ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 409, n. 3, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1991 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Carta Piero e S.r.l. Cooperativa Prodest, iscritta al n. 564 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 22 gennaio 1992 il Giudice relatore Francesco Greco; Ritenuto in fatto 1. - Carta Pietro impugnava dinanzi al Pretore di Milano la risoluzione del rapporto di lavoro intervenuto con la S.r.l. Cooperativa Prodest, previo, ove occorresse, annullamento della delibera di esclusione dalla societa', la quale, peraltro, era stata autonomamente impugnata ex art. 2527, terzo comma, del codice civile, dinanzi al locale tribunale. Con ordinanza del 22 maggio 1991 (R.O. n. 564 del 1991), il giudice adito sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 409, n. 3 del codice di procedura civile nella parte in cui, tra i rapporti soggetti al rito speciale del lavoro, non comprende anche quello tra socio lavoratore e cooperativa di produzione e lavoro. Osservava che la Cassazione, la quale costantemente aveva ritenuto la inapplicabilita' della disposizione censurata al rapporto in esame, recentemente non aveva escluso la possibilita' di ricondurre detto rapporto nello schema della collaborazione. Ma egli non reputava di seguire nemmeno questo ultimo indirizzo in quanto i rapporti di collaborazione presuppongono uno scambio tra due centri di interessi distinti e separati. Rilevava, pero', che sussisteva disparita' di trattamento tra il rapporto de quo e altri rapporti associativi, specie quelli c.d. parasubordinati; che, oltre all'art. 3, erano violati anche gli artt. 24 e 45 della Costituzione; che la questione era rilevante e non manifestamente infondata. 2. - L'ordinanza e' stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. 3. - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha eccepito anzitutto la inammissibilita' della questione perche', a suo parere, doveva essere impugnato l'art. 2527, terzo comma, del codice civile, essendo questa la norma che attribuisce al Tribunale la competenza a conoscere della opposizione del socio contro la delibera di esclusione dalla societa'. Nel merito ha osservato che i rapporti posti in raffronto non sono omogenei, non sussistendo tra socio lavoratore e cooperativa una contrapposizione di interessi; che non puo' escludersi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato accanto a quello societario; e che, comunque, la scelta del rito rientra nella discrezionalita' del legislatore che nella specie non e' stata arbitrariamente esercitata, per la eterogeneita' delle situazioni poste a raffronto. Considerato in diritto 1. - La Corte e' chiamata a verificare se l'art. 409, n. 3, del codice di procedura civile, nella parte in cui fra i rapporti ivi previsti non comprende anche quello fra socio lavoratore e cooperativa di produzione e lavoro, violi: a) l'art. 3 della Costituzione per la disparita' di trattamento che si determina in danno di detto socio rispetto ai prestatori di lavoro, anche non subordinati, che fruiscono del rito speciale siccome titolari di rapporti associativi o parasubordinati; b) l'art. 24 della Costituzione in quanto si determina una diminuzione delle possibilita' di difesa in giudizio del socio- lavoratorepoiche' egli non puo' avvalersi dei piu' efficaci strumenti processuali propri del rito speciale; c) l'art. 45 della Costituzione perche' assoggetta ad eguale trattamento processuale il socio delle cooperative e quello delle altre societa' senza tener conto della posizione di particolare subordinazione economica in cui versa il primo. 2. - Si ritiene anzitutto che non e' fondata la eccezione di inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura Generale dello Stato secondo cui non doveva essere censurato l'art. 409, n. 3, cod. proc. civ., ma l'art. 2527 del codice civile, il quale prevede la impugnazione dinanzi al Tribunale della deliberazione di esclusione dalla societa' cooperativa del socio lavoratore. Correttamente la censura investe la norma processuale in quanto proprio essa impedisce la estensione del rito speciale del lavoro al rapporto di cui trattasi. 3. - Nel merito la questione e' inammissibile. Il riferimento agli artt. 24 e 45 della Costituzione non e' pertinente perche' nel giudizio a quo, alla cui decisione sarebbe diretta la sollevata questione di legittimita' costituzionale, si controverte sul rito da applicarsi al rapporto instaurato tra una cooperativa di produzione e lavoro ed un socio lavoratore; se, cioe', sia quello speciale di cui all'art. 409, n. 3, cod. proc. civ. o quello ordinario di cui all'art. 2527 cod. civ. La diversita' di rito, infatti, non incide sulla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi in maniera cosi' grave da renderla non effettiva o, comunque, da far venir meno la garanzia assicurata dal precetto costituzionale. L'esclusione dell'applicabilita' del rito del lavoro, che, secondo la prevalente giurisprudenza, consegue alla circostanza dell'esercizio in comune, da parte di lavoratori, dell'impresa societaria ed alla mancanza di centri di interessi distinti e separati, non compromette affatto la funzione sociale della cooperativa di produzione e lavoro tutelata dall'art. 45 della Costituzione. 3.1 - Sulla violazione dell'art. 3 della Costituzione, per la disparita' di trattamento che, secondo il giudice a quo, si verificherebbe tra il rapporto controverso ed altri rapporti associativi o cosiddetti parasubordinati, si rileva che, con l'art. 409, n. 3, cod. proc. civ. (sent. n. 33 del 1976 e ord. n. 99 del 1988), il legislatore, nel ragionevole esercizio della sua discrezionalita', al fine di riequilibrare la posizione di sfavore nella quale si trova il lavoratore quale parte economicamente piu' debole (ord. n. 65 del 1978), ha esteso il trattamento processuale previsto per i lavoratori subordinati anche ad alcune categorie di lavoratori autonomi, specie se gravitano attorno all'impresa. E cioe' agli agenti, ai rappresentanti commerciali e a quelli che svolgono attivita' di collaborazione le quali si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato; tra essi si comprendono anche i cosiddetti lavoratori parasubordinati, i quali contraggono solo un vincolo di subordinazione economica. La valutazione dei requisiti perche' si effettui la estensione del rito speciale del lavoro ai suddetti (lavoratori) e' affidata al giudice della controversia il quale, a tali fini, puo' utilizzare elementi diversi da quelli richiesti per la qualificazione del rapporto sostanziale, dando prevalenza all'elemento lavoro. Per quanto riguarda i rapporti tra cooperativa di produzione e lavoro e socio lavoratore, si deve tener conto del modello organizzativo prescelto dalla societa' e dei rapporti concreti che si instaurano tra socio e cooperativa in modo che risultino soddisfatte le finalita' della tutela esterna, senza incidere sulla struttura del rapporto. 4. - Il giudice remittente, al fine di decidere la questione di competenza sottoposta al suo esame, ha effettuato la necessaria indagine interpretativa. Ha escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato accanto al rapporto associativo tra socio e cooperativa ed ha qualificato quello dedotto in giudizio come associativo, ma non ne ha ritenuto possibile la equiparazione con il rapporto di collaborazione ex art. 409, n. 3, pur dando atto che la Cassazione (sent. n. 5780 del 1989), nella affermata sussistenza di una tendenza espansiva del diritto processuale del lavoro, ha ricondotto le prestazioni lavorative rese dal socio di una societa' cooperativa di lavoro in adempimento del vincolo associativo nello schema della collaborazione ex art. 409, n. 3, cod. proc. civ. Ha osservato che mancava il richiesto e necessario scambio tra due centri di interesse distinti e separati. Ma, anziche' procedere ulteriormente nello svolgimento del suo compito di interpretazione della norma de qua, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale al fine di far estendere il rito del lavoro al rapporto sottoposto al suo esame, il quale, a suo avviso, non sarebbe diverso da rapporti associativi o di parasubordinazione, cioe' di sola subordinazione economica. In sostanza, quindi, ha demandato alla Corte adita la interpretazione della norma denunciata che, invece, secondo l'ordinamento, rientra nei suoi compiti istituzionali.