ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 449 e 452 del
 codice di procedura penale e dell'art. 247 del decreto legislativo 28
 luglio  1989,  n.  271  (Norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
 transitorie  del  codice  di  procedura  penale),  promossi  con n. 3
 ordinanze di diverse autorita' giudiziarie, iscritte ai nn. 133,  408
 e  409  del  registro  ordinanze  1991  e  pubblicate  nelle Gazzette
 Ufficiali della  Repubblica  nn.  11  e  23,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1991;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 20 novembre  1991  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  In  un procedimento per detenzione di sostanze stupefacenti
 instaurato con rito direttissimo innanzi al Tribunale di  Milano,  la
 difesa   dell'imputato   chiedeva   la   trasformazione  in  giudizio
 abbreviato ed il pubblico ministero prestava il proprio consenso,  ma
 a   condizione  che  venisse  disposta  una  perizia  sulla  predetta
 sostanza.
    Sulla  premessa  che  tale  dichiarazione,  risolvendosi  in   una
 richiesta  di  prova non ammissibile nella fase in questione, valesse
 come dissenso, ma che la perizia  fosse,  nella  specie,  necessaria,
 "con  conseguente preclusione del rito abbreviato", il Tribunale, con
 ordinanza  del  5  dicembre  1990  (r.o.  n.  133/91),  ha  sollevato
 d'ufficio,  in riferimento agli artt. 3 e 101 Cost., una questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 449 e 452 cod. proc. pen., in
 quanto non prevedono, alternativamente:  il  primo,  un  obbligo  del
 pubblico ministero di espletare prima dell'instaurazione del giudizio
 direttissimo  gli  accertamenti tecnici indispensabili per consentire
 all'imputato di fruire del giudizio abbreviato; ovvero - il secondo -
 la facolta' del pubblico ministero di udienza di prestare un consenso
 a tale rito condizionato all'esperimento da  parte  del  giudice  dei
 predetti accertamenti.
    Ove   ricorrano  le  condizioni  di  ammissibilita'  del  giudizio
 direttissimo  -  osserva  il  Tribunale  rimettente  -  il   pubblico
 ministero puo' o espletare i suddetti accertamenti, cosi' consentendo
 una  decisione  nel  merito,  o presentare direttamente l'imputato al
 giudice.  In  quest'ultimo  caso,  pero',  ove   l'accertamento   sia
 necessario,  da  un  lato  e'  legittimo  il  dissenso  del  pubblico
 ministero d'udienza al rito abbreviato,  dato  che  costui  non  puo'
 contare  sull'utilizzo  da parte del giudice dei poteri d'indagine di
 cui  all'art.  452,  secondo  comma;   dall'altro,   e'   imposta   a
 quest'ultimo  la  trattazione  con le forme del giudizio direttissimo
 ordinario. Conseguenza di cio' e' che l'imputato non puo' fruire  dei
 benefici  del  rito abbreviato, "con palese disparita' di trattamento
 rispetto a soggetti in situazioni analoghe".
    1.1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura  dello Stato, ha chiesto che la questione sia
 dichiarata infondata. A suo avviso, l'imputato non ha un "diritto" al
 ricorso al rito  abbreviato  ed  il  suo  interesse  ad  ottenere  la
 prevista  riduzione  di  pena  non  puo'  implicare  che  al pubblico
 ministero sia imposto di svolgere nella fase  anteriore  al  giudizio
 un'attivita' superflua ai fini dell'esercizio dell'azione penale, pur
 se  essa  sia  imprescindibile  se considerata come elemento di prova
 utilizzabile nel giudizio.
    Piu' in generale, la prospettiva in  cui  la  questione  e'  posta
 contraddirebbe sia coll'ispirazione di fondo del nuovo processo, dato
 che   imporrebbe   la   completezza   "probatoria"   delle   indagini
 preliminari, sia con la base pattizia  del  giudizio  abbreviato,  in
 quanto  se  il  pubblico  ministero  fosse  tenuto  a  svolgere  ogni
 attivita' d'indagine eventualmente utilizzabile dal  giudice  per  la
 decisione  di  merito,  non  potrebbe mai giustificatamente negare il
 proprio consenso ad esso.
    Se poi si accettasse la prospettiva di  un  consenso  condizionato
 all'espletamento da parte del giudice del dibattimento di determinate
 attivita'  istruttorie,  si  configurerebbe un rito non abbreviato ma
 "misto",  accompagnato  da  ingiustificati   aspetti   premiali   per
 l'imputato   in  caso  di  condanna,  ed  il  consenso  sul  rito  si
 trasformerebbe in consenso su una diminuente.
    2.  -  In  esito  ad  un  giudizio  per  detenzione  di   sostanze
 stupefacenti  promosso  e svoltosi con rito direttissimo in quanto il
 pubblico ministero si era opposto alla sua trasformazione in giudizio
 abbreviato - chiesta dagli imputati - per la ritenuta  necessita'  di
 assumere  deposizioni  testimoniali  (poi  effettivamente acquisite e
 risultate decisive), il  Tribunale  di  Roma,  con  ordinanza  dell'8
 gennaio  1991  (r.o.  n.  408/91),  ha sollevato, in riferimento agli
 artt. 3 e 25 Cost.,  una  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  452,  secondo  comma,  del codice di procedura penale, "in
 quanto subordina l'instaurazione del giudizio abbreviato al  consenso
 del  pubblico  ministero  ovvero in quanto non consente al giudice di
 ritenere ingiustificato il suo  dissenso  quando  la  indecidibilita'
 allo  stato  degli  atti  possa  essere  colmata  dal  meccanismo  di
 integrazione probatoria previsto dalla predetta norma".
    Dopo aver osservato che la decidibilita' allo  stato  degli  atti,
 posta  in  via  generale  come  requisito per la procedibilita' nelle
 forme  del  giudizio  abbreviato,  puo'  dipendere  dalla   strategia
 processuale prescelta dal pubblico ministero - cio' che la renderebbe
 criterio  di  per  se'  opinabile - il giudice rimettente rileva che,
 peraltro,   essa   non  condiziona  la  trasformazione  del  giudizio
 direttissimo  in  giudizio  abbreviato.  Questa,   infatti,   avviene
 automaticamente  sol che l'imputato ne faccia richiesta e il pubblico
 ministero vi consenta; il giudice non puo' rigettare la richiesta, ma
 puo' soltanto, nel caso in cui ritenga che lo stato  degli  atti  non
 consenta   l'immediata   definizione  del  procedimento,  avviare  il
 meccanismo di assunzione delle prove, anche su temi  nuovi  oltreche'
 incompleti, disciplinato nel citato art. 452.
    Tuttavia,  e  contraddittoriamente,  l'indecidibilita'  allo stato
 degli atti e' - a seguito della sentenza di questa Corte n.  183  del
 1990   -   l'unico   motivo   per  cui  il  pubblico  ministero  puo'
 legittimamente opporsi alla trasformazione del giudizio  direttissimo
 in  giudizio  abbreviato;  con  la conseguenza che, in una situazione
 processuale  che  non  consenta  la  decisione  in  base  alle   sole
 risultanze  delle indagini preliminari, l'organo dell'accusa si trova
 di fronte all'insolubile dilemma di prestare  il  suo  consenso  alla
 instaurazione  del  giudizio  abbreviato rischiando di sacrificare le
 ragioni probatorie dell'accusa  (nel  caso  in  cui  il  giudice  non
 solleciti  la  necessaria integrazione probatoria) ovvero di negarlo,
 al fine di assicurarsi  l'assunzione  di  quelle  stesse  prove  che,
 mediante  l'iniziativa  del  giudice,  potrebbero  essere assunte nel
 giudizio  abbreviato.  L'integrazione  probatoria  avverra',  quindi,
 nell'un  caso,  nelle forme del giudizio abbreviato e, nell'altro, in
 quelle del giudizio direttissimo, senza che  vi  sia  alcun  criterio
 legale che vincoli o guidi le scelte del pubblico ministero: e questi
 resterebbe,    di    conseguenza,    incensurabile    arbitro   della
 trasformazione del giudizio direttissimo  in  giudizio  abbreviato  e
 quindi della misura della pena nella rilevante misura di un terzo.
    Di  qui  la  lamentata  violazione dei principi di legalita' delle
 pene (art. 25 Cost.) e di parita' di trattamento sanzionatorio,  dato
 che nella stessa situazione sostanziale e processuale l'entita' della
 pena   varia  a  seconda  delle  scelte  discrezionali  del  pubblico
 ministero  e  del  mero  nome  del  procedimento  nel  quale  avviene
 l'acquisizione delle prove.
    L'assunzione  dell'indecidibilita'  allo  stato  degli  atti  come
 (unico) parametro processuale che giustifica il dissenso del pubblico
 ministero, farebbe  poi  escludere,  da  un  lato,  che  le  suddette
 violazioni  possano  giustificarsi  con  la diversita' delle forme di
 espletamento delle prove nei due giudizi o con  ragioni  di  economia
 processuale;  dall'altro,  che  la  riduzione  della pena di un terzo
 possa essere applicata dal giudice in esito al giudizio direttissimo,
 dato che alla stregua della citata  sentenza  cio'  avviene  solo  se
 l'opposizione  del  pubblico ministero risulta ingiustificata, mentre
 nella situazione qui considerata l'indecidibilita' allo  stato  degli
 atti   si   presuppone   effettivamente   sussistente.  Ne'  potrebbe
 ritenersi,   in   via   interpretativa,   che    l'opposizione    sia
 ingiustificata  tutte le volte che l'indecidibilita' allo stato degli
 atti puo' essere  colmata  con  il  meccanismo  integrativo  previsto
 dall'art.  452,  dato  che  questo  "consente  di assumere tutti "gli
 elementi necessari ai fini della decisione, nelle forme" (e non anche
 nei limiti, gia' di per se'  normalmente  sufficienti  a  colmare  le
 lacune  probatorie)  "previste dall'art. 422" e, percio', di superare
 sempre l'indecidibilita'.
    La riconduzione nella legalita' costituzionale dell'istituto della
 trasformazione  del  giudizio  direttissimo  in  giudizio  abbreviato
 potrebbe quindi  avvenire,  secondo  il  Tribunale  rimettente,  solo
 statuendo - con una pronuncia di illegittimita' - che il dissenso del
 pubblico  ministero  e'  ingiustificato quando l'indecidibilita' allo
 stato degli atti e' superabile col predetto meccanismo d'integrazione
 probatoria, ovvero che il consenso non e' necessario e che quindi  il
 giudizio  abbreviato  puo'  instaurarsi  in  base alla sola richiesta
 dell'imputato: soluzione, quest'ultima, che avrebbe il  vantaggio  di
 consentire  l'utilizzazione  degli  elementi  di  prova acquisiti dal
 pubblico ministero, di limitare le impugnazioni (art. 443 cod.  proc.
 pen.)  e  di  evitare  che  la  riduzione di pena venga applicata dal
 giudice a conclusione del dibattimento e cioe'  dopo  una  assunzione
 probatoria rivelatasi inutile.
    3.  - Con ordinanza del 18 marzo 1991 (r.o. n. 409/91), emessa nel
 corso di un altro procedimento  penale  per  detenzione  di  sostanze
 stupefacenti, instaurato nelle forme del rito direttissimo (artt. 502
 e  segg.  del  cod. proc. pen. del 1930) anteriormente all'entrata in
 vigore del nuovo codice di procedura penale, lo stesso  Tribunale  di
 Roma  ha riproposto, nei medesimi termini e con identica motivazione,
 la suesposta questione di legittimita' costituzionale dell'art.  452,
 secondo comma, del predetto codice.
    Inoltre,  poiche'  nel  procedimento  il pubblico ministero si era
 opposto alla trasformazione in giudizio abbreviato  per  la  ritenuta
 necessita'  che  venisse  svolta  una specifica attivita' istruttoria
 (accertamenti  peritali  sulla  sostanza  stupefacente)  il   giudice
 rimettente,    facendo    proprie   le   argomentazioni   dell'organo
 dell'accusa,  ha  sollevato  anche  una  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  247  delle  disposizioni di attuazione, di
 coordinamento e transitorie del nuovo cod. proc. pen..
    Sulla premessa che il richiamo fatto  da  tale  disposizione  alle
 forme  del  giudizio  abbreviato va riferito all'intera disciplina di
 tale istituto (artt. 438 e segg.), ivi compresa l'espressa esclusione
 della possibilita' di acquisire le  "sommarie  informazioni  ai  fini
 della  decisione"  di cui all'art. 422 (art. 441, primo comma), e che
 cio' vale anche in caso di trasformazione del  giudizio  direttissimo
 in giudizio abbreviato, il Tribunale osserva che, non essendo in tale
 ipotesi  applicabile,  neanche  per  analogia,  la  norma  (art. 452,
 secondo comma) che consente l'acquisizione di  elementi  di  giudizio
 ulteriori  rispetto  a  quelli gia' esistenti in atti, ne risulta una
 "sensibile  ed  ingiustificata  disparita'  di  trattamento   tra   i
 procedimenti  con rito direttissimo, disciplinati dal nuovo codice, e
 quelli instaurati in vigenza del vecchio codice e, dopo il 24 ottobre
 1989, sottoposti al regime transitorio".
    Tale disparita', peraltro,  ad  avviso  del  Tribunale  rimettente
 persisterebbe  anche  se  il  citato  art.  452, secondo comma, fosse
 ritenuto applicabile per analogia, dato che nella specie il  dissenso
 del  pubblico ministero all'instaurazione del giudizio abbreviato era
 da ritenere  giustificato;  e  percio'  sarebbe  rilevante  anche  la
 questione dianzi illustrata (par. 2).
   3.1.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nei
 due predetti giudizi, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato,  con
 memorie  di  identico  tenore, ha chiesto che la questione sub 2) sia
 dichiarata infondata.
    Nella  fattispecie  considerata  dall'art.  452  cod. proc. pen. -
 osserva l'Avvocatura - il consenso o dissenso del pubblico  ministero
 alla trasformazione del rito dipende solo dalla sua valutazione circa
 la  decidibilita'  allo  stato  degli  atti,  e  la  scelta  del rito
 presuppone solo l'accordo delle  parti.  Ed  e'  proprio  perche'  il
 giudice  non  puo' opporvisi che gli e' conferito in via esclusiva il
 potere di integrazione probatoria. Il proprium del rito  sta,  cioe',
 nella  sua  natura  pattizia, sicche' il giudice deve disinteressarsi
 del perche' l'accordo non si sia perfezionato, salvo che nell'ipotesi
 in cui il dissenso del pubblico ministero sia ingiustificato.
    D'altra parte, la soluzione della trasformazione del rito in  base
 alla sola richiesta dell'imputato e', secondo l'Avvocatura, assurda e
 la  prospettiva  indicata  dal  giudice  a  quo  si  muove  sul piano
 inclinato che conduce al sindacato sulla scelta del rito operata  dal
 pubblico  ministero: ed infatti, a seconda che egli eserciti l'azione
 penale con rito direttissimo ovvero in altro modo, l'imputato puo'  o
 non   puo'  essere  in  grado  di  attivare  il  giudizio  abbreviato
 prescindendo dal consenso del  pubblico  ministero.  Ancor  piu',  la
 stessa  attivita'  di indagine di quest'ultimo dovrebbe essere allora
 oggetto di valutazione giudiziale, allo scopo di verificare, nei casi
 in cui il pubblico ministero abbia  esercitato  l'azione  penale  nei
 modi   ordinari,  se  l'incompletezza  investigativa  ai  fini  della
 decisione   nel   merito   abbia   ingiustificatamente    sacrificato
 l'aspettativa   dell'imputato   di  vedersi  giudicato  con  il  rito
 abbreviato.
    L'ordinanza, infine, sarebbe viziata  da  un  errore  generale  di
 prospettiva:  quello  di  considerare  il  giudizio  abbreviato (e lo
 sconto di pena che ne consegue in caso di condanna) come un "diritto"
 dell'imputato, del quale  in  qualche  modo  debba  farsi  carico  il
 giudice, anziche' un peculiare sviluppo processuale di un accordo tra
 le  parti, che presuppone, tra l'altro, la concorde valutazione circa
 la concludenza degli atti di indagine ai  fini  della  decisione  nel
 merito.
                        Considerato in diritto
    1.  - Le tre ordinanze investono la medesima disposizione di legge
 e prospettano  questioni  analoghe.  E'  opportuno,  di  conseguenza,
 disporre la riunione dei relativi giudizi.
    2.  -  Il Tribunale di Roma dubita, innanzitutto (r.o. n. 408/91),
 che l'art. 452, secondo comma, cod. proc. pen. in quanto prevede,  da
 un  lato,  la  trasformazione  del  giudizio direttissimo in giudizio
 abbreviato in base al  solo  accordo  delle  parti  e  conferisce  al
 giudice  il  potere di disporre le integrazioni probatorie necessarie
 e, dall'altro - in base alla sentenza n. 183 del 1990 di questa Corte
 -  legittima  il   dissenso   del   pubblico   ministero   solo   con
 l'indecidibilita'  allo stato degli atti, contrasti con gli artt. 3 e
 25 Cost.. Tale parametro, infatti, lascerebbe il  pubblico  ministero
 arbitro  di  consentire  o  dissentire  a  seconda che confidi o meno
 nell'integrazione  probatoria  ad  opera  del  giudice,  sicche'   la
 fruizione  della  riduzione  di un terzo della pena - prevista per il
 solo giudizio abbreviato - dipenderebbe da  una  scelta  sfornita  di
 criterio   legale,   con   conseguente  violazione  dei  principi  di
 uguaglianza e di legalita'  delle  pene.  La  norma  sarebbe  percio'
 illegittima   in   quanto   subordina  l'instaurazione  del  giudizio
 abbreviato al consenso del pubblico ministero ovvero  in  quanto  non
 consente al giudice di ritenere ingiustificato il suo dissenso quando
 la  indecibilita'  allo  stato  degli  atti  possa essere colmata dal
 meccanismo di integrazione probatoria previsto dalla predetta norma.
    Con una seconda ordinanza (r.o. n. 409/91), lo stesso Tribunale di
 Roma dubita che l'art.  247  delle  disposizioni  di  attuazione,  di
 coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate
 con  decreto  legislativo  28  luglio  1989,  n.  271,  in quanto non
 consente, nei procedimenti soggetti al  regime  transitorio,  che  in
 caso   di   trasformazione  del  giudizio  direttissimo  in  giudizio
 abbreviato possa  operare  il  predetto  meccanismo  di  integrazione
 probatoria  (per  il mancato richiamo dell'art. 452 cod. proc. pen.),
 contrasti con l'art. 3 Cost., per la disparita' di trattamento che da
 cio'  discende  tra  i  procedimenti,  a  seconda  che  siano   stati
 instaurati col vecchio ovvero col nuovo rito.
    Per  l'ipotesi,  poi,  in  cui il predetto art. 452 venga ritenuto
 applicabile per analogia nel regime transitorio, il Tribunale solleva
 nuovamente  la  questione  dianzi  esposta,  impugnando  entrambe  le
 suddette disposizioni (artt. 452 e 247).
    Il  Tribunale  di Milano, a sua volta, dubita (r.o. n. 133/91) che
 contrastino con gli artt. 3 e 101  Cost.,  in  quanto  precludono  la
 trasformazione  del  giudizio  direttissimo  in giudizio abbreviato e
 percio' la possibilita' di fruire della riduzione di un  terzo  della
 pena - con conseguente disparita' di trattamento rispetto ad imputati
 in  situazioni analoghe -: a) l'art. 449 cod. proc. pen., perche' non
 impone al pubblico ministero l'espletamento, prima dell'instaurazione
 del giudizio direttissimo, degli accertamenti tecnici  indispensabili
 per  il giudizio di merito, con cio' legittimando il diniego da parte
 del pubblico ministero di udienza del consenso al mutamento del rito;
 ovvero, alternativamente,: b) l'art. 452 cod. proc. pen.,  in  quanto
 non   prevede   che   detto   consenso   possa   essere  condizionato
 all'espletamento da parte del giudice del dibattimento  dei  predetti
 accertamenti.
    3.  - Con la seconda delle predette ordinanze (r.o. n. 409/91), il
 Tribunale di Roma solleva due distinte questioni: l'una e' basata  su
 considerazioni  del  pubblico ministero "che il Tribunale fa proprie"
 svolte nel presupposto dell'inapplicabilita' dell'art.  452,  secondo
 comma,  cod.  proc. pen. al regime transitorio del rito direttissimo;
 l'altra sviluppa un "profilo prospettato dalla difesa e condiviso dal
 tribunale" che si fonda sull'opposto assunto  della  possibilita'  di
 "applicazione analogica" dello stesso art. 452, secondo comma.
    Si   tratta,   percio',   di  due  questioni  prospettate  in  via
 alternativa, la cui rilevanza e' basata su un quesito  interpretativo
 -  applicabilita'  o  meno, in via analogica, dell'art. 452 al regime
 transitorio - che spetta allo stesso  giudice  a  quo  risolvere.  Di
 conseguenza,  alla  stregua  della  costante giurisprudenza di questa
 Corte,  entrambe  le  questioni   vanno   dichiarate   manifestamente
 inammissibili.
    4.  - Le questioni sollevate con le due restanti ordinanze possono
 essere esaminate  congiuntamente,  perche',  prendendo  le  mosse  da
 situazioni  processuali  simili,  pongono  un  quesito comune, pur se
 diversi sono i parametri invocati e le soluzioni prospettate.
    Alla base delle censure sta la disciplina del giudizio  abbreviato
 "atipico"  derivante da trasformazione del giudizio direttissimo, che
 si differenzia dal giudizio abbreviato ordinario, da un lato  perche'
 viene  instaurato sulla base della sola richiesta dell'imputato e del
 consenso  del  pubblico ministero, senza che il giudice possa emanare
 un'ordinanza di rigetto della richiesta  analoga  a  quella  prevista
 dall'art.  440;  dall'altro, perche' il giudizio cosi' introdotto non
 si svolge "allo stato degli  atti",  ma  consente  l'acquisizione  di
 nuovi  elementi  probatori.  Se,  cioe',  nel  corso del giudizio, il
 giudice "non ritiene di poter decidere allo stato degli atti,  indica
 alle  parti  temi  nuovi  o  incompleti  e  provvede  ad assumere gli
 elementi necessari ai fini  della  decisione,  nelle  forme  previste
 dall'art.  422".  E'  pero'  discusso,  in riferimento a quest'ultimo
 inciso, se esso valga a delimitare l'integrazione probatoria ai  soli
 atti  specificati  nell'art.  422,  primo  comma,  ovvero se, essendo
 richiamate le sole "forme" descritte in detto articolo,  vada  inteso
 nel senso di consentire il compimento di qualsiasi atto probatorio.
    Prendendo  le  mosse  da  quest'ultima  tesi, il Tribunale di Roma
 rileva come sia contraddittorio che l'instaurazione  di  un  giudizio
 che  consente una piena integrazione probatoria possa essere preclusa
 da un dissenso del pubblico ministero che - a  seguito  della  citata
 sentenza   n.   183   del   1990   -   puo'  fondarsi  esclusivamente
 sull'indecidibilita'allo   stato   degli    atti,    e    cioe'    su
 un'insufficienza  del quadro probatorio che e' in ogni caso colmabile
 attraverso il suddetto meccanismo di integrazione: con la conseguenza
 che, potendo  il  pubblico  ministero  determinarsi  a  consentire  o
 dissentire a seconda che confidi o meno nella successiva integrazione
 ad  opera  del  giudice, l'instaurazione del giudizio abbreviato e la
 fruizione della diminuzione di pena per esso prevista  dipenderebbero
 da una scelta discrezionale dell'organo dell'accusa, come tale lesiva
 dei principi di parita' di trattamento e di legalita' della pena.
    Sulla  base  di  tali  premesse,  il  Tribunale  di Roma prospetta
 l'esigenza di una correzione della disciplina in esame, articolandola
 su una duplice ipotesi:  che,  cioe',  l'instaurazione  del  giudizio
 abbreviato  sia consentita in base alla sola richiesta dell'imputato,
 eliminando la  necessita'  del  consenso  su  di  essa  del  pubblico
 ministero;  ovvero,  che  il dissenso di costui possa essere ritenuto
 dal giudice ingiustificato quando la  non  decidibilita'  allo  stato
 degli  atti  su cui esso e' basato possa essere colmata attraverso il
 meccanismo di integrazione probatoria previsto dall'art. 452.
    Il Tribunale di Milano,  a  sua  volta,  muovendo  sostanzialmente
 dalle   stesse   premesse  (pur  se  meno  chiaramente  esplicitate),
 prospetta due ulteriori soluzioni del medesimo problema:  nel  senso,
 cioe',  che  dovrebbe  o  imporsi  al  pubblico  ministero (incidendo
 sull'art. 449) di  compiere  prima  dell'instaurazione  del  giudizio
 direttissimo  gli  accertamenti  necessari  ad integrare il requisito
 della  decidibilita'  allo  stato  degli  atti;   ovvero   (incidendo
 sull'art.  452),  prevedersi  che il consenso dell'organo dell'accusa
 all'instaurazione del giudizio abbreviato possa  essere  condizionato
 all'espletamento da parte del giudice dei predetti accertamenti.
    5.  -  Pur non negando rilievo, in linea di principio, al problema
 della possibile incidenza sull'esperibilita' del giudizio  abbreviato
 di  scelte  discrezionali  del  pubblico  ministero - tema di recente
 esaminato, in riferimento al  giudizio  abbreviato  ordinario,  nella
 sentenza  n.  92  del  1992  -  la  Corte deve subito rilevare che il
 quesito sottopostole non e' suscettibile di soluzione univoca.
    Dalle stesse prospettazioni dei giudici a quibus, infatti, risulta
 che  ad esso potrebbero darsi ben quattro soluzioni tra loro alterna-
 tive e non e' da escludere che  possano  ipotizzarsene  delle  altre;
 cio',  avuto  riguardo  anche  alla  complessiva riconsiderazione del
 giudizio abbreviato che dalla citata sentenza potrebbe scaturire.
    E' decisivo, comunque,  il  rilievo  che  nessuna  delle  predette
 soluzioni  puo' considerarsi costituzionalmente obbligata, sicche' si
 verte in materia di  scelte  rientranti  nella  discrezionalita'  del
 legislatore.   Le   questioni,   di   conseguenza,  vanno  dichiarate
 inammissibili.