Ricorso per la regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore Enrico Boselli, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 1022 del 24 marzo 1992, rappresentata e difesa, come da mandato a margine, dall'avv. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma, presso l'avv. Luigi Manzi, via Confalonieri 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per l'annullamento della legge 17 febbraio 1992, n. 179, recante "Norme per l'edilizia residenziale pubblica" e precisamente dell'articolo 16 di essa (e dell'art. 1, secondo comma, come si dira'), in quanto tale disposizione (che d'altronde nulla ha a che fare con l'edilizia residenziale pubblica) introduce ed impone alle regioni un regime di privilegio per la realizzazione di interventi edilizi previsti da "programmi integrati di intervento", un regime che irragionevolmente sovverte l'intero sistema della disciplina urbanistica, in illegittima violazione dell'art. 117 della Costituzione, in collegamento con l'art. 3, primo comma, e con l'art. 97, primo comma, e con i connessi principi costituzionali, in violazione altresi' dell'art. 9, secondo comma, nonche', in violazione dell'art. 119 della Costituzione; F A T T O La legge n. 179 del 1992 detta nuove ed attese norme in materia di edilizia residenziale pubblica, norme che, per quanto attengono alla specifica materia, non formano qui oggetto di contestazione. La stessa legge tuttavia, contiene all'art. 16 una disposizione in qualche modo "intrusa" nel corpo normativo, e che in modo assolutamente estemporaneo introduce un vulnus di notevole dimensione nel sistema della disciplina urbanistica, compromettendolo nei suoi stessi fondamenti. Tale disposizioni, contenuta al Capo V della legge (che in realta' "Capo" della legge non e', ma e' semplicemente il formale contenitore dell'art. 16, egualmente avulso dal contesto della legge: ed infatti esso non solo e' esaurito dal predetto articolo, ma persino ne ripete la denominazione) definisce e disciplina progetti di intervento edilizio denominati "progammi integrati di intervento". Detti programmi sono caratterizzati - secondo l'impugnata disposizione - dalla "presenza di pluralita' di funzioni", dalla "integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di urbanizzazione", da una "dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana" e dal "possibile concorso di piu' operatori e risorse finanziarie pubblici e privati" primo comma. Questa stessa descrizione rende evidente la natura di progetto edilizio generale propria del programma integrato, e l'assenza di qualunque specifico nesso o legame esclusivo con l'edilizia residenziale pubblica. Cio' e' confermato dal comma successivo, ove si afferma i programmi sono "relativi a zone in tutto o in parte edificate o da destinare anche a nuova edificazione al fine della loro riqualificazione urbana ed ambientale". In pratica, il programma integrato puo' riguardare qualunque zona, essendo difficile immaginare zone che gia' non siano "in tutto o in parte edificate" e nemmeno siano suscettibili di essere destinate "a nuova edificazione". Chiarito cosi' l'oggetto e l'ambito del programma integrato, si precisa poi che l'approvazione da parte del consiglio comunale comporta "gli effetti di cui all'art. 4 della legge 28 gennaio 1977, n. 10". Ora, benche' l'art. 4 richiamato non preveda particolari "effetti", ma contenga in generale la disciplina della concessione, non sembra possibile interpretare il rinvio in modo diverso che attribuendo all'approvazione del programma integrato il valore di rilascio della concessione edilizia per gli interventi in esso previsti (anche se tanto piu' semplice a tale scopo sarebbe stato sancire che l'approvazione stessa equivale a rilascio della concessione edilizia). Sin qui, comunque, le disposizioni esaminate non incidono sulla disciplina urbanistica se non in quanto prevedono una sorta di speciale concessione edilizia relativa ad un intervento particolarmente ampio: e ci sarebbe semmai da chiedersi per quale ragione la legge sottragga per tale permesso la competenza all'organo che normalmente la esercita - il Sindaco - per attribuirla al consiglio comunale. Ma la ragione si chiarisce subito, ed e' che il legislatore espressamente dispone che il programma possa essere "in contrasto con le previsioni della strumentazione urbanistica" (quarto comma): nel qual caso la delibera di approvazione e' soggetta alle osservazioni da parte di associazioni, cittadini e di enti, da presentarsi entro il termine di quindici giorni; quindi il programma con le osservazioni e' trasmesso alla regione, la quale - testualmente - "provvede alla approvazione o alla richiesta di modifiche entro i successivi centocinquanta giorni, trascorsi i quali si intende approvato" (e' da ritenere, ovviamente, il programma). Ancora, la realizzazione del programma "non e' subordinata all'inclusione nei programmi pluriennali di attuazione di cui all'art 13 della legge 28 gennaio 1977, n. 10". I programmi integrati (che corrispondono evidentemente ad interessi edilizi ed immobiliari "forti" godono dunque, rispetto agli interventi ordinari, di un regime urbanistico ed edilizio assolutamente privilegiato e semplificato. Essi non subiscono i vincoli posti da quale che sia strumento urbanistico, e derogano percio' al principio della previa regola; essi neppure sono soggetti al connesso principio della distinzione tra il momento della pianificazione ed il momento della verifica della conformita' del progetto alla pianificazione attraverso la concessione edilizia; essi non sono soggetti all'ulteriore principio della pianificazione temporale degli interventi; per essi vale una procedura che vagamente imita le tipiche procedure di pianificazione, ma che e' nell'insieme caratterizzata da un andamento sbrigativo, che culmina nella previsione del silenzio-assenso per l'approvazione regionale. Dunque, tanto i comuni interventi edilizi, quelli di dimensione tale da non incidere "sulla riorganizzazione urbana" sono assoggettati a regole e verifiche, altrettanto, al contrario, per i grandi progetti integrati e' predisposta una via larga e confortevole. Al privilegio urbanistico-edilizio si collega inoltre un regime di preferenza finanziaria. Intanto, lo Stato stesso si riserva non meglio precisati "contributi", a valre sui "fondi di cui all'art. 2" (anche essi non meglio precisati, anche se e' da supporre che si tratti di quelli di cui al primo comma. Il secondo luogo, le regioni non solo sono autorizzate a destinare parte delle somme loro attribuite "alla formazione di programmi integrati" - secondo l'ottavo comma dell'art. 16 - ma addirittura vedono parte dei fondi ad esse assegnati "destinati prioritariamente, e fino al limite del 30 per cento delle disponibilita', ai programmi di cui all'art. 16" (art. 2, secondo comma). In terzo luogo, la formazione dei programmi integrati da parte dei comuni diventa addirittura criterio generale di priorita' per l'assegnazione da parte regionale dei finanziamenti relativi all'edilizia residenziale pubblica. E' evidente l'impatto della nuova normativa nel tessuto complesso e delicato della disciplina urbanistica e dei suoi principi fondamentali, che pur non vengono modificati nel loro valore generale: un impatto - ad avviso della ricorrente regione - non solo radicalmente distruttivo sul piano del merito, ma altresi' costituzionalmente illegittimo nella sostanza dell'intervento normativo. Ed e' evidente altresi' che tale impatto gravemente intacca e lede il quadro dei poteri legislative ed amministrativi della regione, costringendo l'azione regionale sia legislativa che amministrativa in un quadro di principi che nel loro insieme risultano - a causa delle nuove disposizioni - affetti da irragionevolezza, disparita' di trattamento, non solo incapaci di garantire il buon andamento dell'attivita' amministrativa, ma al contrario palesemente atti a promuoverne il cattivo andamento, creando un "diritto urbanistico" diverso a seconda degli operatori, e per di piu' privilegiato per gli operatori forti. Inoltre, le disposizioni finanziarie violano, come accennato, l'autonomia finanziaria delle regioni. D I R I T T O I. - Illegittimita' costituzionale delle disposizioni dell'art. 16 relative ai programmi integrati, ed in particolare del quarto comma, in quanto, vincolando le regioni, determina un regime urbanistico ed edilizio di privilegio. Eccesso di potere legislativo e lesione del principio di ragionevolezza; contradditorieta' ed intrinseca incoerenza del quadro complessivo della disciplina urbanistica risultante dal nuovo intervento legislativo. Violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione. 1. - All'esposizione dei singoli motivi di illeggittimita' costituzionale conviene anteporre alcune considerazioni rivolte a chiarire meglio i particolari caratteri della presente controversia. Come esposto in narrativa, con l'art. 16 della legge n. 179/1992 il legislatore statale con una sola disposizione, di una legge non dedicata all'urbanistica, altera radicalmente il quadro dei principi fondamentali della materia, introducendo ad essi deroghe di tale portata da vanificare il sistema costruito in oltre cinquantanni di legislazione urbanistica. Ma nel fare cio' le nuove disposizioni violano in modo grave le regole costituzionali che presiedono alla formulazione ed al mutamento dei principi fondamentali della materia, dei principi che, a norma dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, costituiscono il quadro vincolante di riferimento della legislazione e della amministrazione regionale. In tale modo, la legislazione (ed amministrazione) regionale vengono costrette in un quadro di principi illegittimi, dei quali dovrebbero comunque subire i contenuti, addividendo a statuizioni legislative ed amministrative a loro volta di conseguenza illegittime. E' per evitare cio' che si rende necessario il ricorso a codesta ecc.ma Corte costituzionale, a ripristino di un legittimo quadro di riferimento per l'azione regionale. Nella presente controversia, dunque, non tanto si fa questione - come di frequente - di una invasione di competenza per materia, quanto piuttosto di illegittimo ed arbitrario esercizio del potere- dovere che spetta allo Stato di delineare e mantenere un razionale quadro di principi fondamentali al cui interno possa svolgersi la legislazione (e l'amministrazione regionale); si fa questione, in altre parole, del "diritto" dello Stato di sfregiare esso stesso, con una singola ed estemporanea disposizione, quel razionale sistema da esso stesso predisposto e creato, e di imporre alle regioni la gestione - sul piano legislativo ed amministrativo - del cumulo di macerie che ne risulta. Conviene precisare, per chiarezza, che la ricorrente regione non contesta affatto il potere statale di mutare ed innovare i principi fondamentali della materia, sostituendo in tutto o in parte il precedente quadro con un nuovo quadro dotato di una diversa razionalita' ispiratrice; contesta invece il potere statale di distruggere il quadro dei principi imponendo alle regioni deroghe illegittime, tali per qualita' e dimensione da porre nel nulla la razionalita' complessiva del sistema, sostituendolo di fatto con un sistema incoerente e confuso, discriminatore tra i diversi operatori, contraddittorio con le esigenze prime di un ordinato sviluppo urbanistico e territoriale, esse stesse costituzionalmente tutelare. 2. - Venendo ora alle specifiche ragioni di illegittimita' costituzionale, conviene considerare in primo luogo - per priorita' logica, non per priorita' di parametro costituzionale - l'evidente sproporzione tra il carattere estemporaneo dell'intervento operato dall'art. 16 della legge n. 179/1992 e l'enormita' delle conseguenze che ne derivano sul piano della disciplina urbanistica: consistenti in sintesi, come esposto, nella creazione di un sistema urbanistico privilegiato, parallelo ed indipendente rispetto a quello ordinario, per gli interventi di maggiore rilevanza urbanistica. La ricorrente regione e' ben consapevole che l'attuale conformazione costituzionale del sistema delle fonti - che ancora non contiene per le materie regionali l'auspicato livello della "legge organica", gerarchicamente intermedia tra la Costituzione e la normale legge ordinaria - non consente di prospettare in termini di illegittimita' gerarchica la violazione del sistema organico da parte di una qualunque legge. Ma cio' non significa che non esistano gia' nell'attuale sistema principi costituzionali concernenti in generale la potesta' legislativa ed in particolare la potesta' di legislazione di principio nelle materie regionali, che consentono di prospettare in termini di illegittimita' costituzionale almeno i casi estremi di violazione di tali principi. Non si tratta cioe' qui di considerare "gerarchicamente" intangibili gli attuali consolidati principi della disciplina urbanistica, ma piuttosto di richiedere - sul piano della legittimita' costituzionale - che la posizione dei principi fondamentali delle materie avvenga (non importa da parte di quale legge ordinaria, generale o settoriale) secondo criteri di consapevolezza e di coerenza complessiva. A tali criteri pare evidentemente contraddire il fenomeno della norma "intrusa" nel corpo di una legge rivolta a oggetti e fini del tutto diversi da quelli della norma, appunto, intrusa: almeno quando la norma intrusa non si limiti a mere integrazioni del sistema, ma ne comporti il complessivo sconvolgimento. A tali obiettivi e scopi essa e', proprio in quanto intrusa, impari a partire dalla conformazione stessa dell'iniziativa legislativa, che non esprime un vero progetto legislativo in materia (tanto a maggior ragione quando, come in questo caso, la legge risulti approvata in semplice commissione parlamentare). Codesta eccellentissima Corte costituzionale, d'altronde, ha gia' avuto modo di affermare, tra gli argomenti capaci di comporre il complessivo giudizio di illegittimita' costituzionale, la rilevanza del carattere intruso di una disposizione: cio' ad esempio quando, in relazione al giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge 9 gennaio 1991, n. 19, ha stabilito (sentenza n. 227/1992) che la disposizione impugnata sia "per il suo oggetto" che "per la sua formulazione testuale" non poteva ritenersi collegata con le finalita' complessive della legge che la ospitava, e che proprio percio' essa si risolveva nell'attribuzione di un ingiustificato privilegio ad una specifica regione rispetto alle altre, argomentando "l'ingiustificatezza e l'irragionevolezza" della soluzione normativa in particolare dal suo essere "non coerente e comunque non necessaria rispetto alla stessa scelta di fondo della legge". Ma tali considerazioni si rendono a maggior ragione necessarie in relazione alla questione qui posta, nella quale le conseguenze della norma intrusa appaiono ben piu' gravi, ben piu' estese, ben piu' durature, ben piu' irrazionali che un limitato privilegio concesso ad una singola citta', come nel caso allora in discussione della citta' di Venezia. 3. - Come sopra esposto, l'effetto delle disposizioni dell'art. 16 della legge n. 179 e' di creare un doppio regime urbanistico ed edilizio. Da una parte, infatti, continuano ad esistere le regole ordinarie per le "normali" concessioni edilizie, in relazione alle quali i normali cittadini si trovano a percorrere la via stretta, ancorche' posta a giusta e rigorosa tutela di un interesse pubblico vitale ed essenziale (e gia' nel passato tanto maltrattato, proprio ad opera di quelle "convenzioni sostitutive della pianificazione" vietate dalla legge ponte del 1967, convenzioni cui il nuovo strumento tanto assomiglia, con l'aggravante che ora la pianificazione urbanistica esiste dovunque) dei rigidi principi dell'urbanistica "ordinaria": il principio di previa pianificazione, il principio della distinzione tra momento del piano e momento del permesso edilizio (quest'ultimo in funzione di verifica della conformita' al piano), il principio della programmazione temporale degli interventi. Dall'altra parte esiste invece - creata dall'art. 16 qui impugnato - la larga autostrada dei "programmi integrati", per la quale nessuno di tali principi e' piu' operante, ma opera invece il solo principio che gli interessi forti sostanzialmente "contrattano" caso per caso la programmazione e nello stesso tempo l'esecuzione urbanistica ed edilizia direttamente con i poteri locali, a prescindere da ogni vincolo di razionalita' complessiva e di regola previa. E' evidente come tale situazione contraddica in primo luogo il principio costituzionale di eguaglianza fissato dall'art. 3, primo comma, della Costituzione. Ne' varrebbe obbiettare che la differenziazione dei due regimi radicalmente differenti e' giustificata dalla diversita' degli interventi cui ciascuno si applica. Al contrario, proprio la considerazione di tale diversita' mette semmai in luce un ulteriore profilo della lesione del principio, in relazione al secondo comma, dello stesso art. 3. Infatti, a parte che l'individuazione dei presupposti del nuovo regime semplificato e', come esposto in narrativa, talmente generica da attribuire una discrezionalita' sostanzialmente illimitata al Comune nella qualificazione del progetto come progetto integrato, risulta paradossale che le ordinarie garanzie vengano meno proprio per quegli interventi nei quali, in relazione agli interessi in gioco ed alla loro forza, esse sarebbero piu' necessarie. Se un regime semplificato puo' razionalmente prevedersi esso deve riguardare, parrebbe, gli interventi minori, quelli suscettibili di recare minor danno urbanistico; ed infatti, a questo criterio si e' sin qui tenuta la legislazione, ed in particolare quella successiva al 1977, che ha sostanzialmente liberalizzato le opere interne ed ha semplificato la procedura per gli interventi soggetti a semplice autorizzazione edilizia. La nuova disciplina fa esattamente il contrario, creando una via semplificata proprio per quegli interventi e quei soggetti che largamente, gia' con le attuali rigorose garanzie, per la rilevanza stessa delle relazioni economiche che esprimono piu' facilmente ottengono considerazione particolare, ed ai quali la nuova disposizione toglie persino l'impaccio del doversi confrontare comunque con i vincoli e le regole ordinarie. Le considerazioni ora esposte con riferimento all'art. 3 della Costituzione mettono tuttavia in rilievo anche la violazione dell'art. 97, primo comma, della Costituzione, in relazione alla violazione del principio di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione. Le nuove regole privano infatti le autorita' locali e le stesse autorita' regionali della possibilita' di far valere - di fronte alle pressioni dei soggetti e degli interessi forti - l'impossibilita' di un immediato accedere alle loro esigenze, per la necessita' di conteperarle e comporle in un quadro urbanistico predefinito. Inoltre - cio' che e' altrettanto grave - la nuova disposizione sottrae tali interventi al momento della verifica della conformita' del concreto progetto alla programmazione. Non solo cioe', come detto, gli interventi maggiori contrattano caso per caso il proprio piano da una evidente posizione di forza, ma sulla realizzazione dell'intervento manca ancora la verifica moderatrice di un organo monocratico, nell'ambito di un procedimento nel quale trovi adeguato spazio la componente tecnica della valutazione. Con la verifica della conformita' del progetto al piano (sembrata forse inutile al legisaltore nel momento in cui il progetto si fa esso stesso piano del caso singolo) cade ogni adempimento procedurale normalmente (e giustamente) necessario: dal parere della commissione edilizia al nulla osta dei vigili del fuoco e delle autorita' sanitarie. Tutto cio' e' sostituito dalla sola approvazione di organi politici, palesemente inidonei a compiere quelle imparziali verifiche tecnico-amministrative di cui la fase attuativa della pianificazione evidentemente abbisogna (l'approvazione regionale e' poi addirittura eventuale, dato il meccanismo del silenzio assenso, anch'esso introdotto per gli interventi maggiori, ad ulteriore scempio alla disciplina urbanistica). Le nuove disposizioni, percio', non solo non garantiscono l'imparzialita' ed il buon andamento dell'amministrazione, ma sembrano al contrario studiare per favorire l'opposto risultato della parzialita' e del cattivo andamento. II. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 16, primo, secondo, terzo, quarto comma, in quanto essi in modo irragionevole irrigidiscono nel dettaglio la conformazione sostanziale e procedurale dei programmi di intervento, completamente ignorando la potesta' legislativa regionale. All'interno di un quadro di complessiva illegittimita' costituzionale, specifiche ragioni di illegittimita' costituzionale investono poi singoli elementi sostanziali e procedimentali dell'istituto giuridico disciplinato dal legislatore statale. Tali illegittimita' costituzionali rimangono prive di rilievo nella prospettiva dell'accoglimento dei motivi di ricorso sin qui prospettati, nel quale la ricorrente regione confisca: ma acquistano invece autonomo rilievo nell'ipotesi che l'istituto del programma integrato di intervento in se' considerato venga ritenuto conforme alla Costituzione. Per come e' concepita, infatti, la disposizione sembra del tutto ignorare di muoversi in un settore costituzionalmente affidato alle regioni, nel quale allo Stato spetta la disciplina dei principi fondamentali, alle regioni stesse lo svolgimento dei principi posti. Nella disposizione, infatti, la regione non appare affatto quale titolare di potesta' legislative, ma esclusivamente come titolare di un potere amministrativo di approvazione, dal cui esercizio d'altronde e' sembrato al legislatore statale si potesse anche prescindere ove la regione non si affretti a dare o a esplicitamente negare l'approvazione richiesta. Ora e' chiaro il potere legislativo regionale in materia discende da norme costituzionali, e che esso non abbisogna di essere riconosciuto dalla singola legge statale: per cui il semplice fatto che il legislatore lo ignori o mostri di ignorarlo non preclude la possibilita' di esercitarlo, all'interno dei principi comunque posti. Cio' non toglie, pero', che l'ignorare la competenza legislativa regionale in materia, oltre a costituire, per cosi' dire, riprova indiziaria del quadro di complessiva estemporaneita' ed irrazionalita' dell'intervento, conduce anche il legislatore statale a codificare in termini rigidi le carateristiche sostanziali e procedimentali del nuovo istituto, vincolando la regione ad un ruolo - neppure previsto e necessario - di mera attuazione. L'eccessivo grado di dettaglio e compiutezza della disciplina, in altre parole, non e' qui giustificato dalla necessita' di dare immediata tutela a qualche valore di rango costituzionale, ma si pone esclusivamente quale conseguenze dell'errata convinzione degli autori della disposizione di disporre in materia di un potere legislativo non soggetto a regole, in relazione al riparto di competenze tra Stato e regioni. Risulta cosi' in contrasto con la divisione di competenze tra Stato e regioni il tentativo - pure in sostanza fallito - di dare compiuta descrizione delle caratteristiche del nuovo istituto e della sua esatta portata, anziche' delinearne i tratti generali, ponendo criteri ed obbiettivi, lasciando poi alle Regioni di svilupparli nel concreto, curandone anche un armonioso inserimento nel sistema, sia componendo le esigenze di celerita' e flessibilita' con le esigenze di garanzia e di verifica tecnica proprie del sistema urbanistico, sia modulando l'istituto derogatorio in modo non discriminante. Egualmente, le disposizioni procedimentali, pur alquanto abborracciate (e certamente suscettibili sotto questo profilo di essere precisate e meglio formulate in sede regionale) pongono una serie di snodi, che non c'era evidentemente ragione di fissare al livello del "principio" statale: cosi' le previsioni dei termini (i 15 giorni per le osservazioni e i 10 per la trasmissione alla regione, i 150 per la regione stessa), la previsione del meccanismo di silenzio assenso regionale. III. - In particolare. Illegittimita' costituzionale del meccanismo di silenzio assenso per l'approvazione regionale del programma integrato, in quanto rende puramente evenutale la tutela di interessi costituzionalmente tutelati. Una specifica evidente illegittimita' e' poi costituita dall'introduzione di un meccanismo di silenzio assenso in relazione all'approvazione regionale. Con esso, infatti, si rende puramente eventuale la valutazione sulla compatibilita' di insieme nell'intervento proposto con i valori (di rilievo costituzionale) tutelati in via ordinaria dalle diverse forme di pianificazione sovracomunale, quale si esprime nei piani urbanistici provinciali (ora previsti come necessari dalla stessa legislazione statale: art. 15 della legge n. 142/1990) e regionali, nei piani paesistici ed ambientali e nelle altre pianificazioni di settore a rilevanza territoriale. IV. - Ulteriore illegittimita' costituzionale degli effetti direttamente permissivi dell'approvazione del programma integrato, in quanto essi privano di tutela i beni soggetti a speciale tutela architettonica o paesistica, in violazione dell'art. 9, secondo comma, della Costituzione. Un ulteriore profilo di illegittimita' del meccanismo introdotto dall'art. 16, quarto comma, emerge agevolmente considerando che esso, direttamente equiparando l'approvazione del programma alla concessione edilizia, non fa salva nemmeno la necessita' degli speciali nulla osta o autorizzazioni che la legislazione vigente, a tutela di valori costituzionali, prevede come necessari, e necessariamente affidate ad autorita' dotate di particolare competenza tecnica, quale quelle preposte alla tutela dei valori architettonici, artistici, storici e paesistici. Se si considera che i programmi integrati sono specificamente finalizzati alla "riorganizzazione urbana", e si tiene contemporaneamente presente il particolare valore storico ed artistico della quasi totalita' delle citta' e dei centri italiani, non si puo' sfuggire alla constatazione che anche sotto questo profilo la necessaria tutela dei beni costituzionalmente tutelati e' stata totalmente ed illegittimamente pretermessa. V. - Illegittimita' costituzionale delle disposizioni finanziarie del settimo e nono comma dell'art. 16, nonche' dell'art. 1, secondo comma. Infine, la considerazione dell'estraneita' sostanziale dei programmi integrati alla materia dell'edilizia residenziale pubblica (non essendo prescritto che in essi vi sia neppure un minimo di interventi di tale tipo) rende ulteriormente viziate di incongruita', incoerenza e, se si accetta l'espressione, da "sviamento di potere legislativo" le disposizioni che da una parte addirittura impongono alle regioni di destinare parte dei finanziamenti assegnati all'edilizia residenziale pubblica ai programmi integrati (art. 1, secondo comma), dall'altra impongono ad esse una irragionevole priorita' nell'assegnazione dei fondi ai comuni (art. 16, settimo comma). Egualmente illegittima appare poi la disposizione dell'art. 16, nono comma, sia in quanto prevede un intervento contributivo statale privo di giustificazione (la stessa disposizione non lo collega a nessuna particolare ragione di interesse nazionale, ma si limita ad indicarne la copertura finanziaria) sia in quanto egualmente svia la destinazione dei fondi propri dell'edilizia residenziale pubblica.