Ricorso per la regione Umbria, in persona del presidente in carica pro-tempore rappresentata e difesa per procura apposta a margine del presente atto dagli avvocati Alberto Predieri e Maurizio Pedetta ed elettivamente domiciliata nello studio del primo in Roma, via G. Carducci, 4, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle disposizioni dell'art. 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, contenente "Norme per l'edilizia residenziale pubblica" per violazione degli artt. 115, 117, 118, 128 e 3 della Costituzione. F A T T O La legge 17 febbraio 1992, n. 179, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 90 del 29 febbraio 1992 e contenente "Norme per l'edilizia residenziale pubblica", da valere "fino all'entrata in vigore della norma di disciplina dell'intervento pubblico nel settore dell'edilizia residenziale" (art. 1), ha introdotto e minutamente disciplinato, all'art. 16, nuovi strumenti operativi in materia urbanistica denominati "programmi integrati di intervento". Detti programmi, la cui formazione e' promossa dai comuni "al fine di riqualificare il tessuto urbanistico edilizio e ambientale", sono approvati dal consiglio comunale con gli effetti di cui all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (terzo comma) e sono caratterizzati "dalla presenza di una pluralita' di funzioni, dalla integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di piu' operatori e risorse finanziarie, pubblici e privati" (primo comma); proposte di programmi di integrati possono essere presentate anche da soggetti pubblici e privati, singolarmente o riuniti in consorzio, relativamente "a zone in tutto o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana e ambientale" (secondo comma); ove, poi, il programma sia in contrasto con gli strumenti urbanistici, e' prevista la presentazione di osservazioni da parte di associazioni, di cittadini o di enti, da inviare al comune entro quindici giorni dall'esposizione nell'albo e dalla pubblicazione sul giornale locale. Programma e osservazioni sono poi trasmessi alla regione entro dieci giorni. Nei centocinquanta giorni successivi la regione provvede ad approvare il programma o a richiedere modifiche. In mancanza di qualsiasi provvedimento regionale nel detto termine il programma si intende approvato (quarto comma). Si precisa, infine, che i programmi integrati possono riguardare anche le zone di cui all'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, in Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1968, n. 97 (quinto comma) e che la loro realizzazione non e' subordinata all'inclusione nei programmi pluriennali di attuazione di cui all'art. 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (sesto comma). La parte riservata alle regioni in tutto questo e' assolutamente marginale, per non dire insignificante: per esse, invero, si prevede soltanto la facolta' di destinare parte delle somme loro attribuite dalla legge alla formazione dei programmi integrati (ottavo comma) e l'obbligo di concedere i finanziamenti inerenti il settore dell'edilizia residenziale con priorita' a quei comuni che provvedano in tal senso (settimo comma). La normativa contenuta nell'art. 16 della legge n. 179 del 17 febbraio 1992 invade chiaramente ambiti materiali riservati alla potesta' legislativa delle regioni. Piu' precisamente essa si pone in contrasto con gli artt. 117 e 118 oltre che con gli artt. 115, 128 e 3 (sotto il profilo dell'irragionevolezza) della Costituzione e deve quindi essere dichiarata costituzionalmente illegittima per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - La normazione sui programmi, che dalla collocazione come capo di una legge per l'edilizia residenziale pubblica sembra riferirsi a tali attivita', a ben vedere investe l'intero campo dell'urbanistica mentre riguarda soltanto di striscio l'edilizia pubblica, pur se questo e solo questo e' il campo della legge cosi' come e' determinato dal titolo (che si noti e' stato mutato a seguito di votazione proprio per delimitare e circoscrivere l'area) per dire che le regioni possono utilizzare una parte delle somme loro assegnate anche per formare i predetti programmi. Questi, peraltro, non vengono redatti dalla regione se non in via eventuale considerando questa come soggetto pubblico che puo' presentare al comune una proposta di programma. A parte questa ed altre confusioni, sta di fatto che la norma appare un corpo estraneo ed intruso nel capo della legge; il che e' rilevante per due particolari profili che vengono sottoposti al giudizio della Corte ecc.ma: la sua irragionevolezza (e quindi la violazione dell'art. 3 secondo l'insegnamento ormai costante) e la violazione di un ordine di competenze garantito anche alla regione dall'art. 128 della Costituzione, che viene perpetrata travestendo la norma. Invero, fingere che non si parli di urbanistica e' testimonianza del fatto che il legislatore sa che la materia di cui parliamo e' regolata dalla legge sulle autonomie locali con norme il cui significato e' stato chiarito dalla sentenza n. 343/1991 e della cui violazione parleremo nei successivi punti 5 e 7. 2. - I programmi integrati di intervento previsti dall'art. 16 della legge n. 179/1992 appaiono conformati come strumenti di natura ibrida, riscontrandosi in essi i caratteri del programma di attuazione di strumenti urbanistici (primo e secondo comma), del progetto edilizio (terzo comma), e del vero e proprio strumento urbanistico in quanto suscettibili, in sostanza, di introdurre varianti alla pianificazione urbanistica esistente (quarto comma). Come si e' visto, la legge disciplina assai minuziosamente tali programmi stabilendone non solo l'oggetto e la finalita', i soggetti promotori e l'efficacia, ma definendo, altresi', in tutti i particolari, il procedimento di formazione, nel quale e' indicata la posizione reciproca del comune e della regione, sono stabiliti i termini e le modalita' di formazione e approvazione, fino alla previsione del silenzio-assenso da parte della regione ove quest'ultima non adotti alcun provvedimento entro centocinquanta giorni dalla trasmissione del programma. Appare subito evidente come nel prevedere e disciplinare i programmi in questione il legislatore nazionale non si sia minimamente preoccupato non si dice di salvaguardare, ma, quanto meno, di tenere in qualche conto la posizione costituzionale e la potesta' legislativa delle regioni. Secondo la linea ormai prevalente anche in Parlamento le regioni vengono considerate come semplici erogatori di finanziamenti, con facolta' di destinare parte delle somme ad essere attribuite alla formazione dei programmi integrati di intervento e con l'obbligo di assegnare i finanziamenti per l'edilizia residenziale prioritariamente ai comuni che gia' si siano dotati di tali programmi. 3. - In realta' la previsione dei programmi integrati di intervento e le disposizioni dettate dall'art. 16 della legge n. 179/1992 vengono ad incidere pesantemente e illegittimamente sulla potesta' legislativa regionale, innanzitutto con particolare riguardo alla materia dell'urbanistica. Tra quelle elencate nell'art. 117, come e' stato autorevolmente osservato, l'urbanistica costituisce una materia chiave la cui attribuzione alle regioni ne caratterizza peculiarmente la posizione e la funzione istituzionale, costituzionalmente garantita, di enti di governo del territorio sul piano normativo (legislativo) e programmatorio. Pur inizialmente intesa - anche da questa ecc.ma Corte - nel senso ristretto e tradizionale, come limitata cioe' all'"assetto e all'incremento edilizio dei centri abitati" (sentenza n. 141/1972) l'urbanistica, come materia di competenza regionale, ha sempre ricompreso, sin dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, di trasferimento delle relative funzioni alle regioni, tutti gli strumenti (dai piani regolatori generali ai piani particolareggiati, ai programmi di fabbricazione, ai piani intercomunali, ai piani territoriali di coordinamento, ai piani per l'edilizia economica e popolare e cosi' via) variamente denominati e disciplinati di pianificazione e tutti i programmi volti a darvi attuazione (cosi' ad esempio per i programmi pluriennali di attuazione previsti dall'art. 13 della legge n. 10/1977, di cui la regione disciplina con legge il contenuto e il procedimento di formazione esercitando altresi' il potere sostitutivo nei confronti dei comuni inadempienti). La concezione comunque riduttiva dell'urbanistica, quale materia di competenza regionale, inista nel d.P.R. n. 8/1972 e' stata, poi, superata con d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che l'ha identificata senz'altro con la "disciplina dell'uso del territorio" e vi ha conseguentemente ricompreso (art. 80) "tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonche' la protezione dell'ambiente", riservando allo Stato (art. 81) oltre l'"identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale", soltanto alcune ben individuate funzioni (quale ad esempio la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle zone dichiarate sismiche) per lo piu' da esercitarsi d'intesa con le regioni interessate (cosi' per l'accertamento di conformita' con gli strumenti urbanistici delle opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale e per la localizzazione e le scelte di tracciato, se difformi dalle prescrizioni dei piani urbanistici, delle opere pubbliche di interesse statale). A seguito, dunque, del d.P.R. n. 616/1977 non puo' esservi piu' alcun dubbio che l'urbanistica, come materia di competenza regionale, debba essere intesa nel suo significato integrale comprendendo "tutto cio' che concerne l'uso dell'intero territorio (e non solo degli aggregati urbani) ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture" (Corte costituzionale, sentenza n. 239/1982). Conseguentemente le regioni sono intervenute in materia urbanistica con una legislazione imponente innovando la legislazione statale esistente, introducendo notevoli elementi di riforma. Non a caso la Corte nella sentenza n. 343/1991 ha di nuovo confermato decisamente che "poiche' la materia urbanistica appartiene alle regioni, a norma dell'art. 117 della Costituzione, sono esse a dover stabilire le procedure e le linee fondamentali della programmazione attinente a tale materia". Per contro lo Stato deve limitarsi a emanare soltanto norme di principio che abbiano riferimento all'assetto del territorio nazionale e che, quantomeno, siano sorrette da un effettivo interesse nazionale. Con le norme delle quali si chiede che l'ecc.ma Corte adita dichiari l'illegittimita' costituzionale, lo Stato, invece, non e' affatto intervenuto in via di principio (la legge che le contiene e' destinata a valere fino ad un futuro intervento organico in materia di edilizia residenziale pubblica) a delimitare e a indirizzare le scelte del legislatore regionale; non ha lasciato alla regione la previsione della programmazione, come esige la Corte, ma ha regolato un procedimento nel modo piu' minuzioso (il che non esclude i vizi logici di cui parleremo al sub 6), e in definitiva ha operato al posto di quest'ultimo prevedendo strumenti e disciplinando soluzioni funzionali e procedurali che a questo ultimo sarebbe spettato disciplinare a norma della Costituzione. Per di piu' cio' ha fatto con una legge che e' espressamente destinata a valere in via transitoria fino a un futuro intervento organico in materia di edilizia residenziale pubblica laddove, ontologicamente, una legislazione transitoria e disorganica non puo' contenere norme di principio perche' essa stessa lo nega. 4. - Cosi' facendo la legge n. 179/1992 ha invaso l'area riservata alla regione per quanto riguarda la disciplina dei procedimenti di formazione dello strumento urbanistico nella fase della formazione dell'adozione (comunale) cosi' come nella fase dell'approvazione che le e' riservata a meno che la regione non esprima una diversa volonta' sulla configurazione del provvedimento. Si impone, oltretutto, qui un meccanismo di silenzio-accoglimento che e' incongruo quando vi siano problemi complessi da valutare, tanto da riconoscere come necessario un intervento attivo. Ma la confusione della disposizione e' tale che non e' dato neppure di comprendere la volonta' del legislatore, con una serie di violazioni, di cui si dira' piu' precisamente al successivo paragrafo 8. 5. - La lesione arrecata all'autonomia e alla potesta' legislativa regionale dalle disposizioni contenute nell'art. 16 della legge n. 179/1992 si constata, altresi', anche se si fa riferimento alle competenze riconosciute alle regioni nel limitato settore dell'edilizia residenziale pubblica cui e' specificamente dedicata la legge in questione. Pur non espressamente indicata come materia a se stante nell'elenco dell'art. 117 della Costituzione (ma prevista da taluni statuti regionali speciali con diverse denominazioni, "edilizia sovvenzionata", "case popolari", ecc., cosi' ad esempio art. 11, n. 11, dello statuto del Trentino-Alto Adige, art. 5, n. 18 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia), dopo iniziali incertezze (dovute anche al mancato trasferimento alle regioni, ad opera del d.P.R. n. 8/1972, delle sezioni e dei servizi per l'edilizia popolare dei provveditorati per le opere pubbliche) l'edilizia residenziale pubblica, in quanto "materia essenzialmente composita" e' stata ritenuta da questa stessa ecc.ma Corte costituzionale (sentenza n. 221/1975) senz'altro riconducibile per un verso alla materia dell'"urbanistica" e, per un altro, a quella dei "lavori pubblici d'interesse regionale", "comprese nell'elenco dell'art. 117 senza riserve o ulteriori distinzioni nel loro interno e senza, percio', che sia lecito postulare l'esclusione di quel che piu' particolarmente concerne l'edilizia residenziale pubblica nella sua accezione piu' ampia", pur "entro il limite ( ..) della dimensione regionale degli interessi al cui soddisfacimento le relative attivita' sono rivolte". Conseguentemente, col d.P.R. n. 616/1977, e' stato operato il pressoche' totale trasferimento alle regioni delle funzioni inerenti il settore, fra l'altro attribuendo alle stesse, per quel che qui piu' direttamente rileva, tutte le funzioni "concernenti la programmazione regionale, la localizzazione, le attivita' di costruzione e la gestione di interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica, di edilizia sovvenzionata, di edilizia agevolata, di edilizia sociale, nonche' le funzioni connesse alle relative pro- cedure di finanziamento" (art. 93, primo comma). La sfera della competenza regionale in materia e' stata poi ulteriormente arricchita dalla successiva legge 5 agosto 1978, n. 457, con l'art. 4 in base al quale spetta, fra l'altro, alle regioni individuare il fabbisogno abitativo nel territorio regionale (lett. a); formare programmi quadriennali e progetti biennali di intervento per l'utilizzazione delle risorse finanziarie disponibili (lett. b); ripartire e coordinare gli interventi per ambiti territoriali (lett. c); formare e gestire l'anagrafe degli assegnatari (lett. f); disporre la concessione dei contributi pubblici (lett. l); esercitare il controllo sui soggetti incaricati della realizzazione dei programmi (lett. m). Deve, dunque, ritenersi venuta meno ogni competenza statale in materia di realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica mentre, come ha riconosciuto ancora l'ecc.ma Corte costituzionale (sentenza n. 727/1988), "al di fuori della formulazione dei criteri generali da osservare nelle assegnazioni, e' attribuita alle regioni la piu' ampia potesta' legislativa sulla materia". Non vi e' chi non veda come non possa in alcun modo conciliarsi con quest'ampia potesta' legislativa, che si pone come parte dell'ancor piu' ampia potesta' legislativa regionale in materia di urbanistica e in materia di lavori pubblici di interesse regionale, la previsione, da parte dell'art. 16 della legge n. 179/1992, dei "programmi integrati di intervento", riducendosi le funzioni della regione a compiti di mero finanziamento e, al piu', di esame amministrativo, nel quadro di una procedura programmatoria interamente regolata dalla legge dello Stato. Anche per l'aspetto ora considerato si evidenzia, dunque, l'illegittimita'costituzionale delle norme impugnate per violazione degli articoli della Costituzione piu' volte indicati laddove il legislatore nazionale dettando disposizioni di estremo dettaglio in una materia attribuita alla competenza e alla potesta' legislativa regionale, fino a stabilire i termini e le modalita' del procedimento di formazione dei "programmi integrati di intervento", ha sicuramente violato l'art. 117 e l'art. 118 della Costituzione nonche' il principio costituzionale di ragionevolezza (e dunque l'art. 3 della Costituzione) il quale, nella specie, va inteso nel senso che le funzioni ricomprese nelle materie di competenza regionale debbono, come ha chiarito questa stessa ecc.ma Corte costituzionale (sentenza n. 39/1971), esaurire "per intero" le materie stesse in maniera tale che "lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere armonicamente conforme agli interessi unitari della collettivita' statale" restando, per converso, preclusa la "riserva allo Stato di settori di materie". 6. - La previsione e la disciplina da parte dell'art. 16 della legge n. 179/1992 dei programmi integrati di intervento formulati e gestiti da comuni viene ad incidere sull'ordine delle funzioni e delle competenze degli enti locali quale definito dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, sul nuovo ordinamento delle autonomie locali che e' legge di principio (art. 1, primo comma) e non puo' essere derogata, ai sensi dell'art. 128 della Costituzione, "se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni" (art. 1, terzo comma). Come e' noto di tale legge conferisce alla potesta' legislativa regionale inediti ambiti di intervento, di ordine organizzativo e sostanziale, in vista della realizzazione di un nuovo "sistema delle autonomie locali". Per quel che qui piu' direttamente rileva, ai sensi del settimo comma dell'art. 3 "la legge regionale fissa i criteri e le procedure per la formulazione e attuazione degli atti e degli strumenti di programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale dei comuni e delle province, rilevanti ai fini dell'attuazione dei programmi regionali"; ai sensi, poi, dell'ottavo comma, "la legge regionale disciplina, altresi', con norme di carattere generale, modi e procedimenti per la verifica delle compatibilita' fra gli strumenti di cui al settimo comma e i programmi regionali ove esistenti". Inoltre, ai sensi del quarto comma dell'art. 15 della medesima legge n. 142/1990 "la legge regionale detta le procedure di approvazione nonche' norme che assicurino il concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento predisposti dalle province". Questa ecc.ma Corte costituzionale, a sua volta, con la sentenza n. 343/1991, ha fornito un primo essenziale chiarimento circa la portata e il ruolo della potesta' legislativa regionale nella riforma delle autonomie, individuando nelle regioni "il centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle autonomie locali", e nell'esercizio della detta potesta' il presupposto essenziale per l'attuazione della riforma considerata. Le norme della legge n. 142/1990 che disciplinano le funzioni e l'ambito di intervento della legge regionale si pongono come norme interposte, interpretative e direttamente attuative della Costituzione: tali, dunque, vanno considerate le norme sopra ricordate inerenti la definizione del ruolo che la legge regionale e' chiamata a svolgere nella disciplina dell'esercizio delle funzioni di comuni e province in materia di pianificazione territoriale e di programmazione degli interventi: un ruolo, come si puo' rilevare anche dalla semplice lettura delle norme in questione, assolutamente primario ed essenziale per quel che concerne la formazione e l'attuazione dei piani e dei programmi d'intervento in materia urbanistica e la verifica della compatibilita' di essi con quelli regionali. Il legislatore nazionale pertanto, prevedendo e disciplinando - con l'art. 16 della legge n. 179/1992 - i programmi integrati di intervento non ha neppure tenuto conto delle norme della legge 9 giugno 1990, n. 142, ora considerate; norme, come si e' rilevato, in- terpretative e applicative della Costituzione, fornite della particolare garanzia costituzionale prevista dall'art. 128 della Costituzione che non ne consente la modificazione se non ad opera di legge generali e non di leggi settoriali e tanto meno di rider inseriti in leggi settoriali, il contrasto con le quali, dunque, si risolve nella violazione di quest'ultima con specifico riferimento agli artt. 115, 117, 118, 128 e 3. In particolare la possibilita' che per i programmi si apre di costituire variante di qualsiasi previsione di strumentazione urbanistica sia comunale che provinciale che regionale, senza che vi sia un intervento provinciale e rendendo minima ed imprecisa l'attivita' regionale, scardina il sistema di relazioni posto dalla legge n. 142/1990, lede il ruolo della Regione come centro del sistema, viola le competenze regionali sui procedimenti che consentono il concorso dei comuni alla formazione dei programmi e dei piani territoriali, sostituendo alla riserva di legge regionale assicurata dall'art. 15, quarto comma, della legge n. 142/1990, e garantita dall'art. 128, una legge statale che illegittimamente regola le funzioni delle regioni, con un congegno, per di piu', irrazionale e impreciso. 7. - Invero la regione, ricevuto il programma, puo' approvarlo oppure puo' richiedere modificazioni: ma la legge non dice che cosa avvenga se le modificazioni proposte non vengano apportate, non prevede disposizioni per dire a chi spetta la decisione finale e ultima, lasciando il dubbio sul come avvenga la approvazione. 8. - La Corte, nella sentenza n. 343/1991, gia' ricordata, aveva ammonito che la "mutata considerazione degli enti locali territoriali dara' luogo ad un tessuto organizzativo cosi' diversificato da richiedere, ad avviso del legislatore nazionale, un piu' incisivo ruolo di coordinamento delle regioni nelle materie di loro spettanza, ancorche' si tratti di funzioni attribuite, a norma dell'art. 118 della Costituzione, da leggi dello Stato ai comuni ed alle province in quanto attinenti ad interessi esclusivamente locali" e aveva chiarito che "tale qualificata posizione assunta dalle regioni, rispetto agli enti territoriali minori, emerge in particolare dall'art. 3 della legge in esame. Esso prevede che sia la legge regionale a disciplinare la cooperazione dei comuni e delle province tra di loro e con la regione, al fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali (terzo comma); assegna alla regione il compito di determinare gli obiettivi generali della programmazione e di ripartire le risorse destinate al funzionamento del programma di investimenti degli enti locali (quarto comma); prevede che sia la legge regionale a stabilire le forme ed i modi della partecipazione degli enti locali alla formazione dei piani e programmi regionali e degli altri provvedimenti della regione (sesto comma); demanda alla legge regionale di fissare i criteri per la formazione e attuazione degli atti e degli strumenti della programmazione socio-economico e della pianificazione territoriale dei comuni e delle province, rilevanti ai fini dell'attuazione dei programmi regionali (settimo comma); assegna, con la piu' ampia previsione, alla legge regionale di disciplinare, con norme di carattere generale, modi e procedimenti per la verifica delle compatibilita' fra gli strumenti di cui al settimo comma ed i programmi regionali, ove esistenti (ottavo comma)". La Corte aveva insistito sulla "posizione di centralita' che in tal modo le regioni vengono ad assumere nel sistema delle autonomie locali che consente di far ritenere salvaguardate, in modo soddisfacente, nel quadro della legge n. 142/1990, le competenze regionali nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione". Ora il legislatore nazionale, con le norme contenute nell'art. 16 della legge n. 179/1992 non ha tenuto conto ne' della sua legge n. 142/1990, ne' della sentenza della Corte, ne' della ragionevolezza che deve presiedere non solo alla formazione della singola disposizione e alla singola norma che essa contiene, ma al contesto della legge e al suo inserimento nel contesto della legislazione, in ogni caso, ma ancor piu' quando la generalita' della legge e' imposta dalla Costituzione come barriera alle leggine, agli scardinamenti con legge di settore, ai mascheramenti di una norma. Il legislatore ha pervicacemente proseguito nell'erosione delle funzioni legislative regionali nel quadro troppo noto di sottrazione di competenze regionali, di sostanziale abolizione del potere legislativo regionale, prima ridotto, nella sostanza, a produzione di norme regolamentari ed ora privato anche di quella ridotta capacita' normativa che hanno i regolamenti, in modo che le regioni abbiano funzioni amministrative di uffici periferici. La norma denunziata e' una nuova tappa del processo involutivo che ha distrutto l'architettura costituzionale dell'endiadi legislazione- amministrazione con la primazia concettuale ed operativa della legislazione, tanto che la configurazione delle funzioni amministrative partiva dallo zoccolo duro intangibile delle funzioni legislative (art. 118, primo comma) al quale si aggiungevano le funzioni amministrative non coincidenti con quelle legislative attribuite per delegazione (art. 118, secondo comma).