IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza, sull'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa di Barattin Dario e di Brusa Mauro nell'odierna udienza di giudizio abbreviato a carico di Barattin Dario, nato a Torino il 13 settembre 1960, domiciliato in Torino presso lo studio dell'avv. Tommaso Servetto, libero, non comparso, difeso di fiducia dall'avv. Tommaso Servetto del foro di Torino; Brusa Mauro, nato a Torino il 1 aprile 1966, domiciliato in Torino, via Gorizia n. 149, libero, non comparso, difeso di fiducia dall'avv. Fulvio Gianaria del foro di Torino, imputati entrambi del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 48 del c.p., 90, secondo comma, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, perche', in Torino, nel marzo e nell'aprile 1990, con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro e con Gremmo Roberto e Seghesio Alberto, inducevano in errore con l'inganno il notaio Ansalone Maria Pia circa l'autenticita' delle firme di oltre 900 persone, e ottenendo quindi che tali firme, benche' apocrife, venissero autenticate dal predetto pubblico ufficiale, formavano falsamente, in parte, l'elenco di elettori, previsto dall'art. 28 del d.P.R. n. 570/1960, che fungevano da presentatori della lista Piemont - Liberazione Fiscale che concorreva alle elezioni degli organi dell'amministrazione del comune di Torino per l'anno 1990, facendone poi uso per le successive operazioni elettorali. Le difese degli imputati hanno sollevato la questione della legittimita' costituzionale della norma dell'art. 441, primo comma, del c.p.p. per contrasto con l'art. 76 e con l'art. 101, primo comma, della Costituzione nella parte in cui, nel disporre che nel giudizio abbreviato si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l'udienza preliminare, non prevede la pubblicita' dell'udienza del giudizio abbreviato. La questione sollevata e' rilevante. Infatti gli imputati hanno richiesto, in occasione dell'udienza preliminare, il giudizio abbreviato ed il p.m. ha presentato il prescritto suo consenso. Pertanto, questo giudice dell'udienza preliminare, provvedendo sulla richiesta, ha disposto il giudizio abbreviato. Occorre quindi procedere, a questo punto, a giudizio abbreviato a norma degli artt. 438 e segg. del c.p.p.; conseguentemente, il processo deve essere regolato dalle norme che disciplinano tale rito, dunque anche dalla disposizione dell'art. 441, primo comma, citato. Ebbene, in forza di questa norma, che richiama, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l'udienza preliminare, il giudizio abbreviato deve svolgersi in camera di consiglio, secondo quanto e' espressamente stabilito per l'udienza preliminare dall'art. 420, primo comma, del c.p.p. Il processo non puo' dunque essere definito indipendentemente dalla risoluzione della proposta questione di legittimita' costituzionale della norma dell'art. 441, primo comma, del c.p.p., nella parte in cui questa, facendo rinvio alle disposizioni dettate per l'udienza preliminare, non prevede che l'udienza del giudizio abbreviato deve essere pubblica. E' necessario premettere in primo luogo che il rito abbreviato, non differentemente dal rito ordinario, si puo' concludere con sentenza di non doversi procedere, di assoluzione o di condanna; per ricavare da questa premessa che esso dunque attribuisce al giudice una cognizione piena. Si pone quindi il problema di stabilire se questa pienezza di cognizione sia compatibile con la mancanza di pubblicita' dell'udienza che e' connessa con il rito camerale previsto dall'art. 420 del c.p.p. Sembra a questo giudice che la risposta debba essere negativa. La Corte costituzionale ha infatti piu' volte affermato che la pubblicita' del giudizio e' coessenziale ai principi ai quali, in un ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare, deve conformarsi l'amministrazione della giustizia che, in quella sovranita', trova fondamento (decisioni n. 12/71, n. 16 e n. 17/81, n. 212/86, n. 50/89, n. 69/91). Ha inoltre osservato che l'esigenza del rispetto di sifatta regola e' maggiormente avvertita nei processi penali, attesi la qualita' dei valori, degli interessi e dei beni da proteggere, nonche' i riflessi sociali della violazione delle norme penali, in una con l'interesse dello Stato a ripristinare l'ordine violato (sentenza n. 69/91). Ha tuttavia riconosciuto la possibilita' di eccezioni per singole categorie di procedimenti, determinate da ragioni obiettive e razionali (decisioni n. 212/86, n. 50/89, n. 69/91). Si tratta pertanto di valutare se la peculiare natura del giudizio abbreviato sia tale da giustificare un'eccezione, motivata da ragioni obiettive e razionali, al principio generale della pubblicita' del processo penale. Appare, a questo proposito, decisivo rilevare che il principio della pubblicita' non deve essere soltanto configurato come una garanzia a favore dell'imputato. Esso e' anche dettato, ed in misura prevalente, dalla considerazione del preminente interesse publico all'attuazione del processo penale, avendo questo ad oggetto l'accertamento di reati rispetto ai quali la collettivita' non puo' rimanere indifferente. Assolve dunque la funzione di garantire che la conoscenza del processo da parte della societa', quindi dei singoli componenti di essa che possono avere interesse ad assistere al processo, costituisca uno stimolo per il giudice, il quale si sa in tal modo controllato, ad attenersi ai principi che devono regolare il giudizio. La conferma di questo assunto e' data dalla constatazione che il principio di cui si discute si e' storicamente affermato, insieme con l'altro principio che prescrive l'obbligo della motivazione, quale guarentigia di una retta amministrazione della giustizia, come uno dei mezzi attraverso i quali e' consentito alla collettivita' di attuare il controllo sugli atti giudiziari. Si e' pertanto autorevolmente asserito che la nostra Costituzione, continuando una tradizione che risale all'art. 72 dello Statuto albertino, ha recepito tale principio, sebbene in modo implicito, con la disposizione contenuta nell'art. 101, primo comma, che statuisce che la giustizia e' amministrata in nome del popolo. Questa interpretazione si fonda infatti sulla considerazione, gia' formulata durante i lavori preparatori della carta costituzionale, che l'essere la giustizia amministrata in nome del popolo importa, quale conseguenza necessaria del fondamento democratico del potere giurisdizionale, la pubblicita' delle udienze (si legga al riguardo la motivazione della sentenza n. 212/1986 della Corte costituzionale). Discende da questa considerazione che l'innegabile potere che spetta al legislatore ordinario di introdurre delle deroghe, per singole categorie di procedimenti, al principio della pubblicita' del giudizio, in quanto deve tuttavia essere motivato da ragioni obiettive e razionali, non appare giustificabile alla stregua dei connotati tipici del giudizio abbreviato. Questi sono infatti l'accordo delle parti e la definibilita' del processo allo stato degli atti. Ebbene, e' di immediata evidenza che la sola concorde volonta' delle parti non puo' essere sufficiente ad apportare un'eccezione ad un principio che, in primo luogo, e' stabilito a garanzia dell'interesse pubblico che la giustizia sia amministrata in conformita' alle regole che devono governare un ordinamento democratico fondato sulla sovranita' popolare e puo' ritenersi, solo secondariamente, stabilito anche a garanzia dell'interesse delle parti. Ma e' altrettanto evidente che, se la possibilita' che il precesso sia definito allo stato degli atti giustifica perfettamente che, nel corso del giudizio abbreviato, non vengano assunte prove, per altro non puo', in nessun modo, giustificare la deroga apportata al principio della pubblicita' dell'udienza. Questa infatti non e' prevista soltanto per garantire la regolarita' dell'assunzione delle prove, ma, piu' in generale, per garantire la regolarita' dell'intero processo. Pertanto, non si comprende perche', mentre nel giudizio ordinario il principio della pubblicita' dell'udienza si applica, coerentemente con tale premessa, oltre che nella fase dell'istruzione dibattimentale, anche nella fase della discussione finale ed in quella della lettura della sentenza, invece, nel giudizio previsto dagli artt. 438 e segg. del c.p.p., la pubblicita' debba essere del tutto esclusa, per il solo motivo che in questo manca l'struzione dibattimentale. Un'ulteriore censura di illegitimita' costituzionale della norma dell'art. 441, primo comma, puo' essere prospettata con riferimento all'art. 76 della Costituzione, sotto il profilo dell'eccesso di delega. Infatti, l'art. 2, primo comma, prima parte, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, di delega al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale ha esplicitamente previsto che il codice che doveva essere emanato doveva attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale. Tra le convenzioni internazionali alle quali il legislatore delegato veniva richiamato ad adeguarsi deve certamente essere annoverata la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 14 novembre 1950 e ratificata con legge n. 848/1955 che, all'art. 6, dopo avere stabilito, tra l'altro, che ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata pubblicamente e che il giudizio deve essere pubblico, ha ammesso espressamente che a tale principio si possono apportare deroghe nell'interesse della moralita', dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita delle parti in causa, o in quella misura ritenuta strettamente indispensabile dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' potesse ledere gli interessi della giustizia. Le deroghe ammesse dalla richiamata Convenzione non comprendono dunque l'ipotesi dell'accordo delle parti e quella della possibilita' di definire il processo allo stato degli atti che caratterizzano il rito abbreviato. Consegue dunque a queste osservazioni che la disposizione del codice di procedura penale che, nel disciplinare la forma dell'udienza del giudizio abbreviato, non ne prevede la pubblicita', appare di dubbia legittimita' costituzionale per eccesso di delega; infatti non rispetta l'esigenza di garanzia della persona che e' perseguita da un'accusa penale alla cui tutela e' preordinata la regola della pubblicita' del processo, pertanto viola la norma dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, richiamata dal menzionato art. 2 della legge delega. Ne' sembra sarebbe fondato opporre che il rito abbreviato, poiche' presuppone il consenso dell'imputato, non costituirebbe una violazione del diritto della persona ad un processo pubblico, dal momento che la deroga alla regola della pubblicita' del processo penale deriva da un'espressa manifestazione di volonta' dell'imputato, la Corte costituzionale ha infatti recentemente affermato, sia pure incidentalmente, il principio che, stante anche la presenza di un interesse oggettivo connesso al controllo sociale sul processo, la pubblicita' del processo penale non si pone come diritto disponibile da parte dell'imputato (ordinanza n. 251/1991). Non si vede pertanto come si possa, senza contraddizione, collegare ad una mera manifestazione di volonta' dell'imputato l'inosservanza di un requisito che trova principale giustificazione nella presenza di uno specifico interesse pubblico. D'altra parte non pare che dalla richiesta di giudizio abbreviato fatta dall'imputato si possa univocamente ricavare che la sua volonta' e' di rinunciare alla pubblicita' del processo piuttosto che di rinunciare semplicemente al rito ordinario, cioe', essenzialmente, a quella fase fondamentale del giudizio ordinario che e' l'istruzione dibattimentale, regolata sotto il capo terzo del titolo secondo del libro settimo del codice. Sulla scorta di tutte queste considerazioni, non sembra possa ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 441, primo comma, del c.p.p. per contrasto sia con l'art. 101, primo comma, sia con l'art. 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la pubblicita' dell'udienza in cui si svolge il giudizio abbreviato. Gli atti devono pertanto essere trasmessi alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione. Deve inoltre essere disposta la sospensione del processo.