ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del codice di
 procedura  penale in relazione agli artt. 135 del decreto legislativo
 28 luglio 1989, n. 271  (Norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
 transitorie  del  codice  di  procedura  penale)  e 444 del codice di
 procedura penale, promossi con  n.  3  ordinanze  emesse  da  diverse
 autorita'  giudiziarie,  iscritte  ai nn. 699, 700 e 714 del registro
 ordinanze 1991 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica
 nn. 47 e 49, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto di costituzione di Ferri Franco nonche' gli  atti  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 3 marzo 1992 il Giudice relatore
 Ugo Spagnoli;
    Uditi l'avvocato Michele Silverj per  Ferri  Franco  e  l'Avvocato
 dello  Stato  Paolo  Di  Tarsia  di  Belmonte  per  il Presidente del
 Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nell'udienza dibattimentale del 14 ottobre  1991  concernente
 un  procedimento  a  carico  di  Ferri  Franco  e  Cupaiolo  Basilio,
 quest'ultimo chiedeva l'applicazione della  pena  ex  art.  444  cod.
 proc.   pen.,  ottenendo  il  consenso  del  pubblico  ministero.  Il
 Tribunale di Macerata, presa visione, ai sensi  dell'art.  135  disp.
 att. cod. proc. pen., degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico
 ministero,  rigettava la richiesta. Quindi, su eccezione della difesa
 del coimputato Ferri, sollevava, con ordinanza emessa nella  medesima
 udienza   (r.o.   n.   699/91),   una   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  34,  secondo  comma,  cod.   proc.   pen.,
 assumendone  il  contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. "nella parte in
 cui non prevede tra le ipotesi di incompatibilita' del giudice  anche
 quella  in  cui  il  giudice  del dibattimento abbia avuto conoscenza
 degli atti contenuti nel fascicolo del PM ai sensi  del  citato  art.
 135 D.lg.vo 271/89".
    Il  Tribunale sostiene che, quando la richiesta di applicazione di
 pena sia stata rigettata o accolta per uno solo  dei  coimputati,  il
 diritto  di  difesa  di entrambi sarebbe compromesso o menomato dalla
 previa conoscenza dei suddetti  atti  da  parte  del  collegio:  cio'
 perche' e' principio informatore del nuovo sistema processuale che il
 giudice  non  li  debba  conoscere,  dato  che la prova deve formarsi
 esclusivamente in dibattimento, e perche' tale principio e' indice di
 un'accentuazione nel sistema del rilievo assegnato alla terzieta' del
 giudice (cfr. sentenza n. 496 del 1990).
    Tale anticipata cognizione, inoltre, darebbe luogo a disparita' di
 trattamento  rispetto agli imputati nei cui confronti essa non si sia
 verificata, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.
   1.1. - La  parte  privata  Ferri  Franco,  rappresentata  e  difesa
 dall'avv.  M.  Gentiloni  Silverj,  aderisce  alle argomentazioni del
 giudice a quo, sottolineando che nel procedimento di applicazione  di
 pena  di cui all'art. 444 cod. proc. pen., il giudice valuta gli atti
 delle indagini preliminari e motiva il provvedimento  conclusivo  non
 solo  sotto  il profilo della legittimita', ma anche sotto quello del
 merito  (sentenza  n.  313  del  1990),  e   quindi   compie   quella
 "valutazione  non  formale,  ma  di  contenuto  dei  risultati  delle
 indagini preliminari" che secondo la sentenza n. 496 del 1990  radica
 l'incompatibilita'.
    1.2.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che  la
 questione  sia  dichiarata  non  fondata,  richiamando le conclusioni
 rassegnate nei giudizi instaurati con le ordinanze nn. 184 e 664  del
 1991, gia' riassunte nelle sentenze nn. 401 del 1991 e 124 del 1992.
    2. - Anche il Tribunale di Bari, con ordinanza del 10 ottobre 1991
 (r.o.  n.  700/91),  ha sollevato - in riferimento, pero', agli artt.
 76, 77 e 25 Cost. - una questione di legittimita' costituzionale  del
 citato  art.  34, secondo comma, cod. proc. pen., "nella parte in cui
 non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio del  giudice
 che  ha pronunciato o concorso a pronunciare sentenza nel giudizio di
 applicazione  della  pena  ex  art.  444  c.p.p.  nei  confronti   di
 coimputato, nello stesso processo, di concorso negli stessi reati".
    Il  Tribunale  premette che, nel procedimento a carico di Lafronza
 Vincenzo e Malcangio Salvatore - ai quali  erano  addebitati  sia  il
 concorso  negli  stessi reati sia reati diversi per ciascuno - aveva,
 previa separazione dei  giudizi,  applicato  la  pena  richiesta  dal
 Malcangio, col consenso del pubblico ministero, emettendo la sentenza
 prevista dall'art. 444 cod. proc. pen.. Cosi' facendo, ha preso piena
 conoscenza  degli  atti  dell'indagine  preliminare ed ha espresso il
 proprio  convincimento   in   ordine   alla   sussistenza   ed   alla
 qualificazione   giuridica   dei   fatti,  anche  in  relazione  alle
 aggravanti  contestate,  escludendo  altresi'   la   ricorrenza   dei
 presupposti per l'applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen.. Da cio'
 deriva  -  secondo  il Tribunale - un inevitabile condizionamento del
 giudice rispetto al successivo giudizio sugli  stessi  fatti  cui  e'
 chiamato  nei confronti del coimputato, dato che ha gia' compiuto una
 valutazione sul merito dei fatti medesimi e  sulla  fondatezza  delle
 relative   imputazioni.  Onde  ricorrerebbe,  a  suo  avviso,  quella
 situazione,  non  di  mera  conoscenza  degli  atti  delle   indagini
 preliminari,  ma  di valutazione di contenuto dei loro risultati, che
 alla stregua della sentenza di questa Corte n. 496 del  1990  vale  a
 radicare l'incompatibilita'.
    2.1.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che  la
 questione   sia  dichiarata  infondata,  richiamando  le  conclusioni
 rassegnate nel giudizio instaurato con l'ordinanza n. 287  del  1991,
 gia' riassunte nella sentenza n. 401 del 1991.
    3.  -  Rilevando di aver gia' conosciuto del procedimento penale a
 carico di Massi Natalia, Breda Alexander e  Ferri  Andrea  in  quanto
 aveva,  quale  giudice per le indagini preliminari, respinto - per la
 ritenuta impossibilita' di  decidere  allo  stato  degli  atti  -  la
 richiesta  di  giudizio  abbreviato avanzata dal Breda, il Pretore di
 Urbino ha sollevato  d'ufficio,  con  ordinanza  emessa  nell'udienza
 dibattimentale  del 3 ottobre 1991 (r.o. n. 714/91), una questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma,  del  codice
 di    procedura    penale   "nella   parte   in   cui   non   prevede
 l'incompatibilita'  a  partecipare  al  giudizio  dibattimentale  del
 giudice   che   abbia   partecipato  come  giudice  per  le  indagini
 preliminari al giudizio abbreviato".
    Ad avviso del giudice rimettente, sarebbero violati gli artt. 76 e
 77 Cost. - in relazione ai principi di cui  all'art.  2  della  legge
 delega  16  febbraio 1987, n. 81 - nonche' l'art. 25 Cost., in quanto
 tale  omessa  previsione  sarebbe  in  contrasto  col  principio   di
 "terzieta'"  del  giudice del dibattimento, cui la legge delega si e'
 ispirata ed a tutela del quale e' stato introdotto il regime c.d. del
 "doppio fascicolo" (artt. 431 e 433 cod. proc. pen.), onde  sottrarre
 alla  conoscenza  di detto giudice gli atti inclusi nel fascicolo del
 pubblico ministero; mentre questi - essendo  il  giudizio  abbreviato
 condotto su tale fascicolo - sono in detta sede conosciuti, anche per
 la parte che non puo' confluire nel fascicolo del dibattimento.
    3.1.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che  la
 questione  sia  dichiarata infondata. A suo avviso, infatti, la legge
 delega (direttiva n. 67) ed il principio di imparzialita' del giudice
 (art. 25 Cost.) possono  ritenersi  violati  solo  quando  lo  stesso
 giudice  e'  chiamato  a  pronunciarsi due volte sul medesimo oggetto
 partendo da  atti  gia'  da  lui  conosciuti  in  sede  di  pregresse
 decisioni.  Nel  caso in esame il giudice si limita ad una cognizione
 sommaria ai soli  fini  di  valutare  l'ammissibilita'  del  giudizio
 abbreviato,  basandosi  per  di  piu'  su un materiale probatorio non
 coincidente con quello di cui dispone il giudice del  dibattimento  e
 ravvisandone  percio'  l'insufficienza  ai  fini  della  decisione di
 merito:  onde  non  puo'  dirsi  che  tale  valutazione   costituisca
 anticipazione del giudizio definitivo.
    Non vi e' stata costituzione di parti private.
                         Considerato in diritto
    1.  -  I  tre  giudizi investono, pur se sotto diversi profili, la
 medesima disposizione  di  legge.  E'  percio'  opportuno  che  siano
 riuniti e decisi con un'unica sentenza.
    2.  - Il Tribunale di Macerata (r.o. n. 699/91), dovendo celebrare
 il dibattimento nei confronti di due coimputati dello stesso reato ed
 avendo in precedenza respinto - previo esame degli atti contenuti nel
 fascicolo del pubblico ministero ai sensi dell'art.  135  disp.  att.
 cod.  proc. pen. - la richiesta di applicazione di pena concordata ai
 sensi dell'art.  444  cod.  proc.  pen.  avanzata  col  consenso  del
 pubblico  ministero  da  uno  di  essi, dubita che l'art. 34, secondo
 comma, del codice di procedura penale, in quanto non prevede  in  tal
 caso  l'incompatibilita' a partecipare al giudizio, contrasti con gli
 artt. 3 e 24 Cost., perche' tale previa valutazione comporterebbe  un
 deteriore  trattamento  per  gli  imputati  nei  cui confronti si sia
 verificata e ne menomerebbe il diritto di difesa.
    2.1. - La questione e' fondata.
    Questa Corte ha gia' chiarito, nella sentenza n. 124 del 1992, che
 non la mera conoscenza degli atti, ma una valutazione di merito circa
 l'idoneita'  delle risultanze delle indagini preliminari a fondare un
 giudizio  di   responsabilita'   dell'imputato,   vale   a   radicare
 l'incompatibilita';  e che questa deve riconoscersi sussistente nelle
 ipotesi (non di inammissibilita', ma) di rigetto della  richiesta  di
 applicazione di pena concordata, dato che essa comporta, quanto meno,
 una   valutazione   negativa   circa   l'esistenza  delle  condizioni
 legittimanti il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.  e  circa
 la congruenza alle suddette risultanze della qualificazione giuridica
 del  fatto  e/o  delle circostanze ritenute nella richiesta: cio' che
 risulta dagli atti essersi verificato nel caso di specie, in  cui  il
 rigetto concerneva appunto la suddetta qualificazione giuridica.
    L'impugnato   art.   34,  secondo  comma,  va  percio'  dichiarato
 costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in  cui  non   prevede
 l'incompatibilita'  a  partecipare  al giudizio del giudice che abbia
 rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata ex art. 444
 cod. proc. pen..
    3. - A diverse conclusioni deve invece pervenirsi in  ordine  alla
 questione  sollevata  dal  Tribunale  di  Bari  (r.o. n. 700/91) che,
 avendo, previa  separazione  dei  giudizi,  emesso  una  sentenza  di
 applicazione  di  pena  concordata  nei confronti di un coimputato di
 concorso negli stessi reati, dubita che il citato  art.  34,  secondo
 comma,  confligga  con  gli  artt.  76,  77  e 25 Cost. in quanto non
 prevede, in tal caso, l'incompatibilita' a celebrare il giudizio  nei
 confronti  dell'altro  imputato:  e  cio' perche' in tal modo sarebbe
 stata gia' compiuta una valutazione del  merito  dei  fatti  e  della
 fondatezza delle relative imputazioni.
    3.1. - Nella gia' citata sentenza n. 124 del 1992, questa Corte ha
 precisato che l'imparzialita' e' "connotato intrinseco dell'attivita'
 del  giudice"  e che percio' l'incompatibilita', nella disciplina qui
 in esame, "e' ragionevolmente circoscritta ai casi di duplicita'  del
 giudizio  di  merito  sullo stesso oggetto", dato che per attuare "la
 garanzia costituzionale del giusto processo" cio' che va  evitato  e'
 "il  rischio  che la valutazione conclusiva di responsabilita' sia, o
 possa  apparire,  condizionata  dalla  propensione  del   giudice   a
 confermare una propria precedente decisione".
    A tal fine e', pero', necessario che la regiudicanda sia identica,
 dato  che  solo  in  tal  caso  puo'  riconoscersi un condizionamento
 suscettibile di minare l'imparzialita'. Un'identita' dell'oggetto del
 giudizio non  e'  invece  ravvisabile  nell'ipotesi  di  concorso  di
 persone  nel  medesimo reato, perche' alla comunanza dell'imputazione
 fa necessariamente riscontro una pluralita' di condotte distintamente
 ascrivibili a  ciascuno  dei  concorrenti,  le  quali,  ai  fini  del
 giudizio  di  responsabilita',  devono  formare  oggetto  di autonome
 valutazioni sotto il profilo tanto materiale che psicologico,  e  ben
 possono,  quindi,  sfociare  in  un accertamento positivo per l'uno e
 negativo per l'altro.
    La questione, di conseguenza, deve essere dichiarata infondata.
    4. - Della legittimita'  del  medesimo  art.  34,  secondo  comma,
 dubita  anche  il  Pretore  di Urbino (r.o. n. 714/91) per la mancata
 previsione   dell'incompatibilita'   a    celebrare    il    giudizio
 dibattimentale  di  chi,  quale  giudice per le indagini preliminari,
 abbia  respinto la richiesta di giudizio abbreviato - avanzata, nella
 specie, da uno dei tre imputati - per la ritenuta  impossibilita'  di
 decidere allo stato degli atti.
    Ad  avviso del rimettente sarebbe violato, in tal caso, in ragione
 della previa conoscenza - preclusa al giudice dibattimentale -  degli
 atti  contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, il principio di
 "terzieta'" di  detto  giudice  desumibile  dalle  direttive  di  cui
 all'art.  2 della legge delega n. 81 del 1987 e, quindi, gli artt. 76
 e 77, nonche' l'art. 25 della Costituzione.
    4.1. - La questione non e' fondata.
    Anche rispetto ad essa deve ribadirsi, innanzitutto, che  la  mera
 conoscenza  degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero
 non  e',  di  per  se'  stessa,  ragione   sufficiente   a   radicare
 l'incompatibilita'al giudizio.
    Si  e' anche chiarito, d'altra parte, che a tal fine e' necessario
 che si sia in presenza di una duplice valutazione di merito. Nel caso
 in esame, invece, la valutazione circa la  decidibilita'  allo  stato
 degli  atti,  da  effettuarsi  ai fini dell'introduzione del giudizio
 abbreviato, concerne solo  la  sufficienza  di  essi  ai  fini  della
 formulazione di un giudizio definitivo di responsabilita' e comporta,
 quindi,  una  decisione  di  natura  meramente  processuale, per cio'
 stesso inidonea a  dar  luogo  ad  un  "pre-giudizio"  rispetto  alla
 decisione  di merito (cfr., da ultimo, la gia' citata sentenza n. 124
 del 1992).