IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 921/1990, sez.
 I, proposto da Mazzone Salvatore, rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Salvatore  Buscemi,  presso  il quale e' elettivamente domiciliato in
 Catania, via F. De Roberto n. 31; contro la  commissione  provinciale
 di controllo di Catania, rappresentata e difesa dall'avvocatura dello
 Stato;
 e nei confronti:
      1)  unita' sanitaria locale n. 30 di Palagonia, in personale del
 presidente del comitato di gestione, non costituitasi in giudizio;
      2) assessorato regionale della sanita' in persona dell'assessore
 regionale pro-tempore, rappresentato e difeso  dall'avvocatura  dello
 Stato di Catania;
      3)  dott.  Gaetano  Barchitta,  rappresentato e difeso dall'avv.
 Nino Giannitto, elettivamente domiciliato in Catania, via L. Rizzo n.
 29;
 per l'annullamento:
      1) della decisione 18 gennaio 1990, n. 28316, con  la  quale  la
 suddetta  commissione  ha annullato la deliberazione 31 ottobre 1989,
 n. 650, del comitato di  gestione  dell'U.S.L.  n.  30  di  Palagonia
 avente  per oggetto: "Ratifica deliberazione presidenziale n. 310 del
 4 agosto 1989, rinvio del collocamento a  riposo  del  dott.  Mazzone
 Salvatore  in applicazione della legge regionale 20 dicembre 1975, n.
 77";
      2) della decisione 5 aprile 1990,  n.  6886,  con  la  quale  la
 medesima  commissione  ha annullato la deliberazione 2 febbraio 1990,
 n. 3, del comitato di gestione dell'U.S.L. n. 30 di Palagonia, avente
 per oggetto: "Reitera deliberazione CO.GE. n. 650/1989,  mantenimento
 in  servizio  del dott. Mazzone Salvatore oltre il compimento del 65›
 anno di eta'";
      3) di ogni altro atto presupposto,  connesso  e  conseguenziale,
 ivi comprese le note 13 marzo 1990, n. 2598 e 21 marzo 1990, n. 3000,
 dell'U.S.L. di Palagonia;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza del 10 aprile 1991 la relazione del
 Presidente dott. Attilio Trovato e uditi altresi' l'avv. S. Cittadino
 in sostituzione dell'avv. S. Buscemi per il ricorrente  e  l'avvocato
 dello Stato G. Di Gesu per le amministrazioni resistenti;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Il  ricorrente  dott. Mazzone, nato l'8 gennaio 1924, espone che a
 seguito di pubblico concorso egli veniva nominato, con  deliberazione
 della  g.m.  12  marzo 1956 n. 51, veterinario condotto del comune di
 Palagonia, alle cui dipendenze assumeva servizio con decorrenza dal 1
 aprile 1956.
    In precedenza  l'interessato  aveva  prestato  servizio  presso  i
 comuni  di  Vizzini  e di Militello V.C. per complessivi venti mesi e
 due giorni.
    Con deliberazione della  g.m.  20  dicembre  1963,  n.  253,  tale
 servizio,  ai  sensi della legge 15 febbraio 1963, n. 151, gli veniva
 riconosciuto "a tutti gli effetti di carriera ed economici",  sicche'
 la sua nomina veniva retrodatata al 1 agosto 1954 a tutti gli effetti
 giuridici  ed  economici  con  conseguente  ricostruzione di carriera
 (delib. 24 novembre 1966, n. 359).   In esecuzione  dell'art.  3  del
 d.P.R.  11  febbraio 1961, n. 264, con deliberazione 25 gennaio 1966,
 n. 9, la g.m. di  Palagonia  istituiva,  poi,  l'ufficio  veterinario
 comunale  e  nominava  il  dott.  S.  Mazzone  dirigente dell'ufficio
 medesimo.
    Entrate in funzione le UU.SS.LL. con decorrenza 1 gennaio 1983  il
 ricorrente  confluiva  presso  l'U.S.L. n. 30 di Palagonia, la quale,
 con deliberazione 13 dicembre 1980, n. 430, gli  affidava  l'incarico
 di  responsabile  del  servizio  veterinario.    Con provvedimento 20
 luglio 1984, n. 77, del coordinatore amministrativo,  ratificato  dal
 comitato  di  gestione  con  atto  21 gennaio 1985, n. 66, il Mazzone
 veniva  inquadrato  nella   posizione   funzionale   di   veterinario
 dirigente.    In  esecuzione della legge regionale 27 maggio 1987, n.
 32,  con  deliberazione  15  settembre  1989,  n.  636,  l'U.S.L.  di
 Palagonia  ha  istituito le previste due aree funzionali del servizio
 veterinario e con deliberazione n. 637 di pari  data  ha  indetto  un
 concorso  interno  per  titoli  a n. 2 posti di veterinario dirigente
 riservato all'odierno  ricorrente  ed  al  dott.  Gaetano  Barchitta,
 "unici ad avere titolo a partecipare al concorso a norma dell'art. 69
 del d.P.R. n.  761/1979".
    In  effetti,  rivestendo  gia'  il  dott.  Mazzone la qualifica di
 veterinario dirigente, avrebbe dovuto essere direttamente preposto ad
 una delle  due  aree  funzionali,  e  l'altro  posto  di  veterinario
 dirigente  in  presenza  di  un  solo  avente diritto, avrebbe dovuto
 essere assegnato al dott. G. Barchitta, veterinario coadiutore.
    Tuttavia, per non creare intralci  nonche'  per  motivi  meramente
 cautelari  e  per  via  del  fatto che nei ruoli nominativi regionali
 pubblicati sul suppl. ord. a G.U.R.S. n. 41 del 26 agosto 1989 la sua
 posizione era stata inclusa tra  quelle  ancora  da  determinare,  il
 dott. Mazzone si e' sottoposto alla procedura selettiva.
    Con   deliberazione   31   ottobre   1989,   n.  640,  a  modifica
 dell'originario testo del  bando,  che  individuava  nei  "veterinari
 coadiutori"  i  riservatari  del concorso, l'U.S.L. deliberava che il
 concorso fosse "riservato ai  veterinari  dell'U.S.L.  n.  30  aventi
 titolo"  e  poi  ribadendo che gli unici due ad avervi titolo erano i
 dottori Mazzone e Barchitta.   Entrambi poi  sono  stati  ammessi  al
 concorso  interno loro riservato con deliberazione 3 gennaio 1990, n.
 7.   Infine, con decreto 22  febbraio  1990,  n.  79557,  l'assessore
 regionale  della  Sanita'  ha  attribuito  al  ricorrente il posto di
 veterinario dirigente di una delle due aree funzionali.  Tale decreto
 e' stato  recepito  con  deliberazione  23  febbraio  1990,  n.  140,
 esecutiva.
    Con  altro decreto il posto di veterinario dirigente della seconda
 area funzionale e' stato assegnato al dottor Barchitta.  Fatta in tal
 modo l'esposizione sommaria del suo curricolo, il  dott.  Mazzone  fa
 presente di avere raggiunto i 65 anni di eta' in data 8 gennaio 1990.
 E  pertanto,  con  istanza  del  29  giugno  1989,  aveva  chiesto di
 usufruire dei benefici previsti dalla legge regionale del 20 dicembre
 1975, n. 77, -  che  eleva  al  70›  anno,  quando  non  siano  stati
 raggiunti i 40 anni di servizio utile a pensione il limite massimo di
 eta'  per  il  collocamento  a  riposo degli ufficiali sanitari e dei
 sanitari condotti entrati in carriera prima del 31 dicembre 1954 -  e
 cioe'  di  essere  trattenuto  in servizio per il tempo necessario al
 raggiungimento dei 40 anni di servizio utile a  pensione  non  ancora
 maturati e comunque non oltre il 70› anno di eta'.
    A  sostegno  della domanda il dott. Mazzone aveva evidenziato che,
 pur essendo entrato in carriera il 1 aprile  1956,  i  20  mesi  e  2
 giorni  di  servizio  prestato in qualita' di interno gli erano stati
 riconosciuti a tutti gli effetti non solo economici, bensi' giuridici
 e di carriera (delibera g.m. Palagonia n. 253/1963).  Accogliendo  la
 richiesta  il  presidente  dell'U.S.L.  adottava  la  deliberazione 4
 agosto 1989, n. 310, ratificata dal comitato di gestione con atto  31
 ottobre  1989, n. 650.  Con decisione 18 gennaio 1990, n. 28316, essa
 veniva pero' annullata dall'organo tutorio per ritenuto contrasto con
 la nota 11 ottobre 1989, n.  128/02289  con  la  quale  l'assessorato
 regionale  sanita'  aveva  affermato  che  del beneficio in argomento
 potevano usufruire coloro che erano  entrati  in  carriera,  e  cioe'
 assunti  per  pubblico  concorso,  fino  al 31 dicembre 1954, secondo
 l'interpretazione fatta dal legislatore regionale con legge 2  aprile
 1968,   n.  517.    Con  piu'  ampia  ed  articolata  motivazione  la
 determinazione  di  mantenere  in  servizio  il   ricorrente   veniva
 reiterata con deliberazione 2 febbraio 1990, n. 3.
    L'organo    di   controllo   adottava   dapprima   una   decisione
 interlocutoria, alla quale l'U.S.L. faceva seguire la nota  13  marzo
 1990, n. 2590, che disponeva l'esonero del ricorrente dal servizio in
 attesa  della  definitiva  determinazione tutoria, e la nota 21 marzo
 1990,  n.  3000,  che  affidava al dott. Barchitta la responsabilita'
 dell'area funzionale cui era preposto il dott.  Mazzone.  Riscontrati
 con nota del 22 marzo 1990, n. 3106, i  chiarimenti  richiesti  dalla
 c.p.c.,  quest'ultima con decisione 5 aprile 1990, n. 6886, annullava
 anche la suddetta deliberazione non avendovi ravvisato nuovi elementi
 idonei a modificare l'annullamento gia' adottato nei confronti  della
 precedente   deliberazione  n.     650/1989.     Avverso  i  predetti
 provvedimenti insorge il ricorrente facendo valere i seguenti motivi:
    1. - Illegittimita' costituzionale  dell'art.  53  del  d.P.R.  n.
 761/1979  e dell'art. 1, comma quarto-quinquies del d.-l. 27 dicembre
 1989, n. 413, convertito con modificazioni dalla  legge  28  febbraio
 1990,  n.  37, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione.
 Con le impugnate decisioni l'organo di controllo ha ritenuto  che  la
 posizione  del ricorrente non rientrava nelle previsioni normative di
 cui alla legge regionale del 20 dicembre 1975, n.  77,  essendo  egli
 entrato in carriera, per pubblico concorso, dopo il 31 dicembre 1954.
 Conseguentemente,  nei  confronti del dott. S. Mazzone doveva trovare
 applicazione la generale disposizione di cui all'art. 53 el d.P.R. n.
 761/1979, che stabilisce, per il personale sanitario, il collocamento
 a riposo al compimento del 65› anno di eta'.  Con recente  O.C.I.  n.
 29/90  del 5 aprile 1990 la sezione giudicante ha sollevato pero', in
 relazione agli artt. 3 e  38  della  Costituzione,  la  questione  di
 costituzionalita'  degli artt. 53, del d.P.R. n. 761/1979 e dell'art.
 1, comma quarto-quinquies del d.-l. 27 dicembre 1989, n. 413,  (conv.
 con   modif.   dalla   legge  n.  37/1990)  "in  quanto  non  prevede
 l'estensione delle disposizioni dell'art. 15, secondo e terzo  comma,
 della  legge 30 luglio 1973 n. 477, e dell'art.  10, sesto comma, del
 d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, (convertito  con  modificazione  dalla
 legge  27  dicembre  1989, n. 417) anche al personale dirigente delle
 unita' sanitaria locali".  Tale norma dispone che  solo  i  dirigenti
 civili  dello Stato, in servizio alla data del 1 ottobre 1974, che al
 compimento del 65› anno di eta' non hanno raggiunto il numero di anni
 di servizio attualmente richiesto per il massimo  della  pensione  (o
 per  raggiungere  il  minimo o per incrementarlo) possono rimanere in
 servizio, su richiesta, fino al raggiungimento del limite  massimo  e
 comunque  non oltre il 70› anno di eta' (con richiamo delle norme per
 il personale ispettivo, docente e non docente della scuola).
    Il ricorrente  condivide  quindi  il  sospetto  di  illegittimita'
 costituzionale  sollevato da questo Tribunale con la citata ordinanza
 e cio' in quanto  con  tale  norma  "si  e'  determinata  una  palese
 ingiustificata disparita' di trattamento tra i dirigenti civili dello
 Stato  ed  il  rimanente  personale  dei  vari  comparti del pubblico
 impiego non tanto e non  solo  in  ordine  all'eta'  massima  per  il
 collocamento   a   riposo   quanto,   soprattutto,  in  relazione  al
 trattamento economico di quiescenza godibile".
    La previsione di trattamenti differenziati  solo  con  riferimento
 alla    differenza   di   tipologia   delle   carriere,   non   trova
 giustificazione atteso  che  l'esigenza  di  assicurare  un  adeguato
 trattamento previdenziale di fine rapporto e' garantito dall'art. 38,
 secondo  comma  della  Costituzione  a  tutti  i  lavoratori, per cui
 eventuali  differenziazioni  non   possono   rimettersi   alla   mera
 discrezionalita'  del  legislatore.    E' quindi, "non manifestamente
 infondata la questione di legittimita' delle norme  che  disciplinano
 il  collocamento  a  riposo del personale dipendente delle UU.SS.LL.,
 alla luce delle disposizioni  che  disciplinano  adesso  l'incremento
 della  base  contributiva  per i dipendenti civili dello Stato" e che
 creano "una palese disparita'  di  trattamento  ingiustificata  nella
 disciplina   dei  rapporti  di  pubblico  impiego".    Il  ricorrente
 sottolinea, infine, la rilevanza che  la  questione  di  legittimita'
 delle  norme  di  cui  in rubrica riveste ai fini della decisione del
 presente ricorso, ove si consideri che alla data dell'8 gennaio 1990,
 compimento dei 65 anni di eta', il dott. Mazzone  aveva  maturato  39
 anni,  4 mesi e 10 giorni di anzianita' utile ai fini del trattamento
 di quiescenza (di cui 35  anni,  4  mesi  e  10  giorni  di  servizio
 effettivo  e  4  anni  di  riscatto  di corso di laurea), per cui gli
 rimanevano da compiere altri 7 mesi e 20 giorni  per  raggiungere  il
 massimo  della  pensione.    Lo  stesso  poi  ricopre  una  qualifica
 dirigenziale e ne svolge le relative funzioni.
    2. - Mancata applicazione della legge 15 febbraio  1963,  n.  151;
 errata  applicazione  della legge regionale 20 dicembre 1975, n. 77 -
 Eccesso di  potere  per  omessa  valutazione  di  presupposto  e  per
 travisamento  dei  fatti  -  Difetto di motivazione.   A tenore della
 legge n. 151/1963 ai sanitari condotti e' riconosciuto, a  tutti  gli
 effetti  di  carriera ed economici, il servizio prestato presso altri
 enti locali.   Ai fini di tale  riconoscimento  non  si  richiede  il
 requisito  della  continuita'  di tali servizi fra di loro ne' quello
 della continuita' di essi con il servizio da ultimo prestato  (C.G.A.
 10 luglio 1965, n.  90).  In puntuale applicazione di tale legge, con
 deliberazione  20  dicembre  1963,  n.  253,  la  g.m.  di  Palagonia
 riconobbe a tutti gli effetti di carriera ed economici il complessivo
 servizio di 20 mesi e 2 giorni  in  precedenza  reso  dal  ricorrente
 pesso altri comuni.
    Siffatto  riconoscimento  deve  ritenersi  rilevante anche ai fini
 dell'applicazione della legge regionale n. 77/1975, nel senso che per
 individuare l'ingresso in carriera entro il  31  dicembre  1954,  non
 puo'  non  tenersi  conto anche del servizio valutato proprio a tutti
 gli effetti di carriera.
    3. - Violazione dell'art. 30, quarto comma, dell'ord.  EE.LL.  nel
 testo  sostituito  dall'art.  2  della  legge  regionale  n.  1/1976,
 violazione del quarto comma dell'art. 4 del regolamento approvato con
 d.p. reg. 22 maggio 1985 n.  38.    Le  impugnate  decisioni  tutorie
 soggiacciono, altresi', alle censure calendate in rubrica.
  L'art.  30 del suddetto ord. EE.LL. stabilisce che alle sedute della
 commissione  provinciale   di   controllo   partecipano,   con   voto
 consultivo,  tre  dirigenti  del  ruolo  amministrativo del personale
 dell'amministrazione regionale.   L'art. 4, quarto  comma,  del  d.p.
 reg.  n.  38/1985  dispone  che  i  componenti funzionari non possono
 astenersi dal voto consultivo.  E' giurisprudenza  ormai  consolidata
 di  questo  tribunale (fra le tante: 7 maggio 1984, n. 331; 24 giugno
 1985, n. 717; 10 aprile 1987, n. 325; 16  maggio  1987,  n.  375;  29
 giugno  1987,  n.  662;  30  aprile  1988, n. 278) quella che afferma
 "l'illegittimita' delle deliberazioni della c.p.c., ove  risulti  dal
 testo  del  provvedimento  la  mera  audizione dei predetti dirigenti
 senza l'esplicitazione del parere espresso dagli stessi dirigenti"  e
 che  stabilisce  che  "un  parere  non puo' ritenersi implicito nella
 determinazione adottata da un organo  collegiale  di  amministrazione
 attiva o di controllo, anche perche' la mancata formulazione del voto
 consentirebbe   all'organo  decidente  di  omettere  ogni  necessaria
 motivazione nelle ipotesi in cui ritenga di  discostarsi  dal  parere
 espresso".   Nel caso di specie, i dirigenti amministrativi, che pure
 partecipano alle sedute nel corso delle quali sono stati adottati gli
 impugnati provvedimenti negativi sulle deliberazioni nn.  650/1989  e
 3/1990  del  comitato di gestione dell'U.S.L. n. 30 di Palagonia, non
 hanno espresso il parere voluto dalla normativa indicata in rubrica.
    4. - Illegittima composizione  della  commissione  provinciale  di
 controllo di Catania, violazione dell'art. 32 dell'ord. EE.LL.
    1) Alle sedute del 18 gennaio 1990 e del 5 aprile 1990, date sotto
 le  quali  sono  state  adottate  le  impugnate decisioni tutorie, ha
 partecipato ai lavori dell'organo di controllo, in  qualita'  di  suo
 competente,   l'avv.   Renato   Ciccarelli   a   suo  tempo  elettovi
 dall'assemblea regionale siciliana.   Questi, in vista  delle  ultime
 elezioni  regionali,  nel  corso  delle  quali  ha  presentato la sua
 candidatura, aveva rassegnato le dimissioni da  quella  carica  e  di
 tali  dimissioni la c.p.c. aveva preso atto ai sensi dell'art. 11 del
 d.P.R. del  29  ottobre  1957,  n.    3,  (registrato  di  esecuzione
 dell'ord. EE.LL.), informandone la presidenza della regione affinche'
 elegesse un nuovo membro.
    Senza titolo, pertanto, il suddetto avv. Ciccarelli ha presenziato
 alle  due sedute dell'organo di controllo, dando cosi' luogo alla sua
 illegittima composizione ed  alla  conseguente  illegittimita'  delle
 decisioni adottate.
    2)  In  ogni  caso,  per non avere in via continuativa partecipato
 senza giustificato motivo ad  un  numero  di  sedute  di  gran  lunga
 superiore  alle  tre  richieste  dall'art.  32  dell'ord.  EE.LL., il
 summenzionato e' decaduto ope legis dalla  carica  e,  pertanto,  non
 poteva piu' partecipare ai lavori della commissione.
    Il  ricorso  conclude  perche' il tribunale voglia preliminarmente
 ritenere  non  manifestamente  infondata  la  dedotta  questione   di
 legittimita'   costituzionale   e   quindi  annullare  gli  impugnati
 provvedimenti.  L'avvocatura dello Stato,  costituitasi  in  giudizio
 nell'interesse della commisione provinciale di controllo, ha eccepito
 la   sopravvenuta   carenza   d'interesse,   in   quanto   a  seguito
 dell'ordinanza di sospensione adottata da questo T.A.R. il dipendente
 ha sicuramente svolto servizio  per  il  tempo  utile  occorrente  al
 raggiungimento  della  eta'  massima  pensionabile,  essendo stata la
 domanda di sospensione accolta fino alla maturazione di tale termine.
    Quanto al merito, rileva l'infondatezza  dei  motivi  di  ricorso.
 Con memoria depositata il 14 giugno 1990 si e' costituito in giudizio
 il  dott.  Gaetano  Barchitta  per  eccepire anche lui l'infondatezza
 delle censure, istando per il rigetto del ricorso.
                             D I R I T T O
    1.  -  Prima   di   esaminare   le   questioni   di   legittimita'
 costituzionale  nascenti  dal  presente  ricorso,  il  collegio stima
 doveroso affrontare le altre questioni che  attengono  alla  regolare
 costituzione  del  rapporto  processuale,  nonche'  alla legittimita'
 dell'atto.
   2. - In via preliminare, per quanto riguarda il rito,  l'avvocatura
 dello  Stato ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse in capo
 al ricorrente, stante che, sospeso il provvedimento di collocamento a
 riposo per effetto dell'ordinanza di questo  tribunale  n.  490/1991,
 con  il  servizio medio tempore prestato, il Mazzone avrebbe maturato
 il  massimo  dell'anzianita'  prevista  per il collocamento a riposo.
 L'eccezione  non  puo'  essere  condivisa  per  la  ragione  che   la
 sopravvenuta  carenza  di  interesse  proverebbe non da un atto della
 pubblica amministrazione,  titolare  del  rapporto,  bensi',  da  una
 pronuncia cautelare del giudice amministrativo non idonea a sistemare
 in  via  definitiva,  con  l'autorita'  del  giudicato,  il  rapporto
 controverso.
    3. - Con il secondo dei motivi di ricorso, il ricorrente  denuncia
 errata  applicazione  della  legge regionale 20 dicembre 1975, n. 77,
 stante che e' erroneo ritenere la non computabilita' del servizio non
 di ruolo prestato prima del 31 dicembre 1954, quando, come  nel  caso
 in  esame,  detto servizio sia stato riconosciuto a tutti gli effetti
 di carriera ed economici.   La censura perde ogni  pregio  di  fronte
 alla legge 2 aprile 1968, n. 517, che interpretando autenticamente la
 legge  7 maggio 1965, n. 549 (recepita in Sicilia con legge regionale
 1975, n. 77), ha disposto che il requisito dell'ingresso in  carriera
 deve  inendersi  riferito  all'ingresso  in  carriera,  per  pubblico
 concorso, nei ruoli del personale sanitario,  sia  dello  Stato,  che
 degli enti locali.  La censura, pertanto, dev'essere disattesa.
    4.  -  Con  il  terzo motivo di ricorso si deduce l'illegittimita'
 dell'impugnato provvedimento sul rilievo che  ai  fini  dell'adozione
 dello  stesso  il  parere  dei  funzionari  esperti  che  senza  voto
 deliberativo partecipano alle sedute della commissione provinciale di
 controllo (che in prosieguo  verra'  chiamata  semplicemente  c.p.c.)
 deve  essere espressamente esplicitato nel testo della decisione.  Il
 collegio deve ricordare che con sentenza n. 1200,  del  29  settembre
 1987,  -  con  la  quale  si  manifestavano  forti perplessita' sulla
 legittimita'  costituzionale  delle   norme   legislative   regionali
 riguardanti  la  composizione  della  c.p.c.,  con la contraddittoria
 presenza di tre funzionari  esperti  aventi  voto  consultivo  in  un
 organo  collegiale  che  dovrebbe  avere  in  se'  la  capacita' e la
 professionalita' necessarie ad  esprimere  un  qualificato  e  valido
 giudizio  di  legittimita'  - esso ha ritenuto che la decisione della
 c.p.c., della quale fanno parte tre funzionari appartenenti al  ruolo
 amministrativo  del  personale  regionale aventi funzione consultiva,
 quando sia assunta in  conformita'  del  parere  espresso  da  questi
 ultimi,  non  deve  contenere  la  menzione  del loro voto, in quanto
 l'obbligo della menzione resta fermo nel caso di voto contrario, come
 resta fermo, in tale eventualita', l'obbligo di una piu'  diffusa  ed
 esauriente   motivazione  che  tenga  debito  conto  della  contraria
 posizione assunta  dalla  componente  di  consulenza;  pertanto,  nel
 silenzio  dell'atto  decisorio,  va ritenuto che la determinazione di
 annullamento sia stata adottata con  il  voto  favorevole  dei  detti
 funzionari.   Il collegio non ha motivo di discostarsi dalla predetta
 decisione, e pertanto anche questa censura non trova possibilita'  di
 accoglimento.
    5.  -  Appare  fondata  invece l'ultima censura che appunta le sue
 critiche  sulla  composizione  della   c.p.c.   -   organo   emanante
 dell'impugnato   provvedimento   -   la   cui   legittimita'  sarebbe
 compromessa dalla presenza del dimissionario avv. Renato  Ciccarelli,
 che  non  avrebbe  titolo  per  partecipare  alle sedute in quanto le
 dimissioni da lui rassegnate in vista delle  elezioni  regionali  del
 1986,  nelle  quali  figurava come candidato, sono divenute esecutive
 dopo la presa d'atto della c.p.c., ai sensi dell'art. 11  del  d.P.R.
 29  ottobre  1956,  n.  3.   Al riguardo, l'avvocatura dello Stato ha
 spiegato che con lettera del  10  settembre  1986  l'avv.  Ciccarelli
 revoco'  le dimissioni presentate in data 19 giugno 1985. Con nota n.
 1831/B.  30.3  del  1  marzo  1988  della  presidenza  della  regione
 siciliana  si  ritiene  che,  dopo il ritiro, le dimissioni dell'avv.
 Ciccarelli potessero essere considerate superate,  e  che  lo  stesso
 potesse  essere  reintegrato  nelle sue funzioni.   Tale posizione e'
 stata ribadita dal presidente della regione con successiva nota prot.
 n. 4182/B.20.3 del 15 giugno 1988.  Il collegio e'  del  parere  che,
 dopo  la  presa d'atto delle dimissioni da parte della stessa c.p.c.,
 la  suddetta  nota  presidenziale  non  bastasse  a  formalizzare  la
 reinvestitura  del componente dimissionario, essendosi da parte della
 pesidenza  della  regione  scivolato   sul   procedimento   stabilito
 dall'art.  30  dell'Orel  (ordinamento  regionale  degli enti locali)
 cosi' come novellato dalla legge regionale 21 febbraio 1976, n. 1, il
 quale stabilisce che la commissione e'  costituita  con  decreto  del
 presidente  della  regione  ed  e' composta, oltre che dal presidente
 designato   dalla   giunta   regionale,   da   nove   membri   eletti
 dall'assemblea  regionale,  con voto limitato a sei, tra gli iscritti
 nelle liste elettorali dei comuni che compongono il libero consorzio,
 in possesso di titoli accademici in materie giuridiche, economiche  o
 finanziarie.      Nella   fattispecie,   e'   stata   pretermessa  la
 deliberazione dell'assemblea regionale siciliana, e dunque  un  vizio
 di   violazione   di  legge  affligge  un  presupposto  (la  regolare
 costituzione  dell'organo  emanante)  del  provvedimento   impugnato.
 Percio',  la  pronuncia  del  giudice  amministrativo, avendo per sua
 natura anche  carattere  didattico  -  nel  senso  che  all'autorita'
 emanante  devono  essere  spiegate  le  mende  che  non devono essere
 ripetute  in  sede  di  eventuale  rinnovazione   del   provvedimento
 annullato  -  dovrebbe  essere  quella  di accogliere il ricorso e di
 annullare  conseguentemente,  per   violazione   di   legge,   l'atto
 impugnato,  rimettendo  ogni  ulteriore  determinazione all'autorita'
 emanante (art. 26 della legge  6  dicembre  1971,  n.  1034)  per  il
 rispetto,  in sede di eventuale rinnovazione, del giusto procedimento
 di cui all'art.  30  dell'ordinamento  regionale  degli  enti  locali
 siciliani.    Senonche',  tale  articolo  e' gravemente sospettato di
 illegittimita' costituzionale per due ordini di motivi:
       a) in primo luogo perche' attribuisce  all'assemblea  regionale
 siciliana,   che   e',   secondo   lo   statuto   siciliano,   organo
 esclusivamente legislativo,  funzioni  di  carattere  amministrativo,
 violando   in  tal  modo  l'art.  20  dello  statuto  che  conferisce
 esclusivamente al presidente ed agli assessori le funzioni  esecutive
 ed  amministrative  concernenti,  fra  l'altro,  le  materie  di  cui
 all'art. 15 dello statuto, che riguardano, appunto, l'ordinamento  ed
 il controllo degli enti locali;
       b)  secondariamente,  perche'  l'art.  30 dell'Orel, cosi' come
 modificato dall'art. 2 della legge regionale 21 febbraio 1976, n.  1,
 disciplina  la formazione dell'organo collegiale di controllo secondo
 modalita' che non assicurano per nulla ne' l'adempimento dei  compiti
 istituzionali    ne'    il    buon    andamento   e   l'imparzialita'
 dell'amministrazione.
    6. - La questione appare rilevante ai fini della  definizione  del
 presente   giudizio,   perche',   fermo  restando  l'attuale  assetto
 normativo   l'impugnato   provvedimento   dovrebbe   essere   espunto
 dall'ordinamento  giuridico  e poi purgato - in sede di rinnovazione,
 nella fattispecie necessaria - delle mende che l'affliggono.
    Tutto  cio',  pero',  sulla  base di una norma di legge fortemente
 sospetta sul piano della legittimita' costituzionale,  sia  sotto  il
 profilo  formale che sotto quello sostanziale, sospetto che, se fosse
 condiviso dalla Corte costituzionale, dovrebbe invece  condurre,  ove
 il    vizio    riguardasse   soltanto   il   profilo   formale,   non
 nell'accoglimento, bensi' al rigetto del ricorso.
    La questione appare poi fondata alla stregua delle  considerazioni
 che seguono.
    6.1. - Sotto il profilo formale, va osservato che lo statuto della
 regione  siciliana  provvede  alla  ripartizione  delle  attribuzioni
 istituzionali tra assemblea e Governo  sulla  base  dei  tradizionali
 principi   che   informano  il  tipo  di  governo  liberale  su  base
 parlamentare,  mediante  l'attribuzione  alla  prima  della  funzione
 normativa   (legislativa   e  regolamentare),  nonche'  di  controllo
 (politico)  sull'attivita'  esecutiva  (artt.  dal  3  al  19   dello
 statuto),  mentre  al  secondo  -  formato  dal  presidente  e  dagli
 assessori regionali - sono riservate le  funzioni  amministrative  ed
 esecutive, concernenti le materie di cui agli artt. 14, 15, 17.
    Lo  statuto  regionale  siciliano ha al riguardo una sua peculiare
 specificita', che, grazie all'art. 116 della Costituzione,  lo  rende
 diverso  dalle  altre  regioni  a  statuto normale, all'interno delle
 quali  anche  i  consigli  regionali  sono  chiamati  a   partecipare
 all'esercizio  delle  funzioni amministrative (art. 6 statuto regione
 Lazio approvato con legge 22 maggio 1971,  n.  346;  art.  6  statuto
 regione  Molise  approvato  con legge 22 maggio 1971, n. 345; art. 20
 statuto regione Campania approvato con legge 22 maggio 1971, n. 348 e
 cosi' via).
    Nello statuto siciliano manca in particolare una norma che - come,
 ad esempio, nella regione Lazio - attribuisca all'assemblea la nomina
 di commissioni e membri di commissioni nel  caso  di  nomina  rimessa
 genericamente  alla regione.  La nomina dei componenti dell'organo di
 controllo   costituisce   ad   evidenza   esercizio    di    funzioni
 amministrative.    A  giudizio di questa sezione, pertanto, l'art. 30
 della legge regionale 15 marzo 1963, n. 16, cosi' come sostituito con
 l'art. 2 della legge reg. 21 febbraio 1976, n. 1, appare in contrasto
 con  l'art.  20  dello  statuto  siciliano,   approvato   con   legge
 costituzionale  26 febbraio 1948, n. 2, che in materia di ordinamento
 e controllo degli enti locali affida esclusivamente al presidente  ed
 agli assessori regionali le funzioni esecutive ed amministrative.  La
 ripartizione delle competenze risponde ad esigenze primarie di ordine
 pubblico  e  pertanto  assume il carattere della inderogabilita'.  Le
 superiori argomentazioni trovano valido sostegno nella sentenza della
 Corte costituzionale n. 66/1964, secondo  cui  l'assemblea  regionale
 siciliana  non  puo'  essere  configurata come organo amministrativo,
 giacche' le sue attribuzioni, come delineate nello statuto, sono leg-
 islative (art. 14, 19) o  politiche  (art.  9,  primo  comma,  e  20,
 secondo  comma),  e  mai amministrative, al punto che anche il potere
 regolamentare di esecuzione  delle  leggi  e'  demandato  al  governo
 regionale.
    6.2.  - Sotto il profilo sostanziale, la norma in argomento appare
 in contrasto sia con l'art. 130 della Costituzione, che  definisce  i
 compiti  degli  organi di controllo sugli enti locali, sia con l'art.
 97 della Costituzione, il quale fa obbligo di organizzare i  pubblici
 uffici   in   modo   che   siano   assicurati  il  buon  andamento  e
 l'imparzialita' dell'amministrazione.
    6.3. - La norma  sospetta  prevede,  come  si  e'  visto,  che  la
 commissione  si  compone,  oltre  che del presidente, designato dalla
 giunta regionale, di nove membri eletti dall'assemblea regionale, con
 voto limitato a sei, tra gli  iscritti  nelle  liste  elettorali  dei
 comuni  che  compongono  il  libero  consorzio  (cioe',  la provincia
 regionale) in possesso di titoli accademici  in  materie  giuridiche,
 economiche  o  finanziarie.   Il quarto comma dell'art. 30 stabilisce
 che alle sedute della commissione  partecipano,  altresi',  con  voto
 consultivo,  tre  dirigenti  del  ruolo  amministrativo del personale
 dell'Amministrazione regionale, in possesso di diploma di  laurea  in
 materie  giudiche,  economiche o finanziarie e con almeno cinque anni
 di servizio nella qualifica.   L'anomalia  di  tale  composizione  e'
 stata rilevata, come si e' visto, da questo tribunale con sentenza n.
 1200  del  29  settembre  1987, nella quale si avvertiva la stranezza
 della presenza di  una  componente  tecnica  con  funzioni  meramente
 consultive,  nel  seno  di un organo collegiale chiamato ad assolvere
 funzioni delicatissime nell'ambito  dell'ordinamento  amministrativo,
 organo  che  di  per  se',  senza  l'aiuto  di  consultori,  dovrebbe
 garantire  alla  generalita'  dei  cittadini  un  alto   livello   di
 professionalita' tecnica.
    Con  la  disposizione  contenuta nell'art. 30 Orel, il legislatore
 regionale,  come  piu'  avanti  sara'  precisato,  ha  impresso   una
 connotazione  politica alle commissioni provinciali di controllo, con
 l'enfatizzazione del  carattere  eminentemente  politico  delle  loro
 funzioni, a scapito dei compiti istituzionali dell'organo collegiale,
 la    cui   natura   giuridica   e',   invece,   quella   di   organo
 dell'amministrazione  regionale,  dotato  di  particolare   autonomia
 strutturale  e  funzionale  (c.g.a., 24 aprile 1959, 207) avente come
 fine istituzionale,  nelle  materie  di  sua  competenza,  la  tutela
 dell'ordinamento  giuridico generale.  Un breve excursus puo' servire
 a fornire l'interpretazione in chiave storica delle vicende che hanno
 accompagnato    l'attuale    assetto     normativo     dell'istituto.
 Originariamente,  in  base  al  d.p.l.  29  ottobre  1955,  n. 6, poi
 approvato recettiziamente con legge regionale 15 marzo 1963,  n.  16,
 la  c.p.c.  era costituita con decreto del presidente della regione e
 composta:
       a) di un  presidente  designato  dall'assessore  per  gli  enti
 locali;
       b)  di  otto  membri,  di cui cinque effettivi e tre supplenti,
 eletti dal consiglio del libero  consorzio  gra  gli  iscritti  nelle
 liste  elettorali  dei comuni che lo compongono in possesso di titoli
 accademici o che avessero esercitato  le  funzioni  di  senatore,  di
 deputato  al  Parlamento nazionale o all'assemblea regionale o quelle
 di consigliere del libero consorzio o di consigliere comunale;
       c) di cinque funzionari di cui 3 effettivi e  2  supplenti,  di
 grado  non inferiore al VII, di cui tre della carriera amministrativa
 e due della carriera di ragioneria  dell'amministrazione  degli  enti
 locali.
    Per  la  elezione dei cinque membri di cui alla lettera b) ciascun
 consigliere  del  libero  consorzio  doveva  votare  per  tre  membri
 effettivi  e  2  supplenti,  in modo da garantire la presenza in seno
 alla  commissione  di  rappresentanti  sia  di  maggioranza  che   di
 minoranza.      Nella   studiata   dosatura   dell'organo  collegiale
 l'efficienza operativa restava in gran parte affidata alla componente
 tecnica, che  avrebbe  dovuto  costituire  fattore  di  equilibrio  e
 termine  di  aggregazione  del  consenso  e  del dissenso in ordine a
 ciascun affare da trattare.
    La  nuova  legge  del  21  febbraio   1976   ha   stravolto   tale
 impostazione.  Infatti  nella relazione governativa che accompagna il
 disegno di legge n. 781, presentato dal presidente della regione il 3
 dicembre 1975, contenente nuove  norme  per  l'amministrazione  della
 regione  e  per  gli  enti  locali ed ospedalieri siciliani, si legge
 testualmente:
      "gli artt. 3 -  5  dettano  una  nuova  disciplina  in  tema  di
 composizione  e  di  funzionamento  delle  commissioni provinciali di
 controllo, sostituendo organicamente le  corrispondenti  disposizioni
 dell'ordinamento  amministrativo  degli  enti locali approvato con la
 legge regionale 15 marzo 1963, n. 16.
    Cosi' l'art. 3 prevede che la commissione provinciale di controllo
 e' costituita da un presidente designato dalla  giunta  regionale  su
 proposta  dell'assessore  regionale  per  gli  enti locali, e da otto
 membri eletti dall'assemblea regionale.  Per  ciascuna  categoria  di
 componenti  e'  formulata una previsione piu' peculiare dei requisiti
 soggettivi, mentre e' affidata a  meccanismi  interni  dell'assemblea
 (regolamento interno) la garanzia dei diritti delle minoranze in sede
 di elezione dei membri di competenza della medesima.
    "E'  prevista,  altresi',  la  partecipazione  alle  sedute  della
 commissione di dipendenti dell'amministrazione regionale, in servizio
 presso gli uffici dell'organo di controllo, in possesso di  specifici
 titoli  di  studio,  correlati  all'attivita'  che  gli  stessi  sono
 chiamati a svolgere. La previsione  dell'attribuzione  ai  dipendenti
 partecipanti  alla  commissione di un voto consultivo che non incide,
 pertanto, sull'adozione della deliberazione, in una con la previsione
 del normale avvicendamento del personale in servizio presso  ciascuna
 commissione,  quale  risulta  dall'art.  21,  sono,  poi,  rivolte  a
 sottolineare la prevalenza, sull'aspetto piu' propriamente giuridico,
 del momento politico dell'attivita' di controllo".
   Cosi' dunque il legislatore regionale afferma,  o  meglio  proclama
 apertis  verbis  che  non  l'imparzialita', ma il momento politico, e
 quindi  la  discrezionalita',  deve  costituire  il   parametro   per
 l'esercizio   dell'attivita'   di  controllo  ed  in  tale  direzione
 struttura l'organo di controllo, chiamando a farne parte solo persone
 di estrazione  politica,  con  cio'  ponendosi  con  ostentazione  in
 posizione  di  netta  antitesi  con  il  pacifico  insegnamento della
 dottrina e della giusisprudenza.  Afferma, infatti, il  Consiglio  di
 Stato  (4a,  16 febbraio 1987, n.  92; 5a, 7 aprile 1989, n. 197) che
 il provvedimento emesso dall'organo di controllo in sede di controllo
 di legittimita' e' espressione non di  un  potere  discrezionale  che
 debba  essere sorretto da una motivazione idonea a render conto delle
 ragioni della scelta, bensi' di un giudizio vincolato conseguente  al
 raffronto  fra  l'atto  ed  i  principi  giuridici  o  le  previsioni
 normative.
    Ora, proprio in questo aperto conflitto fra l'essere ed il  dovere
 essere,  alla  stregua  delle  intenzioni rese manifeste dallo stesso
 legislatore, sta la ragione profonda  dell'incostituzionalita'  della
 norma di cui all'art. 30 dell'Orel.
    Non  appare,  infatti,  dubbia al collegio la violazione dell'art.
 130 della  Costituzione,  che  assegna  agli  organi  della  regione,
 chiamati  a  svolgere  funzioni  di  controllo  sugli enti locali, di
 esercitare su di essi non un controllo politico, bensi' un  controllo
 di  legittimita'  e  di  merito,  secondo  i  parametri pacificamente
 definiti dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
    6.4. - Per quanto riguarda il  contrasto  con  l'art.  97,  stante
 l'analogia  tra  le  due materie trattate, il collegio remittente non
 puo' che richiamare le medesime osservazioni che, a  proposito  della
 composizione  delle  commissioni giudicatrici dei pubblici concorsi e
 della qualificazione tecnica dei suoi componenti, furono sollevate da
 questo tribunale con l'ordinanza di rimessione n. 102/89, sulla quale
 la Corte costituzionale ha pronunziato con la sentenza del 15 ottobre
 1990, n. 453.  Anche nei confronti di tutti nove i  componenti  delle
 commissioni provinciali di controllo la sola qualificazione richiesta
 e'  il  titolo accademico nelle materie giuridiche ed economiche, che
 appare,  pero',  del  tutto  insufficiente  rispetto   al   contenuto
 altamente  tecnico  della  funzione  di  controllo.   Il controllo di
 legittimita' si  estrinseca,  infatti,  in  un  giudizio  tecnico  di
 conformita'  dell'atto  controllato  alle  previsioni  normative  che
 disciplinano la materia. E' un giudizio che procede  per  sillogismi,
 che  si  estrinseca  in un atto, avente natura paragiurisdizionale, e
 che proprio per questo richiede  in  capo  ai  soggetti  chiamati  ad
 esercitare   la   funzione  relativa  una  puntuale  specializzazione
 tecnica, rispetto alla quale il titolo accademico non e' che il punto
 di  partenza.    La  specializzazione  tecnica  e'   anche   garanzia
 d'imparzialita'.     Cio'  perche'  l'imparzialita',  come  posizione
 soggettiva d'indifferenza nei confronti degli interessi in  giuoco  e
 quindi  come  capacita'  di  dare  in ogni singola fattispecie giusta
 applicazione alla norma astratta che la governa, puo' essere  assunta
 ed utilizzata come valore di giudizio soltanto da chi abbia il sapere
 ed  un  corredo  di  esperienze  giuridico-amministrative  da porre a
 fondamento della sua determinazione volitiva.
    Il controllore inesperto, sprovvisto di  strumenti  conoscitivi  e
 che  non  ha  parametri  di  riferimento,  non puo' avere il concetto
 d'imparzialita', perche' non e' in grado di  stabilire  dove  sta  il
 lecito  e  dove  l'illecito, dove il torto e dove la ragione.  Ora e'
 stato insegnato che il principio di  imparzialita'  esige  che  nella
 formazione  delle  commissioni,  che  emanano  atti  di  giudizio, il
 carattere  esclusivamente  tecnico  del  giudizio   debba   risultare
 salvaguardato da ogni rischio di deviazioni verso interessi di parte,
 o  comunque  diversi  da  quelli  propri della funzione esercitata, e
 quindi, ad avviso della sezione, tale esigenza  postula,  per  quanto
 attiene  alla  fattispecie,  che,  ai  fini  della composizione della
 commissione  nella  sua  interezza,  criteri  esclusivamente  tecnici
 debbano   presiedere   alla   selezione  delle  persone  piu'  idonee
 all'esercizio  della  importante  funzione  pubblica  (inerente  alla
 vigilanza sulla attivita' degli enti locali) e cio' indipendentemente
 da  qualsiasi  valutazione dei loro orientamenti politici, in modo da
 ottenere che  nella  sua  totalita'  la  commissione  medesima  operi
 secondo  criteri  di  imparzialita'  e  per  la  tutela  del  diritto
 obiettivo.  Con il conseguimento di un maggiore grado di efficienza a
 livello di controllo, automaticamente  si  realizzano  le  condizioni
 necessarie  e  sufficienti per recuperare, nell'interesse del paese e
 della finanza pubblica in particolare, sistemi di  buona  e  corretta
 amministrazione nella gestione degli enti locali territoriali.
    6.5.  -  Alcune considerazioni d'ordine comparativo servono a dare
 maggiore spessore alle argomentazioni fin qui svolte:
       a) sulla  massima  parte  degli  atti  amministrativi  adottati
 dall'amministrazione  dello  Stato,  e  specificamente  su quelli che
 importano un onere per il  bilancio  dello  Stato,  il  controllo  e'
 esercitato  dalla Corte dei conti, che e' organo neutrale, formato da
 personale di magistratura; essendo rivolto unicamente a garantire  la
 legalita'  degli  atti,  esso  controllo  e' preordinato a tutela del
 diritto oggettivo.
    Attraverso numerose leggi di decentramento dei servizi  statali  -
 fra  cui,  ultimo,  il  d.P.R.  24  luglio 1977, n. 616 - molte delle
 funzioni statali sono state trasferite agli enti locali.
    Cio' posto, non si vede una  ragione  logica  perche'  l'attivita'
 amministrativa   dello   Stato   e  quella  degli  enti  locali,  pur
 utilizzando risorse provenienti  dallo  stesso  contribuente,  e  pur
 essendo  dalla  Costituzione  (art.  100  e  art.  130) sottoposti al
 medesimo tipo di vigilanza - anzi piu' penetrante quella  sugli  enti
 locali,  che  comprende anche il controllo di merito - debbano essere
 assoggettati di fatto a due differenti regimi di controllo: il  primo
 rigoroso,  puntuale,  esercitato  da magistrati di carriera dotati di
 alta  professionalita';  blando  il  secondo,  quasi  impercettibile,
 esercitato   da   soggetti   che   non  offrono  alcuna  garanzia  di
 affidabilita'.   Si  tratta  per  le  amministrazioni  locali  di  un
 privilegio   antistorico,   improntato   a  deleterio  permissivismo,
 incompatibile con  l'allarmante  situazione  dell'ordine  pubblico  e
 pernicioso   per   l'andamento   gia'  rovinoso  dei  conti  pubblici
 nazionali;
       b) ancora sul piano comparativo, il collegio deve ricordare che
 in base agli artt. 41, 42 e 43 della legge 8  giugno  1990,  n.  142,
 nelle  regioni  a statuto normale, il comitato regionale di controllo
 ed ogni sua eventuale sezione territoriale sono formati  con  decreto
 del  presidente  della  giunta  regionale  e  sono composti di cinque
 "esperti",  eletti  dal  consiglio  regionale,  scelti  fra   persone
 altamente  qualificate  per la loro estrazione professionale; per tre
 di essi la scelta ha  luogo  addirittura  per  desingazione  esterna.
 Anche per questo raffronto, non si vede alcuna specifica peculiarita'
 insulare  che possa giustificare il diverso indirizzo del legislatore
 regionale siciliano.
    7. - Il collegio non vuole esimersi dall'obbligo di prospettare in
 questa sede che con legge regionale approvata il 16 aprile  1991,  ma
 non   ancora  pubblicata  -  pendendo  su  di  essa  un  giudizio  di
 legittimita' costituzionale su ricorso del  Commissario  dello  Stato
 (in  Gazzetta  Ufficiale  del  22 maggio 1991) - sono state approvate
 nuove norme per il controllo sugli atti dei comuni, delle province  e
 degli  altri  enti  locali  della  regione  siciliana.   In base alle
 predette norme, i comitati di controllo - sezione centrale e  sezioni
 provinciali - sono formati da dieci componenti.  Il presidente, viene
 designato   dalla   giunta   regionale   ed  e'  scelto  fra  docenti
 universitari in materie giuridiche, magistrati  a  riposo,  direttori
 regionali  o  equiparati a riposo, avvocati iscritti da almeno cinque
 anni all'albo dei patrocinanti in cassazione.   Gli altri  nove  sono
 eletti  dall'assemblea  regionale, con voto limitato ad uno, e scelti
 fra:
       a)  iscritti  nell'ordine  degli   avvocati   e   dei   dottori
 commercialisti;
       b)  dipendenti  statali  o  regionali, anche in quiescenza, con
 qualifica dirigenziale;
       c) magistrati o avvocati dello Stato in quiescenza;
       d) professori universitari di ruolo in  materie  giuridiche  ed
 amministrative.
    Anche  nei  confronti della nuova normativa - peraltro non entrata
 ancora  in  vigore   -   sopravvivono   le   superiori   ragioni   di
 incostituzionalita',in quanto:
       A)  nove  membri  su  dieci  sono eletti dall'Ars, che, come e'
 stato gia' detto, non ha, secondo statuto,  l'esercizio  di  funzioni
 amministrative;
       B)  la  composizione pletorica della commissione (il numero dei
 componenti, il doppio di quanto  previsto  nelle  regioni  a  statuto
 normale,  e'  stabilito  in termini strumentali rispetto alla pratica
 lottizzatoria, e non per la formazione di un concerto  di  competenze
 diversificate) e soprattutto il sistema di elezione (voto limitato ad
 uno)  rendono  evidente  -  come  provano  i lavori parlamentari - il
 permanere di una caratterizzazione politica tralatizia dell'organo di
 controllo,  dal  quale  peraltro,  significativamente,   sono   stati
 estromessi  i  funzionari  di carriera professionalmente qualificati,
 che prima svolgevano funzioni di consulenza;
       C) non vi e' alcuna garanzia in ordine alla competenza tecnica,
 in quanto non esiste in concreto un criterio di caratura che serva  a
 diversificare  le  esperienze  professionali  dei  singoli componenti
 (come avviene, invece nelle regioni  a  statuto  normale).    Infatti
 secondo  il  sistema  prescelto  neppure  un esperto - ne' in diritto
 amministrativo, ne' in contabilita' pubblica, ne'  in  organizzazione
 dei  servizi  sanitari  -  potrebbe  entrate  a far parte dell'organo
 collegiale, e peraltro e' da escludere che la  qualifica  di  esperto
 possa   derivare,   senza   ulteriore  specificazione  di  esperienze
 acquisite in campo amministrativo, dalla semplice iscrizione all'albo
 degli avvocati.
    In definitiva, appare chiaro che anche  in  ordine  alla  nuova  e
 peggiorata composizione prevista dall'art. 2 della legge regionale 16
 aprile 1991, non ancora pubblicata, risulta evidente il contrasto con
 l'art.  20  dello  statuto  siciliano, e con gli artt. 97 e 130 della
 Costituzione.
    8. - Premesse le superiori considerazioni;
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge  11  marzo
 1953, n. 87;
    Ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione
 di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   30  dell'ordinamento
 amministrativo  degli  enti  locali  siciliani  approvato  con  legge
 regionale  15  marzo  1963,  n. 16, cosi' come sostituito dall'art. 2
 della legge regionale 21 febbraio 1976, n. 1, in  relazione  all'art.
 20,  primo  comma  dello  statuto  regionale siciliano, approvato con
 legge 26 febbraio 1948, n. 2, nonche' in  relazione  agli  artt.  97,
 primo e terzo comma, e 130 della Costituzione;