ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
 12 aprile 1990, n. 74 (Modifica alle norme sul sistema  elettorale  e
 sul  funzionamento  del  Consiglio  superiore della magistratura), in
 relazione al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, promosso  con
 ordinanza  emessa  il  30  maggio  1991  dal Tribunale amministrativo
 regionale della Sicilia sui ricorsi riuniti proposti da Grillo Renato
 contro il Consiglio superiore della magistratura ed  altro,  iscritta
 al  n.  659  del  registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 44,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 5  febbraio  1992  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con ricorso notificato il 14 novembre 1989 e depositato il 6
 dicembre 1989 presso  la  cancelleria  del  Tribunale  amministrativo
 regionale  della  Sicilia,  il  dottor  Renato  Grillo, magistrato di
 tribunale con funzioni di giudice presso  il  Tribunale  di  Palermo,
 impugnava  la  delibera  del  Consiglio  superiore della magistratura
 (C.S.M.)  in  data  19  luglio 1989 con la quale gli veniva negata la
 nomina a magistrato di appello, chiedendone l'annullamento  per  vari
 motivi.  Con altro ricorso, notificato il 23 maggio 1990 e depositato
 il 1› giugno  1990  presso  la  cancelleria  della  stessa  Autorita'
 giudiziaria,  il  Grillo  impugnava, per gli stessi motivi dedotti in
 precedenza, il d.P.R. in data 16 ottobre 1989 (registrato alla  Corte
 dei conti il 26 febbraio 1990), adottato in conformita' alla predetta
 delibera del C.S.M.
    In  particolare  il  Grillo si doleva della circostanza secondo la
 quale sarebbe stato disatteso il parere del Consiglio giudiziario  di
 Palermo  da  parte  del  C.S.M.;  della  utilizzazione,  da parte del
 predetto organo, di elementi di giudizio (negativi) non riconducibili
 ad alcuna delle categorie previste dalla normativa in  vigore;  della
 violazione  del  principio del ne bis in idem e delle disposizioni in
 tema di procedimenti  disciplinari.  Infine,  lamentava  una  cattiva
 interpretazione dei fatti assunti a base del censurato provvedimento,
 in  ispecie  a  proposito d'un incarico extra-giudiziario a suo tempo
 conferitogli.
    Costituitasi in giudizio nell'interesse  del  Consiglio  superiore
 della magistratura e del Ministro di grazia e giustizia, l'Avvocatura
 dello  Stato  resisteva  su  entrambi i ricorsi che, successivamente,
 venivano riuniti.
    2. - Con ordinanza depositata in data 29 agosto 1991 il  Tribunale
 amministrativo  regionale  della  Sicilia  ha sollevato, in relazione
 agli artt. 3, 24 e 125 della Costituzione e all'art. 23, primo comma,
 dello Statuto della Regione siciliana (regio decreto  legislativo  15
 maggio  1946,  n.  455)  in  rapporto al decreto legislativo 6 maggio
 1948, n. 654, la questione di legittimita' dell'art. 4 della legge 12
 aprile 1990,  n.  74,  nella  parte  in  cui  attribuisce  al  (solo)
 Tribunale  amministrativo regionale del Lazio, sottraendoli all'esame
 degli altri Tribunali amministrativi regionali altrimenti  competenti
 secondo  le  norme generali ed in particolare in ossequio al cd. foro
 speciale dei pubblici dipendenti stabilito dall'art. 3, cpv.   ultima
 parte,  della legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali
 (6 dicembre 1971, n. 1034), la competenza a decidere sui  ricorsi  in
 primo   grado   avverso  i  provvedimenti  riguardanti  i  magistrati
 ordinari.
    2.1.  -  Premettono  i   giudici   remittenti   che   l'originaria
 formulazione  dell'art.  17  della  legge  24  marzo  1958,  n.  195,
 istitutiva del C.S.M., prevedeva che avverso i provvedimenti da  esso
 adottati  era  dato  "ricorso  al  Consiglio  di  Stato per motivi di
 legittimita' e alle Sezioni Unite della Corte di  Cassazione  avverso
 quelli   disciplinari".  A  seguito  dell'emanazione  della  legge  6
 dicembre 1971,  n.  1034,  istitutiva  dei  Tribunali  amministrativi
 regionali,  la  giurisprudenza ha ritenuto che - non avendo l'art. 17
 della legge n. 195 del 1958 carattere di norma speciale - si  dovesse
 estendere ai provvedimenti in questione il regime del doppio grado di
 giurisdizione  introdotto, appunto, dalla legge n.1034 del 1971. Tale
 orientamento non e' stato piu' rimesso in discussione e, percio',  ne
 consegue  che  l'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74, novellando
 il solo secondo comma dell'art. 17 della legge istitutiva del C.S.M.,
 ha   sostanzialmente   modificato   il   precedente   assetto   delle
 impugnative,  sostituendo  alla  competenza  giurisdizionale in primo
 grado, ripartibile per ragioni di territorio fra  tutti  i  Tribunali
 amministrativi   regionali,   una   competenza  funzionale  del  solo
 Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
    In base alla legge n.1034 del 1971 la competenza territoriale  dei
 Tribunali  amministrativi regionali e' espressamente derogabile dalle
 parti,  anche  quando  riguardi  il  foro   speciale   dei   pubblici
 dipendenti. Ma con la cennata modifica legislativa, che ha accentrato
 la  competenza di primo grado sui ricorsi avverso i provvedimenti del
 C.S.M.  relativi  ai  magistrati   ordinari   presso   il   Tribunale
 amministrativo  regionale  del Lazio, si sarebbe pure venuta a mutare
 la natura  di  questo  tipo  di  competenza  che,  nella  specie,  si
 configurerebbe   come   una  competenza  funzionale  (o  territoriale
 inderogabile).
    Secondo i giudici remittenti, non  potrebbe  darsi,  infatti,  una
 discrezionalita' dell'amministrazione nella scelta di esperire o meno
 il  regolamento  di  competenza,  accettando,  in  contrasto  con  il
 precetto   costituzionale    di    imparzialita'    della    Pubblica
 amministrazione, una volta il diverso foro adito dal magistrato e una
 volta contestandolo con l'esperimento del regolamento di competenza -
 ex  art.  31 della legge n. 1034 del 1971. Il carattere funzionale di
 tale competenza del  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio
 risulterebbe  altresi' dal fatto che, in deroga a ogni altro criterio
 stabilito  dalla  legge  citata  n.  1034,   essa   si   radicherebbe
 esclusivamente     in    funzione    dell'oggetto    dell'impugnativa
 (provvedimenti   riguardanti   magistrati   ordinari   adottati    su
 deliberazione del C.S.M.).
    In tali sensi deporrebbero anche i lavori preparatori.
    Di  conseguenza,  tale  diverso e nuovo tipo di competenza sarebbe
 inderogabile e, percio', rilevabile d'ufficio ai sensi  dell'art.  38
 del codice di procedura civile.
    2.2.  -  I  giudici  del  Tribunale amministrativo regionale della
 Sicilia chiedono la censura della norma contenuta nell'art.  4  della
 legge  12 aprile 1990, n. 74, innanzitutto con riferimento all'art. 3
 della Costituzione. A loro avviso, con la soppressione del foro della
 sede di servizio nei confronti dei soli magistrati ordinari  verrebbe
 a determinarsi, a danno dei medesimi rispetto alle altre categorie di
 magistrati  e  alla generalita' dei pubblici dipendenti (con rapporto
 d'impiego pubblicistico), una  evidente  disparita'  di  trattamento.
 Mentre per tutti gli altri pubblici dipendenti continua ad applicarsi
 la regola del foro della sede di servizio, per i soli magistrati tale
 regola  verrebbe  meno,  si'  che ne deriverebbe un danno per costoro
 consistente   nell'impossibilita'   di   giovarsi    del    Tribunale
 amministrativo  regionale  della  rispettiva sede di servizio, che e'
 disposizione a tutela del lavoratore - pubblico dipendente in  ordine
 ai ricorsi contro i provvedimenti che li riguardano.
    Tale  disparita'  non  sarebbe  sorretta da un adeguato fondamento
 giustificativo.
    La  motivazione  emergente  dai  lavori  preparatori,  che   fanno
 riferimento  all'uniformita' di indirizzo giurisprudenziale in ordine
 agli  atti  del  C.S.M.,  non  costituirebbe  ragione  appropriata  e
 sufficiente atteso che orientamenti giurisprudenziali diversi sono il
 naturale  portato  della  pluralita' degli organi giudiziari tra loro
 equiordinati   (i   Tribunali   amministrativi   regionali),   mentre
 l'esigenza  di reductio ad unitatem sarebbe tipica della funzione del
 giudice di appello che e' riservata al Consiglio di Stato.
    La  carenza  di specifiche esigenze giustificative si risolverebbe
 in una violazione del precetto  costituzionale  di  uguaglianza.  Del
 resto, la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 117 del 1990
 avrebbe  accolto  censura analoga (in materia di foro erariale per le
 controversie  di  lavoro  dei  dipendenti  dell'Ente  Ferrovie  dello
 Stato).
    2.3.  -  Ad  avviso  dei  remittenti  l'articolo impugnato sarebbe
 incostituzionale anche sotto un secondo profilo, quello della  tutela
 costituzionale del diritto di azione.
    Lo  spostamento  della  competenza  operato dall'art. 4 menzionato
 inciderebbe, per vero, sul diritto di quegli interessati che sono  in
 servizio  fuori del distretto di Roma, per il costo piu' elevato e le
 maggiori difficolta' connesse alla necessita' di adire  il  Tribunale
 amministrativo regionale del Lazio.
    2.4.  -  Censurabile,  ancora, la norma con riguardo all'art. 125,
 secondo comma,  della  Costituzione,  ai  sensi  del  quale  tutti  i
 Tribunali amministrativi regionali periferici dovrebbero conoscere le
 controversie  relative  a  provvedimenti  degli  enti  e degli organi
 centrali a livello nazionale. L'art. 4 della legge  n.  74  del  1990
 attuerebbe,  dunque,  una  deroga ingiustificata di tale disposizione
 costituzionale.
    2.5. - Infine, i remittenti prospettano, come ulteriore motivo  di
 doglianza, il contrasto fra l'art. 4 citato e l'art. 23, primo comma,
 dello  Statuto  della Regione siciliana (regio decreto legislativo 15
 maggio 1946, n. 455) in rapporto  al  decreto  legislativo  6  maggio
 1948,  n.  654,  istitutivo del Consiglio di Giustizia Amministrativa
 per la Regione siciliana.
    In attuazione dell'art. 23 dello Statuto  speciale  della  regione
 siciliana  e'  stato  infatti  costituito  il  Consiglio di Giustizia
 Amministrativa  (C.G.A.)  per  quella  regione,  organo  che  -   pur
 costituendo un'articolazione del Consiglio di Stato - ha una speciale
 composizione con riguardo alla componente laica designata dal governo
 regionale.  La  legge  n.  1034  del  1971  e la sentenza della Corte
 costituzionale n. 61 del 1975, ponendo il C.G.A. nel ruolo di giudice
 di solo  appello  avverso  le  sentenze  del  T.A.R.  della  Sicilia,
 rivelerebbero  la  presente  censura,  poiche'  il  C.G.A., a seguito
 dell'introduzione   della   competenza   funzionale   al    Tribunale
 amministrativo regionale del Lazio, si vedrebbe in parte sottratta la
 propria competenza.
    3.  -  E'  intervenuta,  in  rappresentanza  della  Presidenza del
 Consiglio dei ministri, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che  ha
 concluso per l'infondatezza della questione sollevata.
    Ha   osservato  l'interventore  che  non  sussiste  la  violazione
 dell'art. 24 della Costituzione, in quanto la Corte costituzionale ha
 piu' volte ritenuto legittimo, per il legislatore ordinario, limitare
 il diritto di azione, anche in assenza di una  esplicita  riserva  di
 legge,  purche'  il  diritto costituzionalmente protetto non ne venga
 snaturato o irragionevolmente  ristretto  e  tali  limitazioni  siano
 dettate   da  interessi  superiori.  Nel  caso  di  specie,  siffatti
 interessi sarebbero individuabili nella esigenza  di  assicurare  una
 uniformita'    di    giurisprudenza    "nella   piena   liberta'   da
 condizionamenti piu'  o  meno  pesanti,  pressanti  o  subdoli  delle
 situazioni locali".
    Non   sussisterebbe   neppure  la  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione, poiche' il principio di uguaglianza  non  impedisce  al
 legislatore   di   statuire   una  diversa  disciplina  per  regolare
 situazioni diverse, per categorie  di  destinatari  (sentenza  del  6
 marzo  1990,  n.  117).  Nella  specie,  ricorrerebbe  l'esigenza  di
 conseguire una unitarieta' di criteri di valutazione  in  un  settore
 particolarmente  delicato  quale  quello  dell'amministrazione  della
 giustizia  (fondamento  di  ragionevolezza)  e   la   necessita'   di
 salvaguardare  i  principi  costituzionali in materia di indipendenza
 della magistratura.
    Andrebbero altresi' respinte le  ulteriori  doglianze  prospettate
 con  riferimento  all'art.  125,  secondo comma, della Costituzione e
 all'ordinamento della giustizia amministrativa siciliana. L'art. 125,
 invero, si limita soltanto a  indicare  la  necessita'  di  istituire
 organi  di  giustizia amministrativa di primo grado nella regione, ma
 non  impedisce  di  fissare  in  settori  specifici   altri   criteri
 distributivi  della  competenza.  E  l'art.  23  dello  Statuto della
 Regione siciliana individua  soltanto  la  necessita'  di  creare  un
 giudice  di  appello,  con  sede  in  Sicilia,  ma  non mira certo ad
 attribuirgli anche la  competenza  a  conoscere  le  controversie  di
 secondo grado che non siano state celebrate in primo grado davanti al
 Tribunale amministrativo regionale di quella regione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia solleva
 dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 4  della  legge  12
 aprile  1990, n. 74 (Modifica alle norme sul sistema elettorale e sul
 funzionamento del  consiglio  superiore  della  magistratura),  nella
 parte  in  cui, sostituendo il secondo comma dell'art. 17 della legge
 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e  sul  funzionamento
 del  consiglio  superiore  della  magistratura) attribuisce al (solo)
 Tribunale amministrativo regionale del Lazio la competenza a decidere
 sui ricorsi in primo grado  avverso  i  provvedimenti  riguardanti  i
 magistrati  ordinari, dubbi in relazione agli artt. 3, 24 e 125 della
 Costituzione ed all'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione
 Siciliana (regio decreto legislativo  15  maggio  1946,  n.  455)  in
 rapporto al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654.
    L'originaria  formulazione  dell'art.  17  della  legge n. 195 del
 1958, istitutiva del C.S.M., prevedeva che  avverso  i  provvedimenti
 dell'organo di governo della magistratura fosse dato ricorrere avanti
 al  Consiglio  di  Stato  per  motivi di legittimita' (e alle sezioni
 unite della Corte di  cassazione  avverso  quelli  disciplinari).  In
 seguito  all'emanazione  della  legge  6  dicembre  1971, n. 1034, la
 giurisprudenza ha ritenuto che - non avendo l'art. 17 della legge  n.
 195  del  1958  carattere di norma speciale - si dovesse estendere ai
 provvedimenti  in  questione  il   regime   del   doppio   grado   di
 giurisdizione  introdotto,  appunto,  dalla  legge  istitutiva  della
 competenza in primo grado  dei  Tribunali  amministrativi  regionali.
 Tale  orientamento  non e' stato piu' rimesso in discussione, si' che
 ne consegue  che  l'art.  4  della  legge  12  aprile  1990,  n.  74,
 novellando  il solo secondo comma dell'art. 17 della legge istitutiva
 del C.S.M., ha sostanzialmente modificato il precedente assetto delle
 impugnative, sostituendo alla  competenza  giurisdizionale  in  primo
 grado,  ripartibile  per  ragioni di territorio fra tutti i Tribunali
 amministrativi  regionali,   la   competenza   del   solo   Tribunale
 amministrativo regionale del Lazio.
    1.1.  -  La  prima  censura  sollevata  dal  tribunale  remittente
 riguarda  la  legittimita'  costituzionale  del  regime   derogatorio
 previsto  per  le impugnative delle delibere del C.S.M. (riservata al
 solo Tribunale amministrativo  regionale  del  Lazio)  imperniato  su
 regole  disciplinatrici  della  competenza  stabilite  con  esclusivo
 riferimento ai magistrati ordinari, rispetto  al  criterio  del  foro
 speciale  del pubblico impiego, valevole per tutti gli altri pubblici
 dipendenti,  attributivo   della   competenza   a   conoscere   delle
 impugnative  degli atti riguardanti il rapporto di servizio avanti al
 Tribunale amministrativo regionale del luogo ov'e' la sede di lavoro.
    Si  osserva  dai  remittenti  che  mancherebbe  una   qualsivoglia
 ragionevolezza   per  tale  regime  di  deroga  di  una  disposizione
 pacificamente posta a tutela del lavoratore - pubblico dipendente.
    Tale disparita' di trattamento, insomma, non sarebbe  sorretta  da
 un adeguato fondamento giustificativo.
    La  seconda  censura  riguarda,  invece,  la disposizione sotto la
 lente della tutela costituzionale del diritto di azione.
    Lo spostamento della competenza  operato  dall'art.  4  menzionato
 inciderebbe,  infatti,  sul diritto di quegli interessati che sono in
 servizio fuori del distretto di Roma, per il costo piu' elevato e  le
 maggiori  difficolta'  connesse alla necessita' di adire il Tribunale
 amministrativo regionale del Lazio.
    1.2. - Le prime due censure, che, per affinita'  di  situazioni  e
 per   comodita'   di   esposizione,   possono  essere  congiuntamente
 esaminate, sono infondate.
    Questa Corte ha gia' avuto modo di soffermarsi  sulla  particolare
 posizione  che  il  Consiglio  superiore  della  magistratura  occupa
 nell'ordinamento costituzionale della  Repubblica  e  sullo  "status"
 rivestito  dai  magistrati  ordinari,  particolare  e  differenziato,
 rispetto alla categoria degli altri pubblici dipendenti.
    In ordine alla posizione del C.S.M. ha asserito, con  la  sentenza
 n.  44  del  1968, che nella specie si ha riguardo ad un "organo che,
 pure espletando funzioni solamente di indole amministrativa,  non  e'
 parte  della  pubblica  amministrazione (in quanto rimane estraneo al
 complesso organizzativo che fa capo direttamente, o al Governo  dello
 Stato   o   a  quello  delle  Regioni,  ed  all'altro  cui  da'  vita
 l'amministrazione   indiretta,   collegato   al   primo    attraverso
 l'esercizio di forme varie di controllo ad esso attribuite)". E lungi
 dal  ridimensionarne  la  posizione  -  come pur si e' sostenuto - ha
 rivalutato la natura delle sue funzioni, conseguentemente  affermando
 che  "comunque si voglia qualificarlo in sede dogmatica, si tratta di
 un organo di sicuro rilievo  costituzionale"  (sentenza  n.  148  del
 1983).  Ma ha respinto l'idea dell'autocrinia o autodichia, rilevando
 l'insussistenza d'un principio  generale  applicabile  "a  tutti  gli
 organi  cui la Costituzione conferisce una posizione di indipendenza"
 e autonomia, idoneo di per se' a sottrarre gli atti  di  tali  organi
 che   incidano   su   situazioni  soggettive  di  terzi  alle  comuni
 giurisdizioni. Con cio' implicitamente accogliendo  gli  orientamenti
 del Consiglio di Stato che sin dall'inizio (sentenza n. 248 del 1962)
 aveva  ritenuto  censurabili  nel loro contenuto i decreti impugnati,
 anziche' limitare l'oggetto del sindacato - secondo la tesi riduttiva
 avanzata dall'Avvocatura dello Stato - soltanto ai  vizi  propri  dei
 decreti,  presidenziali  o  ministeriali, emanati in conformita' alle
 deliberazioni consiliari.
    L'impugnabilita', anche per un organo di garanzia qual'e', secondo
 la communis opinio, il Consiglio superiore della magistratura, deriva
 dalla  "grande  regola"  accolta dall'art. 24 della Costituzione, che
 da' tutela generalizzata  ai  diritti  soggettivi  e  agli  interessi
 legittimi.
    Sullo status di magistrato ordinario questa Corte ne ha piu' volte
 sottolineato  l'assoluta  peculiarita'  rispetto  alla  posizione per
 effetto  delle  "garanzie  costituzionali  di   indipendenza"   quali
 risultano  dalla  riserva  di  legge  (art.  108 della Costituzione),
 dall'assunzione mediante concorso (art. 106) e  dalla  inamovibilita'
 (art.  107).  Garanzie  che  competono in via esclusiva al magistrato
 (sentenza n. 44 del 1968), anche per quanto attiene  al  procedimento
 disciplinare  che  si  svolge  "nelle  forme e nei modi .. tipici del
 processo" (sentenza n. 168 del 1983), poiche'  "a  coloro  che  fanno
 parte  dell'ordine giudiziario non si applicano le disposizioni rela-
 tive all'ordinamento gerarchico statale" (sentenza n. 12  del  1971),
 di  modo  che  non  sussiste  possibilita' di assumere i principi che
 valgono per la generalita' dei  pubblici  dipendenti  (meno  che  mai
 specifici  istituti)  come  termine  di raffronto per giudicare della
 normativa sullo status dei magistrati ordinari.
    Lamenta il giudice a quo che la disposizione introdotta  dall'art.
 4  della  citata  legge  n.  74 risulti particolarmente gravosa per i
 magistrati ordinari i quali non risiedano  nella  circoscrizione  del
 Tribunale  amministrativo regionale del Lazio e che in tal modo venga
 ingiustamente compresso il diritto d'azione.
    Tuttavia, se il rigore con  cui  e'  tutelato  detto  diritto  non
 esclude  che il sistema di tutela giurisdizionale ben possa adeguarsi
 alla particolarita'  del  rapporto,  quando  siano  da  salvaguardare
 interessi  razionalmente ritenuti degni di tutela (fermo restando che
 al legislatore  ordinario  e'  inibito  di  imporre  oneri  tali  che
 compromettano  la  tutela stessa: ordinanza n. 73 del 1988 e sentenze
 n. 63 del 1977, nn. 249 e 55 del 1974, n. 94 del  1973,  n.  125  del
 1969,  n.  85  del  1968),  a  maggior  ragione  deve riconoscersi al
 legislatore  ampia  discrezionalita'  nell'operare  il   riparto   di
 competenza fra gli organi giurisdizionali, nel rispetto del principio
 di uguaglianza e, segnatamente, del canone di ragionevolezza.
   Ora, nel caso della disposizione in esame, la particolare posizione
 assicurata     al     Consiglio    superiore    della    magistratura
 nell'organizzazione dei pubblici poteri e la peculiarita' dello  sta-
 tus  dei  magistrati  ordinari,  in gran parte orientato dalla stessa
 Costituzione,   danno   pieno   fondamento   giustificativo   a   una
 regolamentazione,  come  quella introdotta dall'art. 4 della legge n.
 74 del 1990, che si discosta dalla regola, valevole  per  i  pubblici
 dipendenti, del foro della sede di servizio.
    La  norma  oggetto  di  censura  risponde,  inoltre, a un'esigenza
 largamente avvertita circa  l'uniformita'  della  giurisprudenza  fin
 dalle   pronunce   di  primo  grado,  e  non  palesa  dunque  profili
 d'illegittimita'.
    2. - La norma, a giudizio del Tribunale  amministrativo  regionale
 remittente,  sarebbe  ancora  censurabile  con riguardo all'art. 125,
 secondo comma, della Costituzione. Sulla base di  tale  disposizione,
 infatti,   tutti  i  Tribunali  amministrativi  regionali  periferici
 dovrebbero poter conoscere le controversie relative ai  provvedimenti
 degli  enti  e  degli organi centrali. L'art. 4 della legge n. 74 del
 1990  attuerebbe,  di  conseguenza, una deroga ingiustificata di tale
 disposizione costituzionale.
    I  remittenti  infine  prospettano,  come  ulteriore   motivo   di
 contrasto  con l'assetto costituzionale dello Stato, il conflitto fra
 l'art. 4 citato e l'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione
 siciliana (regio decreto legislativo  15  maggio  1946,  n.  455)  in
 rapporto  al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654 istitutivo del
 Consiglio di  Giustizia  Amministrativa  per  la  Regione  siciliana.
 Invero,  il C.G.A., organo che - pur costituendo un'articolazione del
 Consiglio di Stato - ha una speciale composizione con  riguardo  alla
 componente   laica   designata   dal  governo  regionale,  a  seguito
 dell'introduzione   della   competenza   funzionale   al    Tribunale
 amministrativo regionale del Lazio si vedrebbe parzialmente sottratta
 la propria competenza.
    2.1.   -   Anche   queste   due   ultime  censure  possono  essere
 congiuntamente esaminate, e sono del pari infondate.
    La norma impugnata non contrasta, infatti,  ne'  con  l'art.  125,
 secondo  comma,  della  Costituzione  ne' con l'art. 23 dello Statuto
 della Regione siciliana.
    Non contrasta con la  prima  disposizione  perche'  l'attribuzione
 della  competenza  al  Tribunale  amministrativo regionale del Lazio,
 anziche' ai diversi Tribunali amministrativi regionali  dislocati  su
 tutto  il  territorio  nazionale,  non altera il sistema di giustizia
 amministrativa. Il Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio  e'
 parte,  infatti, del sistema processuale amministrativo che consta di
 numerosi gangli periferici e di  uno  centrale,  che  con  quelli  e'
 collegato   -   in  base  alle  regole  proprie  della  giurisdizione
 amministrativa - ben oltre il caso oggetto dell'impugnativa in esame.
    Non contrasta infine con la  seconda  disposizione,  perche'  essa
 stabilisce  soltanto  che gli organi giurisdizionali centrali debbano
 avere in Sicilia le sezioni per gli affari  concernenti  la  regione:
 norma  in  esecuzione  della  quale e' stato a suo tempo istituito il
 Consiglio di Giustizia Amministrativa.  In  una  previsione  che  non
 implica  affatto - anzi esclude - la competenza a conoscere ogni tipo
 di controversie, specie con riguardo a questioni che non hanno  alcun
 rapporto con la materia regionale.