ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 305 del codice
 di procedura civile promosso con ordinanza emessa il  14  marzo  1991
 dal  Tribunale  di  Genova  nel  procedimento  civile vertente tra il
 Fallimento della S.p.a. Finshipping e  United  Nations  High  Commis-
 sioner  for  Refugees  ed  altra  iscritta  al  n.  393  del registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del   fallimento   della   S.p.a.
 Finshipping nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
 dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  18  febbraio  1992  il Giudice
 relatore Renato Granata;
    Udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - In un giudizio civile per risarcimento del  danno  interrotto
 ex art. 300, co. 2, c.p.c., a seguito di dichiarazione di intervenuto
 fallimento  della  societa'  attrice  resa  dal  suo  procuratore  in
 udienza,  e  poi  riassunto  dal  curatore  del  fallimento,  l'adito
 Tribunale di Genova - rilevato che il convenuto aveva preliminarmente
 eccepito  l'estinzione del processo per tardivita' della riassunzione
 e che questa risultava, in atti,  effettivamente  attuata  "oltre  il
 termine  perentorio  di sei mesi dall'interruzione" fissato dall'art.
 305 c.p.c. - ha  ritenuto  rilevante,  al  fine  del  decidere  sulla
 riferita   eccezione,  oltreche'  non  manifestamente  infondata,  in
 riferimento  all'art.  24  Cost.,  ed  ha  percio'  sollevato  -  con
 ordinanza  del  14 marzo 1991 - questione incidentale di legittimita'
 costituzionale del predetto art. 305 nella parte appunto in cui anche
 nel caso di interruzione del giudizio a seguito di dichiarazione  del
 procuratore della parte fallita, ex art. 300 cpv. cit., fa pur sempre
 decorrere  il  termine  utile  per  la  riassunzione del processo dal
 momento in cui l'interruzione si e' verificata, anziche' da quello in
 cui il curatore del fallimento ne abbia avuto conoscenza.
    Secondo il collegio a quo - che richiama in premessa  le  sentenze
 di questa Corte n. 139/67 e n. 159/71, relative a precedenti parziali
 declaratorie   di  illegittimita'  dello  stesso  art.  305  rese  in
 fattispecie (a suo avviso) analoghe di decorrenza del termine per  la
 riassunzione  dalla  data dell'evento interruttivo anziche' da quella
 della  sua  conoscenza  da  parte  dei  soggetti   interessati   alla
 prosecuzione  del  processo  - si verificherebbe, infatti, pure nella
 specie  (al  pari  che  nelle  ipotesi  considerate  dalle   riferite
 pronunzie)  una  sostanziale  elusione  della  garanzia  della tutela
 giurisdizionale e  della  difesa.  In  danno,  in  questo  caso,  del
 curatore  del  fallimento  che potrebbe in concreto ignorare od avere
 comunque solo tardiva notizia  dell'evento  interruttivo,  assunto  a
 dies a quo del termine utile per la riassunzione del giudizio.
    2.  -  Nel  giudizio  innanzi  a questa Corte, si e' costituito il
 fallimento  della   s.p.a.   Finshipping   che,   nell'aderire   alle
 conclusioni  dell'autorita' rimettente, ha contestato (in particolare
 con successiva memoria) che possa anche nella specie (cosi' come gia'
 sostenuto  dalla  Corte  di  Cassazione  nel  ritenere  la  manifesta
 infondatezza di analoga questione di costituzionalita' dell'art.  305
 c.p.c.  con  riguardo alla decorrenza del termine per la riassunzione
 del  processo  nei  confronti  degli  eredi  della   parte   defunta)
 ipotizzarsi  un  obbligo del procuratore, cui spetta di dichiarare il
 fatto interruttivo, di informare il soggetto o i soggetti interessati
 a proseguire il giudizio.
    Un obbligo siffatto del procuratore mandatario non sarebbe infatti
 configurabile nei riguardi del curatore del fallimento.  Sia  perche'
 quest'ultimo  non  potrebbe equipararsi ad un successore del fallito;
 sia perche' non si avrebbe alcuna sopravvivenza della  rappresentanza
 processuale  in  capo al procuratore costituito in caso di fallimento
 del mandante: "come dimostrato dal fatto che  la  parte  non  colpita
 dall'evento  interruttivo  per riassumere il processo deve notificare
 il ricorso ed  il  decreto  di  fissazione  della  nuova  udienza  al
 curatore,  non avendo alcuna validita' la notifica eseguita presso il
 procuratore del fallito che non ha piu' alcun titolo per riceverla".
    Con la conseguenza  che,  in  mancanza  di  un  tale  obbligo  del
 procuratore  di informare il curatore dell'esistenza del processo, la
 decorrenza del termine semestrale di cui all'art. 305 c.c. dalla data
 della dichiarazione dell'avvenuta interruzione, a  prescindere  dalla
 conoscenza in fatto da parte del curatore della pendenza del processo
 e   della  sua  interruzione,  comporterebbe  appunto  la  denunciata
 violazione del diritto alla difesa, "dal momento che la  possibilita'
 di riassumere tempestivamente il processo finirebbe per dipendere dal
 fatto  puramente  casuale  che il procuratore del fallito provveda ad
 informare il curatore del fallimento dell'avvenuta interruzione".
    3. -  E'  intervenuto  altresi'  in  giudizio  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura di Stato che ha
 eccepito:
       a)  in  linea preliminare, l'inammissibilita' dell'impugnativa,
 in quanto prospettata "in via  astratta  ed  ipotetica,  non  essendo
 stata  dedotta  dal  curatore,  a  quanto  emerge dall'ordinanza, una
 conoscenza del processo interrotto successiva alla  dichiarazione  in
 questo  resa  dal  procuratore  del  fallito e la tempestivita' della
 riassunzione rispetto alla conoscenza avutane";
       b)  in  linea  subordinata,  l'infondatezza  della   questione.
 Invero,  diversamente  dalle  situazioni di interruzione automatica -
 cui  propriamente  si   riferiscono   i   precedenti   costituzionali
 richiamati  dal  giudice a quo - nel caso di specie, come in tutte le
 altre  ipotesi  (riconducibili  alle  previsioni  dei  commi  1  e  2
 dell'art.  300 c.p.c.) in cui l'interruzione del processo consegue ad
 una formale dichiarazione operata dal procuratore della parte colpita
 dall'evento  che  giustifica  l'interruzione,  sarebbe   proprio   il
 meccanismo  di  siffatta dichiarazione, specificamente inerente ad un
 obbligo cui e' tenuto il procuratore nell'esercizio del suo  mandato,
 ad  attuare  la  garanzia  di  tutela  della  difesa  degli interessi
 (rispetto ai  quali  la  stessa  dichiarazione  si  collocherebbe  in
 posizione  servente)  dei  soggetti  cui  compete  di  proseguire  il
 processo.
                        Considerato in diritto
    1.  - La Corte e' chiamata a verificare se contrasti con l'art. 24
 Cost. la norma  dell'art.  305  c.p.c.  nella  parte  in  cui  -  con
 specifico  riferimento  all'ipotesi  di interruzione del giudizio per
 effetto  di  dichiarazione  di  intervenuto  fallimento  della  parte
 costituita  resa  dal  suo procuratore in udienza, ex art. 300, comma
 secondo c.p.c. - non fa decorrere il  termine  di  sei  mesi  per  la
 correlativa   riassunzione  dal  giorno  della  effettiva  conoscenza
 dell'evento interruttivo da parte del curatore del fallimento.
    2.  -  Della  riferita  questione  l'Avvocatura  di   Stato,   per
 l'intervenuto    Presidente    del   Consiglio   dei   ministri,   ha
 preliminarmente eccepito  l'inammissibilita'  sotto  il  profilo  del
 difetto di motivazione sulla rilevanza.
    Ma  tale  eccezione  va  senz'altro  respinta.  Infatti  la  norma
 impugnata (statuendo che il giudizio ineludibilmente si  estingue  in
 conseguenza  del  mero  fatto  storico  della  mancata prosecuzione o
 riassunzione nel termine decorrente dal  giorno  della  dichiarazione
 resa  in udienza dal procuratore della parte fallita) rappresenta uno
 sbarramento - non superabile se non con la invocata dichiarazione  di
 incostituzionalita'  -  per  il  giudice a quo, che di tale tassativa
 regola deve fare - come testualmente egli sottolinea  -  "senz'altro"
 applicazione.  Ed  anche  nel caso che - una volta emendata nel senso
 auspicato  la  norma  censurata  -  la  prosecuzione   del   giudizio
 risultasse  in fatto egualmente tardiva pure alla stregua della nuova
 disciplina, si avrebbe soltanto  identita'  di  effetti  pratici,  ma
 diversita'  della  ratio  decidendi,  cioe'  della  regola  giuridica
 applicata. E tanto basta per ritenere la  questione  rilevante  (ord.
 409/1991; sentenza 148/1983 n. 3).
    3.1.   -  Nel  merito,  deve  pero'  escludersi  che  nell'ipotesi
 considerata -  di  fallimento  della  parte  costituita  a  mezzo  di
 procuratore  - sussista l'ipotizzata violazione del diritto di difesa
 in danno del curatore del fallimento, per il fatto che ai  sensi  del
 denunciato  art.  305  il  dies a quo del termine per la riassunzione
 coincida con la data stessa dell'interruzione.
    Diversamente che nei casi di morte o perdita della capacita' della
 parte non costituita (art. 299 c.p.c.) e di morte od impedimento  del
 procuratore   (art.   301   c.p.c.)  (ai  quali,  rispettivamente  si
 riferiscono  le  sentenze  159/71  e  139/1967,  qui  non   utilmente
 richiamate),   ed  in  cui  l'interruzione  del  processo  interviene
 automaticamente  nel  momento  nel   quale   si   verifica   l'evento
 impeditivo, nelle ipotesi invece di perdita delle capacita', anche in
 conseguenza  di  fallimento,  come  in  quella  di  morte della parte
 costituita (art. 300 c.p.c.), l'interruzione  non  e'  automatica  ma
 interviene  soltanto  se  il procuratore della parte, cui l'evento si
 riferisce, ne renda nota la causa.
    Per il disposto del comma primo del citato art. 300, la produzione
 degli effetti interruttivi e' invero, in detti casi, subordinata alla
 dichiarazione (cui si  attribuisce  carattere  di  manifestazione  di
 volonta'  e non di scienza) che il procuratore della parte fallita (o
 deceduta) - ed egli soltanto  -  faccia  in  udienza  dell'evento  in
 questione; ed in difetto della quale - per consolidata giurisprudenza
 -  il  processo  prosegue  regolarmente  nei  confronti  della  parte
 (dichiarata fallita o defunta).
    La sopravvivenza (o ultrattivita')  -  cosi'  codificata  -  della
 rappresentanza  processuale  al  fallimento  o  morte del mandante si
 spiega, peraltro, proprio in funzione della esigenza (avuta  di  mira
 dal  legislatore)  di  tutelare  gli interessi degli aventi causa dal
 soggetto   colpito   dall'evento  interruttivo:  che  sottintende  di
 conseguenza un  obbligo  del  procuratore  di  rendere  noto  a  quei
 soggetti  l'evento  medesimo,  concordando  con  essi  la correlativa
 dichiarazione.
    Un tale obbligo, anche se non esplicitato nel richiamato art. 300,
 trova infatti il suo referente normativo, sul piano sostanziale,  nel
 combinato   disposto   dell'art.   1728  comma  primo  c.c.  (la  cui
 applicabilita' anche al caso del fallimento del mandante e'  ritenuta
 dalla  prevalente  dottrina, con cui concorda la giurisprudenza della
 Corte regolatrice, sia pur relativa alla parallela ipotesi, sub co. 2
 della stessa norma, di fallimento del mandatario)  e  dell'art.  1710
 cod. civ. A tenore dei quali "quando il mandato si estingue per morte
 od  incapacita'  sopravvenuta"  (come  nel  caso  di fallimento) "del
 mandante, il mandatario che ha iniziato l'esecuzione deve continuarla
 se vi e' pericolo  nel  ritardo"  (art.  1728  cit.):  ed  a  lui  di
 conseguenza incombe anche di rendere note le circostanze sopravvenute
 che incidono sulla sorte del mandato (art. 1710).
    Informazione,  questa,  che  nel  caso  di  mandato processuale ha
 appunto come naturali destinatari gli aventi causa del  mandante  che
 nel processo sono chiamati a succedergli (111 c.p.c.).
    3.2. - L'esistenza di un obbligo siffatto del difensore-mandatario
 di comunicare tempestivamente l'evento interruttivo agli aventi causa
 dalla  parte  da  lui  rappresentata, che ne e' colpita, e' stata del
 resto gia' ritenuta anche dalla Corte di Cassazione.
    E - se pur la fattispecie in cui  questa  ha  avuto  occasione  di
 pronunziarsi  riguardava  un  caso  di  interruzione del processo per
 morte della parte costituita - i principi in  quella  sede  enunciati
 sono  certamente estensibili anche alla ipotesi dell'interruzione per
 fallimento.  Cio'  per  il  parallelismo  che  esiste,  agli  effetti
 considerati,  tra  la posizione dell'erede che succede al de cuius ex
 art. 110 c.p.c. e quella del curatore che subentra al fallito  "nelle
 controversie  ancora  in  corso relative a rapporti patrimoniali", ai
 sensi dell'art. 43 della legge fallimentare.
    Ne' rileva in contrario quanto dedotto dalla difesa della societa'
 sulla  "irritualita'  di  una   eventuale   notifica   dell'atto   di
 riassunzione   (ad  istanza  della  controparte)  nei  confronti  del
 curatore presso l' ex procuratore del fallito": poiche' la regola che
 impone la notifica personale dell'atto  riassuntivo  -  pacificamente
 applicabile anche nel caso di riassunzione nei confronti dell'erede o
 degli eredi della parte defunta (salvo la forma alternativa di cui al
 2  comma  dell'art.  303 c.p.c.) - non implica (come si pretende) una
 posizione  di  terzieta'  del  soggetto  convenuto  in   riassunzione
 rispetto  alla  parte  colpita dall'evento interruttivo, essendo mera
 conseguenza  della   cessazione,   per   effetto   della   dichiarata
 interruzione,  della rappresentanza tecnica che legittima la notifica
 degli atti al procuratore  costituito  nel  paradigma  dell'art.  170
 c.p.c.
    4.  - Stante quindi la possibilita' per il curatore del fallimento
 - in dipendenza del riferito obbligo di  informazione  a  carico  del
 procuratore  del  fallito - di avere preventiva e comunque tempestiva
 conoscenza della pendenza del  processo  e  della  sua  interruzione,
 nessuna   violazione   del   diritto  di  difesa  e'  di  conseguenza
 prospettabile,  in  suo  danno,  sotto  il  profilo  della  integrale
 utilizzabilita' del termine per la riassunzione del giudizio.
    Ne'   a   superare   tale   conclusione   vale   l'obiezione   che
 l'effettivita' della difesa potrebbe essere nel  concreto  vanificata
 dall'eventuale  inadempienza  del procuratore del fallito: da un tale
 inconveniente pratico  non  potendo  infatti  derivare  un  vizio  di
 incostituzionalita' della norma, la cui legittimita' va apprezzata in
 funzione   della   corretta   osservanza  dell'ordinamento  giuridico
 complessivo e non delle possibili sue violazioni, mentre a  prevenire
 e  reprimere  l'inconveniente stesso appaiono sufficienti, oltre alle
 sanzioni comminabili in seguito  a  giudizio  disciplinare  da  parte
 degli  ordini  forensi,  l'obbligo  del risarcimento del danno che ne
 risulti derivato.