ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  25,  sesto
 comma,  del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive
 CEE numeri 80/779, 82/884,  84/360  e  85/203  concernenti  norme  in
 materia  di  qualita'  dell'aria,  relativamente  a  specifici agenti
 inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai
 sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, numero 183),  promosso
 con  ordinanza  emessa  il  21  giugno  1991 dal Pretore di Vicenza -
 Sezione distaccata di Lonigo nel procedimento penale a carico di  Dal
 Lago  Silvio,  iscritta  al  n.  542  del  registro  ordinanze 1991 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  34,  prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 22  gennaio  1992  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    Nel  corso  di un procedimento penale a carico di Silvio Dal Lago,
 imputato del reato di cui all'art. 25, sesto  comma,  del  d.P.R.  24
 maggio  1988, n. 203 per aver effettuato il trasferimento di un forno
 di fusione dell'ottone e di due sabbiatrici senza aver  richiesto  la
 prescritta  autorizzazione  preventiva,  il  Pretore  di Vicenza, con
 ordinanza del 21 giugno 1991 (r.o. n. 542/1991) ha osservato  che  il
 suddetto  art.  25, sesto comma, del d.P.R. n. 203 del 1988 considera
 reato  "il   trasferimento   dell'impianto   senza   l'autorizzazione
 prescritta  dall'art. 13". Ma l'art. 13 riguarda l'autorizzazione per
 la continuazione delle emissioni di impianti preesistenti all'entrata
 in   vigore   della   normativa   disposta   dal   decreto,    mentre
 l'autorizzazione da richiedersi per il trasferimento dell'impianto in
 altra  localita'  e'  contemplata  dall'art.  15.  Cio'  premesso, il
 giudice a quo  enuncia  il  sospetto  di  incostituzionalita'  -  per
 violazione degli artt. 25, secondo comma, 24, secondo comma e 3 della
 Costituzione  - del citato art. 25, sesto comma, del d.P.R. 24 maggio
 1988, n. 203, "nella parte in  cui,  prevedendo  la  punibilita'  del
 trasferimento  dell'impianto  avvenuto  senza l'autorizzazione di cui
 all'art. 13, anziche' di cui all'art. 15  non  pone  il  destinatario
 della  norma  in  condizioni  di  sapere quale tipo di autorizzazione
 debba essere richiesta all'autorita' amministrativa  per  l'esercizio
 della propria attivita'".
    Illustrando  la  questione,  il  Pretore di Vicenza ricorda che il
 d.P.R. in esame (emanato ai sensi dell'art. 76 Cost. e della legge 16
 aprile 1987, n. 183, per l'attuazione delle direttive comunitarie nn.
 80/779,  82/884,   84/360   e   85/203),   prevede   vari   tipi   di
 autorizzazione:  a)  nel caso di impianto costruito dopo l'entrata in
 vigore del d.P.R. n. 203 del 1988, e' richiesta  l'autorizzazione  ex
 art. 6 e la norma e' sanzionata dall'art. 24; b) nel caso di impianto
 preesistente all'entrata in vigore del citato d.P.R. l'autorizzazione
 richiesta  e'  quella  ex  artt. 12 e 13, e le sanzioni relative sono
 previste  dai primi cinque commi dell'art. 25; c) in caso di modifica
 sostanziale o di trasferimento dell'impianto, nuovo  o  preesistente,
 e'  necessaria  l'autorizzazione di cui all'art. 15. Stante l'attuale
 formulazione dell'art.  25,  comma  sesto,  che  non  contiene  alcun
 riferimento  all'art.  15,  la  omessa  richiesta e l'omesso rilascio
 dell'autorizzazione preveduta dall'art. 15 e' sfornita  di  sanzione,
 non  potendo  tale  caso  rientrare  in  quello  radicalmente diverso
 indicato dagli artt. 12  e  13,  relativo  alla  continuazione  nello
 stesso luogo dell'attivita' produttiva in un impianto preesistente.
    Tale  situazione  di  incertezza  normativa  sembra  essere  stata
 determinata da un errore materiale del  legislatore,  il  quale,  nel
 formulare il sesto comma dell'art. 25 ha richiamato l'art. 13, che si
 riferisce     esclusivamente    all'autorizzazione    per    impianti
 preesistenti, anziche' l'art. 15 che fissa  l'obbligo  di  preventiva
 autorizzazione  per  modifiche  e  trasferimenti degli impianti. Cio'
 determina nel cittadino destinatario della norma in esame  -  osserva
 il giudice a quo - una situazione di assoluta incertezza in ordine al
 precetto  penale  con conseguente impossibilita' di sapere quali sono
 gli obblighi cui deve attenersi. Viene pertanto leso il principio  di
 tassativita'  della  norma  penale riconducibile all'art. 25, secondo
 comma,  Cost.,  che  richiede  una   precisa   determinazione   della
 fattispecie  legale,  tale da rendere chiaro al cittadino cio' che e'
 penalmente lecito e cio' che e' penalmente illecito,  in  conformita'
 con il brocardo "nullum crimen sine lege poenali scripta et stricta".
 Tale  principio  e'  diretto  a garantire la certezza del diritto e a
 fronteggiare gli  arbi'tri  del  potere  giudiziario,  precludendo  a
 quest'ultimo  la  possibilita'  di  punire  i fatti non espressamente
 previsti dalla legge. Il predetto principio tende anche ad assicurare
 l'eguaglianza giuridica dei cittadini a  parita'  di  condotta  e  la
 possibilita'  di  conoscere  cio' che e' e cio' che non e' penalmente
 vietato, onde consapevolmente decidere il proprio comportamento (art.
 3). Esso incide direttamente, infine, sul diritto di difesa (art. 24,
 secondo comma, Cost.): ed  invero  l'assenza  di  tassativita'  della
 norma  penale  rende inattuabile il diritto alla difesa e quindi alla
 precisa contestazione dell'addebito, atteso che la genericita'  della
 norma   incriminatrice   reagisce  sulla  formulazione  del  capo  di
 imputazione (nel caso di specie era stato contestato all'imputato  di
 non  aver  richiesto  due autorizzazioni: quella di cui all'art. 13 e
 quella di cui all'art. 15, lettera b) del d.P.R. n. 203 del 1988).
    E' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei  ministri  per  il
 tramite  dell'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la Corte
 dichiari non fondata la questione di costituzionalita'  proposta  con
 l'ordinanza   in   esame.   Secondo   l'Avvocatura  il  principio  di
 tassativita'  della  norma  penale  non  risulta  violato,  dovendosi
 considerare:  a)  che  la  fattispecie  materiale  e'  definita nella
 "modifica  o  trasferimento  dell'impianto   senza   l'autorizzazione
 prescritta"  ..  sicche'  il richiamo all'art. 13 appare - per questa
 parte - la conseguenza di mero errore materiale, atteso che e' l'art.
 15 a dettare la regola dell'autorizzazione nei due casi indicati;  b)
 che  il  comma  sesto  dell'art.  25  e' collocato dopo la disciplina
 penale relativa agli impianti nuovi (art. 24) ed esistenti (art.  25,
 commi  da  1  a 5), proprio perche' la disposizione abbraccia l'una e
 l'altra categoria di impianti; c) che, comunque, in riferimento  alla
 nuova autorizzazione, che deve intervenire prima della modifica o del
 trasferimento  dell'impianto,  lo  stesso  impianto si qualifica come
 esistente;  e  percio'   l'autorita'   preposta   al   rilascio   del
 provvedimento  -  quanto  alle  condizioni sostanziali da valutare ai
 fini dell'atto di assenso - non potra' non valutare  quelle  indicate
 nella prima parte dell'art. 13: donde la possibilita' di giustificare
 per  questa  via,  il  richiamo  all'art. 13 relativo alle condizioni
 sostanziali dell'autorizzazione.
    La parte privata non si e' costituita.
                         Considerato in diritto
    1. - Il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 sottopone ad  autorizzazione
 da  parte della regione la costruzione, l'esercizio, la modificazione
 e il trasferimento di impianti che provochino emissioni  nell'aria  e
 sanziona penalmente il compimento di tali attivita' senza la prevista
 autorizzazione,  ovvero  in difformita' da essa o in violazione delle
 relative prescrizioni.
    In  particolare,  l'art.  6  prevede  e  regola  la   domanda   di
 autorizzazione  che  deve  essere  presentata  alla  regione  o  alla
 provincia autonoma per la costruzione di un nuovo impianto  e  l'art.
 24  punisce  con  sanzioni  variamente articolate colui che inizia la
 costruzione di un nuovo impianto o ne attiva l'esercizio in  mancanza
 dell'autorizzazionestessa,  ovvero  violandone  le prescrizioni o non
 osservando gli obblighi di comunicazione ad essa collegati. L'art. 12
 stabilisce che anche per gli impianti gia'  esistenti  alla  data  di
 entrata  in  vigore  del  decreto  deve  essere presentata domanda di
 autorizzazione   e   l'art.   13   disciplina   tale   autorizzazione
 prevedendone  le condizioni e i termini nonche' gli accertamenti e le
 prescrizioni che ad essa accedono. I primi cinque commi  e  il  comma
 settimo  dell'art.  25  stabiliscono  le  sanzioni applicabili a chi,
 esercitando  un  impianto  esistente,  non  presenta  la  domanda  di
 autorizzazione suddetta, ovvero non osserva le prescrizioni impartite
 o  comunque non rispetta i valori di emissione stabiliti direttamente
 dalla legge regionale o statale. Infine,  l'art.  15  stabilisce  che
 sono   sottoposte   a   preventiva  autorizzazione:  a)  la  modifica
 sostanziale dell'impianto che  comporti  variazioni  qualitative  e/o
 quantitative   delle   emissioni   inquinanti;  b)  il  trasferimento
 dell'impianto in altra localita'. Il comma sesto dell'art. 25 prevede
 le sanzioni penali per le relative violazioni, ma  queste  ultime  vi
 sono  cosi'  descritte:  "Chi  esegue  la modifica o il trasferimento
 dell'impianto senza l'autorizzazione prescritta dall'art. 13".
    Il riferimento all'art. 13 risulta essere il frutto di  un  errore
 materiale   di   redazione   del   testo   legislativo,   posto   che
 l'autorizzazione per la modifica o  il  trasferimento  dell'impianto,
 come  si e' riportato, e' quella prescritta dall'art. 15 e non quella
 prescritta dall'art. 13. In questo senso  si  sono  espressi  sia  il
 giudice  a  quo, sia l'Avvocatura Generale dello Stato ed il medesimo
 rilievo  e'  stato  formulato  dalla  dottrina  che  si  e'  occupata
 dell'argomento. In via meramente subordinata l'Avvocatura propone una
 giustificazione   del  riferimento  all'art.  13  osservando  che  le
 condizioni sostanziali da valutare ai fini dell'atto di  assenso  non
 possono  essere  che  quelle  indicate nella prima parte del medesimo
 art. 13. Ma tale rilievo appare volto ad individuare i contenuti e le
 condizioni della nuova autorizzazione che deve  essere  richiesta  in
 caso di modifica o trasferimento dell'impianto esistente, ma resta il
 fatto  che la norma che prescrive tale nuova autorizzazione e' l'art.
 15 e non l'art. 13.
    L'errore  e'  da  far  risalire all'originaria redazione del testo
 normativo, posto che non vi sono discordanze, sul punto, tra il testo
 pubblicato  sulla  Gazzetta  Ufficiale  e  l'originale  del   decreto
 legislativo emanato dal Presidente della Repubblica.
    Il  Pretore di Vicenza ritiene che tale errore materiale determini
 una situazione di incertezza, a causa della quale il cittadino non e'
 posto in grado di sapere quale sia il precetto  penale  ne',  quindi,
 quale  sia  la  condotta  alla  quale  egli  deve  attenersi  per non
 incorrere nella sanzione. Tale situazione - osserva il giudice a  quo
 -   si  pone  in  contrasto  con  l'art.  25,  secondo  comma,  della
 Costituzione, ma anche con il principio di uguaglianza giuridica  dei
 cittadini  a  parita'  di  condotta,  stabilito  dall'art. 3 e con il
 diritto di difesa, consacrato dall'art. 24.
    2. - La questione e' fondata.
    Con la sentenza n.  364  del  1988,  questa  Corte  ha  dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 5 cod. pen. nella parte in
 cui  tale  norma  consentiva  che  fossero  chiamati   a   rispondere
 penalmente  anche  coloro  che  versano in uno stato di inevitabile e
 quindi  scusabile  ignoranza  della  legge   penale,   quale   quello
 oggettivamente   determinato   da   assoluta   oscurita'   del  testo
 legislativo.
    Prima ancora che costituire  vincoli  in  ordine  alla  disciplina
 legislativa    del   requisito   della   colpevolezza,   i   principi
 costituzionali che la Corte ha posto a base  di  tale  sua  decisione
 riguardano  la  formulazione stessa delle norme penali e concorrono a
 definire il  contenuto  del  principio  di  determinatezza  stabilito
 dall'art.  25, secondo comma, della Costituzione, inteso non soltanto
 quale garanzia contro l'arbitrio del giudice, ma anche quale presidio
 della liberta' e della sicurezza dei cittadini.
    Il principio di determinatezza della norma  penale,  infatti,  ha,
 tra  i  suoi  portati, quello di imporre al legislatore l'obbligo "di
 formulare norme concettualmente precise sotto  il  profilo  semantico
 della  chiarezza  e  della  intellegibilita'  dei  termini impiegati"
 (sentenza n. 96 del 1981).
    La essenziale funzione di  garanzia  della  persona  e  della  sua
 liberta',  assolta dal principio di legalita' dei reati e delle pene,
 implica che "nelle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve
 poter trovare, in ogni momento, cosa gli e'  lecito  e  cosa  gli  e'
 vietato:  ed  a  questo  fine  sono necessarie leggi precise, chiare,
 contenenti riconoscibili direttive di comportamento" (sentenza n. 364
 del 1988).
    Con tali enunciati, la Corte non ha  ovviamente  inteso  affermare
 che  le norme penali debbano necessariamente essere formulate in modo
 cosi' chiaro ed univoco da non dar luogo a dubbi  interpretativi.  Ma
 vi  sono  requisiti  minimi di riconoscibilita' e di intellegibilita'
 del precetto penale - che rappresentano  anche,  peraltro,  requisiti
 minimi di razionalita' dell'azione legislativa - in difetto dei quali
 la   liberta'  e  la  sicurezza  giuridica  dei  cittadini  sarebbero
 pregiudicate.
    Questo e' quanto si verifica nel caso in esame,  in  cui  l'errore
 materiale   di  redazione  del  testo  legislativo,  quale  e'  stato
 evidenziato nel precedente paragrafo, costituisce  per  il  cittadino
 una  vera  e  propria  insidia,  palesemente  idonea ad impedirgli la
 comprensione del precetto penale, o, quanto meno, a fuorviarlo.
    L'errore  stesso, peraltro, introduce nella formulazione letterale
 della  disposizione  un  elemento  certo,  pur  se  involontario,  di
 irrazionalita' e di contraddittorieta' rispetto al contesto normativo
 in  cui  la  disposizione e' inserita e come tale determina anche una
 violazione di quel canone di coerenza delle norme che e'  espressione
 del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    E'  pertanto  sindacabile  da  parte  di  questa  Corte  il  vizio
 consistente  nell'errore  materiale  di  redazione  legislativa,  che
 infici il testo della disposizione, pregiudicando, nella misura e nei
 modi   che  ricorrono  nel  caso  in  esame,  la  riconoscibilita'  e
 l'intellegibilita' del precetto penale con essa disposto. Rilevato un
 simile  vizio,  la  Corte,  in  adempimento  della  sua  funzione  di
 conformazione dell'ordinamento legislativo al dettato costituzionale,
 deve  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  della parte della
 disposizione specificamente viziata e dalla quale deriva  il  difetto
 di riconoscibilita' e di intellegibilita' del precetto.
    Ne'  - cosi' operando - viene a prodursi, ad opera della pronunzia
 della Corte, un precetto penale nuovo rispetto a quello  dettato  dal
 legislatore.
    Il carattere evidente del lapsus risultante nel testo normativo fa
 si'   che   la   correzione  da  apportare  e'  solo  rivolta  a  far
 corrispondere pienamente la lettera della legge alla volonta' che  il
 legislatore intendeva enunciare. La presente decisione, pertanto, non
 aggiunge  alcunche'  alla  norma impugnata, ma si limita a rendere ad
 essa quella intellegibilita'  che  i  principi  costituzionali  sopra
 richiamati richiedono per i precetti penali.