IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Guasti Gabriele Maurizio e Menchetti Guido sono stati tratti a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 13 della legge n. 474/1957 ed in particolare per avere esercitato un deposito di olii minerali senza avere effettuato la prescritta denuncia all'U.T.I.F. (nell'imputazione si fa riferimento alla mancata licenza, ma dall'opposizione degli imputati al decreto penale si evince che gli stessi non avevano nemmeno denunciato all'U.T.I.F. il deposito). Nel corso dell'istruttoria dibattimentale, imperniata su acquisizioni documentali e sulla deposizione del sottufficiale della G.d.F. che effettuo' l'accertamento, emergeva che: a) la ditta Lavanderia GM S.r.l. di cui gli imputati sono legali rappresentanti, e' provvista di un deposito di olii minerali costituito da una cisterna della capienza di 24,9 metri cubi; b) nessuna denuncia all'U.T.I.F. era stata effettuata per l'esercizio di detto deposito; c) nel corso dei cinque anni precedenti all'accesso della polizia tributaria presso la ditta suddetta, erano transitati nel deposito complessivamente kg. 4.816.710 di olii minerali; l'imposta relativa a detti prodotti ammontava complessivamente a L. 603.726.115. All'esito dell'istruttoria dibattimentale, la difesa dell'imputato sollevava questione di legittimita' costituzionale della norma incriminatrice di cui all'art. 13, primo comma, della legge n. 474/1957, per contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto il meccanismo di determinazione della pena (dal doppio al decuplo dell'imposta relativa ai prodotti trovati nel deposito) genererebbe una sproporzione enorme tra fatto e sanzione, con conseguente violazione del precetto costituzionale relativo al finalismo rieducativo della sanzione criminale. Ai fini della valutazione della questione proposta dalla difesa occorre prendere le mosse dal nuovo assetto interpretativo della norma costituzionale invocata, assetto interpretativo scaturito dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 2 luglio 1990. Tale pronuncia, recependo ed articolando le acquisizioni della dottrina piu' consapevole ed evoluta ha chiarito in termini non equivocabili come " .. la necessita' costituzionale che la pena debba tendere a rieducare, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue". La pronuncia in esame ribadisce quindi con forza che " .. il precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione vale tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione .." trattandosi di " .. un principio che, seppure variamente profilato, e' ormai da tempo diventato patrimonio della cultura giuridica europea, particolarmente per il suo collegamento con il principio di proporzione fra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, ed offesa, dall'altra". L'applicazione delle suddette enunciazioni al caso di specie non puo' che portare alla dichiarazione di non manifesta infondatezza della questione in discorso. Occorre in proposito evidenziare (il punto di rilevanza della questione nel presente processo) che, alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 887 del 26 luglio 1987, l'espressione "prodotti trovati nel deposito" contenuta nell'art. 13 cit., si riferisce a tutti i prodotti ivi immessi e non soltanto a quelli esistenti al momento dell'accertamento del reato. Proprio su tali basi interpretative (recepite tanto dall'autorita' di polizia giudiziaria che dall'odierno giudicante) fu effettuato l'accertamento che diede origine al presente processo e fu quindi evidenziata la quantita' di olii minerali transitati nel deposito, nella misura specificata nella narrativa che precede. L'esito dell'opzione interpretativa suddetta e dell'accertamento da essa dipendente porterebbe ad individuare il minimo della pena per il reato in discorso, nella somma di L. 1.207.452.230 (il doppio cioe' dell'imposta relativa ai prodotti "trovati" nel deposito e corrispondente a complessive L. 603.726.115). La conformita' di un tale trattamento sanzionatorio (di cui e' stata specificata solo l'entita' minima) al precetto costituzionale in discorso ed in particolare al principio di proporzionalita' cui si e' fatto cenno, appare quanto meno dubbia. Ne' detto dubbio viene dissipato dall'ordinanza della Corte costituzionale 18-27 dicembre 1991, n. 427, dichiarativa della manifesta infondatezza della questione di legittimita' del ripetuto art. 13 del d.-l. n. 271/1957, in relazione all'art. 27 della Costituzione, sotto il profilo della sproporzione della sanzione, calcolata in relazione al prodotto movimentato, "rispetto all'ipotesi in cui il deposito abbia una capacita' solo di poco superiore alla soglia dei 10 metri cubi". In detta ordinanza si precisa infatti che "a nulla rileva - al fine di censurare il relativo trattamento sanzionatorio, sia in riferimento all'art. 3 che all'art. 27 della Costituzione - la circostanza che in concreto la soglia di capacita' del deposito possa esser superata di poco o di molto". Ma, cio' precisato, la Corte non si pronuncia, perche' non chiamata a farlo dal giudice remittente, sulla compatibilita' tra la finalita' rieducativa della pena e la fissazione del relativo minimo edittale nel doppio dell'imposta relativa ai prodotti immessi nel deposito. Occorre al proposito evidenziare fra l'altro come la norma incriminatrice di cui all'art. 13, primo comma, cit., individui una violazione formale, di mero pericolo, collocata - nella relazione alla legge di conversione del d.-l. n. 271/1957 - fra le infrazioni "meno pericolose". Su tali basi e' quindi agevole desumere la non manifesta infondatezza della questione in discorso, solo che si consideri l'enorme sproporzione sussistente nel caso di specie fra il modesto disvalore del fatto (la norma non sanziona alcuna evasione di imposta) e la sanzione per esso prevista nel minimo. La detta sproporzione impedisce di individuare, in un trattamento sanzionatorio cosi' congegnato, alcuna traccia del finalismo rieducativo imposto dalla norma costituzionale in discorso come contenuto ontologico della pena.