ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 566,  quinto  e
 sesto  comma,  del  codice di procedura penale promosso con ordinanza
 emessa il 10 luglio 1991 dal Pretore  di  Cagliari  nel  procedimento
 penale  a  carico  di Gianfranco Pedditzi ed altri iscritta al n. 679
 del registro ordinanze 1991 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di  consiglio  del  4  marzo  1992  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto  che  nel  procedimento  penale  a  carico  di Gianfranco
 Pedditzi ed altri, imputati del delitto di cui agli artt.  110,  624,
 625,  nn.  2,  5  e  7 del codice penale, il Pretore di Cagliari, con
 ordinanza del 10 luglio 1991 (R.O. n. 679 del 1991), ha  sollevato  -
 in  riferimento  all'art.  25,  primo  comma,  della  Costituzione  -
 questione di legittimita' costituzionale nei confronti dell'art. 566,
 quinto e sesto comma, del codice di procedura penale "nella parte  in
 cui  non  impone  al  Pretore  adito per la celebrazione del giudizio
 direttissimo tipico, che non abbia emesso provvedimenti  restrittivi,
 di  restituire  gli atti al pubblico ministero perche' proceda con le
 forme ordinarie";
      che - secondo il giudice a quo - il pubblico ministero, ai sensi
 dell'art. 121 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante
 "Norme  di  attuazione,  di coordinamento e transitorie del codice di
 procedura penale", ha l'obbligo di adire il pretore designato per  la
 celebrazione dei giudizi direttissimi solo ove ricorra il presupposto
 dell'applicabilita' di misure coercitive,mentre nessuna norma prevede
 che la mancata applicazione di misure coercitive da parte del giudice
 adito   con  le  forme  del  procedimento  direttissimo  comporti  la
 trasformazione del rito  con  restituzione  degli  atti  al  pubblico
 ministero;
      che,  in  base  alle  disposizioni  contenute nei commi quinto e
 sesto  dell'art.  566  del  codice  di  procedura  penale,   per   la
 celebrazione del giudizio direttissimo e' necessaria e sufficiente la
 sola  convalida  dell'arresto,  con  la  conseguenza  che il giudizio
 speciale, una volta instaurato, deve essere proseguito comunque,  sia
 che  il  giudice  accerti l'inapplicabilita' di misure coercitive sia
 che la pubblica accusa non chieda, come accade talvolta  in  pratica,
 l'adozione di misure cautelari;
      che  - sempre ad avviso del giudice remittente - le disposizioni
 dettate dai  commi  quinto  e  sesto  dell'art.  566  del  codice  di
 procedura,  cosi' interpretate, sarebbero in contrasto con l'art. 25,
 primo   comma,    della    Costituzione    perche'    comporterebbero
 l'impossibilita'per il giudice di controllare, sotto il profilo della
 scelta  del rito, le valutazioni del pubblico ministero, determinando
 "l'indiscriminata sottrazione dell'imputato sia al suo giusto giudice
 del procedimento incidentale  di  convalida  ...  sia  a  quello  del
 dibattimento";
      che  nel  giudizio  dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
 dichiarata infondata.
    Considerato che, secondo il giudice  remittente,  le  disposizioni
 impugnate  violerebbero  l'art.  25, primo comma, della Costituzione,
 perche' rimetterebbero la scelta del rito a valutazioni del  pubblico
 ministero  non controllabili da parte del giudice, determinando quale
 conseguenza la possibilita' di una sottrazione dell'imputato  al  suo
 giudice naturale;
      che,  in  base  all'art.  566,  sesto comma, del nuovo codice di
 procedura penale, l'instaurazione  del  rito  direttissimo  e'  stata
 condizionata alla presenza di un provvedimento giudiziale, cioe' alla
 convalida   dell'arresto   da  parte  del  giudice,  il  che  esclude
 l'esistenza di una scelta insindacabile  del  pubblico  ministero  in
 ordine al rito ed al giudice del dibattimento;
      che,  secondo  la costante giurisprudenza di questa Corte, si ha
 violazione del principio del giudice naturale, sancito dall'art.  25,
 primo  comma,  della Costituzione quando il giudice venga designato a
 posteriori  in  relazione   ad   una   determinata   controversia   o
 direttamente  dal  legislatore  in  via  di  eccezione singolare alle
 regole generali ovvero attraverso atti di altri soggetti ai quali  la
 legge  attribuisca  tale  potere  al  di la' dei limiti imposti dalla
 riserva di legge (sent. n. 446 del 1990; ord. n. 902 del 1988;  sent.
 n. 127 del 1979);
      che,  nella  fattispecie  condotta  all'esame  della Corte, tale
 violazione  non  sussiste,  dal  momento   che   risulta   rispettata
 l'esigenza  della  precostituzione  del  giudice,  quale  garanzia di
 imparzialita' dell'organo giudiziario;
      che   pertanto   la   questione   va  dichiarata  manifestamente
 infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;