IL PRETORE Esaminati gli atti del proc. n. 27056/92 r.g. pretura di Torino a carico di Mujanovic Kasim (nato a Donierahsno Kassili, Jugoslavia, il 7 gennaio 1963), solleva d'ufficio questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 555, terzo comma, del c.p.p. nella parte in cui non prevede che il decreto di citazione a giudizio debba essere notificato all'imputato che non conosce la lingua italiana anche tradotto nella lingua a lui nota, in relazione agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione. La questione e' rilevante in quanto il prevenuto (che e' slavo e non parla ne' comprende la lingua italiana, come era noto al p.m. fin dall'udienza di convalida dell'arresto svoltosi davanti al g.i.p.) e' stato rinviato a giudizio con un decreto di citazione emesso dal sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura di Torino, notificato in carcere nel termine previsto dall'art. 555, terzo comma, del c.p.p. non accompagnato da traduzione in lingua nota al destinatario. Va sottolineato che l'imputato e' presente all'udienza sol perche', essendo detenuto, vi e' stato tradotto. Dalla presenza non si puo' quindi desumere nulla sulla conoscenza del contenuto dell'atto, conoscenza che tra il resto l'imputato (tramite l'interprete nominatogli all'udienza dibattimentale) ha recisamente negato. E' di tutta evidenza che la possibilita' di proseguire nel presente giudizio sulla base del decreto di citazione notificato solo in lingua italiana dipende dalla legittimita' di tale atto. La questione, poi, pare non manifestamente infondata sotto tre diversi profili: 1) premesso che scopo della notifica del decreto di citazione e' di portare a conoscenza del prevenuto tutti gli elementi che formano il contenuto dell'atto (elementi analiticamente elencati nell'art. 555, primo comma, del c.p.p.), pare in primo luogo violato l'art. 3, primo comma, della Costituzione in quanto, mentre i soggetti che conoscono la lingua italiana sono in grado di recepire il contenuto del decreto di citazione sin dal momento in cui questo viene loro notificato con le modalita' previste dalla legge e di prendere le decisioni conseguenti, lo stesso non puo' dirsi per coloro che non conoscono la lingua italiana e che quindi magari solo il giorno dell'udienza si vedono tradurre l'atto (come e' successo nel caso di specie), con una evidente disparita' di trattamento dipendente dalla diversita' di lingua; 2) in secondo luogo pare violato l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto l'imputato che non conosce la lingua italiana non e' posto in condizione di apprestare la propria difesa, poiche' di fatto non sa quale sia l'accusa a suo carico, dove e per qual motivo dovra' presentarsi ne' quale sia il suo difensore d'ufficio. Non sa inoltre di poter chiedere, entro quindici giorni dalla notifica, il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena. Va sottolineato che se l'imputato, nel processo pretorile, non chiede il giudizio abbreviato entro detto termine decade irreparabilmente dalla possibilita' di farvi ricorso (come e' successo nel caso di specie), potendo il pretore procedere al giudizio abbreviato solo in sede di giudizio direttissimo; 3) in terzo luogo pare violato l'art. 76 della Costituzione, per difformita' dell'art. 555, terzo comma, del c.p.p. dalla delega legislativa contenuta nella legge n. 81/1987 che, all'art. 2, prima parte (preambolo ai principi e criteri), stabilisce che "Il codice di procedura penale deve .. adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale". L'art. 6, terzo comma, lett. a), della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali stabilisce che "Ogni accusato ha .. diritto a .. essere informato in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico". Detta convenzione e' stata ratificata e resa esecutiva con legge n. 848/1955. L'art. 14, terzo comma, lett. a), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ratificato e reso esecutivo con legge n. 881/1977) stabilisce che "Ogni individuo accusato di un reato ha il diritto, in funzione di piena eguaglianza, .. ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta". Ora, tali principi non possono certamente dirsi attuati se non si prevede che il decreto di citazione a giudizio (atto con il quale il p.m. promuove l'azione penale formalizzando e puntualizzando l'accusa) venga notificato anche in traduzione all'imputato che non conosce la lingua italiana.