Ricorso  della  regione  Veneto,  in  persona  del presidente della
 giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della giunta  n.
 1632  in  data  27  marzo 1992, rappresentato e difeso dagli avvocati
 prof. Mario Bertolissi e Luigi Manzi,  ed  elettivamente  domiciliato
 presso  quest'ultimo  in  Roma,  via  Confalonieri  n. 5, per mandato
 speciale a rogito del notaio dott. Giovanni Candiani  di  Venezia  in
 data  27 marzo 1992, n. 91754 di repertorio, contro il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  per  la  dichiarazione  di   illegittimita'
 costituzionale  della  legge 17 febbraio 1992, n. 179, recante "Norme
 per l'edilizia  residenziale  pubblica",  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale del 29 febbraio 1992, e segnatamente dell'art. 16.
                               F A T T O
    Nell'intento  di  soddisfare  una  domanda  di normazione, da piu'
 parti avanzata, volta al riordino della  stratificata  e  non  sempre
 perspicua disciplina posta in tema di edilizia residenziale pubblica,
 il  legislatore  statale  ha  approvato la legge 17 febbraio 1992, n.
 179, (in Gazzetta Ufficiale del 29 febbraio 1992), con  la  quale  ha
 parziamente modificato fra l'altro la legge 5 agosto 1978, n. 457.
    Gran  parte  delle  fattispecie considerate rientrano senz'altro -
 quantomeno dal punto di vista del modo secondo il quale si e'  venuto
 effettivamente  evolvendo  il  sistema  dei rapporti Stato-regioni in
 parte qua - nell'ambito delle attribuzioni riservate allo Stato o che
 comunque  lo  Stato  ha  esercitato   senza   incorrere   in   alcuna
 significativa   declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale:  si
 pensi, ad esempio, a tutto cio' che  attiene  all'equo  canone,  alle
 modalita'  e  agli  apparati  di  gestione  del  patrimonio  edilizio
 pubblico, agli istituti autonomi  case  popolari,  alla  sorte  della
 contribuzione  ex  Gescal (decisa dalla Corte con sent. n. 241/1989),
 alle risorse finanziarie cui attingere, al regime dell'indennita' per
 gli espropri e via discorrendo.
    Ne' la regione ricorrente intende contestare in questa sede alcuna
 delle previsioni inerenti simili aspetti della materia:  materia  che
 va in ogni caso, sia pure brevemente, richiamata, quantomeno per quel
 che  dispone  la  legge  17 febbraio 1992, n. 179, dal momento che si
 contesta la legittimita' di un suo specifico disposto: dell'art.  16,
 dedicato ai "Programmi integrati di intervento".
    Ebbene,  il  ruolo  assegnato dal legislatore statale alla Regione
 nel campo dell'edilizia residenziale pubblica e' il seguente,  tenuto
 conto  del  puro e semplice ordine progressivo delle disposizioni: la
 Regione predispone il proprio programma di  utilizzazione  dei  fondi
 (di cui alla legge n. 179/1992) ripartiti dal comitato per l'edilizia
 residenziale  (C.E.R.),  che conserva nei confronti di essa un potere
 sostitutivo in caso  di  inadempimento  (art.  3);  la  regione  puo'
 riservare  una quota di risorse (entro un limite quantitativo massimo
 predeterminato) per  l'edilizia  agevolata  e  sovvenzionata  per  la
 realizzazione  di  interventi da destinare alla soluzione di problemi
 abitativi di particolari  categorie  sociali,  fissando  i  requisiti
 soggettivi ed oggettivi, ed altresi' per la realizzazione da parte di
 cooperative edilizie a proprieta' indivisa di alloggi da assegnare in
 godimento  a lavoratori dipendenti (art. 4); la regione riparte fra i
 comuni e i loro consorzi le disponibilita' assegnate  ogni  anno  dal
 C.E.R.  e gravanti sul fondo speciale di rotazione per la concessione
 di mutui finalizzati all'acquisizione e  all'urbanizzazione  di  aree
 edificabili   ad  uso  residenziale,  nonche'  all'acquisto  di  aree
 edificate da recuperare (art. 5); la regione opera  quale  tramite  -
 convenzionato  ex  lege  con  gli  istituti  e  le sezioni di credito
 fondiario ed edilizio - per l'erogazione dei contributi  di  edilizia
 agevolata (art. 6) ai soggetti indicati dalla legge statale (art. 7);
 la  regione  dispone,  in  specie per quel che attiene all'attuazione
 dell'art. 19 della legge n. 457/1978  (come  modificato  dall'art.  6
 della  legge n.  179/1992) nel rispetto dei minuti requisiti indicati
 nelle disposizioni dettate  in  tema  di  locazioni  (artt.  8-10)  e
 recupero   (artt.  11-15),  e  concorre  alla  esecuzione  di  quanto
 puntualmente dettato negli artt. 17-19 (Capo III, Disposizioni per le
 cooperative e proprieta' indivisa).
    E' in questo contesto  -  rappresentato  da  fattispecie  che  non
 esaltano  di  certo  la  funzione  regionale  - che e' stato inserito
 (sulla scorta di cio' che e' stato previsto in precedenti progetti  e
 disegni  di  legge)  l'art.  16,  dedicato,  come  si  e'  visto,  ai
 "Programmi integrati di intervento", articolo il quale  prefigura  un
 insieme   di  soluzioni  che  hanno,  relativamente  alle  competenze
 spettanti alla regione ex art.  117  della  Costituzione  in  materia
 urbanistica  (ma  non  solo, ben potendo coinvolgere ogni aspetto del
 tessuto edilizio e ambientale), un effetto negativo  per  cosi'  dire
 draconiano:  nel  senso  che  si  traducono  in  misure  non tanto di
 contenimento di competenze costituzionalmente proprie della  regione,
 quanto  di  vera  e propria neutralizzazione di prerogative spettanti
 anche in forza di  atti  statali  fondamentali  di  trasferimento  di
 funzioni  amministrative  (valga  per tutti il d.P.R. n. 616/1977) e,
 quindi, legislative.
    Il citato art. 16, infatti, prevede: il fine proprio dei programmi
 integrati  (che  e'  quello di "riqualificare il tessuto urbanistico,
 edilizio  ed  ambientale",  il  contenuto  dello  stesso   (che   "e'
 caratterizzato  dalla  presenza  di  pluralita'  di  funzioni,  dalla
 integrazione di diverse tipologie  di  intervento,  ivi  comprese  le
 opere  di  urbanizzazione,  da  una dimensione tale da incidere sulla
 riorganizzazione urbana e dal possibile concorso di piu' operatori  e
 risorse  finanziarie  pubblici  e  privati"; i titolari del potere di
 iniziativa (spettante a "soggetti pubblici e privati, singolarmente o
 riuniti in consorzio o associati fra di loro", fermo restando  quello
 di  promozione  riservato ai comuni; la procedura di approvazione del
 programma ed i suoi effetti, che sono quelli contemplati dall'art. 4,
 della legge 28 gennaio 1977, n.  10,  (che  possiede  una  latitudine
 vastissima,  inerente  -  come  si e' accennato - all'intero "tessuto
 urbanistico, edilizio ed ambientale". In particolare,  l'art.  16  al
 suo  quarto  comma  stabilisce  che,  "qualora  il  programma  sia in
 contrasto con le previsioni della strumentazione  urbanistica  ..  il
 programma  medesimo  con  le  relative osservazioni e' trasmesso alla
 regione", la quale "provvede alla approvazione o  alla  richiesta  di
 modifica  entro i successivi centocinquanta giorni, trascorsi i quali
 si intende approvato".
    Ora, non v'e' dubbio che, pur versandosi  in  materia  sicuramente
 regionale  quale  e' l'urbanistica, l'art. 16 della legge n. 179/1992
 fissa  essa  stessa,  in  un  contesto  che   propriamente   concerne
 l'edilizia  residenziale  pubblica,  i  termini  di svolgimento della
 procedura  di  formazione  del  programma,  e   cio'   fa   in   modo
 assolutamente inderogabile, talche' la regione non puo' stabilirne di
 diversi  per eventuali (ed evidenti) esigenze di coordinamento con le
 altre procedure pianificatorie rilevanti in  campo  urbanistico;  per
 altro  aspetto,  abilitando  la  citata  normativa  anche  i soggetti
 privati a presentare al Comune i programmi di cui trattasi e  potendo
 questi  ultimi  essere approvati anche in contrasto con le previsioni
 della  strumentazione  urbanistica  vigente,  la  norma  si  pone  in
 contrasto  con  la  legge  regionale  n.  61/1985  (legge urbanistica
 regionale) che limita  tale  possibilita'  agli  strumenti  attuativi
 pubblici, negandola invece a quelli privati.
    Al  riguardo  sempre  per  sommi capi, riservandosi di svolgere in
 modo compiuto in apposita memora gli argomenti qui appena delineatosi
 deve rammentare che il giudice delle leggi ha  in  altre  e  ripetute
 circostanze  riconosciuto  la  fondatezza  delle  pretese regionali a
 disciplinare,  sia  pure  nel  rispetto  dei  principi   fondamentali
 stabiliti  dalle  leggi  dello  Stato,  l'urbanistica e a dettare una
 propria disciplina finanche  nel  settore  dell'edilizia  popolare  e
 residenziale  pubblica  per  gli  aspetti  di  essa  che  rilevano  -
 interferendo - sul piano delle  attribuzioni  costituzionali  di  cui
 all'art. 117.
                             D I R I T T O
    La  violazione  dell'art.  117  della Costituzione appare, dunque,
 evidente fra l'altro per i motivi qui di seguito enunciati.
    1. - Con una pronuncia assai significativa  (la  sentenza  del  17
 luglio  1975,  n.  221; ma v. pure la sentenza del 22 giugno 1976, n.
 140), la Corte ha precisato che "e' pacifico  che  l'art.  117  della
 Costituzione  non  contiene alcun riferimento espresso ad una materia
 dell'edilizia residenziale  pubblica,  prevista,  invece,  da  taluni
 statuti regionali speciali, sotto svariate denominazioni (quali 'case
 popolari',  'edilizia  popolare',  'edilizia comunque sovvenzionata')
 come materia unitaria ed a se' stante .. Ma e' pur vero che  trattasi
 in  realta' di materia essenzialmente composita, articolantesi in una
 triplice fase: la prima, avente  carattere  di  presupposto  rispetto
 alle altre, propriamente urbanistica; la seconda, di programmazione e
 realizzazione  delle  costruzioni,  concettualmente  riconducibile ai
 'lavori pubblici' e tradizionalmente rientrante  infatti  nell'ambito
 dell'organizzazione  amministrativa  statale,  centrale e periferica,
 cui spetta la cura dei  pubblici  interessi  a  quelli  inerenti;  la
 terza,  infine,  attinente  alla  prestazione e gestione del servizio
 della casa (disciplina delle assegnazioni degli alloggi in  locazione
 od  in  proprieta',  ecc.),  limitatamente  all'edilizia residenziale
 pubblica in senso stretto .. Ora, tanto la materia dell''urbanistica'
 quanto quella dei  'lavori  pubblici  di  interesse  regionale'  sono
 comprese  nell'elenco  dell'art.  117,  senza  riserve  od  ulteriori
 distinzioni nel loro interno e senza percio' che sia lecito postulare
 la esclusione  da  quest'ultima  di  quel  che  piu'  particolarmente
 concerne  l'edilizia  residenziale pubblica, nella sua accezione piu'
 ampia, entro il limite, ovviamente, della dimensione regionale  degli
 interessi  al  cui soddisfacimento le relative attivita' sono rivolte
 .." E la Corte costituzionale ne ha desunto -  come  annota  Paladin,
 diritto  regionale,  Padova,  1985, 167 - che "fossero spettanti alla
 legislazione ed  all'amministrazione  regionale  non  solo  la  'fase
 urbanistica'  ma  anche la fase ulteriore di realizzazione dei lavori
 pubblici inerenti all'edilizia residenziale (salva soltanto  la  fase
 dell'assegnazione e della gestione degli alloggi".
    E'  questa,  dunque,  una prima conferma dell'assunto prospettato,
 secondo cui il censurato art. 16 delle legge n. 179/1922 collide  con
 il   sistena   di   riparto  delle  competenze  fissato  dalla  legge
 fondamentale posto che le "componenti" della materia vanno  scisse  e
 differentemente  regolate  affinche'  la  normativa  sia coerente con
 l'art. 117 della Costituzione.
    2. - Si deve osservare, quindi, che il citato art. 16 si  discosta
 assai  -  ed  immotivatamente - da quanto dispone il d.P.R. 24 luglio
 1977, n. 616,  relativamente  sia  all'urbanistica  sia  all'edilizia
 residenziale pubblica.
    Quanto   alla   prima,   dalla   combinazione  dei  vari  disposti
 contemplati dagli artt. 80-83 non si desume senz'altro - almeno  pare
 -  una  qualche  clausola  legittimante  il  tenore  delle previsioni
 introdotte dall'art. 16 della legge n. 179/1992. Quanto alla seconda,
 gli artt. 93, 94 e 95 sono  anch'essi  orientati  nel  senso  di  una
 chiara  apertura  in  favore delle regioni, la cui sfera di autonomia
 amministrativa e normativa puo'  essere  verosimilmente  circoscritta
 la'  dove  ricorrono  -  come  si e' osservato in giurisprudenza e in
 dottrina - ragioni di salvaguardia degli interessi nazionali o  delle
 esigenze  di  carattere  unitario  che  nel caso di specie non sembra
 davvero sussistano, come si rilevera' fra un istante.
    3. - Non sussistono, innanzi tutto, perche' non sono in alcun modo
 prospettabili tenuto  conto  delle  fattispecie  esaminate  in  altra
 circostanza dal giudice della costituzionalita' delle leggi.
    Senza  alcuna  pretesa  in  completezza, vale la pena di ricordare
 che, ad esempio, da una lato la  giurisprudenza  ha  consentito  alla
 regione  ordinaria  di  specificare  i  criteri generali e i principi
 direttivi fissati dal Cipe per il computo del reddito  familiare  per
 l'assegnazione  degli  alloggi (sent. 22 dicembre 1986, n. 1134) e ad
 una speciale (nel caso, al  Friuli-Venezia  Giulia)  di  disciplinare
 essa  stessa  la gestione dei finanziamenti assegnati dal Cer. (sent.
 25 maggio 1990, n. 226) e, per converso, ha consentito allo Stato  di
 erogare fondi a favore di Comuni con difficolta' abitativa, posto che
 detti  fondi  costituiscono mezzi essenziali previsti dalla legge per
 perseguire  un  interesse  nazionale   imperativo   ed   urgente   al
 soddisfacimento  di  un diritto sociale fondamentale (sent. 13 luglio
 1989, n. 399).
    D'altro lato - sul versante non  piu'  dell'edilizia  residenziale
 pubblica  strettamente  intesa  ma dell'urbanistica - questa Corte ha
 del pari ammesso che le  competenze  regionali  urbanistiche  fossero
 legittimamente compresse in forza di una situazione di emergenza, che
 richiede  interventi  rapidi  e immediati a salvaguardia di interessi
 primari dei singoli e  dell'intera  collettivita'  (sent.  27  luglio
 1989,  n.  459).  Tuttavia,  in  loro  difetto, ha inequivocabilmente
 aderito alla nozione di urbanistica data dall'art. 80 del  d.P.R.  n.
 616/1977:  col  limite  negativo - costituzionalmente posto dall'art.
 128 Cost. (ma amche dall'art. 118, primo comma) - del non pregiudizio
 delle competenze comunali correlate al relativo  interesse  (sent.  4
 aprile  1990,  n.  157)  e  col  limite  positivo  della  funzione di
 coordinamento svolta dai documenti della pianificazione  urbanistica:
 appunto   le   relative  "attivita'  di  coordinamento  corrispondono
 all'indirizzo normativo generale relativo alla proiezione  dei  piani
 regolatori  al  di  fuori  dello  stretto assetto edilizio ... Con la
 ridefinizione dell''oggetto' dell'urbanistica si  e'  consolidato  il
 principio  della confluenza nell'assetto del territorio di molteplici
 e diversificati interessi (anche storici, ambientali, paesaggistici),
 affidati ad istanze statali e regionali" (sent. 27  aprile  1988,  n.
 499);  e  col  limite  ulteriore  ambivalente  della  coerenza con il
 principio  della  leale  collaborazione,  che  ovviamente  incide   -
 valorizzando   o   comprimendo   i   rispettivi  poteri  normativi  e
 amministrativi - sullo Stato e sulla regione (sent. 30  giugno  1988,
 n. 730).
    4.  -  D'altro  canto,  un  fondamento giustificativo che dia base
 razionale alle prescrizioni urbanistiche dettate dall'art.  16  della
 legge  n.  179/1992  non lo si rinviene - ed anzi si desume semmai un
 qualche  argomento  contrario  -   neppure   dall'esame   di   quella
 giurisprudenza  che  ha cercato di collegare il limite dell'interesse
 (attraverso il limite territoriale) al limite delle  materie.  Stando
 ad essa, infatti, e' interesse nazionale l'interesse che si configura
 come "insuscettibile di frazionamento o localizzazione territoriale".
   Dimodoche',  "gli  organi centrali possono in proposito intervenire
 fin dove l'interesse da soddisfare sfugge necessariamente, per natura
 e   dimensione,   all'apprezzamento   dei   legislatori    e    delle
 amministrazioni  locali.  Altrimenti,  va  fatta  salva la competenza
 dell'ente  autonomo:  il  quale  gode  in  questo  caso,  proprio  in
 considerazione  delle  forme e condizioni particolari del suo status,
 di maggiori possibilita' di valutazione e di  scelta,  rispetto  alla
 Regione di diritto comune" (sent. 15 dicembre 1983, n. 340, cui si e'
 evidentemente  riferito  fra l'altro il redattore della recente sent.
 15 luglio 1991, n. 343, formulata in margine alla legge n.  142/1990,
 sull'ordinamento   delle   autonomie  locali,  nella  quale  si  sono
 utilizzate analoghe argomentazioni per definire la portata dei poteri
 regionali attuativi dell'art. 3 della citata legge del 1990).
    5.  -  Sotto  altro  aspetto,  la denunciata illegittimita' appare
 evidente se si riflette anche solo un istante sul  rapporto  regioni-
 comuni  (e  si  badi  che di una simile relazione si occupa l'art. 16
 della legge n. 179/1992) cosi' come delineato dall'art. 3 della legge
 n. 142/1990: il quale appunto stabilisce che "le regioni  organizzano
 l'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso
 i comuni e le province", "ferme restando le funzioni che attengono ad
 esigenze  di  carattere  unitario"  (primo  comma); ed inoltre che le
 Regioni identificano nelle materie e nei casi previsti dall'art.  117
 della  Costituzione  gli interessi comunali e provinciali in rapporto
 alle caratteristiche della  popolazione  e  del  territorio  (secondo
 comma).
    Orbene,  a  meno  di  non  voler svuotare di ogni suo apprezzabile
 significato un simile eloquente disposto, non par dubbio che lo Stato
 ha - con norma certamente di  principio-attribuito  alla  regione  il
 potere-dovere  di  organizzare  e  coordinare  interessi e funzioni a
 livello locale, tenuto conto  anche  della  posizione  costituzionale
 degli   enti   territoriali   coinvolti;   e  l'organizzazione  e  il
 coordinamento suddetti (che questa Corte  ha  da  tempo  riconosciuto
 come  propri  della regione: v., ad esempio, sent. 27 aprile 1988, n.
 499) non possono che trovare la  loro  sede,  per  quel  che  attiene
 all'urbanistica,  negli  atti  che ne esprimono la progettualita', la
 quale - come sempre questa Corte ha puntualizzato - coagula interessi
 di varia natura e dimensione, cui sono connessi tempi e modi (le pro-
 cedure) per la evidenziazione, tutela e valorizzazione.
    Senza eccepire, dunque, che di per se' l'art. 16  della  legge  n.
 179/1992 contrasta con l'art. 1, terzo comma, della legge n. 142/1990
 la'  dove  ha  inciso su una norma di principio in nodo non espresso,
 determinando cosi'  un  implicito  contrasto  con  l'art.  128  della
 Costituzione,  qui e' da rilevare che la disciplina posta dalla legge
 sulle autonomie concorre - per cio' che essa positivamente prevede in
 ordine all'esercizio delle competenze regionali  ex  art.  117  della
 Costituzione - a dimostrare l'illegittimita' dell'art. 16 della legge
 n.  179/1992,  il cui dettato - per gli aspetti considerati - finisce
 con l'introdurre fattispecie scoordinate e  per  cio'  solo  eversive
 dell'attuale   e   futuro   ordinamento   regionale   delle  potesta'
 urbanistiche.
    6. - In realta', specialmente il terzo,  quarto,  quinto  e  sesto
 comma  non  costituiscono  la risultante del necessario bilanciamento
 che lo Stato avrebbe dovuto operare ra le differenti fasi in  cui  si
 articola  l'intervento nel campo dell'edilizia residenziale pubblica.
 Le prescrizioni di natura  schiettamente  urbanistica  inferferiscono
 immotivatamente  -  e,  dunque,  illegittimamente  - sul quadro delle
 attribuzioni costituzionalmente riservate alla regione e  individuate
 da   normazione   statale  di  principio:  tanto  piu'  la'  dove  le
 disposizioni oggetto di censura affermano che i  programmi  integrati
 di  intervento "sono approvati dal consiglio comunale con gli effetti
 di  cui  all'art.  4  della  legge  28  gennaio  1977  n.  10",   con
 un'operativita'   puntuale   che   si   estende  all'intero  "tessuto
 urbanistico, edilizio ed ambientale".
    In  particolare,  le  minute  previsioni  delle  procedure e degli
 effetti connessi agli apporti dei  soggetti  privati  tolgono  spazio
 alla  legislazione  regionale  sacrificandone  altresi'  la capacita'
 operativa sul piano del governo del territorio,  e  sono  tanto  piu'
 irrazionali in quanto non esiste il benche' minimo fondamento sul pi-
 ano   dell'interesse   unitario   o   di   valori  costituzionali  da
 salvaguardare, come si e' cercato di dimostrare scorrendo  una  parte
 soltanto delle numerose e argomentate pronunce di questo collegio.