Ricorso   della  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona  del
 Presidente della giunta provinciale sig. Mario Malossini, autorizzato
 con deliberazione della giunta provinciale n. 3960 del 30 marzo 1992,
 rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero
 Rueca, ed elettivamente  domiciliato  presso  quest'ultimo  in  Roma,
 largo  della  Gancia, 1, come da mandato speciale a rogito del notaio
 dott. Pierluigi Mott di Trento in data 31 marzo  1992,  n.  57451  di
 rep., contro il presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per
 la  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale degli artt. 2, 3,
 4, 6, 8 (primo, terzo e quarto comma) e 12 della  legge  25  febbraio
 1992,  n.  215,  concernente  "azioni  positive  per  l'imprenditoria
 femminile", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  56  del  7  marzo
 1992.
    La  legge  n.  215/1992  si  presenta come un ennesimo episodio di
 legislazione statale di ausilio finanziario alle imprese operanti  in
 ambiti di competenza regionale e provinciale, che fa seguito ad altre
 leggi gia' per questo motivo impugnate dalla provincia ricorrente: si
 vedano  da ultimo i ricorsi iscritti al n. 51/1991 (legge n. 317/1991
 sulle  piccole  imprese)  e  al  n.   28/1992   (legge   n.   68/1992
 sull'autotrasporto di cose per conto di terzi).
    Legislazione   chiaramente   impregnata   di   forti   motivazioni
 "elettorali". Legislazione che mette in luce una  volta  di  piu'  il
 paradosso  di  uno  Stato  centrale che da un lato lamenta il deficit
 crescente del prorpio bilancio, e individua  nella  spesa  decentrata
 attraverso  regioni  ed  enti  locali  una  fonte  di  espansione del
 disavanzo pubblico, e dall'altro lato, anziche' responsabilizzare  le
 autonomie territoriali attraverso la estensione dei poteri impositivi
 degli   enti  autonomi,  continua  ad  erogare  risorse  dal  proprio
 bilancio, direttamente  a  favore  dei  beneficiari  (e  cosi'  delle
 imprese),  sovrapponendosi  agli interventi che le regioni e le prov-
 ince autonome effettuano nei rispettivi ambiti di competenza, e cosi'
 violando i criteri costituzionali di riparto delle attribuzioni.
    La  legge  n.  215/1992,  pur  caratterizzata  dalla   particolare
 finalita'  della  promozione  delle  "pari opportunita'" per uomini e
 donne nell'attivita'  economica  e  imprenditoriale  (art.  1,  primo
 comma),  di fatto prevede una serie di benefici finanziari a imprese,
 enti operanti nei settori economici di competenza  provinciale  e  di
 benefici   concessi   per  attivita'  -  come  quelle  di  formazione
 professionale - a loro volta di stretta  competenza  provinciale,  in
 ogni  caso  senza  alcun  riferimento  a  circostanze  o  a programmi
 straordinari:  benefici  direttamente  concessi  ed erogati da organi
 centrali senza alcun coinvolgimento delle regioni  e  delle  province
 autonome.
    Le  finalita'  della  legge  -  nell'ambito  del generico scopo di
 promozione   dell'imprenditoria   femminile   -   sono   estremamente
 generiche:  favorire  "la  creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria
 femminilie, anche in forma cooperativa",  promuovere  "la  formazione
 imprenditoriale"  e  "qualificare  la  professionalita'  delle  donne
 imprenditrici", agevolare "l'accesso  al  credito  per  le  imprese",
 favorire  "la  qualificazione  imprenditoriale  e  la  gestione delle
 imprese familiari da parte delle donne", promuovere la presenza delle
 imprese "nei comparti piu' innovativi dei diversi settori produttivi"
 (art. 1, secondo comma, lettere da a) ad e)).
    Nulla vi e' dunque nella  legge  -  al  di  la',  si  ripete,  del
 generico riferimento alla presenza femminile nell'imprenditoria - che
 qualifichi  specifici  interessi  unitari  al cui soddisfacimento gli
 interventi siano finalizzati.  Si  tratta  di  generici  ausili  allo
 svolgimento  e  allo  sviluppo dell'attivita' imprenditoriale, estesi
 all'intero territorio e accessibili per tutti i soggetti che svolgono
 tali attivita'.
   L'art. 2 della  legge  precisa  le  categorie  di  destinatari  dei
 benefici.  Da un lato si tratta delle cooperative e delle societa' di
 persone o di capitali con certe  caratteristiche  della  composizione
 societaria  e  della  composizione  degli  organi di amministrazione,
 nonche' delle imprese individuali gestite da donne, che operino  "nei
 settori   dell'industria,   dell'artigianato,  dell'agricoltura,  del
 commercio, del turismo e dei servizi" (primo comma, lett. a)).
    Dall'altro lato si tratta delle imprese,  consorzi,  associazioni,
 enti,   societa'   di  promozione,  centri  di  formazione  e  ordini
 professionali che "promuovono corsi di formazione  imprenditoriale  o
 servizi  di  consulenza e di assistenza tecnica e manageriale" (primo
 comma, lett. b)).
    Da  una  parte  dunque  sono  espressamente  contemplate   fra   i
 beneficiari  le  imprese  operanti  in  settori ricadenti nell'ambito
 delle competenze primarie della provincia: artigianato (art. 8, n. 9,
 dello stat. spec.) agricoltura (art. 8, n. 21), turismo  e  industria
 alberghiera  (art.  8, n. 20), e servizi, quanto meno con riferimento
 ai servizi di comunicazione e di trasporto  (art.  8,  n.  18,  dello
 stat.  spec.); nonche' imprese operanti in settori rientranti a vario
 titolo nelle competenze concorrenti della stessa provincia: commercio
 (art. 9, n. 3, dello stat. spec.), esercizi pubblici,  a  loro  volta
 ricomprensibili  nel  comparto dei "servizi" (art. 9, n. 7), indusria
 (art. 9, n. 8).
    Dall'altra parte (art. 2, primo comma,  lett.  b))  si  finanziano
 attivita'  di  formazione  professionale  delle  donne imprenditrici,
 ossia ancora una volta attivita' rientranti pienamente nella sfera di
 competenza primaria della provincia (art.  8,  n.  29),  dello  stat.
 spec.).
    Gli artt. 4 e 8 precisano le tipologie dei benefici previsti.
    In  particolare  l'art.  4  prevede,  per le imprese individuali o
 societarie (art. 2, primo comma, lett. a)),  contributi  in  capitale
 fino  al  50% delle spese "per impianti ed attrezzature sostenute per
 l'avvio o per l'acquisto di attivita' commerciali e turistiche  o  di
 attivita' nel settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio
 e  dei  servizi"  (come  si vede, ad evitare ogni dubbio, si elencano
 espressamente comparti di attivita' che sono, come si  e'  detto,  di
 piena  competenza  provinciale), e "per i progetti aziendali connessi
 all'introduzione di qualificazione  e  di  innovazione  di  prodotto,
 tecnologica  ed  organizzativa"  (primo  comma,  lett.  a));  nonche'
 contributi (in capitale) fino  al  30%  delle  spese  sostenute  "per
 l'acquisizione  di servizi destinati all'aumento della produttivita',
 all'innovazione organizzativa,  al  trasferimento  delle  tecnologie,
 alla  ricerca  di  nuovi  mercati  per  il collocamento dei prodotti,
 all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, di  gestione  e  di
 commercializzazione,  nonche' per lo sviluppo di sistemi di qualita'"
 (primo comma, lett. b)).
    Come e' facile vedere, non vi e' praticamente tipo di investimento
 delle imprese che non  sia  suscettibile  di  essere  finanziato.  La
 misura   del   contributo   puo'   essere   elevata  fino  al  60%  e
 rispettivamente al 40% per  i  soggetti  costituiti  e  operanti  nei
 territori colpiti da fenomeni di declino industriale (secondo comma).
    Sempre  ai  medesimi  soggetti imprenditori, ai sensi dell'art. 8,
 primo e secondo comma, possono  essere  concessi  degli  istituti  di
 credito  finanziamenti agevolati per gli stessi fini, di importo fino
 a 300 milioni e di durata fino a cinque anni,  con  abbattimento  del
 tasso  di interesse al 50% (o al 40% nei territori colpiti da declino
 industriale) del tasso di riferimento in vigore  per  il  settore  di
 appartenenza dell'impresa.
    Per  quanto  riguarda  i  soggetti di cui all'art. 2, primo comma,
 lett. b) (imprese o enti che promuovono corsi di formazione o servizi
 di  consulenza  e  assistenza),  l'art.  4,  terzo   comma,   prevede
 contributi  fino  al  50%  delle  spese sostenute per le attivita' in
 questione.
    Gli artt. 3,  6  e  8,  terzo  e  quarto  comma,  disciplinano  le
 modalita' di erogazione e di finanziamento delle agevolazioni.
    Precisamente  l'art.  3  istituisce  il  "Fondo  nazionale  per lo
 sviluppo dell'imprenditoria femminile", con apposito  capitolo  nello
 stato  di  previsione della spesa del Ministero dell'industria, e con
 una dotazione di 10 miliardi annui per il triennio 1992-94. A  valere
 su  tale  fondo  (che  di  "fondo"  propriamente  detto non ha nulla,
 trattandosi semplicemente di un capitolo di spesa nel bilancio  dello
 Stato)  sono concessi sia i contributi in capitale ai soggetti di cui
 all'art. 2, primo comma, lett. a) (per impianti  e  attrezzature  per
 l'avvio  o  l'acquisto  di  attivita'  per  progetti  aziendali,  per
 l'acquisizione di servizi o per lo sviluppo di sistemi  di  qualita':
 art. 4, primo comma); sia per i contributi ai soggetti che promuovono
 corsi  di formazione o servizi di consulenza e di assistenza (art. 4,
 terzo comma).
    Il medesimo "fondo" finanzia  anche  le  agevolazioni  al  credito
 previste  all'art. 8. Infatti il terzo comma dell'art. 8 autorizza il
 Mediocredito  centrale  a  effettuare   le   operazioni   finanziarie
 necessarie  per  porre gli istituti e le aziende di credito "in grado
 di praticare i tassi di interesse  agevolati  previsti  dal  primo  e
 secondo  comma";  e  il  successivo quarto comma prevede che per tali
 interventi sia "conferito annualmente  al  Mediocredito  centrale  il
 dieci per cento delle disponibilita' del fondo di cui all'art. 3".
    Infine  l'art. 6 demanda ad un decreto del Ministro dell'industria
 di concerto con quello del tesoro la statuizione dei criteri e  delle
 modalita'  per  la  presentazione  delle domande e per la concessione
 delle agevolazioni previste dall'art. 4 (primo comma);  e  stabilisce
 che   "le   agevolazioni  sono  concesse  con  decreto  del  Ministro
 dell'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto  con  i
 Ministri  competenti  per  i  settori  cui  appartengono  i  soggetti
 beneficiari" (secondo comma).
    Dunque non solo le agevolazioni  in  questione  sono  direttamente
 erogate  dagli  organi  centrali  dello Stato, con spesa a carico del
 bilancio dello Stato, non solo ogni criterio  e  ogni  modalita'  del
 procedimento e' rimessa a determinazioni degli stessi organi centrali
 (senza  alcuna  predisposizione  di  criteri  legali  e quindi con la
 massima discrezionalita');  ma  la  stessa  concessione  dei  singoli
 contributi  alle  impese  o  agli altri soggetti avviene con atto del
 Ministro, di concerto, si noti, volta a volta con gli altri  Ministri
 interessati  (del  turismo,  dell'agricoltura, dei trasporti, ecc.) e
 senza invece il minimo coinvolgimento nemmeno formale delle regioni e
 delle province autonome,  vuoi  singolarmente,  vuoi  nell'ambito  di
 organismi  di  consultazione come la conferenza per i rapporti fra lo
 Stato, le regioni e le province autonome.
    La logica della legge e' infatti  quella  del  pieno  "dominio"  e
 della  libera gestione statale degli interventi (che pure, come si e'
 detto, appartengono all'ambito  delle  competenze  provinciali),  con
 l'unica  parteciapzione dei Ministeri di settore, anche e proprio per
 i settori in cui  la  competenza  provinciale  e'  piena  e  primaria
 (logica  pienamente  confermata  dall'art. 10 della stessa legge, che
 nell'istituire presso il Ministero dell'industria  un  "comitato  per
 l'imprenditoria  femminile"  prevede che ne facciano parte unicamente
 rappresentanti dei Ministeri -  fra  cui  quello  dell'agricoltura  -
 degli istituti di credito, e delle organizzazioni della cooperazione,
 della    piccola    industria,   del   commercio,   dell'artigianato,
 dell'agricoltura, del turismo e dei servizi: anche la  partecipazione
 delle  categorie  e'  realizzata  dunque  unicamente  a livello degli
 organi centrali).
    La previsione di  interventi  diretti,  di  amministrazione  e  di
 finanziamento,  degli  organi  centrali  dello  Stato  in  settori di
 competenza regionale e provinciale viola, fuori di  ogni  dubbio,  la
 competenza  della  provincia autonoma (cfr. in proposito, ad esempio,
 le sentenze di  questa  Corte  nn.  307/1983,  517/1987,  921/1988  e
 116/1991).
    Cosi' la Corte ha affermato chiaramente, ad esempio nella sentenza
 n.  116/1991,  che non si giustifica costituzionalmente un intervento
 statale che "pone a proprio obiettivo fondamentale una  finalita'  ..
 che  non  appare  limitata  nel  tempo"  (e  tale  e'  sicuramente la
 finalita' di promozione dell'imprenditoria femminile), sostanziantesi
 in finanziamenti e contributi che  "si  vengono  tutti  a  inquadrare
 nell'ordinaria  azione  di  sostegno  pubblico  a favore di attivita'
 economiche  socialmente  rilevanti,  senza  alcun  collegamento   con
 fattori  di  carattere  straordinario  riconducibili al quadro di una
 particolare emergenza".
    Nella presente fattispecie nessuna ragione di  presunto  interesse
 nazionale,   nessuna   esigenza   straordinaria   vi  e',  che  possa
 giustificare in ipotesi una deroga  all'ordine  costituzionale  delle
 competenze.
    Si  puo'  ammettere  che  il  legislatore  statale eserciti i suoi
 poteri di  statuizione  di  principi  e  di  indirizzo  per  indicare
 l'obiettivo del sostegno dell'imprenditoria femminile; si puo' forse,
 al  limite concepire che lo Stato configuri a tal fine dei meccanismi
 di programmazione delle risorse cui  si  colleghino  trasferimenti  a
 destinazione vincolata a favore di regioni e di province autonome. Ma
 non  si  puo'  certo  ammettere  che in nome di un qualsiasi generico
 obiettico come quello in questione lo Stato si riappropri puramente e
 semplicemente di funzioni di  sostegno,  finanziamento,  agevolazione
 creditizia   relativamente   a  settori  di  competenza  regionale  e
 provinciale, senza realizzare nemmeno alcun raccordo  programmatorio,
 procedimentale  e  finanziario con le regioni e le province autonome,
 ne'  riconoscere  ad  esse  alcun  ruolo,   nemmeno   istruttorio   o
 consultivo.
    La  legge  in  questione  e'  dunque palesemente illegittima nella
 parte in cui prevede interventi - interamente disciplinati e  gestiti
 dagli  organi  centrali  -  a  favore  di imprese operanti in settori
 interamente di competenza provinciale (come agricoltura, artigianato,
 turismo, trasporti, commercio, esercizi pubblici, ecc.), nonche'  la'
 dove   prevede  interventi  per  il  finanziamento  di  attivita'  di
 formazione professionale, a loro volta di competenza provinciale.
    Ma anche per quanto riguarda le imprese industriali la legge viola
 l'autonomia della provincia, in quanto il meccanismo di finanziamento
 e di concessione dei benefici contrasta con l'art. 15  dello  statuto
 speciale e con l'art. 5 delle relative norme di attuazione recate dal
 d.P.R.  31  luglio  1978,  n.  1017, ai cui sensi sono assegnate alle
 province, sentite le province stesse quanto al loro ammontare,  quote
 degli  stanziamenti  annuali  iscritti  nel  bilancio dello Stato per
 l'attuazione di leggi statali che prevedono interventi finanziari per
 l'incremento della produzione industriale, e le somme cosi' assegnate
 sono utilizzate d'intesa fra lo Stato e le province autonome.
    Nella  specie,  viceversa,   lo   Stato   eroga   direttamente   i
 finanziamenti;  ne' vi e' traccia di assegnazioni di fondi alle prov-
 ince o di intese fra queste e lo Stato per l'utilizzo delle somme.
    Ne' varrebbe invocare la riserva di cui alla prima parte dell'art.
 15 dello statuto speciale,  che  fa  salvo  il  caso  che  "le  norme
 generali sulla programmazione economica dispongano un diverso sistema
 di  finanziamento".  Infatti  qui  non  siamo  in  presenza  di norme
 generali sulla programmazione ma di un intervento di tipo ordinario e
 settoriale; ne' si ha un "diverso sistema di  finanziamento",  bensi'
 puramente  e  semplicemente  un  intervento finanziario diretto dello
 Stato nei confronti  delle  imprese,  senza  alcun  collegamento  ne'
 coordinamento con la provincia, e realizzato al di fuori di qualunque
 sistema  di programmazione (da notare infatti, fra l'altro, l'assenza
 di interenti degli organi della programmazione  come  il  Cipe  o  il
 Cipi).
    In sostanza la legge espropria del tutto la competenza provinciale
 in materia di incremento della produzione industriale, in ordine alle
 imprese  contemplate  come  beneficiarie  degli  interventi, e taglia
 fuori la provincia dalla gestione di ordinari interventi  agevolativi
 dell'attivita' imprenditoriale.
    Anche  per  questa  parte  e  sotto  questi  profili,  dunque,  le
 disposizioni impugnate sono lesive dell'autonomia della provincia.
    L'art. 12 della legge identifica le uniche, residue iniziative che
 le regioni e le  province  autonome  potrebbero  realizzare  "per  le
 finalita' coerenti" con la legge medesima.
    Si  tratta  dell'attuazione,  "in  accordo  con le associazioni di
 categoria", di "programmi che prevedono la diffusione di informazioni
 mirate, nonche' la  realizzazione  di  servizi  di  consulenza  e  di
 assistenza  tecnica, di progettazione organizzativa, di supporto alle
 attivita' agevolate" dalla legge stessa (primo comma).
    Per la realizzazione di tali programmi, le regioni e  le  province
 autonome  "possono stipulare apposite cenvenzioni con enti pubblici e
 privati che abbiano caratteristiche di  affidabilita'  e  consolidata
 esperienza  in  materia  e  che siano presenti sull'intero territorio
 nazionale" (secondo comma).
    Infine il terzo comma stabilisce che  "per  la  realizzazione  dei
 programmi  di  intervento  di  cui al primo comma, le regioni possono
 ottenere contributi dal  fondo  di  cui  all'art.  3  in  misura  non
 superiore al 30 per cento della spesa prevista".
    Ora,  se  quella  del  primo  comma fosse da intendersi come norma
 meramente  facoltizzante  (ad  attuare  interventi   che,   peraltro,
 rientrano  nella  piena  competenza  delle  regioni  e delle province
 autonome), non vi sarebbe forse motivo  di  dolersi  da  parte  della
 ricorrente,   salvo   che   per  la  previsione,  palesemente  lesiva
 dell'autonomia anche organizzativa della medesima, che  vincola,  nel
 caso di convenzioni con enti pubblici e privati, a scegliere soggetti
 che  non solo abbiano "caratteristiche di affidabilita' e consolidata
 esperienza in materia", ma che inoltre  "siano  presenti  sull'intero
 territorio  regionale".  Non  si  vede  infatti a che titolo lo Stato
 possa vincolare,  nella  scelta  dei  soggetti  da  convenzionare,  a
 rivolgersi unicamente a soggetti "nazionali".
    Ma  ove  la  disposizione  del  primo  comma  dell'art. 12 dovesse
 intendersi nel  senso  che  imponga  alle  regioni  e  alle  province
 autonome  un  vero  obbligo di attuare i programmi ivi previsti - che
 comportano ovviamente spese  -  sarebbe  allora  palesemente  violata
 anche  l'autonomia  finanziaria e di spesa della provincia, e sarebbe
 violato il principio costituzionale di cui all'art. 81, quarto comma,
 della Costituzione (ribadito dall'art. 27 della legge 4 agosto  1978,
 n.  468),  secondo  cui  le  leggi  statali che impongono nuovi oneri
 finanziari alle regioni e alle  province  autonome  debbono  altresi'
 provvedere i mezzi per affrontare tali oneri.
    Infatti  il  terzo  comma  dell'art.  12 in esame, da un lato, non
 garantisce alle regioni  e  alle  province  autonome  di  ottenete  i
 contributi  statali previsti, e tanto meno di ottenerli in una misura
 minima precisata; dall'altro lato, comunque, il finanziamento statale
 di tali programmi sarebbe insufficiente  a  soddisfare  l'obbligo  di
 copertura,  in  quanto  e'  espressamente previsto che esso non possa
 superare il 30% della spesa sostenuta dalla regione o dalla provincia
 autonoma.
    Anche le disposizioni dell'art. 12 sono dunque illegittime.