IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 921/1990, sez. I, proposto da Mazzone Salvatore, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Buscemi, presso il quale e' elettivamente domiciliato in Catania, via F. De Roberto n. 31; contro la commissione provinciale di controllo di Catania, rappresentata e difesa dall'avvocatura dello Stato; e nei confronti: 1) unita' sanitaria locale n. 30 di Palagonia, in personale del presidente del comitato di gestione, non costituitasi in giudizio; 2) assessorato regionale della sanita' in persona dell'assessore regionale pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura dello Stato di Catania; 3) dott. Gaetano Barchitta, rappresentato e difeso dall'avv. Nino Giannitto, elettivamente domiciliato in Catania, via L. Rizzo n. 29; per l'annullamento: 1) della decisione 18 gennaio 1990, n. 28316, con la quale la suddetta commissione ha annullato la deliberazione 31 ottobre 1989, n. 650, del comitato di gestione dell'U.S.L. n. 30 di Palagonia avente per oggetto: "Ratifica deliberazione presidenziale n. 310 del 4 agosto 1989, rinvio del collocamento a riposo del dott. Mazzone Salvatore in applicazione della legge regionale 20 dicembre 1975, n. 77"; 2) della decisione 5 aprile 1990, n. 6886, con la quale la medesima commissione ha annullato la deliberazione 2 febbraio 1990, n. 3, del comitato di gestione dell'U.S.L. n. 30 di Palagonia, avente per oggetto: "Reitera deliberazione CO.GE. n. 650/1989, mantenimento in servizio del dott. Mazzone Salvatore oltre il compimento del 65 anno di eta'"; 3) di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ivi comprese le note 13 marzo 1990, n. 2598 e 21 marzo 1990, n. 3000, dell'U.S.L. di Palagonia; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 10 aprile 1991 la relazione del Presidente dott. Attilio Trovato e uditi altresi' l'avv. S. Cittadino in sostituzione dell'avv. S. Buscemi per il ricorrente e l'avvocato dello Stato G. Di Gesu per le amministrazioni resistenti; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F A T T O Il ricorrente dott. Mazzone, nato l'8 gennaio 1924, espone che a seguito di pubblico concorso egli veniva nominato, con deliberazione della g.m. 12 marzo 1956 n. 51, veterinario condotto del comune di Palagonia, alle cui dipendenze assumeva servizio con decorrenza dal 1 aprile 1956. In precedenza l'interessato aveva prestato servizio presso i comuni di Vizzini e di Militello V.C. per complessivi venti mesi e due giorni. Con deliberazione della g.m. 20 dicembre 1963, n. 253, tale servizio, ai sensi della legge 15 febbraio 1963, n. 151, gli veniva riconosciuto "a tutti gli effetti di carriera ed economici", sicche' la sua nomina veniva retrodatata al 1 agosto 1954 a tutti gli effetti giuridici ed economici con conseguente ricostruzione di carriera (delib. 24 novembre 1966, n. 359). In esecuzione dell'art. 3 del d.P.R. 11 febbraio 1961, n. 264, con deliberazione 25 gennaio 1966, n. 9, la g.m. di Palagonia istituiva, poi, l'ufficio veterinario comunale e nominava il dott. S. Mazzone dirigente dell'ufficio medesimo. Entrate in funzione le UU.SS.LL. con decorrenza 1 gennaio 1983 il ricorrente confluiva presso l'U.S.L. n. 30 di Palagonia, la quale, con deliberazione 13 dicembre 1980, n. 430, gli affidava l'incarico di responsabile del servizio veterinario. Con provvedimento 20 luglio 1984, n. 77, del coordinatore amministrativo, ratificato dal comitato di gestione con atto 21 gennaio 1985, n. 66, il Mazzone veniva inquadrato nella posizione funzionale di veterinario dirigente. In esecuzione della legge regionale 27 maggio 1987, n. 32, con deliberazione 15 settembre 1989, n. 636, l'U.S.L. di Palagonia ha istituito le previste due aree funzionali del servizio veterinario e con deliberazione n. 637 di pari data ha indetto un concorso interno per titoli a n. 2 posti di veterinario dirigente riservato all'odierno ricorrente ed al dott. Gaetano Barchitta, "unici ad avere titolo a partecipare al concorso a norma dell'art. 69 del d.P.R. n. 761/1979". In effetti, rivestendo gia' il dott. Mazzone la qualifica di veterinario dirigente, avrebbe dovuto essere direttamente preposto ad una delle due aree funzionali, e l'altro posto di veterinario dirigente in presenza di un solo avente diritto, avrebbe dovuto essere assegnato al dott. G. Barchitta, veterinario coadiutore. Tuttavia, per non creare intralci nonche' per motivi meramente cautelari e per via del fatto che nei ruoli nominativi regionali pubblicati sul suppl. ord. a G.U.R.S. n. 41 del 26 agosto 1989 la sua posizione era stata inclusa tra quelle ancora da determinare, il dott. Mazzone si e' sottoposto alla procedura selettiva. Con deliberazione 31 ottobre 1989, n. 640, a modifica dell'originario testo del bando, che individuava nei "veterinari coadiutori" i riservatari del concorso, l'U.S.L. deliberava che il concorso fosse "riservato ai veterinari dell'U.S.L. n. 30 aventi titolo" e poi ribadendo che gli unici due ad avervi titolo erano i dottori Mazzone e Barchitta. Entrambi poi sono stati ammessi al concorso interno loro riservato con deliberazione 3 gennaio 1990, n. 7. Infine, con decreto 22 febbraio 1990, n. 79557, l'assessore regionale della Sanita' ha attribuito al ricorrente il posto di veterinario dirigente di una delle due aree funzionali. Tale decreto e' stato recepito con deliberazione 23 febbraio 1990, n. 140, esecutiva. Con altro decreto il posto di veterinario dirigente della seconda area funzionale e' stato assegnato al dottor Barchitta. Fatta in tal modo l'esposizione sommaria del suo curricolo, il dott. Mazzone fa presente di avere raggiunto i 65 anni di eta' in data 8 gennaio 1990. E pertanto, con istanza del 29 giugno 1989, aveva chiesto di usufruire dei benefici previsti dalla legge regionale del 20 dicembre 1975, n. 77, - che eleva al 70 anno, quando non siano stati raggiunti i 40 anni di servizio utile a pensione il limite massimo di eta' per il collocamento a riposo degli ufficiali sanitari e dei sanitari condotti entrati in carriera prima del 31 dicembre 1954 - e cioe' di essere trattenuto in servizio per il tempo necessario al raggiungimento dei 40 anni di servizio utile a pensione non ancora maturati e comunque non oltre il 70 anno di eta'. A sostegno della domanda il dott. Mazzone aveva evidenziato che, pur essendo entrato in carriera il 1 aprile 1956, i 20 mesi e 2 giorni di servizio prestato in qualita' di interno gli erano stati riconosciuti a tutti gli effetti non solo economici, bensi' giuridici e di carriera (delibera g.m. Palagonia n. 253/1963). Accogliendo la richiesta il presidente dell'U.S.L. adottava la deliberazione 4 agosto 1989, n. 310, ratificata dal comitato di gestione con atto 31 ottobre 1989, n. 650. Con decisione 18 gennaio 1990, n. 28316, essa veniva pero' annullata dall'organo tutorio per ritenuto contrasto con la nota 11 ottobre 1989, n. 128/02289 con la quale l'assessorato regionale sanita' aveva affermato che del beneficio in argomento potevano usufruire coloro che erano entrati in carriera, e cioe' assunti per pubblico concorso, fino al 31 dicembre 1954, secondo l'interpretazione fatta dal legislatore regionale con legge 2 aprile 1968, n. 517. Con piu' ampia ed articolata motivazione la determinazione di mantenere in servizio il ricorrente veniva reiterata con deliberazione 2 febbraio 1990, n. 3. L'organo di controllo adottava dapprima una decisione interlocutoria, alla quale l'U.S.L. faceva seguire la nota 13 marzo 1990, n. 2590, che disponeva l'esonero del ricorrente dal servizio in attesa della definitiva determinazione tutoria, e la nota 21 marzo 1990, n. 3000, che affidava al dott. Barchitta la responsabilita' dell'area funzionale cui era preposto il dott. Mazzone. Riscontrati con nota del 22 marzo 1990, n. 3106, i chiarimenti richiesti dalla c.p.c., quest'ultima con decisione 5 aprile 1990, n. 6886, annullava anche la suddetta deliberazione non avendovi ravvisato nuovi elementi idonei a modificare l'annullamento gia' adottato nei confronti della precedente deliberazione n. 650/1989. Avverso i predetti provvedimenti insorge il ricorrente facendo valere i seguenti motivi: 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979 e dell'art. 1, comma quarto-quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1990, n. 37, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Con le impugnate decisioni l'organo di controllo ha ritenuto che la posizione del ricorrente non rientrava nelle previsioni normative di cui alla legge regionale del 20 dicembre 1975, n. 77, essendo egli entrato in carriera, per pubblico concorso, dopo il 31 dicembre 1954. Conseguentemente, nei confronti del dott. S. Mazzone doveva trovare applicazione la generale disposizione di cui all'art. 53 el d.P.R. n. 761/1979, che stabilisce, per il personale sanitario, il collocamento a riposo al compimento del 65 anno di eta'. Con recente O.C.I. n. 29/90 del 5 aprile 1990 la sezione giudicante ha sollevato pero', in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione, la questione di costituzionalita' degli artt. 53, del d.P.R. n. 761/1979 e dell'art. 1, comma quarto-quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413, (conv. con modif. dalla legge n. 37/1990) "in quanto non prevede l'estensione delle disposizioni dell'art. 15, secondo e terzo comma, della legge 30 luglio 1973 n. 477, e dell'art. 10, sesto comma, del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, (convertito con modificazione dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417) anche al personale dirigente delle unita' sanitaria locali". Tale norma dispone che solo i dirigenti civili dello Stato, in servizio alla data del 1 ottobre 1974, che al compimento del 65 anno di eta' non hanno raggiunto il numero di anni di servizio attualmente richiesto per il massimo della pensione (o per raggiungere il minimo o per incrementarlo) possono rimanere in servizio, su richiesta, fino al raggiungimento del limite massimo e comunque non oltre il 70 anno di eta' (con richiamo delle norme per il personale ispettivo, docente e non docente della scuola). Il ricorrente condivide quindi il sospetto di illegittimita' costituzionale sollevato da questo Tribunale con la citata ordinanza e cio' in quanto con tale norma "si e' determinata una palese ingiustificata disparita' di trattamento tra i dirigenti civili dello Stato ed il rimanente personale dei vari comparti del pubblico impiego non tanto e non solo in ordine all'eta' massima per il collocamento a riposo quanto, soprattutto, in relazione al trattamento economico di quiescenza godibile". La previsione di trattamenti differenziati solo con riferimento alla differenza di tipologia delle carriere, non trova giustificazione atteso che l'esigenza di assicurare un adeguato trattamento previdenziale di fine rapporto e' garantito dall'art. 38, secondo comma della Costituzione a tutti i lavoratori, per cui eventuali differenziazioni non possono rimettersi alla mera discrezionalita' del legislatore. E' quindi, "non manifestamente infondata la questione di legittimita' delle norme che disciplinano il collocamento a riposo del personale dipendente delle UU.SS.LL., alla luce delle disposizioni che disciplinano adesso l'incremento della base contributiva per i dipendenti civili dello Stato" e che creano "una palese disparita' di trattamento ingiustificata nella disciplina dei rapporti di pubblico impiego". Il ricorrente sottolinea, infine, la rilevanza che la questione di legittimita' delle norme di cui in rubrica riveste ai fini della decisione del presente ricorso, ove si consideri che alla data dell'8 gennaio 1990, compimento dei 65 anni di eta', il dott. Mazzone aveva maturato 39 anni, 4 mesi e 10 giorni di anzianita' utile ai fini del trattamento di quiescenza (di cui 35 anni, 4 mesi e 10 giorni di servizio effettivo e 4 anni di riscatto di corso di laurea), per cui gli rimanevano da compiere altri 7 mesi e 20 giorni per raggiungere il massimo della pensione. Lo stesso poi ricopre una qualifica dirigenziale e ne svolge le relative funzioni. 2. - Mancata applicazione della legge 15 febbraio 1963, n. 151; errata applicazione della legge regionale 20 dicembre 1975, n. 77 - Eccesso di potere per omessa valutazione di presupposto e per travisamento dei fatti - Difetto di motivazione. A tenore della legge n. 151/1963 ai sanitari condotti e' riconosciuto, a tutti gli effetti di carriera ed economici, il servizio prestato presso altri enti locali. Ai fini di tale riconoscimento non si richiede il requisito della continuita' di tali servizi fra di loro ne' quello della continuita' di essi con il servizio da ultimo prestato (C.G.A. 10 luglio 1965, n. 90). In puntuale applicazione di tale legge, con deliberazione 20 dicembre 1963, n. 253, la g.m. di Palagonia riconobbe a tutti gli effetti di carriera ed economici il complessivo servizio di 20 mesi e 2 giorni in precedenza reso dal ricorrente pesso altri comuni. Siffatto riconoscimento deve ritenersi rilevante anche ai fini dell'applicazione della legge regionale n. 77/1975, nel senso che per individuare l'ingresso in carriera entro il 31 dicembre 1954, non puo' non tenersi conto anche del servizio valutato proprio a tutti gli effetti di carriera. 3. - Violazione dell'art. 30, quarto comma, dell'ord. EE.LL. nel testo sostituito dall'art. 2 della legge regionale n. 1/1976, violazione del quarto comma dell'art. 4 del regolamento approvato con d.p. reg. 22 maggio 1985 n. 38. Le impugnate decisioni tutorie soggiacciono, altresi', alle censure calendate in rubrica. L'art. 30 del suddetto ord. EE.LL. stabilisce che alle sedute della commissione provinciale di controllo partecipano, con voto consultivo, tre dirigenti del ruolo amministrativo del personale dell'amministrazione regionale. L'art. 4, quarto comma, del d.p. reg. n. 38/1985 dispone che i componenti funzionari non possono astenersi dal voto consultivo. E' giurisprudenza ormai consolidata di questo tribunale (fra le tante: 7 maggio 1984, n. 331; 24 giugno 1985, n. 717; 10 aprile 1987, n. 325; 16 maggio 1987, n. 375; 29 giugno 1987, n. 662; 30 aprile 1988, n. 278) quella che afferma "l'illegittimita' delle deliberazioni della c.p.c., ove risulti dal testo del provvedimento la mera audizione dei predetti dirigenti senza l'esplicitazione del parere espresso dagli stessi dirigenti" e che stabilisce che "un parere non puo' ritenersi implicito nella determinazione adottata da un organo collegiale di amministrazione attiva o di controllo, anche perche' la mancata formulazione del voto consentirebbe all'organo decidente di omettere ogni necessaria motivazione nelle ipotesi in cui ritenga di discostarsi dal parere espresso". Nel caso di specie, i dirigenti amministrativi, che pure partecipano alle sedute nel corso delle quali sono stati adottati gli impugnati provvedimenti negativi sulle deliberazioni nn. 650/1989 e 3/1990 del comitato di gestione dell'U.S.L. n. 30 di Palagonia, non hanno espresso il parere voluto dalla normativa indicata in rubrica. 4. - Illegittima composizione della commissione provinciale di controllo di Catania, violazione dell'art. 32 dell'ord. EE.LL. 1) Alle sedute del 18 gennaio 1990 e del 5 aprile 1990, date sotto le quali sono state adottate le impugnate decisioni tutorie, ha partecipato ai lavori dell'organo di controllo, in qualita' di suo competente, l'avv. Renato Ciccarelli a suo tempo elettovi dall'assemblea regionale siciliana. Questi, in vista delle ultime elezioni regionali, nel corso delle quali ha presentato la sua candidatura, aveva rassegnato le dimissioni da quella carica e di tali dimissioni la c.p.c. aveva preso atto ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. del 29 ottobre 1957, n. 3, (registrato di esecuzione dell'ord. EE.LL.), informandone la presidenza della regione affinche' elegesse un nuovo membro. Senza titolo, pertanto, il suddetto avv. Ciccarelli ha presenziato alle due sedute dell'organo di controllo, dando cosi' luogo alla sua illegittima composizione ed alla conseguente illegittimita' delle decisioni adottate. 2) In ogni caso, per non avere in via continuativa partecipato senza giustificato motivo ad un numero di sedute di gran lunga superiore alle tre richieste dall'art. 32 dell'ord. EE.LL., il summenzionato e' decaduto ope legis dalla carica e, pertanto, non poteva piu' partecipare ai lavori della commissione. Il ricorso conclude perche' il tribunale voglia preliminarmente ritenere non manifestamente infondata la dedotta questione di legittimita' costituzionale e quindi annullare gli impugnati provvedimenti. L'avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio nell'interesse della commisione provinciale di controllo, ha eccepito la sopravvenuta carenza d'interesse, in quanto a seguito dell'ordinanza di sospensione adottata da questo T.A.R. il dipendente ha sicuramente svolto servizio per il tempo utile occorrente al raggiungimento della eta' massima pensionabile, essendo stata la domanda di sospensione accolta fino alla maturazione di tale termine. Quanto al merito, rileva l'infondatezza dei motivi di ricorso. Con memoria depositata il 14 giugno 1990 si e' costituito in giudizio il dott. Gaetano Barchitta per eccepire anche lui l'infondatezza delle censure, istando per il rigetto del ricorso. D I R I T T O 1. - Prima di esaminare le questioni di legittimita' costituzionale nascenti dal presente ricorso, il collegio stima doveroso affrontare le altre questioni che attengono alla regolare costituzione del rapporto processuale, nonche' alla legittimita' dell'atto. 2. - In via preliminare, per quanto riguarda il rito, l'avvocatura dello Stato ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse in capo al ricorrente, stante che, sospeso il provvedimento di collocamento a riposo per effetto dell'ordinanza di questo tribunale n. 490/1991, con il servizio medio tempore prestato, il Mazzone avrebbe maturato il massimo dell'anzianita' prevista per il collocamento a riposo. L'eccezione non puo' essere condivisa per la ragione che la sopravvenuta carenza di interesse proverebbe non da un atto della pubblica amministrazione, titolare del rapporto, bensi', da una pronuncia cautelare del giudice amministrativo non idonea a sistemare in via definitiva, con l'autorita' del giudicato, il rapporto controverso. 3. - Con il secondo dei motivi di ricorso, il ricorrente denuncia errata applicazione della legge regionale 20 dicembre 1975, n. 77, stante che e' erroneo ritenere la non computabilita' del servizio non di ruolo prestato prima del 31 dicembre 1954, quando, come nel caso in esame, detto servizio sia stato riconosciuto a tutti gli effetti di carriera ed economici. La censura perde ogni pregio di fronte alla legge 2 aprile 1968, n. 517, che interpretando autenticamente la legge 7 maggio 1965, n. 549 (recepita in Sicilia con legge regionale 1975, n. 77), ha disposto che il requisito dell'ingresso in carriera deve inendersi riferito all'ingresso in carriera, per pubblico concorso, nei ruoli del personale sanitario, sia dello Stato, che degli enti locali. La censura, pertanto, dev'essere disattesa. 4. - Con il terzo motivo di ricorso si deduce l'illegittimita' dell'impugnato provvedimento sul rilievo che ai fini dell'adozione dello stesso il parere dei funzionari esperti che senza voto deliberativo partecipano alle sedute della commissione provinciale di controllo (che in prosieguo verra' chiamata semplicemente c.p.c.) deve essere espressamente esplicitato nel testo della decisione. Il collegio deve ricordare che con sentenza n. 1200, del 29 settembre 1987, - con la quale si manifestavano forti perplessita' sulla legittimita' costituzionale delle norme legislative regionali riguardanti la composizione della c.p.c., con la contraddittoria presenza di tre funzionari esperti aventi voto consultivo in un organo collegiale che dovrebbe avere in se' la capacita' e la professionalita' necessarie ad esprimere un qualificato e valido giudizio di legittimita' - esso ha ritenuto che la decisione della c.p.c., della quale fanno parte tre funzionari appartenenti al ruolo amministrativo del personale regionale aventi funzione consultiva, quando sia assunta in conformita' del parere espresso da questi ultimi, non deve contenere la menzione del loro voto, in quanto l'obbligo della menzione resta fermo nel caso di voto contrario, come resta fermo, in tale eventualita', l'obbligo di una piu' diffusa ed esauriente motivazione che tenga debito conto della contraria posizione assunta dalla componente di consulenza; pertanto, nel silenzio dell'atto decisorio, va ritenuto che la determinazione di annullamento sia stata adottata con il voto favorevole dei detti funzionari. Il collegio non ha motivo di discostarsi dalla predetta decisione, e pertanto anche questa censura non trova possibilita' di accoglimento. 5. - Appare fondata invece l'ultima censura che appunta le sue critiche sulla composizione della c.p.c. - organo emanante dell'impugnato provvedimento - la cui legittimita' sarebbe compromessa dalla presenza del dimissionario avv. Renato Ciccarelli, che non avrebbe titolo per partecipare alle sedute in quanto le dimissioni da lui rassegnate in vista delle elezioni regionali del 1986, nelle quali figurava come candidato, sono divenute esecutive dopo la presa d'atto della c.p.c., ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. 29 ottobre 1956, n. 3. Al riguardo, l'avvocatura dello Stato ha spiegato che con lettera del 10 settembre 1986 l'avv. Ciccarelli revoco' le dimissioni presentate in data 19 giugno 1985. Con nota n. 1831/B. 30.3 del 1 marzo 1988 della presidenza della regione siciliana si ritiene che, dopo il ritiro, le dimissioni dell'avv. Ciccarelli potessero essere considerate superate, e che lo stesso potesse essere reintegrato nelle sue funzioni. Tale posizione e' stata ribadita dal presidente della regione con successiva nota prot. n. 4182/B.20.3 del 15 giugno 1988. Il collegio e' del parere che, dopo la presa d'atto delle dimissioni da parte della stessa c.p.c., la suddetta nota presidenziale non bastasse a formalizzare la reinvestitura del componente dimissionario, essendosi da parte della pesidenza della regione scivolato sul procedimento stabilito dall'art. 30 dell'Orel (ordinamento regionale degli enti locali) cosi' come novellato dalla legge regionale 21 febbraio 1976, n. 1, il quale stabilisce che la commissione e' costituita con decreto del presidente della regione ed e' composta, oltre che dal presidente designato dalla giunta regionale, da nove membri eletti dall'assemblea regionale, con voto limitato a sei, tra gli iscritti nelle liste elettorali dei comuni che compongono il libero consorzio, in possesso di titoli accademici in materie giuridiche, economiche o finanziarie. Nella fattispecie, e' stata pretermessa la deliberazione dell'assemblea regionale siciliana, e dunque un vizio di violazione di legge affligge un presupposto (la regolare costituzione dell'organo emanante) del provvedimento impugnato. Percio', la pronuncia del giudice amministrativo, avendo per sua natura anche carattere didattico - nel senso che all'autorita' emanante devono essere spiegate le mende che non devono essere ripetute in sede di eventuale rinnovazione del provvedimento annullato - dovrebbe essere quella di accogliere il ricorso e di annullare conseguentemente, per violazione di legge, l'atto impugnato, rimettendo ogni ulteriore determinazione all'autorita' emanante (art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) per il rispetto, in sede di eventuale rinnovazione, del giusto procedimento di cui all'art. 30 dell'ordinamento regionale degli enti locali siciliani. Senonche', tale articolo e' gravemente sospettato di illegittimita' costituzionale per due ordini di motivi: a) in primo luogo perche' attribuisce all'assemblea regionale siciliana, che e', secondo lo statuto siciliano, organo esclusivamente legislativo, funzioni di carattere amministrativo, violando in tal modo l'art. 20 dello statuto che conferisce esclusivamente al presidente ed agli assessori le funzioni esecutive ed amministrative concernenti, fra l'altro, le materie di cui all'art. 15 dello statuto, che riguardano, appunto, l'ordinamento ed il controllo degli enti locali; b) secondariamente, perche' l'art. 30 dell'Orel, cosi' come modificato dall'art. 2 della legge regionale 21 febbraio 1976, n. 1, disciplina la formazione dell'organo collegiale di controllo secondo modalita' che non assicurano per nulla ne' l'adempimento dei compiti istituzionali ne' il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. 6. - La questione appare rilevante ai fini della definizione del presente giudizio, perche', fermo restando l'attuale assetto normativo l'impugnato provvedimento dovrebbe essere espunto dall'ordinamento giuridico e poi purgato - in sede di rinnovazione, nella fattispecie necessaria - delle mende che l'affliggono. Tutto cio', pero', sulla base di una norma di legge fortemente sospetta sul piano della legittimita' costituzionale, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale, sospetto che, se fosse condiviso dalla Corte costituzionale, dovrebbe invece condurre, ove il vizio riguardasse soltanto il profilo formale, non nell'accoglimento, bensi' al rigetto del ricorso. La questione appare poi fondata alla stregua delle considerazioni che seguono. 6.1. - Sotto il profilo formale, va osservato che lo statuto della regione siciliana provvede alla ripartizione delle attribuzioni istituzionali tra assemblea e Governo sulla base dei tradizionali principi che informano il tipo di governo liberale su base parlamentare, mediante l'attribuzione alla prima della funzione normativa (legislativa e regolamentare), nonche' di controllo (politico) sull'attivita' esecutiva (artt. dal 3 al 19 dello statuto), mentre al secondo - formato dal presidente e dagli assessori regionali - sono riservate le funzioni amministrative ed esecutive, concernenti le materie di cui agli artt. 14, 15, 17. Lo statuto regionale siciliano ha al riguardo una sua peculiare specificita', che, grazie all'art. 116 della Costituzione, lo rende diverso dalle altre regioni a statuto normale, all'interno delle quali anche i consigli regionali sono chiamati a partecipare all'esercizio delle funzioni amministrative (art. 6 statuto regione Lazio approvato con legge 22 maggio 1971, n. 346; art. 6 statuto regione Molise approvato con legge 22 maggio 1971, n. 345; art. 20 statuto regione Campania approvato con legge 22 maggio 1971, n. 348 e cosi' via). Nello statuto siciliano manca in particolare una norma che - come, ad esempio, nella regione Lazio - attribuisca all'assemblea la nomina di commissioni e membri di commissioni nel caso di nomina rimessa genericamente alla regione. La nomina dei componenti dell'organo di controllo costituisce ad evidenza esercizio di funzioni amministrative. A giudizio di questa sezione, pertanto, l'art. 30 della legge regionale 15 marzo 1963, n. 16, cosi' come sostituito con l'art. 2 della legge reg. 21 febbraio 1976, n. 1, appare in contrasto con l'art. 20 dello statuto siciliano, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, che in materia di ordinamento e controllo degli enti locali affida esclusivamente al presidente ed agli assessori regionali le funzioni esecutive ed amministrative. La ripartizione delle competenze risponde ad esigenze primarie di ordine pubblico e pertanto assume il carattere della inderogabilita'. Le superiori argomentazioni trovano valido sostegno nella sentenza della Corte costituzionale n. 66/1964, secondo cui l'assemblea regionale siciliana non puo' essere configurata come organo amministrativo, giacche' le sue attribuzioni, come delineate nello statuto, sono leg- islative (art. 14, 19) o politiche (art. 9, primo comma, e 20, secondo comma), e mai amministrative, al punto che anche il potere regolamentare di esecuzione delle leggi e' demandato al governo regionale. 6.2. - Sotto il profilo sostanziale, la norma in argomento appare in contrasto sia con l'art. 130 della Costituzione, che definisce i compiti degli organi di controllo sugli enti locali, sia con l'art. 97 della Costituzione, il quale fa obbligo di organizzare i pubblici uffici in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. 6.3. - La norma sospetta prevede, come si e' visto, che la commissione si compone, oltre che del presidente, designato dalla giunta regionale, di nove membri eletti dall'assemblea regionale, con voto limitato a sei, tra gli iscritti nelle liste elettorali dei comuni che compongono il libero consorzio (cioe', la provincia regionale) in possesso di titoli accademici in materie giuridiche, economiche o finanziarie. Il quarto comma dell'art. 30 stabilisce che alle sedute della commissione partecipano, altresi', con voto consultivo, tre dirigenti del ruolo amministrativo del personale dell'Amministrazione regionale, in possesso di diploma di laurea in materie giudiche, economiche o finanziarie e con almeno cinque anni di servizio nella qualifica. L'anomalia di tale composizione e' stata rilevata, come si e' visto, da questo tribunale con sentenza n. 1200 del 29 settembre 1987, nella quale si avvertiva la stranezza della presenza di una componente tecnica con funzioni meramente consultive, nel seno di un organo collegiale chiamato ad assolvere funzioni delicatissime nell'ambito dell'ordinamento amministrativo, organo che di per se', senza l'aiuto di consultori, dovrebbe garantire alla generalita' dei cittadini un alto livello di professionalita' tecnica. Con la disposizione contenuta nell'art. 30 Orel, il legislatore regionale, come piu' avanti sara' precisato, ha impresso una connotazione politica alle commissioni provinciali di controllo, con l'enfatizzazione del carattere eminentemente politico delle loro funzioni, a scapito dei compiti istituzionali dell'organo collegiale, la cui natura giuridica e', invece, quella di organo dell'amministrazione regionale, dotato di particolare autonomia strutturale e funzionale (c.g.a., 24 aprile 1959, 207) avente come fine istituzionale, nelle materie di sua competenza, la tutela dell'ordinamento giuridico generale. Un breve excursus puo' servire a fornire l'interpretazione in chiave storica delle vicende che hanno accompagnato l'attuale assetto normativo dell'istituto. Originariamente, in base al d.p.l. 29 ottobre 1955, n. 6, poi approvato recettiziamente con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16, la c.p.c. era costituita con decreto del presidente della regione e composta: a) di un presidente designato dall'assessore per gli enti locali; b) di otto membri, di cui cinque effettivi e tre supplenti, eletti dal consiglio del libero consorzio gra gli iscritti nelle liste elettorali dei comuni che lo compongono in possesso di titoli accademici o che avessero esercitato le funzioni di senatore, di deputato al Parlamento nazionale o all'assemblea regionale o quelle di consigliere del libero consorzio o di consigliere comunale; c) di cinque funzionari di cui 3 effettivi e 2 supplenti, di grado non inferiore al VII, di cui tre della carriera amministrativa e due della carriera di ragioneria dell'amministrazione degli enti locali. Per la elezione dei cinque membri di cui alla lettera b) ciascun consigliere del libero consorzio doveva votare per tre membri effettivi e 2 supplenti, in modo da garantire la presenza in seno alla commissione di rappresentanti sia di maggioranza che di minoranza. Nella studiata dosatura dell'organo collegiale l'efficienza operativa restava in gran parte affidata alla componente tecnica, che avrebbe dovuto costituire fattore di equilibrio e termine di aggregazione del consenso e del dissenso in ordine a ciascun affare da trattare. La nuova legge del 21 febbraio 1976 ha stravolto tale impostazione. Infatti nella relazione governativa che accompagna il disegno di legge n. 781, presentato dal presidente della regione il 3 dicembre 1975, contenente nuove norme per l'amministrazione della regione e per gli enti locali ed ospedalieri siciliani, si legge testualmente: "gli artt. 3 - 5 dettano una nuova disciplina in tema di composizione e di funzionamento delle commissioni provinciali di controllo, sostituendo organicamente le corrispondenti disposizioni dell'ordinamento amministrativo degli enti locali approvato con la legge regionale 15 marzo 1963, n. 16. Cosi' l'art. 3 prevede che la commissione provinciale di controllo e' costituita da un presidente designato dalla giunta regionale su proposta dell'assessore regionale per gli enti locali, e da otto membri eletti dall'assemblea regionale. Per ciascuna categoria di componenti e' formulata una previsione piu' peculiare dei requisiti soggettivi, mentre e' affidata a meccanismi interni dell'assemblea (regolamento interno) la garanzia dei diritti delle minoranze in sede di elezione dei membri di competenza della medesima. "E' prevista, altresi', la partecipazione alle sedute della commissione di dipendenti dell'amministrazione regionale, in servizio presso gli uffici dell'organo di controllo, in possesso di specifici titoli di studio, correlati all'attivita' che gli stessi sono chiamati a svolgere. La previsione dell'attribuzione ai dipendenti partecipanti alla commissione di un voto consultivo che non incide, pertanto, sull'adozione della deliberazione, in una con la previsione del normale avvicendamento del personale in servizio presso ciascuna commissione, quale risulta dall'art. 21, sono, poi, rivolte a sottolineare la prevalenza, sull'aspetto piu' propriamente giuridico, del momento politico dell'attivita' di controllo". Cosi' dunque il legislatore regionale afferma, o meglio proclama apertis verbis che non l'imparzialita', ma il momento politico, e quindi la discrezionalita', deve costituire il parametro per l'esercizio dell'attivita' di controllo ed in tale direzione struttura l'organo di controllo, chiamando a farne parte solo persone di estrazione politica, con cio' ponendosi con ostentazione in posizione di netta antitesi con il pacifico insegnamento della dottrina e della giusisprudenza. Afferma, infatti, il Consiglio di Stato (4a, 16 febbraio 1987, n. 92; 5a, 7 aprile 1989, n. 197) che il provvedimento emesso dall'organo di controllo in sede di controllo di legittimita' e' espressione non di un potere discrezionale che debba essere sorretto da una motivazione idonea a render conto delle ragioni della scelta, bensi' di un giudizio vincolato conseguente al raffronto fra l'atto ed i principi giuridici o le previsioni normative. Ora, proprio in questo aperto conflitto fra l'essere ed il dovere essere, alla stregua delle intenzioni rese manifeste dallo stesso legislatore, sta la ragione profonda dell'incostituzionalita' della norma di cui all'art. 30 dell'Orel. Non appare, infatti, dubbia al collegio la violazione dell'art. 130 della Costituzione, che assegna agli organi della regione, chiamati a svolgere funzioni di controllo sugli enti locali, di esercitare su di essi non un controllo politico, bensi' un controllo di legittimita' e di merito, secondo i parametri pacificamente definiti dalla dottrina e dalla giurisprudenza. 6.4. - Per quanto riguarda il contrasto con l'art. 97, stante l'analogia tra le due materie trattate, il collegio remittente non puo' che richiamare le medesime osservazioni che, a proposito della composizione delle commissioni giudicatrici dei pubblici concorsi e della qualificazione tecnica dei suoi componenti, furono sollevate da questo tribunale con l'ordinanza di rimessione n. 102/89, sulla quale la Corte costituzionale ha pronunziato con la sentenza del 15 ottobre 1990, n. 453. Anche nei confronti di tutti nove i componenti delle commissioni provinciali di controllo la sola qualificazione richiesta e' il titolo accademico nelle materie giuridiche ed economiche, che appare, pero', del tutto insufficiente rispetto al contenuto altamente tecnico della funzione di controllo. Il controllo di legittimita' si estrinseca, infatti, in un giudizio tecnico di conformita' dell'atto controllato alle previsioni normative che disciplinano la materia. E' un giudizio che procede per sillogismi, che si estrinseca in un atto, avente natura paragiurisdizionale, e che proprio per questo richiede in capo ai soggetti chiamati ad esercitare la funzione relativa una puntuale specializzazione tecnica, rispetto alla quale il titolo accademico non e' che il punto di partenza. La specializzazione tecnica e' anche garanzia d'imparzialita'. Cio' perche' l'imparzialita', come posizione soggettiva d'indifferenza nei confronti degli interessi in giuoco e quindi come capacita' di dare in ogni singola fattispecie giusta applicazione alla norma astratta che la governa, puo' essere assunta ed utilizzata come valore di giudizio soltanto da chi abbia il sapere ed un corredo di esperienze giuridico-amministrative da porre a fondamento della sua determinazione volitiva. Il controllore inesperto, sprovvisto di strumenti conoscitivi e che non ha parametri di riferimento, non puo' avere il concetto d'imparzialita', perche' non e' in grado di stabilire dove sta il lecito e dove l'illecito, dove il torto e dove la ragione. Ora e' stato insegnato che il principio di imparzialita' esige che nella formazione delle commissioni, che emanano atti di giudizio, il carattere esclusivamente tecnico del giudizio debba risultare salvaguardato da ogni rischio di deviazioni verso interessi di parte, o comunque diversi da quelli propri della funzione esercitata, e quindi, ad avviso della sezione, tale esigenza postula, per quanto attiene alla fattispecie, che, ai fini della composizione della commissione nella sua interezza, criteri esclusivamente tecnici debbano presiedere alla selezione delle persone piu' idonee all'esercizio della importante funzione pubblica (inerente alla vigilanza sulla attivita' degli enti locali) e cio' indipendentemente da qualsiasi valutazione dei loro orientamenti politici, in modo da ottenere che nella sua totalita' la commissione medesima operi secondo criteri di imparzialita' e per la tutela del diritto obiettivo. Con il conseguimento di un maggiore grado di efficienza a livello di controllo, automaticamente si realizzano le condizioni necessarie e sufficienti per recuperare, nell'interesse del paese e della finanza pubblica in particolare, sistemi di buona e corretta amministrazione nella gestione degli enti locali territoriali. 6.5. - Alcune considerazioni d'ordine comparativo servono a dare maggiore spessore alle argomentazioni fin qui svolte: a) sulla massima parte degli atti amministrativi adottati dall'amministrazione dello Stato, e specificamente su quelli che importano un onere per il bilancio dello Stato, il controllo e' esercitato dalla Corte dei conti, che e' organo neutrale, formato da personale di magistratura; essendo rivolto unicamente a garantire la legalita' degli atti, esso controllo e' preordinato a tutela del diritto oggettivo. Attraverso numerose leggi di decentramento dei servizi statali - fra cui, ultimo, il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 - molte delle funzioni statali sono state trasferite agli enti locali. Cio' posto, non si vede una ragione logica perche' l'attivita' amministrativa dello Stato e quella degli enti locali, pur utilizzando risorse provenienti dallo stesso contribuente, e pur essendo dalla Costituzione (art. 100 e art. 130) sottoposti al medesimo tipo di vigilanza - anzi piu' penetrante quella sugli enti locali, che comprende anche il controllo di merito - debbano essere assoggettati di fatto a due differenti regimi di controllo: il primo rigoroso, puntuale, esercitato da magistrati di carriera dotati di alta professionalita'; blando il secondo, quasi impercettibile, esercitato da soggetti che non offrono alcuna garanzia di affidabilita'. Si tratta per le amministrazioni locali di un privilegio antistorico, improntato a deleterio permissivismo, incompatibile con l'allarmante situazione dell'ordine pubblico e pernicioso per l'andamento gia' rovinoso dei conti pubblici nazionali; b) ancora sul piano comparativo, il collegio deve ricordare che in base agli artt. 41, 42 e 43 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nelle regioni a statuto normale, il comitato regionale di controllo ed ogni sua eventuale sezione territoriale sono formati con decreto del presidente della giunta regionale e sono composti di cinque "esperti", eletti dal consiglio regionale, scelti fra persone altamente qualificate per la loro estrazione professionale; per tre di essi la scelta ha luogo addirittura per desingazione esterna. Anche per questo raffronto, non si vede alcuna specifica peculiarita' insulare che possa giustificare il diverso indirizzo del legislatore regionale siciliano. 7. - Il collegio non vuole esimersi dall'obbligo di prospettare in questa sede che con legge regionale approvata il 16 aprile 1991, ma non ancora pubblicata - pendendo su di essa un giudizio di legittimita' costituzionale su ricorso del Commissario dello Stato (in Gazzetta Ufficiale del 22 maggio 1991) - sono state approvate nuove norme per il controllo sugli atti dei comuni, delle province e degli altri enti locali della regione siciliana. In base alle predette norme, i comitati di controllo - sezione centrale e sezioni provinciali - sono formati da dieci componenti. Il presidente, viene designato dalla giunta regionale ed e' scelto fra docenti universitari in materie giuridiche, magistrati a riposo, direttori regionali o equiparati a riposo, avvocati iscritti da almeno cinque anni all'albo dei patrocinanti in cassazione. Gli altri nove sono eletti dall'assemblea regionale, con voto limitato ad uno, e scelti fra: a) iscritti nell'ordine degli avvocati e dei dottori commercialisti; b) dipendenti statali o regionali, anche in quiescenza, con qualifica dirigenziale; c) magistrati o avvocati dello Stato in quiescenza; d) professori universitari di ruolo in materie giuridiche ed amministrative. Anche nei confronti della nuova normativa - peraltro non entrata ancora in vigore - sopravvivono le superiori ragioni di incostituzionalita',in quanto: A) nove membri su dieci sono eletti dall'Ars, che, come e' stato gia' detto, non ha, secondo statuto, l'esercizio di funzioni amministrative; B) la composizione pletorica della commissione (il numero dei componenti, il doppio di quanto previsto nelle regioni a statuto normale, e' stabilito in termini strumentali rispetto alla pratica lottizzatoria, e non per la formazione di un concerto di competenze diversificate) e soprattutto il sistema di elezione (voto limitato ad uno) rendono evidente - come provano i lavori parlamentari - il permanere di una caratterizzazione politica tralatizia dell'organo di controllo, dal quale peraltro, significativamente, sono stati estromessi i funzionari di carriera professionalmente qualificati, che prima svolgevano funzioni di consulenza; C) non vi e' alcuna garanzia in ordine alla competenza tecnica, in quanto non esiste in concreto un criterio di caratura che serva a diversificare le esperienze professionali dei singoli componenti (come avviene, invece nelle regioni a statuto normale). Infatti secondo il sistema prescelto neppure un esperto - ne' in diritto amministrativo, ne' in contabilita' pubblica, ne' in organizzazione dei servizi sanitari - potrebbe entrate a far parte dell'organo collegiale, e peraltro e' da escludere che la qualifica di esperto possa derivare, senza ulteriore specificazione di esperienze acquisite in campo amministrativo, dalla semplice iscrizione all'albo degli avvocati. In definitiva, appare chiaro che anche in ordine alla nuova e peggiorata composizione prevista dall'art. 2 della legge regionale 16 aprile 1991, non ancora pubblicata, risulta evidente il contrasto con l'art. 20 dello statuto siciliano, e con gli artt. 97 e 130 della Costituzione. 8. - Premesse le superiori considerazioni; Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 30 dell'ordinamento amministrativo degli enti locali siciliani approvato con legge regionale 15 marzo 1963, n. 16, cosi' come sostituito dall'art. 2 della legge regionale 21 febbraio 1976, n. 1, in relazione all'art. 20, primo comma dello statuto regionale siciliano, approvato con legge 26 febbraio 1948, n. 2, nonche' in relazione agli artt. 97, primo e terzo comma, e 130 della Costituzione;