IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile promosso da Ponente Carni S.p.a., in persona del suo amministratore unico e legale rappresentante Stefano Torre, elettivamente domiciliata in Genova, via Fiasella n. 123, presso lo studo dell'avv. G. Conte che la rappresenta e difende per mandato a margine dell'atto di citazione, attrice, contro la Unita' Sanitaria Locale n. XI, in persona del suo presidente pro-tempore rag. Giuseppe Saitta, elettivamente domiciliata in Genova, via Brigata Liguria, 114, presso lo studio dell'avv. V. Marino che la rappresenta e difende per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta, convenuta. CONCLUSIONI Per l'attrice: piaccia al Tribunale ill.mo, contrariis reiectis: In via preliminare: rilevato che l'art. 16 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, non ha assegnato alle regioni il compito di determinare elementi, presupposti o limiti (in base a dati o apprezzamenti tecnici) di una prestazione imponibile a carico dei privati per il compenso dei servizi veterinari, ne' ha indicato i criteri direttivi di base o le linee generali per delimitare la discrezionalita' amministrativa nella produzione di fonti secondarie della disciplina: dichiarata l'inapplicabilita' alla fattispecie della disciplina di cui al r.d. 20 dicembre 1928, n. 3290, accertarsi che nulla e' dovuto dalla Ponente Carni S.p.a. alla u.s.l. 11 per i servizi veterinari di cui e' causa e comunque respingersi la proposta riconvenzionale, vinte spese ed onorari del giudizio. Nel merito: 1) dichiararsi, in applicazione dei principi interpretativi gia' dettati dalla Corte di giustizia CEE da ritenersi qui integralmente richiamati: che il diritto degli stati membri afferente la tutela della sa- lute dei propri consociati, trova, per il buon funzionamento del mercato comune, e a sensi art. 36 del trattato CEE, un limite nella normativa di armonizzazione emanata dalle istituzioni comunitarie a sensi art. 100 del trattato; che le visite sanitarie nel luogo di destinazione delle carni oggetto di scambio intracomunitario dirette ad accertare il loro stato di conservazione sono gia' state armonizzate e disciplinate dalle direttive del Consiglio CEE richiamato in atti, la cui portata e' stata chiarita e dalla giurisprudenza interpretativa pronunziata in merito dalla Corte di giustizia, giurisprudenza anch'essa da ritenersi qui espressamente richiamata; che l'attivita' amministrativa dello Stato e/o della p.a. diretta a dare esecuzione ad un regime di controllo veterinario sulle carni oggetto di scambi intracomunitari non puo' comunque essere considerata come un servizio reso individualmente dall'importatore, dal quale si possa pretendere (conformemente ai principi di diritto affermati dalla Corte di giustizia CEE in sentenza 5 febbraio 1976 causa n. 87/75 Bresciani) come contropartita, la corresponsione di un onere pecuniario. Conseguentemente dichiararsi, nell'ipotesi subordinata in cui siano ritenuti ancora giustificati i controlli veterinari di cui e' causa, che le relative spese devono essere poste a carico della collettivita' nazionale la quale che, nel suo complesso, fruisce dei vantaggi derivanti da tale attivita' e dei vantaggi derivanti dalla libera circolazione delle merci; 2) dichiararsi che a fronte di un'eccezione di incompatibilita' di norme comunitarie con norme dello stesso ordinamento nazionale, al Giudice nazionale e' consentito, conformemente alla giurisprudenza interpretativa resa dalla Corte di giustizia, unicamente un giudizio di rilevanza e non anche di non "manifesta infondatezza" comportanto quest'ultimo attivita' ermeneutica sulla portata della norma comunitaria riservata funzionalmente alla Corte di giustizia; 3) dichiararsi che i principi di diritto sopra enunciati dalla Corte di giustizia CEE devono essere applicati da tutti i giudici nazionali, e quindi anche alla fattispecie, in forza della sentenza n. 113/1985 della Corte costituzionale; 4) rimettersi, nell'ipotesi di dubbio interpretativo, gli atti della causa alla Corte di giustizia CEE ex art. 177 del trattato di Roma, affinche' chiarisca se tali principi siano applicabili anche ai controlli veterinari effettuati sul territorio nazionale (Cass. 26 ottobre 1987, n. 7860) nonche' le ulteriori questioni interpretative di cui ai quesiti gia' formulati e/o formulandi dall'ill.mo giudicante; 5) dichiararsi che, conseguentemente, nulla e' dovuto dalla Ponente Carni S.p.a. alla u.s.l. 11 per i servizi veterinari di cui e' causa e comunque respingersi la proposta riconvenzionale, vinte spese ed onorari del giudizio. Nel merito subordinato: respingersi comunque la riconvenzionale avversaria per tutte le ragioni eccezioni gia' esposte in atti, da intendersi qui espressamente richiamate, e, in particolare, in quanto la riconvenzionale e' da ritenersi non provata nell' an e nel quantum e cioe' sia in relazione alle prestazioni che si pretendono essere state effettuate, e che si contestano in toto, sia in relazione alle tariffe che si pretendono applicare; tariffe che, per quanto possa occorrere, si contestano anche sotto ogni profilo di legittimita' dell'ordinamento nazionale e comunitario (art. 86 del trattato CEE). Vinte spese ed onorari. Protestati i danni maturandi che al momento non sono ancora quantificabili in dipendenza della forzosa chiusura dello stabilimento operativo. Per la convenuta: dichiarare tenuta e condannare la Ponente Carni S.p.a. in persona del legale rappresentante pro-tempore al pagamento di L. 59.853.600 per visite sanitarie veterinarie effettuate sino al 30 agosto 1989 e L. 48.451.400 per lo stesso titolo dal 1 settembre 1989 al 30 settembre 1990. Altresi' condannarla al pagamento di interessi legali e rivalutazione, o quanto meno degli interessi legali, dalle singole scadenze o dalla domanda giudiziale al saldo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 26 giugno 1990 la Ponente Carni S.p.a. esponeva che la u.s.l. n. 11 le aveva sollecitato il pagamento della somma di L. 28.309.200 quale compenso dovutole per gli accertamenti sanitari effettuati su carni importate dall'estero in previsione della legge regionale 22 agosto 1989, n. 31. Osservava la societa' che tale normativa in nulla aveva innovato rispetto alla precedente disciplina costituita dal r.d. 20 dicembre 1928, n. 3398, in relazione all'art. 61 del t.u. 27 luglio 1934, n. 1265, la quale ultima aveva subordinato il pagamento dei diritti connessi ai certificati rilasciati dai veterinari municipali - anche su conforme orientamento giurisprudenziale dei giudici di merito - alla sussistenza di un esclusivo interesse privato al rilascio del documento stesso; mentre nel caso specifico non solo sussisteva un interesse pubblico a favore della collettivita' pur connesso all'interesse del privato che della carne faceva commercio, ma neppure dette prestazioni erano state sollecitate dall'attrice, bensi' imposte dall'amministrazione convenuta si che il relativo pagamento dei diritti si appalesava affatto ingiustificato. Aggiungeva, poi, la societa' che tali prestazioni consistevano nella quasi totalita' nella ripetizione di quei controlli sanitari eseguiti nel paese di produzione da veterinari che gia' avevano rilasciato un certificato attestante la idoneita' all'alimentazione umana della carne, in esecuzione delle direttive CEE nn. 64/432 e 64/433; talche' l'assoggettamento della carne ad ulteriore controllo veterinario - il cui onere ricadeva sull'importatore - nel Comune ove il prodotto doveva essere commercializzato costituiva sostanzialmente: a) o un tributo interno, sottoposto al divieto di discriminazione di cui all'art. 95 del trattato CEE; b) o una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative tassativamente vietate dall'art. 30 del trattato; c) o una misura di effetto equivalente a dazi doganali, pur essa vietata dall'art. 12 del trattato. Tanto premesso conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale la u.s.l. anzidetta per sentir dichiarare in principalita' che nessun diritto aveva la convenuta di richiederle corrispettivi per prestazioni veterinarie effettuate su carni importate da Stati membri in relazione alla sussistenza di un pubblico interesse all'espletamento della vigilanza sanitaria. In via subordinata chiedeva dichiararsi che i compensi richiesti costituivano, per la sistematicita' con cui venivano effettuati, misure di effetto equivalente ai dazi doganali o a restrizioni quan- titative all'importazione o quanto meno tributi interni: ipotesi, tutte, vietate dagli artt. 12, 30 e 95 del trattato di Roma. Si costituiva la convenuta contestando le opposte pretese delle quali chiedeva il rigetto denunciandone l'infondatezza. Osservava, al riguardo, che i compensi per l'attivita' certificativa veterinaria non erano stati chiesti in base all'art. 61 del t.u. n. 1265/1934 avversariamente invocato (e che, appunto, prevedeva la corresponsione dei compensi quando i certificati fossero domandati "nell'esclusivo interesse privato") bensi' in virtu' dell'art. 40 del r.d. 20 dicembre 1928, n. 3298, che subordinava l'introduzione nel territorio comunale di carne fresca, macellata altrove e destinata agli spacci pubblici ed agli stabilimenti industriali, tra l'altro, ad una dichiarazione del veterinario (un tempo comunale; ora, a seguito dell'istituzione del servizio sanitario nazionale) dell'u.s.l. attestante che la carne apparteneva ad animale perfettamente sano e regolarmente macellato. Tale servizio, d'altro canto, veniva reso solo indirettamente a favore della collettivita', ma principalmente in favore del commerciante che, con tale documento, poteva svolgere la propria attivita'. Quanto, poi, alle lamentate violazioni di norme comunitarie da parte della legge regionale denunciata osservava che nessun ostacolo poteva frapporsi all'esercizio da parte dello Stato del proprio diritto di verificare l'idoneita' del prodotto importato; specie se tanto il prodotto nazionale che quello proveniente da Paesi membri erano sottoposti al medesimo controllo. Chiedeva, pertanto, rigettarsi la domanda e condannarsi l'attrice al pagamento della somma di L. 83.162.800 (nelle more il credito della u.s.l. era infatti lievitato, secondo il di lei assunto, in tale misura) con gli interessi di mora. Dopo scambio di memorie l'attrice chiedeva rimettersi gli atti alla Corte di giustizia della Comunita' economica europea perche' le fossero sottoposti vari quesiti relativamente alla dedotta violazione comunitaria da parte del legislatore nazionale; e l'istruttore, ritenutane l'opportunita' involgendo la questione la sospensione del giudizio, decideva di rimettere subito la questione all'esame del collegio con ordinanza 27 novembre 1990. Il collegio adito non ravvisava l'esistenza di particolari motivi per disporre nei sensi richiesti dall'attrice restituendo gli atti all'istruttore per la precisazione delle conclusioni. Nel provvedimento reiettivo si sottolineava come i controlli veterinari effettuati da parte della u.s.l. 11 non dovevano essere intesi quali mera duplicazione dei controlli sanitari effettuati all'origine nei paesi membri di produzione in quanto tesi a verificare la sussistenza a destino ed all'atto della commercializzazione del bene, nel paese di importazione, di quei requisiti del prodotto-carne gia' accertati nel Paese di produzione che per avventura e per fatti anche indipendenti dalla volonta' dell'importatore, avrebbero potuto venir meno durante il trasporto. Accertato, poi, che tale duplice controllo (alla produzione ed a destino) gravava anche sulla carne nazionale, il collegio osservava che siffatto sistema non poteva ritenersi in contrasto con le norme del trattato denunciate (art. 12: divieto di introduzione di tasse di effetto equivalente: art. 30: divieto di restrizioni quantitative all'importazione e di misure di effetto equivalente; art. 95: divieto di rendere piu' gravoso il prodotto proveniente da Paesi membri del corrispondente prodotto nazionale) per cui non riteneva affatto necessario dare ingresso al quesito proposto dalla societa' attrice. L'attrice ricorreva, allora, in via di urgenza all'istruttore chiedendo ingiungersi alla u.s.l. convenuta di consentirle l'introduzione in transito e la vendita delle carni nell'ambito del Comune di Genova senza esigere i compensi di cui alla legge regionale, denunciata anche di incostituzionalita', sottolineando i gravi ed insopportabili oneri finanziari che in caso contrario avrebbe dovuto sopportare. Ma l'istruttore rigettava il ricorso rilevando da un lato che la prestazione imposta trovava il suo fondamento in una specifica disposizione avente forza di legge che si imponeva all'osservanza di tutti coloro cui spettava farla osservare, insuscettibile di essere disapplicata seppure in via di urgenza e seppure sospettata di incostituzionalita'; ne' i tempi tecnici necessari per denunciarne l'incostituzionalita' alla Corte costituzionale potevano conciliarsi con una tutela immediata del diritto fatto valere ex art. 700 del c.p.c. D'altro canto, come ritenuto dal collegio, la disciplina non poteva ritenersi allo stato comunitariamente illegittima; e, da ultimo, non poteva ravvisarsi costituire pregiudizio imminente ed irreparabile il pagamento, pur ingiusto, di una somma di danaro (salvi i casi in cui detta dazione, per condizioni soggettive particolari o per oggettiva enormita' della stessa avessero rappresentato un esborso insopportabile per il solvens) proprio perche' all'indebito esborso poteva ovviarsi in maniera satisfattiva all'esito della lite con la condanna dell'indebito percettore alla restituzione ed ai danni. E la causa, sulle conclusioni come sopra trascritte, e' stata trattenuta in decisione all'odierna udienza collegiale. MOTIVI DELLA DECISIONE Dalla documentazione versata in atti dall'attrice si e' accertato che questo tribunale, in altra causa vertente tra diverse parti, ha recentemente sottoposto alla Corte di giustizia delle Comunita' europee la problematica sollevata dalla societa' attrice relativamente al preteso contrasto con le direttive comunitarie della legge della regione Liguria 22 agosto 1989, n. 31 (cfr. Genova, ord. 21 ottobre 1991 in causa Ligur Carni S.r.l. c/ la u.s.l. XV di Genova). Piu' esattamente in quella specie e' stato chiesto di conoscere: a) se in base al sistema comunitario vigente e in particolare alle disposizioni delle direttive del consiglio n. 64/433, 89/662 e 90/425 CEE l'ordinamento comunitario sia compatibile con una normativa e prassi nazionali che, nel caso di importazione in uno Stato membro di carni fresche provenienti da altri Stati membri e gia' sottoposte nello Stato speditore alle visite ed ai controlli previsti dalle suddette direttive, assoggetati nel territorio dello Stato di destinazione le merci in transito e in arrivo nel comune di destinazione a ispezioni veterinarie e controlli sanitari di carattere sistematico e onerose per gli importatori; b) se negli scambi intercomunitari di carni fresche gia' assoggettate alle visite sanitarie nello Stato speditore in conformita' alle direttive comunitarie, rientri nel campo di applicazione dei controlli veterinari che ancora possono essere effettuati nello Stato destinatario in conformita' alle direttive considerate, un controllo veterinario di carattere sistematico nel luogo di destinazione effettuato al momento dell'entrata nel comune di destinazione che consista, tra l'altro, in ispezioni verifiche, controlli obbligatori ai fini della commercializzazione delle merci, nel rilascio di un certificato attestante che le carni provenienti da paesi comunitari "sono in buono stato di conservazione e atte all'uso alimentare", imponga all'importatore un onere economico secondo tariffe formulate con discrezionalita' dalla p.a.; c) se in caso negativo, controlli siffatti possano qualificarsi tasse di effetto equivalente; d) se possano ritenersi conformi al diritto comunitario una normativa e prassi nazionali che impongano a carico delle merci provenienti da altri Stati membri diritti, per sistematiche visite veterinarie, analoghi a quelli previsti nella misura e con le modalita' di cui all'art. 3 della legge della regione Liguria 22 agosto 1989, n. 31. Va quindi dato atto che con tale quesito la Corte di giustizia delle CE e' gia' stata investita da un organo giurisdizionale nazionale della questione di fondo sollevata dall'attrice con riguardo alla violazione comunitaria della normativa disciplinata dalla legge regionale suindicata. E opportunita' vorrebbe che il presente giudizio dovesse essere sospeso in attesa di conoscere l'orientamento della Corte di giustizia al riguardo: senonche' va rilevato che l'attrice, oltre a denunciare la legge regionale della violazione suddetta, ne ha altresi' eccepito il contrasto con il principio costituzionale del nullum tributum sine lege sul rilievo che con essa e' stato sostanzialmente introdotto un tributo non regolato da una legge statuale. L'eccezione ad avviso del Collegio e' rilevante nel giudizio in corso e non manifestamente infondata per i motivi di cui in appresso. E' rilevante perche', nell'ipotesi di caducazione di tale norma per effetto di un eventuale riconoscimento della sua incostituzionalita', la pretesa della u.s.l. convenuta diverrebbe, per cio' solo e senza attendere alcuna pronuncia della Corte di giustizia delle CE, priva di ogni legittimo fondamento. E non appare manifestamente infondata in quanto la legge regionale 22 agosto 1989, n. 31, sembra al collegio aver effettivamente istituito un nuovo tributo o comunque una prestazione patrimoniale imposta senza che l'istituzione stessa sia stata prevista da una legge statuale, come richiesto dall'art. 23 della Costituzione. La disciplina denunciata (art. 1) prevede infatti che sono tenuti alla corresponsione di un compenso a favore dell'unita' sanitaria lo- cale (U.S.L.) i soggetti privati che richiedono, tra l'altro, ispezioni, verifiche, controlli sugli alimenti di origine animale e sugli animali ai fini della loro commercializzazione, nonche' certificazioni utili alla commercializzazione degli alimenti di origine animale, degli animali ed in genere dei prodotti animali. L'esazione del compenso e' prevista all'atto dell'effettuazione della prestazione (art. 2) per un ammontare che viene determinato dalla giunta regionale (art. 3). E' pacifico in causa che gli importatori di carni fresche sono tenuti a richiedere tali visite veterinarie se intendono commercializzare il prodotto nell'ambito del comune: per cui la richiesta di visita veterinaria della carne importata si impone come dovuta a prescindere dalla libera scelta del soggetto interessato a pretenderla. Cio' e' sufficiente ad avviso del collegio per ritenere che tale prestazione abbia le caratteristiche della tassa e, come tale, rientri nell'ampio genus dei tributi assistiti dal principio di riserva di legge. Essa, infatti, si contraddistingue come un pubblico servizio che la p.a. appronta nell'interesse specifico dell'obbligato mediante un corrispettivo che non ne copra certamente il costo ma che viene svolto anche nel precipuo interesse della collettivita', onde evitarle un pregiudizio alla salute derivante dall'introduzione sul mercato di alimenti dannosi. Ma, quand'anche se ne contestasse la natura di tassa o, genericamente, di tributo, e si sostenesse la natura di corrispettivo di un pubblico servizio o di un vantaggio, l'assoluta obbligatorieta' della richiesta della visita ed il pagamento coattivo del servizio non potrebbero non ritenerla una "prestazione patrimoniale imposta", che, ai sensi dell'art. 23 della Costituzione, puo' essere istituita esclusivamente "in base alla legge". Invero e' stato sostenuto, in tema di tariffe telefoniche, che tutte le volte in cui un servizio, in considerazione della sua particolare rilevanza venga riservato alla mano pubblica e l'uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita, deve riconoscersi che la determinazione autoritaria delle tariffe sia assimilabile, nella realta' effettuale, ad una vera e propria imposizione di prestazioni patrimoniali. Se infatti e' vero che il cittadino e' libero di stipulare o non stipulare il contratto, e' altrettanto vero che questa liberta' si riduce alla possibilita' di scegliere tra la rinunzia al soddisfacimento di un bisogno essenziale e l'accettazione di condizioni e di obblighi unilateralmente e autoritativamente prefissati: rappresentando, quindi, una liberta' meramente formale perche' la scelta del primo senso comporta il sacrificio di un interesse assai rilevante (cfr. Corte costituzionale 9 aprile 1969, n. 72). Dell'ipotesi surrichiamata pare chiara riproduzione il caso di specie atteso che la commercializzazione del prodotto-carne da parte dell'importatore viene assoggettato alla previa richiesta obbligatoria di un servizio veterinario le cui tariffe sono state de- terminate non gia' dal legislatore nazionale bensi' dal legislatore regionale: di talche' l'esercizio di una attivita' commerciale viene subordinato al previo assolvimento di una prestazione per un servizio sostanzialmente obbligatorio. E poiche' non risulta che la regione Liguria sia stata delegata dal legislatore nazionale ad istituire tale servizio coattivo (v. legge 23 dicembre 1978, n. 833) ne' l'imposizione tributaria rientra tra le funzioni legislative attribuite alle regioni ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, consegue che la legge regionale in discorso, ad avviso del collegio, sembra porsi in obiettivo contrasto con il principio sopra ricordato della riserva di legge. Gli atti devono, quindi, essere trasmessi alla Corte costituzionale per il giudizio di costituzionalita' della legge regionale anzidetta per contrasto con l'art. 23 della Costituzione: mentre il giudizio in corso deve essere sospeso in attesa della definizione della questione prospettata.