ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 15 maggio 1991, n. 254 (di conversione del decreto legge 16 marzo 1991 n. 83 recante "modifiche al decreto legge 10 luglio 1982 n. 429, conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516 in materia di repressione delle violazioni tributarie e disposizioni per definire le relative pendenze") promosso con ordinanza emessa il 25 settembre 1991 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Firenze contro Cascio Riccardo iscritta al n. 691 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 18 marzo 1992 il Giudice relatore Renato Granata; Ritenuto in fatto 1. - In un giudizio penale a carico di un soggetto imputato del reato di cui all'art. 1, comma secondo n. 1, legge 7 agosto 1982 n. 516, per omessa annotazione di corrispettivi nel libro giornale, ed assolto in primo grado alla stregua della nuova disciplina sub art. 1 d.-l. 1991 n. 83 (escludente la rilevanza penale della suddetta omissione quando - come nella specie - il corrispettivo risulti annotato in altra scrittura contabile e sia stata versata l'imposta globalmente dovuta), la Corte di Cassazione, adita in sede di impugnazione avverso la decisione del Tribunale - premesso che alla applicazione della sanatoria (rectius della nuova disciplina della riferita infrazione, in via di sanatoria) ai sensi degli artt. 1 ed 8 della legge n. 154 di conversione del citato d.-l. n. 83 del 1991, ostava il principio di ultrattivita' delle norme penali finanziarie sub art. 20 legge 1929 n. 4, derogato dall'art. 7 della stessa legge n. 154/91 solo per ipotesi di reato, contenute nella medesima legge 516/82 (e nella legge n. 17/85), diverse da quelle in esame - ha ritenuto di conseguenza rilevante, ed ha per cio' sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione incidentale di legittimita' costituzionale del predetto art. 7 della legge 154/1991 nella parte appunto in cui esclude dal beneficio della sanatoria l'ipotesi di reato previsto dall'art. 1 secondo comma legge 516/82. Ad avviso della Corte a quo, la denunciata esclusione si porrebbe infatti in contrasto con il precetto dell'eguaglianza, atteso che "anche sul piano etico giuridico", il reato escluso dal beneficio in parola si risolverebbe in un comportamento "meno allarmante ed antisociale" rispetto alle altre violazioni (omessa tenuta del repertorio della clientela, irregolare tenuta delle scritture contabili, omessa dichiarazione ed omesso versamento da parte del sostituto d'imposta) viceversa assoggettate alla indicata deroga. 2. - Di detta questione, l'Avvocatura di Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l'inammissibilita' o in subordine l'infondatezza. Considerato in diritto 1. - La legge 15 maggio 1991 n. 154, di conversione del decreto legge 16 marzo 1991 n. 83 - nel quadro della gia' da tempo auspicata e programmata revisione organica della legislazione penale tributaria ed in una logica anticipativa delle perseguite finalita' di razionalizzazione ed armonizzazione dalle varie ipotesi criminose attraverso una piu' oculata scelta e modulazione tra sanzioni penali ed amministrative - ha provveduto, nell'immediato, a ridisegnare le minori fattispecie gia' disciplinate dal d.l. 10 luglio 1982 n. 429 conv. in legge 7 agosto 1982 n. 516; di esse rinnovando piu' ponderatamente la valutazione di gravita' e diversamente graduando la rispettiva sanzione, con risultati, in taluni casi, di alleggerimento ed, in altri, di complessivo irrigidimento rispetto al precedente trattamento sanzionatorio. In forza del primo comma dell'art. 7 della stessa legge 154, le nuove norme hanno effetto dalla data di entrata in vigore del provvedimento legislativo, in coerenza con il principio dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 che sancisce l'ultrattivita' della legge penale tributaria. Tuttavia il secondo comma dell'art. 7 pone una deroga a tale principio per taluni dei reati considerati nelle precedenti disposizioni, sempreche' si provveda alla regolarizzazione nei modi previsti nel successivo art. 8. Nella suddetta deroga sono in particolare ricompresi i reati di omessa od irregolare tenuta delle scritture (di cui all'art. 1 della legge 516/82, come modificato dall'art. 1 della legge 154/91), di omessa dichiarazione o versamento delle ritenute da parte del sostituto di imposte ( sub art. 2 legge 516/82 a sua volta modificato dall'art. 3 della legge 154) e di omessa tenuta e conservazione del repertorio della clientela (di cui all'art. 3 co. 4 legge 1985 n. 17, poi modificato dall'art. 2 legge 154). Dalla deroga al principio di ultrattivita' restano invece esclusi tutti i reati di cui all'art. 1 della legge 154/91 (ad eccezione di quello del comma 6 e quello del primo comma dell'art. 2, ossia tutti i reati di omessa dichiarazione e omessa fatturazione o annotazione in scritture contabili. 2. - Proprio della legittimita' di tale esclusione - e con specifico riguardo al reato di omessa annotazione di corrispettivi ex art. 1 secondo comma 1 cit. (per cui nella specie si procede) - dubita ora il collegio rimettente: che all'uopo ipotizza il contrasto del menzionato art. 7 (in parte qua) con l'art. 3 della Costituzione per irragionevole disparita' di trattamento, sul presupposto che il reato escluso dalla suddetta deroga sia "di gran lunga meno allarmante ed antisociale" rispetto alle altre violazioni che viceversa ne beneficiano. 3. - La questione cosi' prospettata e' infondata. Quella che - in relazione al considerato profilo di inclusione o meno nella deroga al principio di ultrattivita' delle norme penali tributarie - con l'ordinanza di rimessione in sostanza si censura e' infatti una valutazione (comparativa) di politica criminale, come tale riservata all'esclusiva competenza del legislatore (cfr., da ult., sent. 215/91). Ne' puo' dirsi che l'esercizio della discrezionalita' legislativa riveli nella specie quegli aspetti di irragionevolezza che possono giustificarne in tesi il controllo di costituzionalita'. Ed invero - per quanto innanzitutto attiene al prospettato raffronto dell'ipotesi di omessa "annotazione" sub iudice con quelle di omessa "tenuta" (del repertorio della clientela) ed irregolare tenuta delle scritture contabili - e' agevole rilevare che il piu' favorevole trattamento riservato alle seconde, sotto il profilo del dies a quo di efficacia della nuova disciplina, e' assolutamente coerente alla scelta di fondo operata sul piano sostantivo dallo stesso legislatore del 1991, con l'attenuare, nel suo complesso, il regime punitivo delle infrazioni del secondo tipo e l'irrigidire viceversa il paradigma incriminativo delle infrazioni del primo tipo (assumendo ad ipotesi base quelle configurate come aggravate nel testo precedente). Scelta, quest'ultima, a sua volta non certo censurabile sul piano della razionalita': essendo di intuitiva evidenza la maggiore insidiosita' che presentano le condotte di omessa (od infedele) annotazione (in scritture apparentemente regolari) rispetto a quelle di radicale omissione od irregolare tenuta della documentazione contabile (che consentono alla finanza di prescinderne ai fini dell'accertamento fiscale). Laddove per quanto poi attiene al residuo profilo della comparazione, operata dal giudice a quo, in riferimento alle violazioni del sostituto di imposta - a prescindere dalla reiterabile considerazione che l'inclusione nella deroga sub art. 7 legge 154 consegue anche in questo caso all'alleggerimento delle fattispecie assunte a parametro - va sottolineata l'assoluta disomogeneita' (che esclude la fondatezza della censura di violazione dell'art. 3 della Costituzione) delle infrazioni poste a raffronto rispettivamente ascrivibili al contribuente od al sostituto d'imposta.