Ricorso  per la regione Umbria, in persona del presidente in carica
 pro-tempore rappresentata e difesa per procura apposta a margine  del
 presente  atto  dagli avvocati Alberto Predieri e Maurizio Pedetta ed
 elettivamente domiciliata nello studio del  primo  in  Roma,  via  G.
 Carducci,  4,  contro  la  Presidenza  del Consiglio dei Ministri, in
 persona del Presidente del Consiglio pro-tempore per la dichiarazione
 di illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  dell'art.  16
 della   legge  17  febbraio  1992,  n.  179,  contenente  "Norme  per
 l'edilizia residenziale pubblica" per  violazione  degli  artt.  115,
 117, 118, 128 e 3 della Costituzione.
                               F A T T O
    La  legge  17  febbraio  1992,  n. 179, pubblicata nel supplemento
 ordinario alla Gazzetta Ufficiale  n.  90  del  29  febbraio  1992  e
 contenente  "Norme  per  l'edilizia residenziale pubblica", da valere
 "fino all'entrata in vigore della norma di disciplina dell'intervento
 pubblico  nel  settore  dell'edilizia  residenziale"  (art.  1),   ha
 introdotto  e  minutamente disciplinato, all'art. 16, nuovi strumenti
 operativi in materia urbanistica denominati "programmi  integrati  di
 intervento".  Detti  programmi,  la  cui  formazione  e' promossa dai
 comuni "al fine di riqualificare il tessuto  urbanistico  edilizio  e
 ambientale", sono approvati dal consiglio comunale con gli effetti di
 cui  all'art.  4  della  legge 28 gennaio 1977, n. 10 (terzo comma) e
 sono caratterizzati "dalla presenza di una  pluralita'  di  funzioni,
 dalla  integrazione  di diverse tipologie di intervento, ivi comprese
 le opere di urbanizzazione, da una dimensione tale da incidere  sulla
 riorganizzazione  urbana e dal possibile concorso di piu' operatori e
 risorse finanziarie, pubblici e privati" (primo comma);  proposte  di
 programmi  di  integrati  possono essere presentate anche da soggetti
 pubblici  e  privati,   singolarmente   o   riuniti   in   consorzio,
 relativamente  "a  zone  in tutto o in parte edificate o da destinare
 anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana
 e  ambientale"  (secondo  comma);  ove,  poi,  il  programma  sia  in
 contrasto con gli strumenti urbanistici, e' prevista la presentazione
 di  osservazioni da parte di associazioni, di cittadini o di enti, da
 inviare al comune entro quindici giorni dall'esposizione nell'albo  e
 dalla  pubblicazione  sul  giornale  locale. Programma e osservazioni
 sono  poi  trasmessi   alla   regione   entro   dieci   giorni.   Nei
 centocinquanta  giorni successivi la regione provvede ad approvare il
 programma  o  a  richiedere  modifiche.  In  mancanza  di   qualsiasi
 provvedimento  regionale  nel  detto  termine il programma si intende
 approvato  (quarto  comma).  Si  precisa,  infine,  che  i  programmi
 integrati  possono  riguardare  anche  le  zone di cui all'art. 2 del
 decreto ministeriale 2 aprile 1968, in Gazzetta Ufficiale  16  aprile
 1968,  n.  97  (quinto  comma)  e  che  la  loro realizzazione non e'
 subordinata all'inclusione nei programmi pluriennali di attuazione di
 cui all'art. 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (sesto comma).
    La parte riservata alle regioni in tutto questo  e'  assolutamente
 marginale,  per non dire insignificante: per esse, invero, si prevede
 soltanto la facolta' di destinare parte delle somme  loro  attribuite
 dalla  legge alla formazione dei programmi integrati (ottavo comma) e
 l'obbligo  di  concedere  i   finanziamenti   inerenti   il   settore
 dell'edilizia residenziale con priorita' a quei comuni che provvedano
 in tal senso (settimo comma).
    La  normativa  contenuta  nell'art.  16  della legge n. 179 del 17
 febbraio 1992 invade  chiaramente  ambiti  materiali  riservati  alla
 potesta' legislativa delle regioni. Piu' precisamente essa si pone in
 contrasto  con gli artt. 117 e 118 oltre che con gli artt. 115, 128 e
 3 (sotto il profilo dell'irragionevolezza) della Costituzione e  deve
 quindi   essere   dichiarata  costituzionalmente  illegittima  per  i
 seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    1. - La normazione sui programmi, che dalla collocazione come capo
 di una legge per l'edilizia residenziale pubblica sembra riferirsi  a
 tali  attivita', a ben vedere investe l'intero campo dell'urbanistica
 mentre riguarda soltanto di  striscio  l'edilizia  pubblica,  pur  se
 questo  e  solo  questo  e'  il  campo  della  legge  cosi'  come  e'
 determinato dal titolo (che si noti e'  stato  mutato  a  seguito  di
 votazione proprio per delimitare e circoscrivere l'area) per dire che
 le  regioni  possono  utilizzare una parte delle somme loro assegnate
 anche per formare i predetti programmi. Questi, peraltro, non vengono
 redatti dalla regione se non in  via  eventuale  considerando  questa
 come  soggetto pubblico che puo' presentare al comune una proposta di
 programma.
    A parte questa ed altre confusioni, sta  di  fatto  che  la  norma
 appare  un  corpo estraneo ed intruso nel capo della legge; il che e'
 rilevante per due  particolari  profili  che  vengono  sottoposti  al
 giudizio  della  Corte  ecc.ma:  la sua irragionevolezza (e quindi la
 violazione dell'art. 3 secondo l'insegnamento ormai  costante)  e  la
 violazione  di  un  ordine di competenze garantito anche alla regione
 dall'art. 128 della Costituzione, che viene perpetrata travestendo la
 norma.  Invero,  fingere  che  non  si  parli   di   urbanistica   e'
 testimonianza  del  fatto che il legislatore sa che la materia di cui
 parliamo e' regolata dalla legge sulle autonomie locali con norme  il
 cui  significato e' stato chiarito dalla sentenza n. 343/1991 e della
 cui violazione parleremo nei successivi punti 5 e 7.
    2. - I programmi integrati di  intervento  previsti  dall'art.  16
 della  legge n. 179/1992 appaiono conformati come strumenti di natura
 ibrida,  riscontrandosi  in  essi  i  caratteri  del   programma   di
 attuazione  di  strumenti  urbanistici  (primo  e secondo comma), del
 progetto edilizio (terzo comma),  e  del  vero  e  proprio  strumento
 urbanistico  in  quanto  suscettibili,  in  sostanza,  di  introdurre
 varianti alla pianificazione urbanistica esistente (quarto comma).
    Come si e' visto, la legge disciplina  assai  minuziosamente  tali
 programmi  stabilendone non solo l'oggetto e la finalita', i soggetti
 promotori  e  l'efficacia,  ma  definendo,  altresi',  in   tutti   i
 particolari,  il procedimento di formazione, nel quale e' indicata la
 posizione reciproca del comune e  della  regione,  sono  stabiliti  i
 termini  e  le  modalita'  di  formazione  e  approvazione, fino alla
 previsione  del  silenzio-assenso  da   parte   della   regione   ove
 quest'ultima  non  adotti  alcun  provvedimento  entro centocinquanta
 giorni dalla trasmissione del programma.
    Appare  subito  evidente  come  nel  prevedere  e  disciplinare  i
 programmi   in   questione   il  legislatore  nazionale  non  si  sia
 minimamente preoccupato non si  dice  di  salvaguardare,  ma,  quanto
 meno,  di  tenere  in  qualche conto la posizione costituzionale e la
 potesta' legislativa delle regioni.
    Secondo la linea ormai prevalente anche in Parlamento  le  regioni
 vengono  considerate  come  semplici  erogatori di finanziamenti, con
 facolta' di destinare parte delle somme  ad  essere  attribuite  alla
 formazione  dei  programmi integrati di intervento e con l'obbligo di
 assegnare    i    finanziamenti    per    l'edilizia     residenziale
 prioritariamente   ai  comuni  che  gia'  si  siano  dotati  di  tali
 programmi.
    3.  -  In  realta'  la  previsione  dei  programmi  integrati   di
 intervento  e  le  disposizioni  dettate  dall'art. 16 della legge n.
 179/1992 vengono ad incidere pesantemente  e  illegittimamente  sulla
 potesta' legislativa regionale, innanzitutto con particolare riguardo
 alla materia dell'urbanistica.
    Tra  quelle  elencate  nell'art. 117, come e' stato autorevolmente
 osservato,  l'urbanistica  costituisce  una  materia  chiave  la  cui
 attribuzione  alle regioni ne caratterizza peculiarmente la posizione
 e la funzione istituzionale, costituzionalmente garantita, di enti di
 governo  del  territorio  sul   piano   normativo   (legislativo)   e
 programmatorio.
    Pur inizialmente intesa - anche da questa ecc.ma Corte - nel senso
 ristretto   e   tradizionale,  come  limitata  cioe'  all'"assetto  e
 all'incremento edilizio dei centri abitati"  (sentenza  n.  141/1972)
 l'urbanistica,  come  materia  di  competenza  regionale,  ha  sempre
 ricompreso, sin dal d.P.R. 15 gennaio 1972, n.  8,  di  trasferimento
 delle  relative funzioni alle regioni, tutti gli strumenti (dai piani
 regolatori generali  ai  piani  particolareggiati,  ai  programmi  di
 fabbricazione,  ai  piani  intercomunali,  ai  piani  territoriali di
 coordinamento, ai piani per l'edilizia economica e popolare  e  cosi'
 via) variamente denominati e disciplinati di pianificazione e tutti i
 programmi  volti a darvi attuazione (cosi' ad esempio per i programmi
 pluriennali di  attuazione  previsti  dall'art.  13  della  legge  n.
 10/1977,  di  cui  la  regione disciplina con legge il contenuto e il
 procedimento di formazione esercitando altresi' il potere sostitutivo
 nei confronti dei comuni inadempienti).
    La concezione comunque riduttiva dell'urbanistica,  quale  materia
 di  competenza  regionale, inista nel d.P.R. n. 8/1972 e' stata, poi,
 superata con d.P.R. 24 luglio 1977, n.  616,  che  l'ha  identificata
 senz'altro  con  la  "disciplina  dell'uso  del  territorio"  e vi ha
 conseguentemente ricompreso (art. 80) "tutti gli aspetti conoscitivi,
 normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di
 trasformazione  del  suolo  nonche'  la  protezione   dell'ambiente",
 riservando  allo Stato (art. 81) oltre l'"identificazione delle linee
 fondamentali dell'assetto del territorio nazionale", soltanto  alcune
 ben   individuate   funzioni   (quale  ad  esempio  la  formazione  e
 l'aggiornamento degli elenchi delle zone dichiarate sismiche) per  lo
 piu'  da  esercitarsi  d'intesa con le regioni interessate (cosi' per
 l'accertamento di conformita' con  gli  strumenti  urbanistici  delle
 opere  da  eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti
 su aree del demanio statale e per la localizzazione e  le  scelte  di
 tracciato,  se  difformi  dalle  prescrizioni  dei piani urbanistici,
 delle opere pubbliche di interesse statale).
    A seguito, dunque, del d.P.R. n. 616/1977 non  puo'  esservi  piu'
 alcun dubbio che l'urbanistica, come materia di competenza regionale,
 debba essere intesa nel suo significato integrale comprendendo "tutto
 cio'  che  concerne  l'uso  dell'intero  territorio (e non solo degli
 aggregati urbani) ai fini della localizzazione e  tipizzazione  degli
 insediamenti  di  ogni  genere con le relative infrastrutture" (Corte
 costituzionale, sentenza n. 239/1982).
    Conseguentemente  le   regioni   sono   intervenute   in   materia
 urbanistica  con una legislazione imponente innovando la legislazione
 statale esistente, introducendo notevoli elementi di riforma.
    Non a caso la  Corte  nella  sentenza  n.  343/1991  ha  di  nuovo
 confermato decisamente che "poiche' la materia urbanistica appartiene
 alle  regioni,  a norma dell'art. 117 della Costituzione, sono esse a
 dover  stabilire  le  procedure  e  le   linee   fondamentali   della
 programmazione attinente a tale materia".
    Per  contro  lo  Stato  deve limitarsi a emanare soltanto norme di
 principio  che  abbiano  riferimento   all'assetto   del   territorio
 nazionale e che, quantomeno, siano sorrette da un effettivo interesse
 nazionale.
    Con  le  norme  delle  quali  si  chiede  che l'ecc.ma Corte adita
 dichiari l'illegittimita' costituzionale, lo Stato,  invece,  non  e'
 affatto  intervenuto in via di principio (la legge che le contiene e'
 destinata a valere fino ad un futuro intervento organico  in  materia
 di  edilizia  residenziale  pubblica) a delimitare e a indirizzare le
 scelte del legislatore regionale; non ha  lasciato  alla  regione  la
 previsione  della programmazione, come esige la Corte, ma ha regolato
 un procedimento nel modo piu' minuzioso (il che non  esclude  i  vizi
 logici  di  cui  parleremo  al  sub 6), e in definitiva ha operato al
 posto di quest'ultimo prevedendo strumenti e disciplinando  soluzioni
 funzionali  e  procedurali  che  a  questo  ultimo  sarebbe  spettato
 disciplinare a norma della Costituzione. Per di piu'  cio'  ha  fatto
 con  una  legge  che  e'  espressamente  destinata  a  valere  in via
 transitoria fino a  un  futuro  intervento  organico  in  materia  di
 edilizia   residenziale   pubblica   laddove,   ontologicamente,  una
 legislazione transitoria e disorganica non puo'  contenere  norme  di
 principio perche' essa stessa lo nega.
    4. - Cosi' facendo la legge n. 179/1992 ha invaso l'area riservata
 alla  regione  per  quanto riguarda la disciplina dei procedimenti di
 formazione dello strumento urbanistico nella  fase  della  formazione
 dell'adozione  (comunale) cosi' come nella fase dell'approvazione che
 le e' riservata a  meno  che  la  regione  non  esprima  una  diversa
 volonta'   sulla   configurazione   del   provvedimento.  Si  impone,
 oltretutto,  qui  un  meccanismo  di  silenzio-accoglimento  che   e'
 incongruo  quando  vi  siano problemi complessi da valutare, tanto da
 riconoscere come necessario un intervento attivo.  Ma  la  confusione
 della  disposizione e' tale che non e' dato neppure di comprendere la
 volonta' del legislatore, con una serie  di  violazioni,  di  cui  si
 dira' piu' precisamente al successivo paragrafo 8.
    5. - La lesione arrecata all'autonomia e alla potesta' legislativa
 regionale  dalle  disposizioni  contenute nell'art. 16 della legge n.
 179/1992 si constata, altresi',  anche  se  si  fa  riferimento  alle
 competenze   riconosciute   alle   regioni   nel   limitato   settore
 dell'edilizia residenziale pubblica cui e' specificamente dedicata la
 legge in questione.
    Pur  non  espressamente  indicata  come  materia   a   se   stante
 nell'elenco  dell'art.  117 della Costituzione (ma prevista da taluni
 statuti  regionali  speciali  con  diverse  denominazioni,  "edilizia
 sovvenzionata",  "case  popolari", ecc., cosi' ad esempio art. 11, n.
 11, dello statuto del  Trentino-Alto  Adige,  art.  5,  n.  18  dello
 statuto  del Friuli-Venezia Giulia), dopo iniziali incertezze (dovute
 anche al mancato trasferimento alle regioni, ad opera del  d.P.R.  n.
 8/1972,  delle  sezioni  e  dei  servizi  per l'edilizia popolare dei
 provveditorati  per  le  opere  pubbliche)  l'edilizia   residenziale
 pubblica,  in  quanto  "materia  essenzialmente  composita"  e' stata
 ritenuta da questa stessa ecc.ma Corte  costituzionale  (sentenza  n.
 221/1975)   senz'altro   riconducibile  per  un  verso  alla  materia
 dell'"urbanistica" e, per un altro, a  quella  dei  "lavori  pubblici
 d'interesse  regionale",  "comprese  nell'elenco  dell'art. 117 senza
 riserve o ulteriori distinzioni nel loro interno  e  senza,  percio',
 che   sia   lecito   postulare   l'esclusione   di   quel   che  piu'
 particolarmente  concerne  l'edilizia residenziale pubblica nella sua
 accezione piu' ampia", pur "entro il limite (  ..)  della  dimensione
 regionale   degli   interessi  al  cui  soddisfacimento  le  relative
 attivita' sono rivolte".
    Conseguentemente, col d.P.R. n.  616/1977,  e'  stato  operato  il
 pressoche'  totale trasferimento alle regioni delle funzioni inerenti
 il settore, fra l'altro attribuendo alle stesse,  per  quel  che  qui
 piu'   direttamente   rileva,   tutte  le  funzioni  "concernenti  la
 programmazione  regionale,  la  localizzazione,   le   attivita'   di
 costruzione  e  la  gestione di interventi di edilizia residenziale e
 abitativa pubblica, di edilizia sovvenzionata, di edilizia agevolata,
 di edilizia sociale, nonche' le funzioni connesse alle relative  pro-
 cedure di finanziamento" (art. 93, primo comma).
   La  sfera  della  competenza  regionale  in  materia  e'  stata poi
 ulteriormente arricchita dalla successiva legge  5  agosto  1978,  n.
 457,  con l'art. 4 in base al quale spetta, fra l'altro, alle regioni
 individuare il fabbisogno abitativo nel territorio  regionale  (lett.
 a);  formare programmi quadriennali e progetti biennali di intervento
 per l'utilizzazione delle risorse finanziarie disponibili (lett.  b);
 ripartire  e coordinare gli interventi per ambiti territoriali (lett.
 c);  formare  e  gestire  l'anagrafe  degli  assegnatari  (lett.  f);
 disporre la concessione dei contributi pubblici (lett. l); esercitare
 il   controllo   sui  soggetti  incaricati  della  realizzazione  dei
 programmi (lett. m).
    Deve, dunque, ritenersi venuta meno  ogni  competenza  statale  in
 materia  di  realizzazione  di  programmi  di  edilizia  residenziale
 pubblica  mentre,  come  ha  riconosciuto   ancora   l'ecc.ma   Corte
 costituzionale   (sentenza   n.   727/1988),   "al   di  fuori  della
 formulazione dei criteri generali da osservare nelle assegnazioni, e'
 attribuita alle regioni la  piu'  ampia  potesta'  legislativa  sulla
 materia".  Non  vi  e'  chi  non  veda  come  non possa in alcun modo
 conciliarsi con quest'ampia potesta' legislativa, che  si  pone  come
 parte dell'ancor piu' ampia potesta' legislativa regionale in materia
 di   urbanistica  e  in  materia  di  lavori  pubblici  di  interesse
 regionale, la previsione,  da  parte  dell'art.  16  della  legge  n.
 179/1992,  dei  "programmi  integrati  di intervento", riducendosi le
 funzioni della regione a compiti di mero finanziamento e, al piu', di
 esame amministrativo, nel  quadro  di  una  procedura  programmatoria
 interamente regolata dalla legge dello Stato.
    Anche   per   l'aspetto  ora  considerato  si  evidenzia,  dunque,
 l'illegittimita'costituzionale delle norme impugnate  per  violazione
 degli  articoli  della  Costituzione  piu'  volte indicati laddove il
 legislatore nazionale dettando disposizioni di estremo  dettaglio  in
 una  materia  attribuita  alla competenza e alla potesta' legislativa
 regionale, fino a stabilire i termini e le modalita' del procedimento
 di formazione dei "programmi integrati di intervento", ha sicuramente
 violato l'art.  117  e  l'art.  118  della  Costituzione  nonche'  il
 principio  costituzionale  di ragionevolezza (e dunque l'art. 3 della
 Costituzione) il quale, nella specie, va  inteso  nel  senso  che  le
 funzioni  ricomprese  nelle  materie di competenza regionale debbono,
 come ha chiarito questa stessa ecc.ma Corte costituzionale  (sentenza
 n.  39/1971), esaurire "per intero" le materie stesse in maniera tale
 che "lo svolgimento concreto delle funzioni regionali abbia ad essere
 armonicamente conforme agli  interessi  unitari  della  collettivita'
 statale"  restando,  per converso, preclusa la "riserva allo Stato di
 settori di materie".
    6. - La previsione e la disciplina da  parte  dell'art.  16  della
 legge  n.  179/1992 dei programmi integrati di intervento formulati e
 gestiti da comuni viene ad  incidere  sull'ordine  delle  funzioni  e
 delle  competenze  degli  enti  locali  quale  definito dalla legge 8
 giugno 1990, n. 142, sul nuovo ordinamento delle autonomie locali che
 e' legge di principio  (art.  1,  primo  comma)  e  non  puo'  essere
 derogata, ai sensi dell'art. 128 della Costituzione, "se non mediante
 espressa modificazione delle sue disposizioni" (art. 1, terzo comma).
    Come  e'  noto  di tale legge conferisce alla potesta' legislativa
 regionale inediti ambiti di intervento,  di  ordine  organizzativo  e
 sostanziale,  in vista della realizzazione di un nuovo "sistema delle
 autonomie locali". Per quel che  qui  piu'  direttamente  rileva,  ai
 sensi  del  settimo  comma  dell'art.  3  "la legge regionale fissa i
 criteri e le procedure per la formulazione e attuazione degli atti  e
 degli   strumenti   di   programmazione   socio-economica   e   della
 pianificazione territoriale dei comuni e delle province, rilevanti ai
 fini  dell'attuazione  dei  programmi  regionali";  ai  sensi,   poi,
 dell'ottavo  comma,  "la  legge  regionale  disciplina, altresi', con
 norme di carattere generale, modi  e  procedimenti  per  la  verifica
 delle  compatibilita'  fra  gli strumenti di cui al settimo comma e i
 programmi regionali ove esistenti".
    Inoltre, ai sensi del quarto comma  dell'art.  15  della  medesima
 legge   n.  142/1990  "la  legge  regionale  detta  le  procedure  di
 approvazione nonche' norme che assicurino il concorso dei comuni alla
 formazione dei programmi pluriennali  e  dei  piani  territoriali  di
 coordinamento predisposti dalle province".
    Questa  ecc.ma  Corte costituzionale, a sua volta, con la sentenza
 n. 343/1991, ha fornito un  primo  essenziale  chiarimento  circa  la
 portata e il ruolo della potesta' legislativa regionale nella riforma
 delle  autonomie,  individuando nelle regioni "il centro propulsore e
 di coordinamento  dell'intero  sistema  delle  autonomie  locali",  e
 nell'esercizio  della  detta  potesta'  il presupposto essenziale per
 l'attuazione della riforma considerata.
    Le norme della legge n. 142/1990 che disciplinano  le  funzioni  e
 l'ambito  di  intervento  della legge regionale si pongono come norme
 interposte,   interpretative   e   direttamente    attuative    della
 Costituzione:   tali,   dunque,  vanno  considerate  le  norme  sopra
 ricordate inerenti la definizione del ruolo che la legge regionale e'
 chiamata a svolgere nella disciplina dell'esercizio delle funzioni di
 comuni e province in materia  di  pianificazione  territoriale  e  di
 programmazione  degli  interventi:  un  ruolo,  come si puo' rilevare
 anche dalla semplice lettura delle norme in questione,  assolutamente
 primario  ed  essenziale  per  quel  che  concerne  la  formazione  e
 l'attuazione dei  piani  e  dei  programmi  d'intervento  in  materia
 urbanistica  e  la  verifica  della compatibilita' di essi con quelli
 regionali.
    Il legislatore nazionale pertanto, prevedendo  e  disciplinando  -
 con  l'art.  16  della  legge  n. 179/1992 - i programmi integrati di
 intervento non ha neppure tenuto conto  delle  norme  della  legge  9
 giugno 1990, n. 142, ora considerate; norme, come si e' rilevato, in-
 terpretative   e   applicative   della  Costituzione,  fornite  della
 particolare garanzia  costituzionale  prevista  dall'art.  128  della
 Costituzione  che non ne consente la modificazione se non ad opera di
 legge generali e non di  leggi  settoriali  e  tanto  meno  di  rider
 inseriti  in  leggi settoriali, il contrasto con le quali, dunque, si
 risolve nella violazione di quest'ultima  con  specifico  riferimento
 agli artt. 115, 117, 118, 128 e 3. In particolare la possibilita' che
 per   i  programmi  si  apre  di  costituire  variante  di  qualsiasi
 previsione di strumentazione urbanistica sia comunale che provinciale
 che regionale, senza che vi sia un intervento provinciale e  rendendo
 minima  ed  imprecisa  l'attivita'  regionale, scardina il sistema di
 relazioni posto dalla legge n. 142/1990, lede il ruolo della  Regione
 come   centro   del   sistema,  viola  le  competenze  regionali  sui
 procedimenti che consentono il concorso dei  comuni  alla  formazione
 dei  programmi  e dei piani territoriali, sostituendo alla riserva di
 legge regionale assicurata dall'art. 15, quarto comma, della legge n.
 142/1990,  e  garantita  dall'art.  128,  una   legge   statale   che
 illegittimamente  regola  le funzioni delle regioni, con un congegno,
 per di piu', irrazionale e impreciso.
    7. - Invero la regione, ricevuto  il  programma,  puo'  approvarlo
 oppure  puo'  richiedere modificazioni: ma la legge non dice che cosa
 avvenga se le  modificazioni  proposte  non  vengano  apportate,  non
 prevede  disposizioni  per  dire  a  chi spetta la decisione finale e
 ultima, lasciando il dubbio sul come avvenga la approvazione.
    8. - La Corte, nella sentenza n. 343/1991, gia'  ricordata,  aveva
 ammonito che la "mutata considerazione degli enti locali territoriali
 dara'  luogo  ad  un  tessuto  organizzativo  cosi'  diversificato da
 richiedere, ad avviso del legislatore  nazionale,  un  piu'  incisivo
 ruolo di coordinamento delle regioni nelle materie di loro spettanza,
 ancorche'  si  tratti  di  funzioni attribuite, a norma dell'art. 118
 della Costituzione, da leggi dello Stato ai comuni ed  alle  province
 in  quanto  attinenti  ad  interessi  esclusivamente  locali" e aveva
 chiarito che  "tale  qualificata  posizione  assunta  dalle  regioni,
 rispetto   agli  enti  territoriali  minori,  emerge  in  particolare
 dall'art. 3 della legge in esame.  Esso  prevede  che  sia  la  legge
 regionale  a disciplinare la cooperazione dei comuni e delle province
 tra di loro e con la regione, al fine  di  realizzare  un  efficiente
 sistema delle autonomie locali (terzo comma); assegna alla regione il
 compito  di determinare gli obiettivi generali della programmazione e
 di ripartire le risorse destinate al funzionamento del  programma  di
 investimenti  degli  enti  locali  (quarto comma); prevede che sia la
 legge regionale a stabilire le forme ed i modi  della  partecipazione
 degli  enti  locali alla formazione dei piani e programmi regionali e
 degli altri provvedimenti della regione (sesto comma);  demanda  alla
 legge  regionale  di fissare i criteri per la formazione e attuazione
 degli atti e degli strumenti della programmazione  socio-economico  e
 della  pianificazione  territoriale  dei  comuni  e  delle  province,
 rilevanti ai fini dell'attuazione dei  programmi  regionali  (settimo
 comma);  assegna,  con la piu' ampia previsione, alla legge regionale
 di disciplinare, con norme di carattere generale, modi e procedimenti
 per la verifica delle compatibilita' fra  gli  strumenti  di  cui  al
 settimo  comma  ed  i  programmi  regionali,  ove  esistenti  (ottavo
 comma)". La Corte aveva insistito sulla "posizione di centralita' che
 in tal  modo  le  regioni  vengono  ad  assumere  nel  sistema  delle
 autonomie  locali che consente di far ritenere salvaguardate, in modo
 soddisfacente, nel quadro della  legge  n.  142/1990,  le  competenze
 regionali nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione".
    Ora  il legislatore nazionale, con le norme contenute nell'art. 16
 della legge n. 179/1992 non ha tenuto conto ne' della  sua  legge  n.
 142/1990,  ne'  della  sentenza della Corte, ne' della ragionevolezza
 che  deve  presiedere  non  solo  alla   formazione   della   singola
 disposizione  e  alla singola norma che essa contiene, ma al contesto
 della legge e al suo inserimento nel contesto della legislazione,  in
 ogni caso, ma ancor piu' quando la generalita' della legge e' imposta
 dalla Costituzione come barriera alle leggine, agli scardinamenti con
 legge  di  settore,  ai mascheramenti di una norma. Il legislatore ha
 pervicacemente proseguito nell'erosione  delle  funzioni  legislative
 regionali  nel  quadro  troppo  noto  di  sottrazione  di  competenze
 regionali,  di  sostanziale   abolizione   del   potere   legislativo
 regionale,  prima  ridotto,  nella  sostanza,  a  produzione di norme
 regolamentari ed  ora  privato  anche  di  quella  ridotta  capacita'
 normativa  che  hanno  i  regolamenti, in modo che le regioni abbiano
 funzioni amministrative di uffici periferici. La norma denunziata  e'
 una   nuova   tappa   del   processo   involutivo  che  ha  distrutto
 l'architettura     costituzionale     dell'endiadi      legislazione-
 amministrazione  con  la  primazia  concettuale  ed  operativa  della
 legislazione,   tanto   che   la   configurazione   delle    funzioni
 amministrative  partiva dallo zoccolo duro intangibile delle funzioni
 legislative (art. 118, primo  comma)  al  quale  si  aggiungevano  le
 funzioni   amministrative  non  coincidenti  con  quelle  legislative
 attribuite per delegazione (art. 118, secondo comma).