IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  civile
 promosso  da  Ponente Carni S.p.a., in persona del suo amministratore
 unico  e   legale   rappresentante   Stefano   Torre,   elettivamente
 domiciliata in Genova, via Fiasella n. 123, presso lo studo dell'avv.
 G. Conte che la rappresenta e difende per mandato a margine dell'atto
 di  citazione,  attrice,  contro la Unita' Sanitaria Locale n. XI, in
 persona   del   suo  presidente  pro-tempore  rag.  Giuseppe  Saitta,
 elettivamente domiciliata in Genova, via Brigata Liguria, 114, presso
 lo studio dell'avv. V.  Marino  che  la  rappresenta  e  difende  per
 mandato   a  margine  della  comparsa  di  costituzione  e  risposta,
 convenuta.
                              CONCLUSIONI
    Per l'attrice: piaccia al Tribunale ill.mo, contrariis reiectis:
    In via preliminare: rilevato che l'art. 16 della legge 23 dicembre
 1978, n. 833, istitutiva del servizio  sanitario  nazionale,  non  ha
 assegnato   alle   regioni   il   compito  di  determinare  elementi,
 presupposti o limiti (in base a dati o apprezzamenti tecnici) di  una
 prestazione  imponibile  a  carico  dei  privati  per il compenso dei
 servizi veterinari, ne' ha indicato i criteri direttivi di base o  le
 linee  generali  per  delimitare  la  discrezionalita' amministrativa
 nella produzione di fonti  secondarie  della  disciplina:  dichiarata
 l'inapplicabilita'  alla  fattispecie della disciplina di cui al r.d.
 20 dicembre 1928, n. 3290,  accertarsi  che  nulla  e'  dovuto  dalla
 Ponente  Carni  S.p.a. alla u.s.l. 11 per i servizi veterinari di cui
 e' causa e comunque respingersi la  proposta  riconvenzionale,  vinte
 spese ed onorari del giudizio.
    Nel merito:
      1) dichiararsi, in applicazione dei principi interpretativi gia'
 dettati  dalla  Corte di giustizia CEE da ritenersi qui integralmente
 richiamati:
      che il diritto degli stati membri afferente la tutela della  sa-
 lute  dei  propri  consociati,  trova,  per il buon funzionamento del
 mercato comune, e a sensi art. 36 del trattato CEE, un  limite  nella
 normativa  di  armonizzazione emanata dalle istituzioni comunitarie a
 sensi art. 100 del trattato;
      che le visite sanitarie nel luogo di  destinazione  delle  carni
 oggetto  di  scambio  intracomunitario  dirette  ad accertare il loro
 stato di conservazione sono gia'  state  armonizzate  e  disciplinate
 dalle  direttive del Consiglio CEE richiamato in atti, la cui portata
 e' stata chiarita e dalla giurisprudenza  interpretativa  pronunziata
 in  merito  dalla  Corte  di  giustizia,  giurisprudenza anch'essa da
 ritenersi qui espressamente richiamata;
      che  l'attivita'  amministrativa  dello  Stato  e/o  della  p.a.
 diretta a dare esecuzione ad un regime di controllo veterinario sulle
 carni  oggetto  di  scambi  intracomunitari  non puo' comunque essere
 considerata come un servizio reso  individualmente  dall'importatore,
 dal  quale  si possa pretendere (conformemente ai principi di diritto
 affermati dalla Corte di giustizia CEE in sentenza  5  febbraio  1976
 causa n. 87/75 Bresciani) come contropartita, la corresponsione di un
 onere pecuniario.
    Conseguentemente  dichiararsi,  nell'ipotesi  subordinata  in  cui
 siano ritenuti ancora giustificati i controlli veterinari di  cui  e'
 causa,  che  le  relative  spese  devono  essere poste a carico della
 collettivita' nazionale la quale che, nel suo complesso, fruisce  dei
 vantaggi  derivanti  da tale attivita' e dei vantaggi derivanti dalla
 libera circolazione delle merci;
      2) dichiararsi che a fronte di un'eccezione di  incompatibilita'
 di norme comunitarie con norme dello stesso ordinamento nazionale, al
 Giudice  nazionale  e'  consentito, conformemente alla giurisprudenza
 interpretativa resa dalla Corte di giustizia, unicamente un  giudizio
 di  rilevanza e non anche di non "manifesta infondatezza" comportanto
 quest'ultimo  attivita'  ermeneutica  sulla   portata   della   norma
 comunitaria riservata funzionalmente alla Corte di giustizia;
      3)  dichiararsi  che i principi di diritto sopra enunciati dalla
 Corte di giustizia CEE devono essere applicati  da  tutti  i  giudici
 nazionali,  e  quindi anche alla fattispecie, in forza della sentenza
 n. 113/1985 della Corte costituzionale;
      4) rimettersi, nell'ipotesi di dubbio interpretativo,  gli  atti
 della  causa  alla Corte di giustizia CEE ex art. 177 del trattato di
 Roma, affinche' chiarisca se tali principi siano applicabili anche ai
 controlli veterinari effettuati sul territorio  nazionale  (Cass.  26
 ottobre  1987, n. 7860) nonche' le ulteriori questioni interpretative
 di  cui  ai  quesiti  gia'  formulati  e/o   formulandi   dall'ill.mo
 giudicante;
      5)  dichiararsi  che,  conseguentemente,  nulla  e' dovuto dalla
 Ponente Carni S.p.a. alla u.s.l. 11 per i servizi veterinari  di  cui
 e'  causa  e  comunque respingersi la proposta riconvenzionale, vinte
 spese ed onorari del giudizio.
    Nel merito subordinato: respingersi  comunque  la  riconvenzionale
 avversaria  per  tutte  le ragioni eccezioni gia' esposte in atti, da
 intendersi qui espressamente richiamate, e, in particolare, in quanto
 la riconvenzionale e' da ritenersi non provata nell' an e nel quantum
 e cioe' sia in relazione alle prestazioni che  si  pretendono  essere
 state  effettuate, e che si contestano in toto, sia in relazione alle
 tariffe che si pretendono applicare; tariffe che,  per  quanto  possa
 occorrere,  si  contestano  anche  sotto ogni profilo di legittimita'
 dell'ordinamento nazionale e comunitario (art. 86 del trattato CEE).
    Vinte spese ed  onorari.  Protestati  i  danni  maturandi  che  al
 momento  non  sono  ancora quantificabili in dipendenza della forzosa
 chiusura dello stabilimento operativo.
    Per la convenuta: dichiarare tenuta e condannare la Ponente  Carni
 S.p.a.  in persona del legale rappresentante pro-tempore al pagamento
 di L. 59.853.600 per visite sanitarie veterinarie effettuate sino  al
 30  agosto  1989 e L. 48.451.400 per lo stesso titolo dal 1 settembre
 1989 al 30 settembre  1990.  Altresi'  condannarla  al  pagamento  di
 interessi  legali  e  rivalutazione,  o  quanto  meno degli interessi
 legali, dalle singole scadenze o dalla domanda giudiziale al saldo.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con atto di citazione notificato il  26  giugno  1990  la  Ponente
 Carni  S.p.a.  esponeva  che  la u.s.l. n. 11 le aveva sollecitato il
 pagamento della somma di L. 28.309.200 quale  compenso  dovutole  per
 gli  accertamenti  sanitari effettuati su carni importate dall'estero
 in previsione della legge regionale 22 agosto 1989, n. 31.
    Osservava la societa' che tale normativa in nulla  aveva  innovato
 rispetto  alla  precedente disciplina costituita dal r.d. 20 dicembre
 1928, n. 3398, in relazione all'art. 61 del t.u. 27 luglio  1934,  n.
 1265,  la  quale  ultima  aveva  subordinato il pagamento dei diritti
 connessi ai certificati rilasciati dai veterinari municipali -  anche
 su  conforme  orientamento  giurisprudenziale dei giudici di merito -
 alla sussistenza di un esclusivo interesse privato  al  rilascio  del
 documento  stesso;  mentre  nel caso specifico non solo sussisteva un
 interesse  pubblico  a  favore  della  collettivita'   pur   connesso
 all'interesse  del  privato  che  della  carne  faceva  commercio, ma
 neppure  dette  prestazioni  erano  state  sollecitate  dall'attrice,
 bensi' imposte dall'amministrazione  convenuta  si  che  il  relativo
 pagamento dei diritti si appalesava affatto ingiustificato.
    Aggiungeva,  poi,  la  societa'  che tali prestazioni consistevano
 nella quasi totalita' nella ripetizione di  quei  controlli  sanitari
 eseguiti  nel  paese  di  produzione  da  veterinari che gia' avevano
 rilasciato un certificato attestante la  idoneita'  all'alimentazione
 umana  della  carne,  in  esecuzione delle direttive CEE nn. 64/432 e
 64/433; talche' l'assoggettamento della carne ad ulteriore  controllo
 veterinario - il cui onere ricadeva sull'importatore - nel Comune ove
 il     prodotto    doveva    essere    commercializzato    costituiva
 sostanzialmente:
       a)  o  un   tributo   interno,   sottoposto   al   divieto   di
 discriminazione  di cui all'art. 95 del trattato CEE; b) o una misura
 di effetto  equivalente  a  restrizioni  quantitative  tassativamente
 vietate dall'art. 30 del trattato;
       c)  o  una  misura  di effetto equivalente a dazi doganali, pur
 essa vietata dall'art. 12 del trattato.
    Tanto premesso conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale la
 u.s.l. anzidetta per sentir dichiarare in  principalita'  che  nessun
 diritto   aveva   la   convenuta  di  richiederle  corrispettivi  per
 prestazioni veterinarie effettuate su carni importate da Stati membri
 in   relazione   alla   sussistenza   di   un   pubblico    interesse
 all'espletamento della vigilanza sanitaria.
    In  via  subordinata chiedeva dichiararsi che i compensi richiesti
 costituivano, per la  sistematicita'  con  cui  venivano  effettuati,
 misure  di effetto equivalente ai dazi doganali o a restrizioni quan-
 titative all'importazione o quanto  meno  tributi  interni:  ipotesi,
 tutte, vietate dagli artt. 12, 30 e 95 del trattato di Roma.
    Si  costituiva  la  convenuta contestando le opposte pretese delle
 quali chiedeva il rigetto denunciandone l'infondatezza.
    Osservava,  al  riguardo,   che   i   compensi   per   l'attivita'
 certificativa veterinaria non erano stati chiesti in base all'art. 61
 del  t.u.  n.  1265/1934  avversariamente  invocato  (e che, appunto,
 prevedeva la corresponsione dei compensi quando i certificati fossero
 domandati  "nell'esclusivo  interesse  privato")  bensi'  in   virtu'
 dell'art.  40  del  r.d.  20  dicembre 1928, n. 3298, che subordinava
 l'introduzione nel territorio comunale  di  carne  fresca,  macellata
 altrove  e  destinata  agli  spacci  pubblici  ed  agli  stabilimenti
 industriali, tra l'altro, ad una dichiarazione  del  veterinario  (un
 tempo   comunale;   ora,  a  seguito  dell'istituzione  del  servizio
 sanitario nazionale) dell'u.s.l. attestante che la carne  apparteneva
 ad animale perfettamente sano e regolarmente macellato.
    Tale  servizio,  d'altro  canto, veniva reso solo indirettamente a
 favore  della  collettivita',  ma  principalmente   in   favore   del
 commerciante  che,  con  tale  documento,  poteva svolgere la propria
 attivita'.
    Quanto, poi, alle lamentate violazioni  di  norme  comunitarie  da
 parte  della legge regionale denunciata osservava che nessun ostacolo
 poteva frapporsi all'esercizio  da  parte  dello  Stato  del  proprio
 diritto  di  verificare l'idoneita' del prodotto importato; specie se
 tanto il prodotto nazionale che quello proveniente  da  Paesi  membri
 erano sottoposti al medesimo controllo.
    Chiedeva,  pertanto, rigettarsi la domanda e condannarsi l'attrice
 al pagamento della somma di L.  83.162.800  (nelle  more  il  credito
 della  u.s.l.  era  infatti  lievitato, secondo il di lei assunto, in
 tale misura) con gli interessi di mora.
    Dopo scambio di memorie l'attrice  chiedeva  rimettersi  gli  atti
 alla  Corte di giustizia della Comunita' economica europea perche' le
 fossero sottoposti vari quesiti relativamente alla dedotta violazione
 comunitaria da  parte  del  legislatore  nazionale;  e  l'istruttore,
 ritenutane  l'opportunita' involgendo la questione la sospensione del
 giudizio, decideva di rimettere subito  la  questione  all'esame  del
 collegio con ordinanza 27 novembre 1990.
    Il  collegio adito non ravvisava l'esistenza di particolari motivi
 per disporre nei sensi richiesti dall'attrice  restituendo  gli  atti
 all'istruttore per la precisazione delle conclusioni.
    Nel  provvedimento  reiettivo  si  sottolineava  come  i controlli
 veterinari effettuati da parte della u.s.l. 11  non  dovevano  essere
 intesi  quali  mera  duplicazione  dei  controlli sanitari effettuati
 all'origine  nei  paesi  membri  di  produzione  in  quanto  tesi   a
 verificare    la    sussistenza   a   destino   ed   all'atto   della
 commercializzazione del bene, nel  paese  di  importazione,  di  quei
 requisiti  del  prodotto-carne gia' accertati nel Paese di produzione
 che per avventura e  per  fatti  anche  indipendenti  dalla  volonta'
 dell'importatore, avrebbero potuto venir meno durante il trasporto.
    Accertato,  poi,  che tale duplice controllo (alla produzione ed a
 destino) gravava anche sulla carne nazionale, il  collegio  osservava
 che  siffatto  sistema non poteva ritenersi in contrasto con le norme
 del trattato denunciate (art. 12: divieto di introduzione di tasse di
 effetto equivalente: art. 30:  divieto  di  restrizioni  quantitative
 all'importazione e di misure di effetto equivalente; art. 95: divieto
 di  rendere  piu' gravoso il prodotto proveniente da Paesi membri del
 corrispondente prodotto  nazionale)  per  cui  non  riteneva  affatto
 necessario dare ingresso al quesito proposto dalla societa' attrice.
    L'attrice  ricorreva,  allora,  in  via  di urgenza all'istruttore
 chiedendo  ingiungersi   alla   u.s.l.   convenuta   di   consentirle
 l'introduzione  in  transito e la vendita delle carni nell'ambito del
 Comune  di  Genova  senza  esigere  i  compensi  di  cui  alla  legge
 regionale,  denunciata  anche di incostituzionalita', sottolineando i
 gravi ed  insopportabili  oneri  finanziari  che  in  caso  contrario
 avrebbe dovuto sopportare.
    Ma  l'istruttore  rigettava il ricorso rilevando da un lato che la
 prestazione imposta  trovava  il  suo  fondamento  in  una  specifica
 disposizione  avente forza di legge che si imponeva all'osservanza di
 tutti coloro cui spettava farla osservare, insuscettibile  di  essere
 disapplicata  seppure  in  via  di  urgenza  e  seppure sospettata di
 incostituzionalita'; ne' i tempi tecnici  necessari  per  denunciarne
 l'incostituzionalita'  alla Corte costituzionale potevano conciliarsi
 con una tutela immediata del diritto fatto valere  ex  art.  700  del
 c.p.c.
    D'altro  canto,  come  ritenuto  dal  collegio,  la disciplina non
 poteva ritenersi  allo  stato  comunitariamente  illegittima;  e,  da
 ultimo,  non  poteva  ravvisarsi  costituire pregiudizio imminente ed
 irreparabile il pagamento, pur  ingiusto,  di  una  somma  di  danaro
 (salvi  i  casi  in  cui  detta  dazione,  per  condizioni soggettive
 particolari  o  per  oggettiva  enormita'   della   stessa   avessero
 rappresentato  un  esborso  insopportabile  per  il  solvens) proprio
 perche'  all'indebito esborso poteva ovviarsi in maniera satisfattiva
 all'esito della lite con la condanna  dell'indebito  percettore  alla
 restituzione ed ai danni.
    E  la  causa,  sulle  conclusioni  come sopra trascritte, e' stata
 trattenuta in decisione all'odierna udienza collegiale.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    Dalla documentazione versata in atti dall'attrice si e'  accertato
 che  questo  tribunale, in altra causa vertente tra diverse parti, ha
 recentemente sottoposto  alla  Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
 europee    la   problematica   sollevata   dalla   societa'   attrice
 relativamente al preteso contrasto con le direttive comunitarie della
 legge della regione Liguria 22 agosto 1989, n. 31 (cfr. Genova,  ord.
 21  ottobre  1991  in  causa  Ligur  Carni  S.r.l. c/ la u.s.l. XV di
 Genova).
    Piu' esattamente in quella specie e' stato chiesto di conoscere:
       a) se in base al sistema comunitario vigente e  in  particolare
 alle  disposizioni  delle direttive del consiglio n. 64/433, 89/662 e
 90/425  CEE  l'ordinamento  comunitario  sia  compatibile   con   una
 normativa  e  prassi  nazionali  che, nel caso di importazione in uno
 Stato membro di carni fresche provenienti da  altri  Stati  membri  e
 gia'  sottoposte  nello  Stato  speditore alle visite ed ai controlli
 previsti dalle suddette direttive, assoggetati nel  territorio  dello
 Stato  di destinazione le merci in transito e in arrivo nel comune di
 destinazione  a  ispezioni  veterinarie  e  controlli   sanitari   di
 carattere sistematico e onerose per gli importatori;
       b)  se  negli  scambi  intercomunitari  di  carni  fresche gia'
 assoggettate  alle  visite  sanitarie  nello   Stato   speditore   in
 conformita'   alle   direttive  comunitarie,  rientri  nel  campo  di
 applicazione dei  controlli  veterinari  che  ancora  possono  essere
 effettuati  nello  Stato  destinatario  in conformita' alle direttive
 considerate, un controllo veterinario di  carattere  sistematico  nel
 luogo  di  destinazione effettuato al momento dell'entrata nel comune
 di destinazione che consista, tra l'altro,  in  ispezioni  verifiche,
 controlli  obbligatori ai fini della commercializzazione delle merci,
 nel rilascio di un certificato attestante che le carni provenienti da
 paesi comunitari "sono in buono stato di conservazione e atte all'uso
 alimentare",  imponga  all'importatore  un  onere  economico  secondo
 tariffe formulate con discrezionalita' dalla p.a.;
       c) se in caso negativo, controlli siffatti possano qualificarsi
 tasse di effetto equivalente;
       d)  se  possano  ritenersi  conformi al diritto comunitario una
 normativa e prassi nazionali  che  impongano  a  carico  delle  merci
 provenienti  da  altri  Stati membri diritti, per sistematiche visite
 veterinarie, analoghi  a  quelli  previsti  nella  misura  e  con  le
 modalita'  di  cui  all'art.  3  della legge della regione Liguria 22
 agosto 1989, n. 31.
    Va quindi dato atto che con tale quesito  la  Corte  di  giustizia
 delle  CE  e'  gia'  stata  investita  da  un  organo giurisdizionale
 nazionale  della  questione  di  fondo  sollevata  dall'attrice   con
 riguardo  alla  violazione  comunitaria  della normativa disciplinata
 dalla legge regionale suindicata.
   E opportunita' vorrebbe che il  presente  giudizio  dovesse  essere
 sospeso   in  attesa  di  conoscere  l'orientamento  della  Corte  di
 giustizia al riguardo: senonche' va rilevato che l'attrice,  oltre  a
 denunciare  la  legge  regionale  della  violazione  suddetta,  ne ha
 altresi'  eccepito  il  contrasto con il principio costituzionale del
 nullum  tributum  sine  lege  sul  rilievo  che  con  essa  e'  stato
 sostanzialmente  introdotto  un  tributo  non  regolato  da una legge
 statuale.
    L'eccezione ad avviso del Collegio e' rilevante  nel  giudizio  in
 corso e non manifestamente infondata per i motivi di cui in appresso.
    E'  rilevante  perche',  nell'ipotesi di caducazione di tale norma
 per   effetto   di   un   eventuale    riconoscimento    della    sua
 incostituzionalita',  la  pretesa  della u.s.l. convenuta diverrebbe,
 per cio' solo e senza  attendere  alcuna  pronuncia  della  Corte  di
 giustizia delle CE, priva di ogni legittimo fondamento.
    E non appare manifestamente infondata in quanto la legge regionale
 22  agosto  1989,  n.  31,  sembra  al  collegio  aver effettivamente
 istituito un nuovo tributo o comunque  una  prestazione  patrimoniale
 imposta  senza  che  l'istituzione  stessa  sia stata prevista da una
 legge statuale, come richiesto dall'art. 23 della Costituzione.
    La disciplina denunciata (art. 1) prevede infatti che sono  tenuti
 alla corresponsione di un compenso a favore dell'unita' sanitaria lo-
 cale  (U.S.L.)  i  soggetti  privati  che  richiedono,  tra  l'altro,
 ispezioni, verifiche, controlli sugli alimenti di origine  animale  e
 sugli   animali  ai  fini  della  loro  commercializzazione,  nonche'
 certificazioni  utili  alla  commercializzazione  degli  alimenti  di
 origine animale, degli animali ed in genere dei prodotti animali.
    L'esazione  del  compenso  e' prevista all'atto dell'effettuazione
 della prestazione (art. 2) per un  ammontare  che  viene  determinato
 dalla giunta regionale (art. 3).
    E'  pacifico  in  causa  che gli importatori di carni fresche sono
 tenuti  a   richiedere   tali   visite   veterinarie   se   intendono
 commercializzare  il  prodotto  nell'ambito  del  comune:  per cui la
 richiesta di visita veterinaria della carne importata si impone  come
 dovuta  a  prescindere dalla libera scelta del soggetto interessato a
 pretenderla.
    Cio' e' sufficiente ad avviso del collegio per ritenere  che  tale
 prestazione  abbia  le  caratteristiche  della  tassa  e,  come tale,
 rientri nell'ampio genus  dei  tributi  assistiti  dal  principio  di
 riserva di legge.
    Essa,  infatti,  si contraddistingue come un pubblico servizio che
 la p.a. appronta nell'interesse specifico dell'obbligato mediante  un
 corrispettivo  che  non  ne  copra  certamente  il costo ma che viene
 svolto  anche  nel  precipuo  interesse  della  collettivita',   onde
 evitarle  un  pregiudizio alla salute derivante dall'introduzione sul
 mercato di alimenti dannosi.
    Ma,  quand'anche  se  ne  contestasse  la  natura  di   tassa   o,
 genericamente, di tributo, e si sostenesse la natura di corrispettivo
 di un pubblico servizio o di un vantaggio, l'assoluta obbligatorieta'
 della  richiesta  della  visita ed il pagamento coattivo del servizio
 non potrebbero non ritenerla una "prestazione patrimoniale  imposta",
 che,  ai sensi dell'art. 23 della Costituzione, puo' essere istituita
 esclusivamente "in base alla legge".
    Invero e' stato sostenuto, in tema  di  tariffe  telefoniche,  che
 tutte  le  volte  in  cui  un  servizio,  in considerazione della sua
 particolare rilevanza venga riservato alla mano pubblica e  l'uso  di
 esso  sia  da  considerare  essenziale  ai  bisogni  della vita, deve
 riconoscersi  che  la  determinazione  autoritaria  delle tariffe sia
 assimilabile,  nella  realta'  effettuale,  ad  una  vera  e  propria
 imposizione di prestazioni patrimoniali.
    Se  infatti  e' vero che il cittadino e' libero di stipulare o non
 stipulare il contratto, e' altrettanto vero che  questa  liberta'  si
 riduce   alla   possibilita'   di   scegliere   tra  la  rinunzia  al
 soddisfacimento  di  un  bisogno  essenziale  e   l'accettazione   di
 condizioni   e   di   obblighi  unilateralmente  e  autoritativamente
 prefissati: rappresentando, quindi, una  liberta'  meramente  formale
 perche'  la  scelta  del  primo  senso  comporta  il sacrificio di un
 interesse assai rilevante (cfr. Corte costituzionale 9  aprile  1969,
 n. 72).
    Dell'ipotesi  surrichiamata  pare  chiara  riproduzione il caso di
 specie atteso che la commercializzazione del prodotto-carne da  parte
 dell'importatore    viene    assoggettato   alla   previa   richiesta
 obbligatoria di un servizio veterinario le cui tariffe sono state de-
 terminate non gia' dal legislatore nazionale bensi'  dal  legislatore
 regionale:  di talche' l'esercizio di una attivita' commerciale viene
 subordinato al previo assolvimento di una prestazione per un servizio
 sostanzialmente obbligatorio.
    E poiche' non risulta che la regione Liguria  sia  stata  delegata
 dal  legislatore  nazionale  ad  istituire tale servizio coattivo (v.
 legge 23 dicembre 1978, n. 833) ne' l'imposizione tributaria  rientra
 tra   le  funzioni  legislative  attribuite  alle  regioni  ai  sensi
 dell'art. 117 della Costituzione, consegue che la legge regionale  in
 discorso, ad avviso del collegio, sembra porsi in obiettivo contrasto
 con il principio sopra ricordato della riserva di legge.
    Gli   atti   devono,   quindi,   essere   trasmessi   alla   Corte
 costituzionale per  il  giudizio  di  costituzionalita'  della  legge
 regionale  anzidetta  per contrasto con l'art. 23 della Costituzione:
 mentre il giudizio in corso  deve  essere  sospeso  in  attesa  della
 definizione della questione prospettata.