Ricorso per illegittimita' costituzionale proposto dalla regione Lombardia, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale, dott. ing. Giuseppe Giovenzana, a cio' autorizzato con delibera della giunta regionale, n. 20448, del 24 marzo 1992, rappresentata e difesa, per mandato in calce al presente atto, dagli avvocati Maurizio Steccanella, del foro di Milano, e Giovanni C. Sciacca, del foro di Roma, presso il quale ultimo, in Roma, via G.B. Vico, n. 29, e' eletto il domicilio; contro e nei confronti di Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, sedente in Roma, palazzo Chigi, piazza Colonna, e legalmente domiciliata presso la avvocatura generale dello Stato, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli artt. 3 e 10, secondo comma, seconda parte, del d.-l. 1 marzo 1992, n. 195, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, n. 52, del 3 marzo 1992, recante "differimento dei termini previsti da disposizioni legislative ed altre disposizioni urgenti". F A T T O 1. - Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 3 marzo 1992, e' stato pubblicato il d.-l. in epigrafe, il quale - come d'altra parte attesta la genericita' del titolo che lo contraddistingue - contiene, in 41 articoli (l'ultimo dei quali relativo alla retroattivita' di talune sue parti), una congerie di disposizioni, tra le piu' disparate e con riferimento alle materie piu' diverse fra loro: dalla durata massima della occupazione di urgenza nelle procedure di espropriazione per causa di p.u., agli interventi per la torre di Pisa, alla assistenza sanitaria ai cittadini extracomunitari, alle provvidenze per le maestranze del cantiere E.N.E.L. di Gioia Tauro, alle funzioni dirigenziali presso l'A.N.A.S., e via dicendo .. 2. - Tra le tante norme inserite in quel d.-l., vi e' l'art. 3, il quale reca il titolo "termine per la approvazione degli strumenti urbanistici", e recita testualmente: "Il termine massimo di centottanta giorni previsto dall'art. 9, secondo comma, del d.-l. 10 novembre 1978, n. 702, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 gennaio 1979, n. 3, deve considerarsi perentorio e la sua decorrenza comporta la tacita approvazione dello strumento urbanistico adottato con l'esame delle osservazioni da parte del consiglio comunale". 3. - Il termine reso, in tal modo, "perentorio", e alla scadenza del quale il d.-l. qui impugnato ha inteso ricollegare il rilevantissimo e del tutto innovativo effetto di approvazione tacita di strumenti urbanistici generali (il richiamo alla lett. b) dell'art. 9 del d.-l. del 1978 ed al secondo comma di esso, nonche' l'ulteriore richiamo all'esame delle osservazioni da parte del consiglio comunale, non possono lasciare alcun dubbio su questo ultimo punto|), e' - in realta' - un termine che le richiamate disposizioni (d.-l. e legge di conversione) del 1978 e del 1979 ponevano, a livello di "principio", come criterio per ottemperare al contestuale obbligo delle regioni, di legiferare in tal senso in materia (urbanistica) indiscutibilmente e interamente trasferita alla loro competenza legislativa ex art. 117 della Costituzione. 4. - Infatti, il testo del d.-l. n. 702/1978, convertito con modificazioni nella legge n. 3/1979, cosi' si esprimeva: primo comma. Entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto le regioni, qualora non abbiano gia' provveduto, dovranno emanare norme per accelerare le procedure per la formazione e la approvazione degli strumenti urbanistici. Tali norme dovranno informarsi ai seguenti principi: a) .. Omissis ..; b) stabilire il termine massimo entro il quale la regione deve adottare il provvedimento definitivo di approvazione; c) .. Omissis ..; secondo comma. Il termine massimo di cui al precedente comma, lett. b), non puo' essere superiore a 180 giorni per il piano regolatore generale e tale termine deve essere adeguatamente ridotto per gli altri atti urbanistici .. ecc. .. 5. - In altre parole, per il combinato disposto dell'art. 9 del d.-l. n. 702/1978, convertito in legge n. 3/1979, e dell'art. 3 del d.-l. 1 marzo 1992, n. 195, oggetto del presente ricorso, gli strumenti urbanistici generali si riterranno tacitamente approvati dalla regione, decorsi 180 giorni dall'avvenuto esame - da parte del consiglio comunale - delle osservazioni, rectius: decorsi 180 giorni dalla data di invio alla regione (per la approvazione) della delibera del consiglio comunale che abbia preso in esame le osservazioni presentate con riferimento ad uno strumento urbanistico generale precedentemente adottato. 6. - Si determina, in tal modo, una serie di effetti giuridici di estrema rilevanza ed aventi la portata di sovvertire in radice il sistema della pianificazione urbanistica e territoriale. Infatti: A) un termine, a suo tempo posto come "principio" per la emananda legislazione delle regioni in materia di indiscussa loro competenza primaria, diventa, viceversa, un termine imposto direttamente da un atto legislativo dello Stato, per il compimento e la emanazione di un determinato e specifico provvedimento amministrativo regionale (approvazione dei piani regolatori generali) che quella emananda legislazione avrebbe dovuto, invece, regolamentare - come e' ovvio e come e' istituzionalmente innegabile - essa stessa; B) risulta introdotto nell'ordinamento l'istituto della approvazione tacita degli strumenti urbanistici generali, vale a dire il silenzio-assenso sulla formazione dei piani regolatori generali, ben noto essendo che la approvazione regionale di questi ultimi (che ora si vuole ammettere in forma "tacita") e' - in realta' - una "co- formulazione" dell'atto pianificatorio, in relazione alla quale si e' sempre parlato di atti caratterizzati da procedimento di "formazione successiva (adozione comunale, approvazione regionale)". 7. - La disposizione oggetto del presente ricorso si appalesa, in tal modo, costituzionalmente illegittima, per gravissima violazione dell'art. 117 della Costituzione, risolvendosi nella autentica espropriazione della funzione - tipicamente regionale - di sottoporre ad approvazione i piani regolatori generali, adottati dai comuni, e nella conseguente vanificazione potenziale del contenuto della funzione di pianificazione di piu' vasta area (sovracomunale, territoriale, regionale), la quale, come e' evidente, sara' condizionata, nel suo concreto esercizio, da gia' avvenute pianificazioni comunali che la regione - in realta' - non ha approvato .. Il caso, pur collocandosi all'interno di un insistente ed inquietante tendenza del legislatore statale alla "riapprovazione" di funzioni trasferite alle regioni e a queste ultime spettanti per dettato della Carta costituzionale, appare talmente macroscopico da potersi quasi definire - sino ad oggi - senza precedenti .. 8. - Il d.-l. 1 marzo 1992, n. 195, poi, all'art. 10, secondo comma, ultima parte, attribuisce direttamente ad un organo dello Stato (Ministro per il coordinamento della protezione civile) la potesta' di "stipulare apposite convenzioni con istituti, gruppi" (anche privati, quindi|) "ed enti di ricerca" .. per il "perseguimento" (in genere|) "di specifiche finalita' di protezione civile". D I R I T T O I. - In ordine alla prima delle disposizioni del d.-l. qui impugnate (art. 3), si deduce e si rileva quanto segue. La prima legge urbanistica generale apparsa nello ordinamento italiano - 17 agosto 1942, n. 1150 - introducendo con carattere di generalita' l'istituto del piano regolatore generale di livello comunale (in precedenza vi erano stati taluni esempi di strumenti urbanistico-edilizi di grandi citta', adottati ed approvati con leggi speciali ad hoc, quale quello per il risanamento della citta' di Napoli, ecc.), prevedeva, all'art. 10, che ciascun piano regolatore generale, una volta adottato, pubblicato e sottoposto alle eventuali "osservazioni", fosse approvato con decreto del Ministro per i lavori pubblici, sentito il parere del consiglio superiore dei lavori pubblici. Tale funzione di approvazione e' stata quindi, trasferita alle regioni, in attuazione dell'art. 117 della Costituzione (che include la urbanistica nelle materie di piena competenza regionale), con l'art. 1, lett. d), del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 ("l'approvazione dei piani regolatori generali"). Successivamente, l'art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ha avuto cura di specificare che nelle funzioni in materia urbanistica rientrano "tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo ..", laddove, il susseguente art. 81 non opera alcuna riserva a favore dello Stato in materia di vigilanza, controllo e approvazione degli strumenti urbanistici generali adottati dai comuni. Sebbene trattisi di nozioni di comune conoscenza, non guasta rammentare che l'attribuzione - operata dal legislatore "accentratore" e "statalista" del 1942 - di un generale potere di "vigilanza sulla attivita' urbanistica" (secondo comma dell'art. 1 della legge n. 1150/1942, la cui estrinsecazione piu' palese e piu' incisiva consisteva, proprio, nella potesta' di approvazione dei piani regolatori generali ex art. 10 della medesima legge) rispondeva alla dichiarata esigenza di "assicurare .. il rispetto dei caratteri tradizionali, di favorire il disurbanamento e frenare la tendenza all'urbanesimo ..". Poteva trattarsi di finalita' socio-politiche del regime dell'epoca, ma sta di fatto che nel momento storico nel quale, viceversa, in attuazione della Costituzione della Repubblica, la funzione urbanistica venne - con il d.P.R. n. 8 gia' citato - trasferito alle regioni, codesta ecc.ma Corte costituzionale, con la sua sentenza n. 141 dello stesso anno (1972), ebbe cura di precisare che trattavasi di funzione avente ad oggetto "l'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati", laddove la gia' citata norma - per cosi' dire "confermativa" del trasferimento gia' operato nel 1972 - di cui all'art. 80 del d.P.R. n. 616/1977 dava, della funzione trasferita, una definizione amplissima, riassunta nel concetto di "disciplina dell'uso del territorio" e articolata in poteri regionali "conoscitivi, normativi e gestionali" delle attivita' che innovano e modificano - appunto - l'utilizzo (uso) del "suolo". Il coronamento di siffatta evoluzione sistematico-interpretativa e' dato dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, sulla "edificabilita' dei suoli", la quale ha praticamente reso obbligatoria la predisposizione di uno strumento urbanistico generale da parte di tutti i comuni della Repubblica. Quale - allora - la ratio di un sistema che, sia prima che dopo la regionalizzazione della funzione in argomento, vi pone al centro un potere di approvazione degli strumenti urbanistici, la redazione- adozione dei quali resta pur sempre funzione squisitamente ed essenzialmente comunale? La risposta non e' difficile. Allo Stato (nella vigilanza del regime statalista ed accentratore) e, poi - dopo la modifica dell'assetto istituzionale della Repubblica - alle regioni compete, infatti, una funzione di pianificazione di vasta area, gia' individuata nei "piani territoriali di coordinamento", previsti dall'art. 5 della legge n. 1150/1942 (anche se, in concreto, rimasti lettera morta in quella fase storica), allo scopo di "orientare e coordinare la attivita' urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio ..". Tale funzione (pianificazione di vasta area) risulta semmai .. rinvigorita dopo l'avvento dell'ordinamento regionale, in occasione del quale la pianificazione "territoriale di coordinamento" di livello sovracomunale e' stata anch'essa pacificamente trasferita con il d.P.R. n. 8/1972 e ridisegnata in chiave "estensiva" dall'art. 80 del d.P.R. n. 616/1977, sempre facendone titolare la regione (non ve ne e' traccia, infatti, nell'art. 81 del citato d.P.R. n. 616/1977, sulle "riserve" statali, che si occupa solo della realizzazione delle opere pubbliche). Da ultimo, la legge 8 giugno 1990, n. 142, allorche' attribuisce alla provincia (art. 15, secondo comma) una "nuova" potesta' di redigere ed adottare essa stessa piani territoriali di coordinamento, demanda - tuttavia - alla regione (terzo e quarto comma) il potere di "approvare" anche quei piani di piu' vasta area (provinciali) per assicurarne la "conformita' agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale", senza far venire meno, comunque, il potere della regione di formulare un proprio "pi- ano territoriale di coordinamento". Questo ultimo istituto appare "recuparato" nelle singole leggi urbanistiche regionali, e la ricorrente regione Lombardia vi dedica gli artt. da 4 a 7 della propria legge regionale 15 aprile 1975, n. 51, assegnando ad esso il ruolo di stabilire norme, criteri e parametri per la pianificazione di livello comunale (art. 4, lett. f), nonche' quello - fondamentale - di inserirvi previsioni "prevalenti" sulla pianificazione urbanistica comunale (art. 4, lett. h), nonche' "immediatamente vincolanti anche nei confronti dei privati" (il che dubitavasi, in dottrina, che fosse possibile nella vigenza del .. disapplicato art. 5 della legge urbanistica generale del 1942). Per poter esercitare queste complesse funzioni di coordinamento della pianificazione urbanistica e di pianificazione urbanistica "diretta" di vasta area, dunque, la "approvazione" dei piani regolatori generali comunali diventa momento essenziale e insopprimibile, che si identifica nella possibilita' di operare scelte - anche a livello di pianificazione comunale - che non contraddicano ne' al detto coordinamento territoriale, ne' all'esercizio della pianificazione regionale diretta di vasta area. Si tratta, infatti, di una autentica "approvazione nel merito" (e non di mero esercizio della vigilanza e del controllo), comprensiva della facolta' di accogliere-respingere "osservazioni" fatte allo strumento adottato nei confronti del comune e da quest'ultimo accolte, respinte, o non esaminate, e comprensiva altresi' della facolta' di apportare modificazioni ex officio allo strumento comunale. Cio' ha portato - da sempre - la dottrina e la giurisprudenza a riconoscere che, in definitiva, il piano regolatore generale comunale e' atto "a formazione successiva" ed e' atto "complesso" (se pure si parli di complessita' "diseguale"). Orbene, la introduzione di una approvazione tacita, cioe' di una approvazione per silenzio-assenso (silenzio-approvazione), quale quella operata con l'art. 3 del d.-l. n. 195/1992, quale effetto "automatico" della "scadenza" di un termine che le sole leggi regionali avrebbero dovuto prevedere e che, viceversa, il legislatore statale (in sede di decretazione governativa di urgenza) ha inteso definire direttamente come "perentorio", si risolve nella effettiva espopriazione della funzione regionale di "governo" (nel senso di coordinamento) dell'uso del territorio, dal momento che piano regolatore generale approvati per "silenzio" a seguito della scadenza di un termine che potrebbe essere reso oggettivamente non osservabile (si pensi solo alla occasionale contemporaneita' di molteplici piani regolatori generali adottati da vari comuni, anche capoluogo), renderebbero lo sviluppo urbanistico dei comuni della regione una .. "pelle di leopardo" urbanisticamente "casual" (duplicazioni di insediamenti, concomitanze incompatibili, compromissioni ambientali, lacerazione del sistema trasportistico e della mobilita', ecc., ecc.), rispetto alla quale cesserebbe di aver senso e significato ogni .. velleitario proposito di esercitare funzioni di coordinamento territoriale di vasta area, e che si traduce, dunque, nella autentica "soppressione" della funzione urbanistica regionale che in cio' principalmente (se non esclusivamente) consiste. La approvazione dei piani regolatori generali risulterebbe "declassata" a mera funzione di "controllo eventuale" .. Cio' costituisce indubbia violazione dell'art. 117 della Costituzione, in quanto "svuota" di fatto di qualunque rilevante contenuto la materia "urbanistica", quale materia di competenza regionale, e costituisce altresi' indiretta violazione di legge dichiarata di "principi fondamentali", emandabile solo "espressamente", quale la legge n. 142/1990, con riferimento agli artt. 1, terzo comma, e 15, terzo e quarto comma. D'altra parte, se pure e' costante insegnamento di codesta ecc.ma Corte che non compete alle regioni ricorrenti dedurre, in chiave di illegittimita' costituzionale, eventuali violazioni dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione, con riferimento ai limiti del potere di decretazione di urgenza, non si puo' non rilevare, se si vuole come notazione ad colorandum, che - nella fattispecie - la detta gravissima manomissione del contenuto della funzione spettante alle regioni e' operata con un d.-l. che interviene "per straordinaria necessita' ed urgenza" (?) dopo .. dodici anni e mezzo dalla "scadenza" di quel "termine" che era stato assegnato alle regioni per legiferare esse stesse. Cio' che, viceversa, costituisce autentico problema di rilevanza giuridico-costituzionale, del quale si investe la Corte ecc.ma, e' quello di verificare se possasi, in via generale, modificare con d.-l. i "principi" posti, con legge c.d. "quadro", per la legislazione regionale attuativa. Infatti, quel termine di 180 giorni per la approvazione degli strumenti urbanistici generali era stato espressamente dichiarato, dall'art. 9 del d.-l. n. 702/1978, convertito nella legge n. 3/1979, un "principio", al quale avrebbe dovuto attenersi la emananda legislazione regionale, e davvero non sembra, in punto di legittimita' costituzionale, che possasi - da parte dello Stato - modificare i "principi" che esso stesso ha dettato a quel fine, con proprio "d.-l." recante disposizioni puntuali determinative di effetti nuovi e diversi (la approvazione-tacita degli strumenti). Infine, deve essere opportunamente dedotto e rilevato che la regione Lombardia, ricorrente in questa sede, ebbe ad emanare propria legge 12 marzo 1984, n. 14, intitolata "Norme per la approvazione degli strumenti urbanistici attuativi", recante - dopo l'entrata in vigore della legge statale 8 gennaio 1979, n. 3 (di conversione del d.-l. n. 702/1978) - la disciplina delle modalita' e dei termini temporali di approvazione di taluni strumenti urbanistici attuativi. Orbene, quella legge regionale non faceva alcuna menzione di "termini" per l'approvazione degli strumenti generali, ma il Governo della Repubblica nulla ebbe ad eccepire od osservare, e non "rinvio'", ne' impugno' quella legge regionale che, pure, non recepiva il "principio" posto nel 1978-79, per cui non trova alcuna logica giustificazione (canone della ragionevolezza previsionale) la attuale decretazione di urgenza disposta nei termini che costituiscono l'oggetto del presente ricorso. II. - Il d.-l. n. 52/1992, inoltre, contiene, all'art. 10, secondo comma, ultima parte, la previsione di una facolta' del Ministro c.p.c. di stipulare direttamente convenzioni con soggetti di ogni specie (istituti, gruppi ed enti di ricerca), evidentemente anche privati, "per il perseguimento di specifiche finalita' di protezione civile". Nonostante la genericita' della dizione, la norma lascia comprendere che si tratterebbe di "supporti consulenziali, informativi e conoscitivi" dei quali lo Stato intende avvalersi per - poi - attuare iniziative od operare interventi in materia di protezione civile, ovvero ai quali demandare interventi ed iniziative che esso stesso non ritiene di eseguire direttamente. Orbene, per siffatte finalita', la legge 8 dicembre 1970, n. 996, gia' prevede, al suo art. 7, secondo, terzo, quarto e quinto comma, la istituzione di comitati regionali, ciascuno presieduto dal presidente della giunta regionale, ai quali e' affidato, tra l'altro, il coordinamento degli interventi non di competenza dello Stato, nell'ambito della protezione civile. A sua volta, l'art. 53 del d.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66, oltre a richiamare quei comitati regionali e le loro funzioni, si riallaccia alle funzioni trasferite o delegate alle regioni dai decreti del Presidente della Repubblica nn. 8/1972 e 616/1977. Non e' chi non veda che il libero affidamento, da parte del Ministro c.p.c., mediante semplici atti di convenzione dei quali non si precisano ne' limiti, ne' contenuti, di funzioni "concorrenti" o suscettibili di interferenza, ad organismi esterni ed anche privati, e' ipotesi che vulnera, ovvero condiziona o vanifica l'esercizio delle funzioni trasferite alle regioni, laddove, quando trattisi di funzioni delegate, viene in gioco la nozione di "deleghe organiche", vale a dire strettamente connesse alle funzioni trasferite, che, secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte (sentenza 11-19 maggio 1989, n. 559, presidente Saja, relatore Baldassarre), sono anch'esse oggetto di tutela costituzionalmente rilevante allorche' lo Stato pretenda di conclucarne l'esercizio o di comprometterne la effettivita'.