ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 60, 405 e
 197, secondo comma, lett. a) (rectius: art. 197, primo  comma,  lett.
 a)), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
 19  marzo  1991  dal  Tribunale  di  Milano nel procedimento penale a
 carico di Sottoferro  Antonio  ed  altro,  iscritta  al  n.  466  del
 registro  ordinanze  1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 19 febbraio 1992 il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza del 19 marzo 1991 il  Tribunale  di  Milano  ha
 sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
 all'art. 76 della Costituzione, degli artt.  60,  405  e  197,  primo
 comma,  lett.  a)  del  codice di procedura penale, per contrasto con
 l'art. 2 n. 36 della legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81.
    2. - In particolare il giudice remittente rileva la sussistenza di
 un  contrasto  tra  la direttiva n. 36 della legge di delega, laddove
 prevede "l'assunzione della  qualita'  di  imputato  da  parte  della
 persona  cui  e' attribuito un reato .. nella richiesta di una misura
 di coercizione reale o personale", e gli artt. 60 e 405 del codice di
 rito che  tale  disposizione  non  riproducono  in  riferimento  alla
 persona  sottoposta ad indagini nei cui confronti sia stata richiesta
 l'adozione di una misura cautelare.
   Inoltre l'art. 197, prosegue il giudice  a  quo,  attesa  l'attuale
 formulazione  normativa  della  qualita'  di  imputato desumibile dai
 citati artt. 60  e  405,  consente  l'assunzione  quale  teste  della
 persona  gia' sottoposta ad indagini, colpita da misura cautelare, la
 cui posizione sia stata  archiviata.  Ne',  a  suo  avviso,  potrebbe
 essere  applicata  la estensione della garanzia disposta dall'art. 61
 dello stesso codice, atteso il venir meno della veste di indagato  in
 seguito al provvedimento di archiviazione.
    Quanto  alla rilevanza, il Tribunale di Milano conclude affermando
 che ove la legge-delega  fosse  stata  integralmente  rispettata,  la
 persona  che  si  fosse trovata nella anzidetta posizione processuale
 non avrebbe potuto essere sentita in qualita' di teste,  come  invece
 e'  avvenuto  nel  caso  di  specie, bensi' come soggetto imputato di
 reato connesso.
    3. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,   rappresentato   dall'Avvocatura   generale  dello  Stato,
 concludendo per la manifesta infondatezza della questione sollevata.
    Rileva l'Avvocatura che la legge di delega prevede alla  direttiva
 n.  48  dell'art.  2  che  il  pubblico  ministero,  al termine delle
 indagini preliminari, debba effettuare la scelta tra la richiesta  di
 archiviazione    e   la   formulazione   dell'imputazione:   il   che
 dimostrerebbe  che,  nel  disegno  del  legislatore   delegante,   di
 imputazione  e  di  imputato  possa  correttamente  parlarsi solo nel
 momento in cui l'azione penale sia effettivamente esercitata.
    L'indubbia razionalizzazione operata nel codice delle  indicazioni
 della  legge  di delega soddisferebbe quindi le esigenze di chiarezza
 concettuale  e  sistematica,  e  nel  contempo  non   tradirebbe   il
 significato   autentico  della  direttiva  n.  36.  Questa,  infatti,
 prosegue la difesa del governo,  non  ha  lo  scopo  di  definire  la
 nozione di imputato in senso tecnico, bensi' quella di individuare le
 situazioni  che determinano l'applicazione degli istituti processuali
 di  garanzia  a  favore  dell'imputato  o,  comunque,  della  persona
 sottoposta  alle  indagini.  In questo senso la disciplina del codice
 sarebbe pienamente soddisfacente, attesa l'"estensione dei diritti  e
 delle garanzie dell'imputato" operata dall'art. 61.
    Inoltre,  a  prescindere da profili nominalistici, non potrebbe in
 alcun modo affermarsi che nelle intenzioni del legislatore  delegante
 la  persona  sottoposta  a  misure  cautelari personali o reali debba
 veder  definita  la  sua  posizione   processuale,   in   alternativa
 all'esercizio   dell'azione  penale,  con  un  provvedimento  diverso
 dall'archiviazione. Proprio in forza della citata  direttiva  n.  48,
 ancor  prima  che  dell'art.  405  del codice di procedura penale, il
 pubblico ministero il quale ravvisi l'inconsistenza  degli  indizi  a
 carico dell'indagato deve richiedere l'archiviazione.
    In  altri  termini, comunque si fosse voluto risolvere il problema
 della individuazione della  qualita'  della  persona  colpita  da  un
 provvedimento  cautelare  personale o reale nel corso delle indagini,
 la delega imponeva un esito di archiviazione nei  suoi  confronti  in
 alternativa all'esercizio dell'azione penale.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  di  Milano solleva questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 60, 405 e 197, primo comma, lett.  a)  del
 codice   di  procedura  penale,  in  riferimento  all'art.  76  della
 Costituzione, per contrasto con l'art. 2 n. 36 della legge di  delega
 16 febbraio 1987 n. 81.
    La  questione  sottoposta  al giudizio della Corte e' la seguente:
 secondo il giudice a quo non sarebbe applicabile all'ipotesi  di  cui
 all'art.  197,  primo comma, lett. a) (Incompatibilita' con l'ufficio
 di testimone) del codice di procedura penale la disposizione  di  cui
 all'art.  61,  secondo comma (Estensione dei diritti e delle garanzie
 dell'imputato), "atteso che tale norma fa riferimento  all'attualita'
 della  veste  di indagato, che viene meno in seguito al provvedimento
 di archiviazione". Ne  consegue  che  il  divieto  di  assumere  come
 testimoni i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un
 procedimento  connesso  a norma dell'art. 12, non opera nei confronti
 di chi e' stato  sottoposto  ad  indagini  preliminari  concluse  con
 l'archiviazione.  Ma,  nel caso da cui muove il Tribunale remittente,
 la  persona  sottoposta   alle   indagini   preliminari   era   stata
 assoggettata,  nel  corso  di  queste,  a  misura  restrittiva  della
 liberta' personale, ed avrebbe percio' dovuto assumere la qualita' di
 imputato secondo  la  previsione  contenuta  nella  direttiva  n.  36
 dell'art.  2  della legge di delega, previsione che non sarebbe stata
 rispettata dagli artt. 60 e  405  del  codice  di  procedura  penale.
 Sarebbe   quindi   costituzionalmente   illegittimo,  per  violazione
 dell'art. 76 della Costituzione, l'art. 60 del  codice  di  procedura
 penale  in  quanto  non  prevede  che  la  qualita' di imputato venga
 assunta dalla persona, sottoposta alle indagini preliminari  "cui  e'
 attribuito  un  reato .. nella richiesta di una misura di coercizione
 reale o personale".
    La  questione  posta  dal  Tribunale   di   Milano   va   pertanto
 circoscritta  a tale ultima norma (pur se formalmente sollevata anche
 in ordine agli artt. 197 e 405 del codice di  procedura  penale),  in
 quanto   l'eventuale   dichiarazione  d'illegittimita'  della  stessa
 risulterebbe di per se' idonea a  risolvere  il  problema  nel  senso
 auspicato dall'ordinanza di rimessione.
    2. - La questione non e' fondata.
    Come   risulta   dalla   relazione  al  Progetto  preliminare,  il
 legislatore delegato nel formulare l'art. 60 ha voluto restringere la
 nozione di imputato in termini rigorosi, dandosi cura "d'individuare,
 nel comma primo, gli atti tipici dai  quali  scaturisce  l'assunzione
 della  qualita' d'imputato, cosi' da istituire uno stretto legame tra
 imputato ed imputazione", ed infatti "dal  combinato  disposto  degli
 artt.  60, comma primo, e 405 emerge peraltro chiaro che l'assunzione
 della   qualita'   d'imputato   coincide    con    la    formulazione
 dell'imputazione  definitiva  in  uno  degli  atti tipici con i quali
 viene iniziata l'azione penale".
    Stabilito  in tal modo che imputato in senso formale e' solo colui
 nei cui confronti viene esercitata l'azione penale, rimaneva scoperta
 la posizione di chi, sottoposto ad  indagini  preliminari,  e'  anche
 colpito  dalla richiesta di una misura di coercizione personale o re-
 ale; il problema e' stato risolto con l'art. 61, primo comma, che  in
 sede  di  progetto  preliminare  era cosi' formulato: "I diritti e le
 garanzie dell'imputato si estendono alla persona nei cui confronti e'
 disposta una misura cautelare nonche'  alla  persona  indiziata  o  a
 carico  della  quale  si  svolgono  indagini  preliminari". Nel testo
 definitivo e' stata adottata una formula piu' ampia e  generalizzata,
 vale a dire quella di "persona sottoposta alle indagini preliminari".
    La  direttiva  n.  36  della legge delega e' stata interpretata, -
 afferma la  relazione  al  progetto  preliminare  -  "nell'ottica  di
 maggior  tutela  della  persona";  ma  se  questa  interpretazione e'
 corretta - e non si vede quale potrebbe essere  una  diversa  lettura
 della  direttiva  -  il  precetto  contenuto  nella  delega  e' stato
 rispettato  dandone  semmai  un'attuazione  estensiva  che   comunque
 comprende  l'ipotesi  della persona nei cui confronti e' disposta una
 misura cautelare, ipotesi alla quale fa  riferimento  l'ordinanza  di
 rimessione.
    3.  -  Il  giudice  a quo ha tuttavia ritenuto che nel caso al suo
 esame, di incompatibilita' con l'ufficio di testimone nell'ipotesi di
 cui all'art. 197, primo comma,  lett.  a),  l'equiparazione  disposta
 dall'art.  61,  secondo  comma,  non  sia  applicabile in quanto essa
 presupporrebbe l'"attualita' della veste di indagato, che viene  meno
 in seguito al provvedimento di archiviazione".
    Nel  pervenire a siffatta conclusione, pero', il remittente non ha
 tenuto nel dovuto conto il dettato dell'art.  61,  primo  comma,  che
 piu'  specificamente  risponde all'intento garantistico cui si ispira
 la direttiva n. 36 della legge delega. Invero la formulazione perfino
 sovrabbondante quale e'  l'endiadi  "i  diritti  e  le  garanzie"  e'
 talmente chiara da non poter dar adito a dubbi circa l'applicabilita'
 alla   persona   sottoposta   alle   indagini   preliminari  di  ogni
 disposizione dettata in bonam partem per l'imputato.
    Ora le disposizioni dell'art. 197 del codice di  procedura  penale
 sull'incompatibilita'  all'ufficio  di testimone sono certamente, per
 quanto riguarda l'imputato, disposizioni di garanzia,  e  le  ipotesi
 contemplate nella lett. a) del primo comma si riferiscono anche a chi
 pur  essendo  stato  imputato ha perduto tale veste. Infatti ai sensi
 dell'art. 60, secondo comma, perde la qualita' di imputato colui  nei
 cui  confronti  sia  pronunciata la sentenza di non luogo a procedere
 non piu' soggetta a impugnazione o sentenza irrevocabile di condanna;
 ma, cio' nonostante, egli rimane tutelato dalla garanzia di non poter
 essere  assunto  come  testimone,   in   quanto   l'unica   eccezione
 all'incompatibilita'  con  l'ufficio  di  testimone  e'  quella degli
 imputati prosciolti con sentenza divenuta irrevocabile, tale  essendo
 soltanto  la sentenza pronunciata in giudizio (art. 648, primo comma,
 del codice di procedura penale).
    Dalle  considerazioni  sopra  svolte  consegue  che  la  norma  di
 garanzia contenuta nell'art. 197, primo comma, lett. a) del codice di
 procedura  penale  deve essere applicata alla persona sottoposta alle
 indagini preliminari cosi' come essa  viene  applicata  all'imputato;
 vale  a  dire  che il combinato disposto di tale norma con l'art. 61,
 primo  comma,  vieta  l'assunzione  come  testimone   delle   persone
 sottoposte  alle indagini preliminari anche se nei loro confronti sia
 stato  pronunciato  decreto  di  archiviazione.  Tale  conseguenza e'
 assolutamente coerente al sistema, dato che la ratio su cui si  fonda
 l'esclusione   dall'ufficio   di   testimone  dell'imputato  nei  cui
 confronti sia stata pronunciata sentenza di non  luogo  a  procedere,
 quella  cioe'  del rispetto del principio secondo cui nemo tenetur se
 detegere (in quanto l'obbligo di rispondere secondo verita'  potrebbe
 comportare  il  rischio  di  revoca della sentenza ai sensi dell'art.
 434), vale anche per la persona sottoposta alle indagini  preliminari
 nei  cui  confronti  sia  stato pronunciato decreto di archiviazione,
 essendo prevista per  questa  la  possibilita'  di  riapertura  delle
 indagini (art. 414 del codice di procedura penale).