IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n.  119/1991
 introdotto  dalla Tae-Aereoservizi Consorziati S.r.l. e dal Consorzio
 aero servizi consorziati nei confronti dei signori Stefano Canessa  e
 Giuseppe Baldassarri.
                           OSSERVA IN FATTO
    Con  ricorso  depositato il 19 febbraio 1991 la Tae S.r.l. nonche'
 il Consorzio aereo servizi consorziati entrambi  con  sede  in  Roma,
 chiedevano  al  Tribunale  l'estensione  del  fallimento della S.r.l.
 Air.Ma.St. ai signori Stefano Canessa e Giuseppe Baldassarri.
    A sostegno della loro domanda i ricorrenti esponevano:
      che  la  Tae  aveva  stipulato  un  contratto  d'agenzia  il  18
 settembre  1989  con  la  s.n.c.  Air.Ma.St.,  di  cui  erano soci il
 Baldassarre ed il Canessa;
      che, successivamente, nel luglio 1990 nel rapporto d'agenzia era
 subentrato,  al  posto  della  Tae,  il   Consorzio   aereo   servizi
 consorziati;
      che  dopo  aver  invano richiesto il pagamento del corrispettivo
 dei noli maturati, le ricorrenti apprendevano, dalle ricerche svolte,
 che la s.n.c. Air.Ma.St. di Stefano Cannessa  e  Baldassarri  si  era
 fusa, mediante ricorporazione, nella S.r.l. Air.Ma.St.;
      che  quest'ultima  aveva,  nel  frattempo, presentato istanza di
 fallimento  "in  proprio",  evidenziando  una   posizione   debitoria
 pesantissima  e  quasi per intero riferibile alla societa' di persone
 incorporata;
      che   le   ricorrenti   avevano   presentato,  ma  tardivamente,
 opposizione  alla  fusione,  non  essendo  venuta  a  conoscenza  che
 nell'agosto 1990 della fusione in precedenza deliberata;
      che pertanto, delle passivita' dovute all'attivita' svolta dalla
 societa'  di  persone  dovevano  rispondere  i  soci  illimitatamente
 responsabili;
      che, costituitosi il  contraddittorio,  la  difesa  dei  signori
 Baldassarre  e  Cannessa  sosteneva  la  loro non assoggettabilita' a
 fallimento essendo la responsabilita' patrimoniale  venuta  meno  con
 l'estinzione,  per  incorporazione,  della societa' di persone di cui
 essi erano soci.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    In punto non manifesta infondatezza.
    La fusione tra  societa'  di  capitali,  ovvero  tra  societa'  di
 persone e societa' di capitali (cosidettasi di fusione eterogenea) e'
 disciplinata   dagli   articoli   2501  e  2504  del  codice  civile.
 Quest'ultimo articolo dispone  l'assenzione,  da  parte  della  nuova
 societa', di tutti i diritti e gli obblighi delle societa' estinte.
    Le norme in esame tacciono in ordine alla sopravvivenza o meno, in
 caso  di  fusione  eterogenea  della responsabilita' patrimoniale dei
 soci illimitatamente responsabili per i debiti sociali anteriori alla
 fusione medesima.
    Tuttavia la costante  elaborazione  giurisprudenziale  ha  escluso
 che,  dal  complesso  delle  norme  in  questione  possa rilevarsi il
 principio della sopravvivenza della responsabilita' patrimoniale, una
 volta  che  sia  decorso  il  termine  previsto   dalla   legge   per
 l'opposizione dei creditori alla fusione. Ne' potrebbe sostenersi una
 applicazione   in   via   analogica  alle  fusioni  eterogenee  della
 disposizione  dell'art.  2499  del  codice  civile   in   quanto   il
 legislatore, avendo disciplinato in maniera sensibilmente diversa una
 fattispecie  (quella  della  trasformazione)  del  tutto  analoga  ha
 dimostrato di aver consapevolmente previsto e disciplinato, in misura
 diversa, le due fattispecie.
    Non pare  quindi  possibile  percorrere  una  via  interpretativa,
 alternativa  a  quella  letterale,  che  applichi  anche alla fusione
 eterogenea le norme dettate in tema di trasformazione.
    Di conseguenza, esclusa l'interpretazione analogica, pare a questo
 Tribunale che l'art. 2503 del codice civile possa porsi in  contrasto
 con  l'art. 24 della costituzione, laddove prevede la liberazione dei
 soci illimitatamente responsabili col solo decorso del termine di tre
 mesi dall'iscrizione delle  deliberazioni  di  fusione,  prescindendo
 dalla  effettiva  conoscenza  della  volonta' societaria di dar corso
 alla fusione stessa.
    Ed infatti, se e' vero che, proprio per le conseguenze cosi' gravi
 che  derivano  dalla   fusione   e'   espressamente   stabilito   che
 l'opposizione  dei  creditori  possa impedirla non appare adeguata al
 principio dell'art. 24 della Costituzione far dipendere  il  concreto
 esercizio  del  diritto  non  dalla  conoscenza effettiva dell'evento
 produttivo di effetti giuridici bensi' da una astratta presunzione di
 conoscibilita'.
    E' pur vero che la Corte adita, in altra precedente pronunzia  non
 ha  ritenuto  violato  il  principio  dell'art. 24 della Costituzione
 quando sussista un onere di  visura  semestrale,  statuendo,  che  il
 principio  costituzionale non puo' considerarsi vulnerato da un onere
 di tal fatto; tuttavia, nel caso in esame, ben  piu'  gravoso  appare
 l'onere  per  il  ceto  creditorio,  dal  momento  che  in un termine
 addirittura dimezzato (tre mesi) e' necessario  sia  un'attivita'  di
 ricerca  presso  il  registro  delle  imprese  sia la predisposizione
 dell'eventuale atto di opposizione.
    Gli articoli 2503 e 2504 del codice civile appaiono viziati  sotto
 un  altro  profilo,  quello  della  disparita'  di trattamento, avuto
 riguardo alla trasformazione di societa' disciplinata dall'art.  2499
 del  codice  civile;  ed invero nell'ipotesi di trasformazione di una
 societa'  con  soci   illimitatamente   responsabili   in   altra   a
 responsabilita'   limitata,   la  citata  disposizione  subordina  la
 liberazione dei soci illimitatamente  responsabili  al  consenso  dei
 creditori, ammettendo tuttavia una presunzione di consenso solo se vi
 e'   stata   una  diretta  informativa,  mediante  comunicazione  con
 raccomandata della deliberazione di trasformazione.
    Anche  nel  caso  di  fusione   eterogenea   sussiste,   identico,
 l'interesse  dei  creditori  a  soddisfarsi  sul patrimonio dei soci:
 tuttavia,   in   quest'ultimo   caso   la   liberazione   dei    soci
 illimitatamente responsabili si verifica col solo decorso del termine
 di tre mesi dall'iscrizione della deliberazione.
    Vi  e'  quindi,  da un lato, un interesse dei creditori egualmente
 degno di tutela e,  dall'altro,  una  diversa  e  attenuata  risposta
 legislativa a questa esigenza.
    Essa  pare  concentrarsi,  ad  avviso  di  questo collegio, in una
 violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    In  punto  rilevanza,  si  osserva  che,  dalla  soluzione   della
 questione  dipende  la  dichiarazione di fallimento oppure il rigetto
 delle istanze proposte.