite   l'ulteriore
 significato  -  inaccettabile  -  di  sanzione  dell'aver avuto torto
 contro il piu' ricco. A meno che non  si  ipotizzi  di  rinviare  del
 tutto  al  momento  della  decisione la determinazione e il pagamento
 delle spese.
    Gli effetti della soccombenza esprimono la sanzione del torto,  la
 deterrenza dall'ingiusto agire o resistere, e all'un tempo l'esigenza
 che la parte vittoriosa si veda infine sgravata delle spese, che pure
 pero'  nell'immediato  sono state per lei i pesi di un giusto agire o
 resistere. La soccombenza da' cosi' l'indirizzo finale al  contributo
 imposto,  non  pero'  ne assorbe e sostituisce l'originaria ratio, da
 ravvisare appunto in una contribuzione (corrispettiva  e  impositiva)
 che,  da  dimensionare  si' come la sua natura richiede, entrambi gli
 attuali fruitori della giurisdizione inizialmente  sopportano  e  che
 non potra', solo per la ulteriore finalita' ora cennata, determinarsi
 con criterio svincolato da quelli contributivi sopra indicati.
    Peraltro,  anche  volendosi  ridurre  il combinarsi delle spese de
 quibus e della rifusione  per  soccombenza  all'unica  ratio  di  una
 sanzione  del  torto,  non  potrebbe  anche  di  questa  ignorarsi la
 sostanza corrispettiva (il carico su chi ha "provocato"  l'intervento
 giudiziale  -  negando  un debito o con una pretesa infondata - delle
 spese  del  medesimo)  ne'  comunque  negarsi   la   equita'   e   la
 ragionevolezza  di  un  criterio  determinativo attento al costo e al
 valore della causa (secondo parametri  che,  come  gia'  cennato,  si
 integrano).
   Inaccettabile sarebbe poi la tesi dell'imposta di bollo de qua come
 me'ra occasione di prelievo fiscale, teleologicamente sconnesso dalla
 fruizione  del "servizio giustizia" (e determinato con quali criteri,
 e volto a quali fini?).
    Essa,  invece,  e  dunque,  in  coerenza  con i criteri che devono
 sorreggere la  determinazione  all'un  tempo  dell'imposta  in  senso
 stretto e del corrispettivo tributario, ed anche salve le concorrenti
 ragioni  "sanzionatorie",  non puo' ancorarsi ne' al numero dei fogli
 difensivi ne'  farlo  comunque  in  misura  fissa  "pro  pagina".  La
 funzione   legittimante,   anche   complessa,  deve  indurre  ad  una
 riformulazione dello strumento di prelievo, con riferimento ad  altri
 parametri o ad altre occasioni, pur "intraprocessuali".
    Neppure   manifestamente   infondata  appare  la  questione  della
 eccessivita' in  assoluto  dell'imposta  di  bollo  e  dell'eccessivo
 aumento rispetto alle misure preesistenti (oltre il 300%; e del 1430%
 se  riferito  alle  misure vigenti solo quattro anni prima). Premesso
 che gli elevati  valori  assoluti  invitano  ad  una  particolarmente
 attenta  considerazione della natura e della funzione dell'imposta (e
 cosi' rafforzano la opinione della opportunita'  della  disamina  qui
 tentata  -  anche  al  di  la',  si  crede,  della  valutazione della
 fondatezza  delle  sue  conclusioni  -),  va  aggiunto  che  il  loro
 notevolissimo aumento impone altresi' una valutazione comparativa con
 la  quota  del  gettito  fiscale generale e il non pari accrescimento
 della stessa e quindi la valutazione di un mutato  rapporto  interno,
 che  vede  gravare solo - o quasi solo - sulla categoria dei fruitori
 specifici un deliberato aumento di spesa  per  la  giustizia,  mutato
 rapporto  che,  quand'anche  espressione  di  una  scelta politica in
 ipotesi legittima, non sottrae quei valori e quell'aumento a dubbi di
 legittimita' in ordine ad  una  compressione  della  possibilita'  di
 agire  e/o  difendersi  in  giudizio  in funzione inversa del reddito
 (artt. 24 e 3  della  Costituzione),  non  adeguatamente  contrastata
 dalla normativa sul gratuito patrocinio.
    Sulla  rilevanza. E' vero che l'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972
 dispone fra l'altro che i giudici non possano rifiutarsi di  assumere
 a base dei loro provvedimenti e di allegare o enunciare nei loro atti
 i  documenti  e gli atti non in regola con le disposizioni sul bollo,
 sicche' le parti potrebbero  svolgere  un  giudizio  utilmente  anche
 difese  scritte  per  le  quali non versino preventivamente l'imposta
 prescritta e  cosi'  esprimere  i  propri  argomenti  con  l'ampiezza
 ritenuta  congrua  e libera da vincoli ritenuti ingiusti, ma e' anche
 vero che la prospettiva di dover comunque poi regolarizzare,  secondo
 la  normativa  vigente,  e  di  poter  essere  a cio' tenuti non solo
 immediatamente ed esecutivamente (nei termini indicati  dalla  legge,
 vuoi dopo la conclusione del giudizio, vuoi anche prima) (v. in part.
 art.  31),  ma  anche  irrevocabilmente  (ove l'autorita' giudiziaria
 confermi il provvedimento definitivo di cui all'art. 33), condiziona,
 ad avviso di questo  giudice,  l'esercizio  del  diritto  di  difesa.
 Infatti,  non solo deve sottolinearsi come la fisiologia del rapporto
 tributario voglia previamente conosciuti dall'utente i  corrispettivi
 pretesi  per  la prestazione che si accinge a richiedere, ma deve poi
 osservarsi che la parte, ove abbia fondamento il suo asserito diritto
 ad una contribuzione di spesa - sub specie di imposta di bollo - vuoi
 in assoluto inferiore a quella oggi richiesta vuoi  proporzionata  al
 costo  e  al  valore  del  processo  (e  quindi nella specie per piu'
 ragioni  inferiore),  e  quindi  venga   esso   diritto   previamente
 riconosciuto,  svolgerebbe  le  sue  difese  con  l'ampiezza ritenuta
 opportuna e possibile, e se  invece  quell'asserito  diritto  non  le
 venga riconosciuto potrebbe valutare, nella pur non grata certezza di
 tale  ricevuto  diniego  (e  nella comunque previamente invincibile -
 maggiore o minore - incertezza dell'esito  del  giudizio  di  merito)
 potrebbe  diversamente  valutare, in quei dati termini ed in rapporto
 sempre  a  proprie  personali  esigenze,  aspettative  e   condizioni
 economiche,  la  opportunita'  e  convenienza  del se e come e quanto
 agire,  resistere,  argomentare.  Posta  invece  in   situazione   di
 incertezza  anche  in ordine alla misura costituzionalmente legittima
 del tributo (costretta cioe', da una ritenuta attuale irrilevanza,  a
 rinviare  la  sollecitazione  del  relativo  giudizio alla fase della
 esazione e delle sanzioni), ella sara'  costretta,  nel  valutare  la
 controversia  e le scelte difensive da compiere, a fare i conti anche
 con la predetta ipotesi (ma solo come ipotesi in attesa di  verifica)
 di  diniego,  e  potra'  quindi  esser  spinta o ad una rinuncia alla
 tutela  giurisdizionale  (e  cosi'  ad  agire,  o  a  costituirsi  se
 convenuta)  o  ad una autolimitazione difensiva che potrebbe incidere
 sfavorevolmente per lei  sull'esito  del  giudizio,  il  tutto  sullo
 sfondo  della  contestuale  possibile  ed  incerta  anch'essa ipotesi
 alternativa  di  riconoscimento  della  propria  tesi  in  punto   di
 legittimita'  costituzionale, la quale, una volta verificata ex post,
 non potrebbe pero'  retroattivamente  concederle  quel  maggior  agio
 difensivo  -  sempre  rapportato  alla specifica controversia e a sue
 valutazioni in ordine alla stessa - che  sarebbe  in  se'  capace  di
 attribuirle  ma  di  cui  essa  parte  non  ha  goduto  nel trascorso
 giudizio,  ne'  parimenti  potrebbe  sanare   gli   eventuali   esiti
 giudiziali  negativi di quella carenza (difesa autolimitata e percio'
 insufficiente ed eventualmente percio' disattesa; inutile dire  della
 negativita'  assoluta di una rinuncia ad agire, che peraltro rende il
 soggetto privo in concreto del presupposto su cui far  leva  per  una
 eccezione  di illegittimita' del tributo). La questione appare dunque
 rilevante  in  questo  senso,  nel  senso  cioe'  ora  cennato  della
 necessita'   per  le  parti  di  una  soluzione  delle  questioni  di
 legittimita' costituzionale al fine di un esercizio  del  diritto  di
 difesa pieno (nel quadro costituzionale accertato) e nel senso che la
 impossibilita'  di definire la controversia (di cui al secondo comma,
 dell'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87) non pare debba essere
 intesa solo in termini strettamente argomentativi, di interdipendenza
 cioe' tra questioni di legittimita'  costituzionale  e  questioni  di
 merito sottoposte, ma pare debba intendersi anche come impossibilita'
 di   una   decisione   che  maturi  da  una  discussione  processuale
 sicuramente non inficiata da alcuna compressione - di  alcun  tipo  -
 del  diritto  di difesa (come dimensionato - nella specie - dalla con
 non manifesta infondatezza  sostenuta  -  con  la  questione  appunto
 sollevata - minor misura dell'imposta di bollo).
    Dove,  fra  l'altro - e dunque -, le questioni della non manifesta
 infondatezza e della rilevanza peculiarmente si  legano.  Non  sembra
 infine  potersi  valutare  se  e  in  quale  misura  in concreto tali
 condizionamenti si diano, diretti ed indiretti, del diritto di difesa
 da parte della ritenuta illegittima misura dell'imposta  di  bollo  e
 della  non  previa  soluzione  della  relativa questione, poiche' una
 valutazione in concreto comporterebbe  un  giudizio  che  non  sembra
 consentito  -  ne' peraltro possibile "in limine" - (e che inoltre si
 sostituirebbe anche ad un apprezzamento che e'  e  puo'  essere  solo
 esclusivo   delle   parti)   sul  merito  della  controversia,  sulle
 rispettive  ragioni e possibilita' di argomentazione, sulla quantita'
 e qualita' delle  prove  necessarie,  sulla  possibilita'  di  finale
 affermazione, sulla complessiva convenienza del giudizio.
    Dunque,  sembrano violare le norme di cui agli artt. 3, 24 (primo,
 secondo e terzo comma) e 53 della Costituzione gli articoli di  legge
 che  esigono  dai  soggetti  che  concretamente  si  avvalgano  della
 giurisdizione   civile   una   contribuzione   specifica   di   spesa
 proporzionata  al numero di fogli impiegati per gli scritti difensivi
 (o comunque impiegati nel processo) e per giunta in  misura  unitaria
 fissa ed identica nei giudizi davanti al pretore ed in quelli davanti
 al   tribunale,   e  pari  a  L.  10.000  per  foglio,  anziche'  una
 contribuzione proporzionata al valore della causa o ad altri elementi
 ugualmente o piu'  indicativi  vuoi  della  portata  economica  della
 controversia vuoi, all'un tempo, dell'ipotizzabile costo del processo
 medesimo   e/o  della  capacita'  contributiva  delle  parti,  o  una
 contribuzione comunque inferiore.