Ricorso per la Regione Toscana, in persona del Presidente della giunta regionale, rappresentata e difesa per mandato a margine del presente atto dall'avv. Alberto Predieri e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma, via G. Carducci n. 4, contro il presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale e l'annullamento del d.P.R. 14 febbraio 1992 "Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni recante i piani di cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica". 1. - Sulla Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18 febbraio 1992 e' stato pubblicato il d.P.R. 14 febbraio 1992 indicato in epigrafe. Il decreto, dopo aver fatto riferimento agli artt. 93 del d.P.R. n. 616/1977, 2, secondo comma, lett. d) della legge n. 400/1988 e 28 della legge n. 412/1991); considerato che "l'alienazione di fabbricati costituiti da alloggi di edilizia residenziale pubblica deve essere diretta esclusivamente al conseguimento di finalita' proprie dell'edilizia abitativa pubblica"; ritenuta "l'esigenza di realizzare, pur nell'ambito delle diverse situazioni locali, uniformita' di indirizzo per quanto attiene alla cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e alla mobilita' degli inquilini non interessati alla cessione"; e che "pertanto, occorre indicare taluni criteri di massima ai quali dovranno attenersi le regioni nell'approvare i piani di cessione e nell'adottare le contestuali misure per la mobilita' di coloro che non desiderano l'alienazione"; ritenuto "che allo scopo di incentivare l'attivita' di cessione, i rapporti di tesoreria tra gli enti gestori e lo Stato potranno essere rivisti con successivo provvedimento legislativo"; tutto cio' visto, ritenuto e considerato, il decreto formula una serie minuziosa e dettagliata di prescrizioni indirizzate alle regioni, cui spetta approvare, ai sensi dell'art. 28 della legge n. 412/1991, "i piani di cessione degli alloggi predisposti dagli enti gestori nel rispetto dei principi di cui al medesimo articolo", nonche di "adottare contestualmente le misure per la mobilita' degli inquilini che non desiderano acquistare gli alloggi posti in vendita" (cosi', nelle premesse del d.P.R. impugnato, viene sintetizzato il contenuto dell'art. 28 della legge n. 412/1991). Tali prescrizioni si traducono nell'imposizione alle regioni degli obblighi (anche semanticamente espressi con formule che non lasciano margini di dubbio o di scelta: "le regioni dovranno impartire direttive", art. 1, primo comma; "le regioni dovranno curare", art. 2 primo comma; "le regioni dovranno altresi' prevedere", art. 2, quarto comma, art. 3; "le regioni devono approvare", art. 5, primo comma; "le regioni devono provvedere", art. 5, terzo comma; "le regioni devono vigilare", art. 6, primo comma) previsti da ciascuna singola disposizione di cui si compone il decreto. Gli oggetti e i contenuti di tali prescrizioni sono i piu' specifici e vari. Vanno dall'indicazione della percentuale dei richiedenti l'acquisto dell'alloggio che debbono essere locatari perche' possano essere venduti fabbricati o porzioni di essi (art. 1, primo comma, lett. a); all'esclusione di edifici ristrutturati o per i quali esistano programmi di ristrutturazione (art. 1, primo comma, lett. b) con una scelta riduttiva illegittima e immotivata; alle modalita' di tutela degli inquilini ultrasessantacinquenni o portatori di handicap (art. 2, terzo comma); alle condizioni per la partecipazione degli enti gestori alle quote condominiali e alle spese di manutenzione straordinaria (art. 2, quarto comma); alla imposizione dei comportamenti che le regioni debbono tenere (nonche' al relativo iter) qualora l'ente gestore abbia proposto la vendita degli alloggi nei casi in cui gli acquirenti rappresentino meno del 50% degli alloggi costituenti il fabbricato (art. 3), nonche' alla indicazione di cosa le regioni possono fare qualora l'ente gestore, in presenza di richieste inferiori al 50% degli alloggi del fabbricato non ravvisi "motivandone analiticamente le regioni", l'opportunita' di procedere alle cessioni (art. 4); all'imposizione del termine (novanta giorni) entro il quale le regioni debbono approvare i piani di cessione degli enti gestori e adottare "tutte le misure" (si noti: tutte le misure, entro novanta giorni) per assicurare la mobilita' degli inquilini che non richiedono l'acquisto dell'alloggio (art. 5, primo comma); alla determinazione del prezzo di cessione degli alloggi (art. 5, secondo comma: prescrizione per giunta superflua, dal momento che l'indicazione del prezzo era gia' contenuta nel punto 8 dell'art. 28 della legge n. 412/1991, che e' oltretutto richiamato dallo stesso art. 5, secondo comma, cosicche' incostituzionalita' sostanziale dell'atto si somma, generando ulteriore illegittimita' e incostituzionalita', alla incoerenza e irragionevolezza delle singole disposizioni); alla minuziosa indicazione delle modalita' e dei termini che le regioni debbono imporre agli enti gestori perche' questi richiedano i valori catastali aggiornati e li comunichino (art. 5, terzo comma), o perche' gli inquilini esercitino il diritto a chiedere l'acquisto dell'alloggio in uso o di altro alloggio in proprieta' (art. 5, quarto comma); ancora, alle modalita' di impiego e versamento dei fondi ricavati dalle alienazioni (art. 6). 2. - Tutto cio' concreta un quadro complessivo nel quale la incoerenza o irraggionevolezza della tale o talaltra disposizione si somma, alla violazione complessiva delle regole che disciplinano l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento. Come la Corte ha altre volte ricordato (cfr. sentenza n. 221/1975 e 16/1992), l'edilizia residenziale pubblica e' stata individuata dalla stessa Corte come materia sulla quale si esercita una "competenza primaria" della regione. Ai sensi dell'art. 93 del d.P.R. n. 616/1977 (del resto citato dallo stesso decreto), sono trasferite alle regioni le funzioni amministrative statali concernenti la programmazione regionale, la localizzazione, le attivita' di costruzione e la gestione di interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica, di edilizia convenzionata, di edilizia agevolata, di edilizia sociale nonche' le funzioni connesse alle relative proce- dure di finanziamento. Sono inoltre trasferite le funzioni relative alla realizzazione di alloggi, salvo che si tratti di alloggi da destinare a dipendenti civili o militari dello Stato per esigenze di servizio. Nel quadro del trasferimento di tutte le funzioni operato dall'art. 93, la legge n. 412/1991 (disposizioni in materia di finanza pubblica) ha previsto che "la regione approva i piani di cessione degli alloggi predisposti dagli enti gestori nel rispetto dei principi di cui al presente articolo, adottando contestualmente le misure per la mobilita' degli inquilini che non desiderano acquistare gli alloggi posti in vendita e tutelando gli inquilini ultrasessantacinquenni o portatori di handicap" (art. 28, quinto comma). La norma contiene inoltre disposizioni in tema di individuazione dei destinatari dell'alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (terzo comma); dei legittimati a presentare domanda di acquisto degli alloggi (quarto comma); sulla gestione dei fondi ricavati dalle alienazioni degli alloggi (sesto comma); sulle modalita' di svolgimento delle alienazioni (settimo comma); sul prezzo delle cessioni (ottavo comma); sui soggetti cui spetta l'amministrazione degli immobili interessati dalle alienazioni e sulle modalita' con cui l'ente gestore presta la propria assistenza alla formazione e al funzionamento dei condomini (modalita' riservate alla legge regionale, nono comma); sulla riserva alla legge regionale della individuazione dei criteri in base ai quali deve essere formulata la proposta degli enti gestori di cessioni di alloggi di proprieta' dello Stato (undicesimo comma); sull'esenzione dall'Invim e l'inalienabilita' degli immobili vincolati ex legge n. 1089/1939 (dodicesimo e tredicesimo comma). 3. - Tutto cio' delinea un quadro normativo del quale, agli specifici fini del presente giudizio di costituzionalita', va rilevato: a) che esso attribuisce competenze in via generale e primaria alle regioni; b) che in particolare, per quanto concerne l'approvazione dei piani di cessione degli alloggi e l'adozione di misure per la mobilita' degli inquilini, le specifiche competenze regionali (ribadite dall'art. 28, quinto comma della legge n. 412/1991) trovano precisi e sufficienti riferimenti nelle disposizioni "poste dallo stesso art. 28, secondo la testuale indicazione dello stesso quinto comma"; c) che in considerazione di cio' non appariva in alcun modo necessaria la predisposizione di alcun atto statale di indirizzo e coordinamento: e men che meno di un atto di estremo dettaglio, quale quello che e' stato adottato con il d.P.R. 14 febbraio 1992; d) che cio' e' tanto piu' vero se si considera che non esiste, nel caso di specie, nessuna norma apposita, nella legislazione statale, suscettibile di fondare l'esercizio in via amministrativa del potere di indirizzo e coordinamento (il quale, pertanto, e' stato posto in essere in violazione del principio di legalita' che solo ne rende legittimo lo svolgimento); e che l'atto di indirizzo e coordinamento in specie si compone di prescrizioni di estremo dettaglio, non ricavabili dall'art. 28 della legge n. 412/1991 o addirittura in contrasto con le disposizioni di quest'ultimo. 4. - Nella sentenza n. 30 del 1992, la Corte ha affermato che "con la sentenza n. 15/1982, questa Corte, nell'inquadrare la funzione statale di indirizzo e coordinamento nell'ambito delle norme costituzionali relative al rapporto tra la potesta' legislativa e amministrativa dello Stato e l'autonomia delle regioni (e delle prov- ince autonome), ha enunciato il principio che l'esercizio in via amministrativa, da parte dello Stato, della funzione d'indirizzo e coordinamento 'e' giustificato solo se trova un legittimo e apposito supporto nella legislazione statale'. Da questo principio derivano due corollari: a) che ogni esercizio della potesta' di indirizzo e coordinamento dev'essere appositamente previsto da norme di legge statale, dirette a istituire la relativa funzione con riguardo a un determinato ambito di attivita' attribuito alle competenze delle regioni o delle province autonome; b) che, come e' stato precisato dalla stessa sentenza n. 150 del 1982 e come e' stato confermato da successive pronunzie di questa Corte (v. da ultimo sentenza n. 338/1989, 37, 49 e 359 del 1991), gli atti di indirizzo e coordinamento possono validamente incidere sull'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni e alle province autonome soltanto sulla base di disposizioni di legge volte a determinare "il possibile contenuto sostanziale degli atti di questo tipo'". Nel nostro caso, non ricorre la condizione sub a), dal momento che non esiste alcuna apposita norma di legge statale, diretta a istituire la funzione di indirizzo e coordinamento con riguardo allo specifico ambito di attivita' attribuito alla competenza della regione. Una norma del genere non e' e non puo' essere l'art. 93 del d.P.R. n. 616/1977, che non prevede ne' esplicitamente, ne' implicitamente, alcun esercizio del potere di indirizzo e coordinamento, ma si limita a individuare l'ambito (amplissimo e generale) del trasferimento delle funzioni alle regioni, ricordando semplicemente l'esistenza di un potere di programmazione in capo allo Stato (cfr. art. 11 del d.P.R. n. 616/1977, che certo non coincide con la previsione della formulazione di un atto di indirizzo e coordinamento, ne' tanto meno con un atto dettagliato senza alcun carattere programmatorio. Ne' una norma di tal genere puo' essere ravvisata nel pur citato art. 2, secondo comma, lett. d) della legge n. 400/1988 (si tratta evidentemente di un refuso, visto che il secondo comma dell'art. 2 non contiene alcuna lett. d), e il riferimento deve intendersi fatto, pertanto, all'art. 2, terzo comma, lett. d). Come la Corte ha ricordato nella gia' citata sentenza n. 30/1992 "la stessa norma legislativa invocata dalla disposizione impugnata - vale a dire, l'art. 2, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400 - non puo' certo fungere da norma istitutiva di quello specifico potere, poiche', come questa Corte ha gia' detto a proposito della stessa disposizione di legge (v. sentenza n. 242/1989) o di altre disposizioni similari (v. sentenze nn. 150/1982, 139 e 345 del 1990), ivi compreso l'art. 4, primo comma, lett. f) (v. sentenza n. 85/1990), si tratta di norma legislativa che non e' diretta ad attribuire al Governo una specifica competenza ad esercitare funzioni di indirizzo e coordinamento verso le regioni o le province autonome, ma che mira, piu' semplicemente, a individuare all'interno della complessa istituzione governativa l'organo attributario, in via diretta e immediata, della competenza a deliberare gli atti di indirizzo e coordinamento". Ne' - ancora - sarebbe legittimo individuare il fondamento normativo del potere che lo Stato ha preteso di esercitare in via amministrativa nella disposizione di carattere generale di cui all'art. 3 della legge n. 382/1975, peraltro neppure citato o richiamato nelle premesse dell'atto impugnato. Come la Corte ha ricordato nella sentenza 359/1991 "con specifico riferimento all'allora interessato art. 3 della legge 22 luglio 1975 n. 382 (il quale, come e' noto, dispone che 'la funzione di indirizzo e coordinamento delle attivita' amministrative delle regioni a statuto ordinario attiene ad esigenze di carattere unitario, anche in riferimento agli obiettivi della programmazione economica nazionale e agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari ( ..) e viene esercitata, fuori dei casi in cui si provveda con legge o con atto avente forza di legge, mediante deliberazione del Consiglio d'intesa con il Ministro o i Ministri competenti', la Corte ha concluso che una siffatta disposizione normativa non costituiva idonea base giustificativa degli impugnati atti di indirizzo e coordinamento, dal momento che 'non riguarda(va), ne' delimita(va) per alcun verso il possibile contenuto sostanziale degli atti di questo tipo'". 5. - A tutto cio' non si potrebbe opporre che, nella fattispecie, una norma che investe il Governo della legittimazione a porre un atto di indirizzo e coordinamento c'e', ed e' lo stesso art. 28 della legge n. 412/1991. Da un lato, infatti, tale articolo non autorizza l'emanazione di alcun atto ulteriore di indirizzo e coordinamento, e non puo' costituire pertanto "la norma apposita" per l'esercizio del relativo potere che la Corte costituzionale richiede dall'altro, e soprattutto, il contenuto delle disposizioni del decreto impugnato non trova, per larghissima parte, alcuna correlazione con quello dei vari commi dell'art. 28: cosicche', non essendovi coincidenza tra le une e le altre disposizioni, ed avendo quelle del d.P.R. 14 febbraio 1992 contenuto innovativo che non e' ricavabile ne' deducibile da quelle dell'art. 28 della legge n. 412/1991, non sussiste la possibilita' di ritenere che le prime trovino legittimo fondamento nelle seconde, e sussiste invece la certezza della nessuna coincidenza o apparentabilita' o semplice ricavabilita' del contenuto delle prime rispetto alle seconde. Cio' emerge con evidenza dalla comparazione delle une con le altre. Da nessuna parte, nell'art. 28 della legge n. 412/1991, e' deducibile lo specifico, dettagliato e vincolante contenuto delle prescrizioni di cui agli artt. 1, 2 (primo e secondo comma), 3, 4, 5 (primo, terzo e quarto comma), 6 e 7 del d.P.R. 14 febbraio 1992. Anzi, in taluni casi viene sostituita alla prescrizione di legge una norma restrittiva che del tutto illegittimamente altera quanto disposto dalla legge: ad esempio, mentre l'art. 28 della legge ha per oggetto l'alienazione di tutti gli alloggi come definiti dal primo comma, salvo quelli vincolati a norma della legge n. 1089/1939 (tredicesimo comma), l'atto d'indirizzo vieta l'alienazione di immobili posti nel centro storico, anche se non vincolati, introducendo un divieto che la legge ha escluso a ragion veduta. Quanto all'art. 2, terzo comma, esso si limita a ripetere un'indicazione gia' contenuta nell'art. 28, quinto comma, della legge n. 412/1991 e lo stesso dicasi per l'art. 5, secondo comma (che, come gia' detto, e' una illogica reiterazione del per giunta citato art. 28, ottavo comma), con un degrado di fonti, sostituendo alla fonte di legge una amministrativa, il che e' illegittimo e testimonia una pericolosa confusione, che si spinge ad affermare nella motivazione che allo scopo di incentivare l'attivita' di cessione, i rapporti di tesoreria tra gli enti gestori e lo Stato potranno essere rivisti con successivo provvedimento legislativo. Dalla formula si deduce che il governo consente che le Camere possano anche approvare una legge .. Si tratta di errori di motivazione che testimoniano in modo palese l'irragionevolezza del decreto. L'art. 6, primo comma, prima parte (che prevede che le regioni vigilino affinche' i fondi ricavati dalle alienazioni e gestiti direttamente dalle amministrazioni proprietarie "siano prevalentemente destinati all'incremento del patrimonio abitativo pubblico") e' anch'esso illegittimo, dal momento che l'art. 28, sesto comma, della legge n. 412/1991 prevede semplicemente che la destinazione dei fondi delle alienazioni avvenga "secondo le direttive impartite dalle regioni" senza affatto accentuare la prevalenza della particolare destinazione all'"incremento del patrimonio abitativo pubblico", che e' solo uno degli scopi (tutti posti su un piano di parita') indicati dalle lettere a), b), c) e d) del sesto comma dell'art. 28. Per di piu', nessun fondamento normativo puo' essere rinvenuto alla prescrizione secondo la quale le peculiari finalita' di cui all'art. 6, primo comma, debbono essere garantite sulla base di un programma di reinvestimento in nuove costruzioni o in ristrutturazioni da inserire nel piano di cessione". La previsione di tale programma non e' contenuta nell'art. 28 della legge n. 412/1991, ne' in nessuna altra norma. Se questa normativa avesse pretese di coordinamento di aree finanziarie della Regione e di soggetti diversi, e' illegittima per violazione della riserva di legge posta dall'art. 119 della Costituzione. Va considerato anche il fatto che le premesse all'atto impugnato contengono un riferimento al fatto che "allo scopo di incentivare l'attivita' di cessione, i rapporti di tesoreria tra gli enti gestori e lo Stato potranno essere rivisti con successivo provvedimento legislativo". Se tale specifico contenuto della motivazione dell'atto impugnato fosse da collegare con l'indebita prevalenza attribuita, in sede di destinazione dei proventi dell'alienazione degli alloggi, all'incremento del patrimonio abitativo pubblico, la complessiva illegittimita' del decreto (e in particolare dell'art. 6), ne risulterebbe confermata. 6. - In altre parole, l'art. 28 della legge n. 412/1991 non puo' costituire la norma dalla quale ricavare il fondamento dell'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento che si vorrebbe svolta con l'atto impugnato. Esso non autorizzava in alcun modo il Governo a porre in essere un atto di indirizzo e coordinamento, ne' comunque lo autorizzava a porre in essere un atto avente i contenuti del d.P.R. 14 febbraio 1992; e cio' o perche' conteneva disposizioni cui non conseguivano (se non esorbitando dai limiti e dalle regole fissati dall'art. 28, e dunque violando il principio di legalita') gli specifici contenuti del d.P.R. 14 febbraio 1992, oppure perche' conteneva disposizioni cui conseguivano contenuti diversi da quelli dell'atto di indirizzo e coordinamento. Nell'un caso e nell'altro, sussiste pertanto la violazione del principio di legalita' sostanziale e dei criteri cui la Corte ha indicato deve essere assoggettata la funzione di indirizzo e coordinamento. 7. - Tale violazione sussiste anche sotto ulteriori profili: sia perche' la rilevata natura di estremo dettaglio delle prescrizioni del d.P.R. 14 febbraio 1992 non e' comunque compatibile con un esercizio della funzione che voglia essere rispettoso delle competenze regionali costituzionalmente garantite (cfr. la sent. 410/1989); sia perche' la motivazione dell'atto (consistente nella necessita' di indicare "criteri di massima" cui le regioni dovrebbero attenersi nell'esercizio delle loro competenze) e' contraddetta in modo tanto palese, quanto incongruo, illogico e irragionevole dal carattere dettagliato delle prescrizioni autoqualificate come di "massima"; sia ancora perche' gli scopi del "conseguimento di finalita' proprie dell'edilizia abitativa pubblica" e di "realizzare .. uniformita' di indirizzo per quanto attiene alla cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica" (pur essi richiamati nelle premesse dell'atto impugnato) sono o meramente tautologici, o gia' ampiamente assicurati dalle disposizioni dell'art. 28 della legge n. 412/1991, dalle quali - come segnalato - il d.P.R. 14 febbraio 1992 si discosta illegittimamente; sia infine perche' il residuo riferimento contenuto nelle premesse all'atto impugnato sulla eventualita' di revisione dei rapporti di tesoreria tra lo Stato e gli enti gestori "con successivo provvedimento legislativo" (quando non lo si dovesse considerare illegittimo per le ragioni in precedenza evidenziate) e' comunque ultroneo e del tutto non conferente con il contenuto del provvedimento impugnato: cosicche' la censura di illegittimita' costituzionale del decreto per la violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione deve essere ulteriormente ribadita e rafforzata.