Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore
 della giunta  regionale,  autorizzato  mediante  deliberazione  della
 giunta stessa n. 1930 in data 10 aprile 1992, rappresentato e difeso,
 per  mandato  a margine del presente atto, dagli avvocati prof. Mario
 Bertolissi  e  Luigi   Manzi,   presso   quest'ultimo   elettivamente
 domiciliato  in  Roma, via F. Confalonieri n. 5, contro la Presidenza
 del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente  del  Consiglio
 in  carica,  per regolamento di competenza in relazione alla nota del
 Ministro del tesoro datata 8 febbraio 1992, pervenuta  al  presidente
 della giunta regionale del Veneto il 20 febbraio 1992.
                               F A T T O
    Le  vicende che hanno dato luogo al presente conflitto sono presto
 dette.
    Come in passato, la regione Veneto ha provveduto pure  di  recente
 ad  inoltrare al Ministro del tesoro (direzione generale del tesoro -
 divisione  VI)  richieste  di  prelevamento  di   somme   dal   conto
 infruttifero ad essa intestato per far fronte a impellenti necessita'
 di  cassa  (pagamento  di  mandati connessi alla gestione finanziaria
 ordinaria).
    Il tenore delle richieste e' il seguente: "Come previsto dall'art.
 26 della legge 26 febbraio 1982, n. 51, e successive modificazioni  e
 integrazioni,  si  chiede  che  venga prelevata dal conto corrente n.
 22717 ex n. 502 la somma di lire ..". La nota prosegue,  quindi,  con
 affermazioni  di  rito (alle quali corrisponde ovviamente lo stato di
 fatto), secondo cui "l'importo  che  costituisce  il  limite  del  3%
 dell'ammontare   delle   entrate  finali  previste  dal  bilancio  di
 competenza per l'esercizio .. approvato con legge regionale .. e'  di
 lire  .."; allo scopo, si dichiara "di non disporre di altri fondi se
 non quelli risultanti dall'allegata dichiarazione del tesoriere ..".
    Com'e' di tutta evidenza, quello concretizzato e' uno dei numerosi
 profili in cui si articola l'istituto della "tesoreria unica", che la
 legislazione dello Stato ha introdotto al fine di evitare ristagni di
 liquidita',  fonte  di  oneri  a  carico della finanza pubblica. Ma -
 com'e' ancora noto - la "tesoreria unica" non  ha  mai  comportato  -
 anche  perche'  codesta  Corte  lo  ha  sistematicamente escluso - il
 riconoscimento a favore dello Stato (per  l'esattezza:  del  Ministro
 del  tesoro)  del potere di disporre unilateralmente circa l'utilizzo
 immediato di somme, correlate al normale funzionamento della Regione,
 che in caso contrario deve ricorrere  ad  onerose  anticipazioni  del
 tesoriere  per  fronteggiare  spese  impegnate,  liquidate  e  il cui
 pagamento e' stato ordinato.
    Senonche', in tempi  recenti  e'  accaduto  che,  a  fronte  delle
 domande  inoltrare,  la regione si e' vista accreditare somme di gran
 lunga minori, senza motivazione alcuna: si vedano, infatti,  le  note
 29  ottobre 1991, prot. n. 3131 (richiesti 73 miliardi, accordati 40:
 all. n. 1); 7 novembre 1991, prot. n. 3192  (richiesti  80  miliardi,
 accordati  40: all. n. 2); 14 novembre 1991, prot. n. 3231 (richiesti
 55 miliardi, accordati 35: all. n. 3); 22  novembre  1991,  prot.  n.
 3276  (richiesti  75  miliardi,  accordati 50: all. n. 4); 5 dicembre
 1991, prot. n. 3369 (richiesti 73 miliardi, accordati 50: all. n. 5);
 10 dicembre 1991, prot. n. 3410 (richiesti 57, accordati 30: all.  n.
 6); 18 dicembre 1991, prot. n. 3477 (richiesti 82, accordati nessuno:
 all.  n.  7).  (Al riguardo, se la documentazione esibita in allegato
 non fosse di  per  se'  eloquente,  la  Corte  potra'  in  ogni  caso
 avvalersi  dei  suoi poteri istruttori richiedendo il necessario alla
 regione e al Ministero del tesoro).
    La situazione creatasi e' descritta in tutta la sua negativita'  -
 fornendo  oltretutto una prova incontestabile dei fatti - fra l'altro
 in due relazioni predisposte dal ragioniere  regionale  relativamente
 alla situazione di cassa all'11 novembre e al 12 dicembre 1991.
    Nella  prima  si  da'  conto di alcune richieste solo parzialmente
 soddisfatte dal  Tesoro  e  si  precisa,  con  l'occasione,  che  "la
 situazione complessiva porta ad una necessita' di fondi da richiedere
 al  Ministero  del tesoro di circa 244 miliardi. - Non si puo' quindi
 considerare il notevole numero di  liquidazioni  pervenute  dai  vari
 dipartimenti  e  le altre che arriveranno a ritmo sostenuto in specie
 in questa fase finale dell'anno. - A questo punto a meno  di  notizie
 piu'   incoraggianti   si   deve  obbligatoriamente  sospendere  ogni
 ulteriore emissione di mandati di pagamento  sul  corrente  esercizio
 rinviando la loro emissione al prossimo mese di gennaio" (all. n. 8).
    Nella  seconda  -  successiva  alla  situazione  di  cassa  del 22
 novembre 1991, (all. n. 9) - si chiarisce che "le decurtazioni  hanno
 causato   ..   la  sospensione  di  qualsiasi  emissione  di  mandato
 nell'esercizio corrente" e si invoca "un autorevole intervento  preso
 il Ministero del tesoro" (all. n. 10).
    Con  nota  datata  14  gennaio  1992,  il  presidente della giunta
 regionale prospetta al ministro del tesoro - documentandoli in  fatto
 - gli aspetti fortemente negativi della situazione che si e' venuta a
 creare ed osserva che cosi' facendo "si innesca un artificioso quanto
 inopportuno meccanismo di accentuazione dell'esposizione capitale, la
 cui  successiva  copertura  impone un aggravio direttamente incidente
 sulle  esigenze  primarie  della   collettivita',   con   conseguente
 penalizzazione  delle  relative aspettative". Oltretutto - aggiunge -
 "si tratta .. di una  scelta  che  meditativamente  non  puo'  essere
 assunta se non per costrizione o per forza maggiore, e comunque i cui
 esiti  giuridici e riflessi economici oltre che politici, non possono
 essere ascrivibili alla responsabilita' ne' soggettiva ne'  oggettiva
 dell'esecutivo regionale" (all. n. 11).
    In  data  8  febbraio  1992, il Ministro del tesoro risponde cosi'
 (dando atto  implicitamente  e  provando  conseguentemente  l'entita'
 delle  richieste  regionali insoddisfatte): "Con nota 14 gennaio u.s.
 codesta presidenza  ha  manifestato  preoccupazione  in  ordine  alla
 rimessa  di  fondi  a  favore della regione Veneto, in considerazione
 delle improcrastinabili necessita' di intervento che si  quantificano
 in  lire  244  miliardi.  Al riguardo, giusta quanto comunicatomi dal
 competente  ufficio,  faccio  presente  che,  nel  corrente  mese  di
 gennaio, la regione Veneto ha inoltrato due richieste di prelevamento
 fondi  rispettivamente  per  lire  97 miliardi con nota del 3 gennaio
 1992 e per lire 81 miliardi con nota del 15  gennaio  1992,  entrambe
 evase per l'intero importo in data 9 gennaio e in data 20 gennaio del
 c.a." (all. n. 12)
    Ebbene,  e' fin troppo agevole rilevare che il Ministro del tesoro
 non ha tenuto in  alcun  conto  la  garbata  contestazione  regionale
 omettendo,  per  un  verso,  di considerare le drastiche riduzioni di
 accredito relative al periodo ottobre-dicembre 1991 ed  enfatizzando,
 per  altro verso, il comportamento corretto tenuto relativamente alle
 richieste del 3 gennaio 1992, prot. n. 12 (all.  n.  13),  e  del  15
 gennaio  1992,  prot.  n.  72 (all. n. 14), nella circostanza appunto
 ottemperato. Ma e' chiaro che ragionando semplicemente "a  contrario"
 ne viene che le precedenti censurate determinazioni ministeriali sono
 illegittime  perche'  configurano la piu' classica delle invasioni di
 una competenza che e' legislativamente e costituzionalmente garantita
 alla Regione: quella di disporre prontamente  delle  proprie  risorse
 finanziarie  quando  esistono necessita' di cassa (v., invece, i dati
 riassuntivi e dimostrativi della situazione finanziaria di cassa al 2
 aprile 1992: all. n. 15).
    In breve, dunque,  sono  da  reputarsi  non  conformi  al  sistema
 costituzionale  di  riparto  delle  attribuzioni inerenti la potesta'
 finanziaria le note di accredito di somme disposte dal  Ministro  del
 tesoro in misura inferiore a quanto richiesto dalla regione Veneto e,
 in   specie,   illegittima  (perche'  non  spettante  sul  piano  dei
 contenuti) la nota ministeriale 8 febbraio 1992, indicata in epigrafe
 (all. n. 12), dal momento che il silenzio serbato sulla contestazione
 del presidente della giunta regionale del 14 gennaio 1992)  (all.  n.
 11) e' configurabile come manifestazione non equivoca di un potere di
 disporre  "ad  libitum"  in  sede di accreditamento per necessita' di
 cassa, di risorse regionali proprie.
    E' appena il caso di sottilineare come tutto cio' abbia  prodotto,
 concretamente,  alla  regione  un  danno  economico-finanziario ed un
 danno rilevante sul  piano  politico-costituzionale,  avendo  causato
 appunto  inefficienze nell'attivita' ed inadempimenti di obbligazioni
 precedentemente assunte e riconosciute.
                             D I R I T T O
   Nonostante il legislatore sia a piu' riprese intervenuto in materia
 e codesto collegio si sia ripetutamente pronunciato sul punto, e'  in
 ogni   caso   opportuno   richiamare  -  soprattutto  alla  luce  del
 contenzioso  formatosi  -  i  termini   generali   della   questione,
 nell'ambito  della quale si colloca la presente vicenda, interessante
 - come si e' accennato - la "tesoreria unica".
    1. - Com'e' noto, dunque, la  prima  occasione  di  contrasto  fra
 Stato  e  regione  e'  stata  originata  da  un invito, formulato dal
 Ministro del  tesoro  e  dal  Ministro  del  bilancio,  a  richiedere
 l'apertura  di  un  conto  corrente  fruttifero  presso  la tesoreria
 centrale, in cui far affluire i versamenti effettuati dallo  Stato  a
 favore  della  regione  stessa.  Il  conflitto di attribuzioni allora
 prospettato e dichiarato inammissibile per il  carattere  non  lesivo
 dell'atto  impugnato, ha consentito a codesta Corte di fissare alcune
 importanti coordinate di quello che sarebbe stato quindi  il  sistema
 normativamente  dato della "tesoreria unica". Infatti, nella sent. 22
 dicembre 1977, n. 155, se si  esclude  da  un  lato  che  i  "vistosi
 ritardi  nei  versamenti  dovuti all'amministrazione regionale" siano
 ascrivibili all'atto di invito suddetto, si precisa d'altro lato  che
 "non e' pensabile che i conti correnti fruttiferi presso la tesoreria
 centrale   ..  possano  legittimamente  trasformarsi  in  un  anomalo
 strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale:  che  si
 presti  a  venire  manovrato  in  modo da precludere od ostacolare la
 disponibilita'  delle  somme  occorrenti  alle  regioni  stesse   per
 l'adempimento  dei  loro  compiti  istituzionali,  nelle forme, nelle
 misure e nei tempi variamente  indicati  dalla  legislazione  statale
 sulla   finanza   regionale,   in   attuazione  dell'art.  119  della
 Costituzione". Si noti - e' questione senz'altro  di  rilievo  -  che
 nelle  proprie  difese  l'avvocatura  dello  Stato  aveva chiesto fra
 l'altro la dichiarazione di "infondatezza del ricorso, adducendo  che
 da  parte  statale non vi sarebbe stata l'intenzione di esercitare un
 controllo  contabile  sulle  somme  versate  alla  regione,  ne'   di
 ritardare i relativi versamenti".
    2.  -  Con  la  successiva sent. 8 giugno 1981, n. 94, la Corte ha
 bensi' dichiarato la non fondatezza delle questioni  di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 31 e 36 della legge 3 agosto 1978, n. 468,
 sollevate   dalla   regione   Veneto,  la'  dove  dette  disposizioni
 stabiliscono l'obbligo di tenere presso conti correnti vincolati  con
 il  tesoro  le  disponibilita'  liquide  costituite  da assegnazioni,
 contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato, ma ha
 definito altresi' - sotto un profilo che qui  di  certo  rileva  -  i
 limiti di carattere generale che circoscrivono l'attivazione da parte
 dello Stato di simili meccanismi.
    Infatti  -  si  legge  nella  citata decisione - "l'art. 119 della
 Costituzione, pur affermando l'autonomia finanziaria  regionale,  non
 impone  affatto  che  le somme spettanti alle regioni e defluenti dal
 bilancio dello Stato debbano essere integralmente  ed  immediatamente
 accreditate  alle  competenti  tesorerie  regionali,  pur  quando  le
 Regioni stesse dimostrino di doversene servire per l'esercizio  delle
 loro  attribuzioni";  ma  impone senz'altro che i meccanismi suddetti
 non  abbiano  "di  mira  le  singole  misure  regionali   di   spesa,
 limitandosi  a  regolare  i ritmi di accreditamento dei fondi innanzi
 detti dalla tesoreria dello Stato alle tesorerie delle  regioni:  per
 di  piu'  precisando  che  cio'  deve  svolgersi  sulla  base  ed  in
 conformita' alle previste esigenze ed alle  accertate  disponibilita'
 di  cassa delle regioni" (la massima e' implicitamente ribadita nella
 sent. 8 giugno 1981, n. 95).
    3.  -  A  breve  distanza di tempo e' stata resa dal giudice delle
 leggi  la  pronuncia  riguardante   fra   l'altro   la   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  35  della  legge  30  marzo  1981, n. 119,
 contenente una serie di prescrizioni con le quali si  disciplinano  i
 modi  con  cui  vengono  finanziate  le  unita'  sanitarie locali, le
 modalita'  attraverso   le   quali   esse   possono   usufruire   del
 finanziamento loro accordato e l'organizzazione del relativo servizio
 di tesoreria: si allude alla sent. 22 ottobre 1982, n. 162.
    Con  notazioni che riprendono senz'altro la precedente sentenza n.
 155/1977 (in coerenza con  le  eccezioni  prospettate  dalle  regioni
 ricorrenti),  la  Corte  puntualizza  innanzi  tutto, sul piano delle
 relazioni costituzionali, il  fondamento  del  modello  organizzativo
 prefigurato  dalla  legge,  che  risiede  nel  "coordinare la finanza
 regionale  con  quella  statale"  in  funzione  di  evidenti   quanto
 indispensabili  economie  di spesa. Del resto, "l'aver il legislatore
 creato un piu' stretto coordinamento temporale  fra  il  momento  del
 prelievo  dalla tesoreria centale e il momento della spesa effettuata
 dagli organi erogatori del servizio sanitairo risponde alla  esigenza
 obiettiva,  nell'interesse  dell'intera  comunita'  nazionale,  di un
 opportuno coordinamento del flusso dell spesa  sanitaria  con  quello
 delle  entrate  destinate a fronteggiarla. Tale coordinamento infatti
 si risolve in definitiva in un minor costo  per  la  finanza  statale
 senza  per  altro apportare alcun danno al funzionamento del servizio
 sanitario nazionale". Quanto alle regioni, la "potesta'  gi  gestione
 ..  e' pienamente rispettata quando ne viene assicurata loro la piena
 disponibilita',  ne   senso   di   poterne   effettuare   l'adutonoma
 utilizzazione quali che siano le modalita' del relativo deposito".
    4.  -  Orbene,  non  v'e'  dubbio  che gia' a questo punto sarebbe
 possibile formulare alcune considerazioni di principio,  dal  momento
 che  codesta Corte non ha mai dubitato del fatto che - ferma restando
 l'esigenza di coordinare la spesa dei differenti livelli  di  governo
 ex  art.  119,  primo  comma,  della  Costituzione  - in ogni caso la
 regione non puo' subire aggravi nell'esercizio delle proprie funzioni
 attraverso l'utilizzo di strumenti di condizionamento  che  incidono,
 ledendola,  sull'autonomia finanziaria e, di riflesso, pure su quella
 legislativa ed amministrativa. Senonche', il punto lo ha delineato la
 stessa Corte nella sent. 11 ottobre  1983,  n.  307,  nella  quale  -
 nell'esordio  della  parte  in  diritto - ha richiamato le precedenti
 menzionate pronunce e, in specie,  la  sent.  n.  162/1982  la'  dove
 questa  -  giudicando  della  legittimita'  dell'art 40, primo comma,
 della legge 30 marzo 1981, n. 119, secondo cui e' fatto divieto  alla
 regione   di  mantenere  presso  aziende  di  credito  disponibilita'
 depositate a qualunque  titolo  "per  un  importo  superiore  al  12%
 dell'ammontare  delle  entrate previste dal bilancio di competenza" -
 ha sottolineato la circostanza che simile "tetto" "non preclude  alle
 regioni  la  facolta' di disporre delle proprie risorse, nel senso di
 valutarne discrezionalmente la congruita'  rispetto  alle  necessita'
 concrete  e  di  indirizzarle  verso  gli  obiettivi rispondenti alle
 finalita' istituzionali, ma si limita a consentire il  controllo  del
 flusso delle disponibilita' di cassa".
    Ma  con  la  sent.  n.  307/1983  sono  state affrontate ulteriori
 questioni - poste in particolare dall'art. 26 del d.-l.  n.  786/1981
 (convertito,  con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 51)
 e dell'art. 4, quinto e sesto comma, della legge 26 aprile  1983,  n.
 130,  rispettivamente  per  gli  esercizii  1982 e 1983 - di indubbio
 rilievo perche' riguardanti non gia' il "tetto" delle  disponibilita'
 suscettibili  di  essere  conservate  presso  le  aziende di credito,
 bensi'  il  "tetto"  annuale  per  il  complesso  dei   prelevamenti,
 stabilito  con  riguardo  ai fondi regionali propri indipendentemente
 dalle effettive esigenze di cassa.
    Ebbene, per la differente (rispetto a quella decisa con  la  sent.
 n.   162/1982)   fattispecie  codesta  Corte  ha  ritenuto  che  cio'
 configurasse una "sicura lesione degli artt. 117,  118  e  119  della
 Costituzione",  oltretutto perche' il "tetto" imposto ai prelevamenti
 "fa riferimento a parametri .. che prescindono da qualsiasi  concreto
 rapporto con la struttura e con la gestione del bilancio regionale di
 competenza  per  l'anno  in corso, con la dimensione delle estratte e
 delle spese ivi previste, con l'entita' dei residui attivi e passivi"
 - Ne' - ha obiettato il giudice - e' legittima la  configurazione  di
 un  potere  ministeriale  di  "variare  le  scelte legislative, senza
 prestabilire alcun limite e alcun criterio" (lo aveva gia'  precisato
 nella  sent.  n. 162/1982), ne' lo e' l'esigenza di ridurre le spese,
 visto che "il richiamo ad una finalita' di interesse generale, pur di
 cosi' precipuo e stingente rilievo, non puo' di per  se'  legittimare
 il  ricorso, per il suo conseguimento, a misure di contenimento della
 spesa pubblica che  incidano  e  vulnerino  competenze  ed  interessi
 costituzionalmentegarantiti",  mentre  nessuna lesione dell'autonomia
 finanziaria regionale discende dal carattere infruttifero  dei  conti
 correnti, liberi o vincolati.
    5.  -  Ma  non basta. Con le successive sent. 29 ottobre 1985, nn.
 242, 243 e 244, si e' ribadito quanto segue:
       a) codesta Corte ha innanzi tutto confermate le massime di  cui
 alle sent. n. 95/1981 e n. 162/1982 (cosi' nella sent. n. 242/1985);
       b)  in sede di impugnazione di talune previsioni della legge 29
 ottobre 1984, n. 720 (recante "Istituzione del sistema  di  tesoreria
 unica   per   enti   ed   organismi   pubblici"),   il   giudice   di
 costituzionalita'  ha  rigettato  ancora  una  volta   le   eccezioni
 presentate  nei confronti di altro ma analogo dettato normativo (v. i
 precedenti paragrafi) nel presupposto comunque - qui pure  dichiarato
 expressis verbis - che sia escluso a danno delle Regioni "il pericolo
 di   improvvisi  vuoti  di  cassa,  che  pregiudicherebbero  il  buon
 andamento dell'amministrazione e paradossalmente  frustrerebbero  gli
 intenti cui mira la legge n. 720, imponendo alle regioni di ricorrere
 ad  onerose anticipazioni per fronteggiare le spese indilazionabili".
 Ma,  rigettata  l'illegittimita'  della   legge   n.   720/1984   nel
 presupposto  che  "non si puo' affermare che il cosidetto 'sistema di
 tesoreria unica' sia di per  se  stesso  produttivo  di  consenguenze
 siffatte,    compromettendo    l'indispensabile    speditezza   delle
 erogazioni", si e' precisato che le regioni  potranno  sollevare  nei
 confronti della prassi applicativa "conflitti di attribuzione" (cosi'
 nella  sent.  n.  243/1985):  conflitti  che  tendono ad evidenziare,
 quindi,  il  contrasto  fra  atti  e  comportamenti  statali  e   "il
 principale  fondamento  giustificativo  della  legge n. 720", che "e'
 rappresentato  dal  coordinamento  finanziario"   (ivi)   (sent.   n.
 243/1985);
      c)   in  sede  di  risoluzione  dei  conflitti  di  attribuzione
 proprosti nei riguardi delle disposizioni attuative della  "tesoreria
 unica",   che   "spetta   alle  regioni  ..  la  piena  ed  immediata
 disponibilita', in  ogni  momento,  delle  somme  di  loro  spettanza
 giacenti  presso le rispettive sezioni di tesoreria provinciale dello
 Stato", cio' in quanto il  differente  meccanismo  contemplato  dalla
 normativa  ministeriale  "e'  tale  da  potersi ripercuotere in danno
 dell'autonomia regionale di spesa".
    Infatti - ha rilevato codesto Collegio - "per non  intralciare  il
 ritmo   delle   spese   regionali,   compromettendo  l'indispensabile
 velocita' di erogazione e costringendo le regioni a far ricorso -  in
 via alternativa - ad indebitamenti sia pure di breve periodo, occorre
 pero'  che  la  reintegrazione  delle  quote  dei  proventi regionali
 depositabili  presso  le  aziende  di  credito  sia  resa   possibile
 continuamente  e  nei  modi  piu'  solleciti, affinche' si possa fare
 fronte ai pagamenti imprevisti senza intaccare gravemente od esaurire
 del tutto  le  disponibilita'  in  questione.  Viceversa,  le  citate
 prescizioni   ministeriali  non  tengono  adeguato  conto  di  simili
 necessita', ne' offrono rimedi  sufficienti  pur  quando  permettono,
 'nel  corso del mese, un ulteriore prelevamento'; tanto piu' che tale
 operazione veniva consentita nel solo 'caso di esaurimento  di  tutte
 le  disponibilita'  comunque detenute' .. e non e' ammessa tuttora al
 di guori del 'caso in cui ricorrano indifferibili esigenze di  spesa'
 ..,  giudici  delle quali finiscono per essere lo stesso Ministro del
 tesoro oppure la Banca d'Italia. - Le disposizioni impugnate  violano
 pertanto,  nel  medesimo  tempo,  l'autonomia  finanziaria  regionale
 considerata sul versante delle uscite  ed  il  principio  informatore
 dell'intera  legge n. 720 - gia' messo in evidenza dalla decisione n.
 243 del presente anno - per cui la piena ed immediata  disponibilita'
 delle  somme  di loro spettanza, giacenti nelle relative contabilita'
 speciali, dev'esser garantita anche agli enti  ed  organismi  inclusi
 nell'annessa  tabella  B,  quali  sono  appunto  le regioni a Statuto
 ordinario e speciale".
    Affermazioni di tal genere non sono state finora  smentite:  anzi,
 sono  state confermate implicitamente dalle sent. 2 marzo 1987, n. 61
 e n. 62 (che hanno  sottratto  al  regime  di  "tesoreria  unica"  le
 entrate  regionali  proprie  rispettivamente  della regione Sicilia e
 della regione Trentino-Alto Adige), ed esplicitamente dalle sent.  30
 giugno 1988, n. 742, la quale ha ulteriormente affermato il principio
 per  cui  vanno  assicurate  "le  esigenze e le garanzie inderogabili
 dell'autonomia", escludendo "anomali  strumenti  di  controllo  sulla
 gestione  finanziaria  regionale"  ed  eliminando  gli "ostacoli alla
 effettiva e pronta utilizzazione delle risorse a  disposizione  della
 regione"  (in tal senso, di riflesso, v. pure ord. 30 giugno 1988, n.
 759).
    6. - Fatte  salve  le  perplessita'  essenzialmente  di  principio
 riguardanti  non  tanto  il  sistema  di  "tesoreria unica" quanto le
 concezioni di fondo sottese al  sistema  di  "finanza  derivata"  che
 reggono  il  primo,  pare  indubitabile  che  codesto  collegio abbia
 considerato le differenti fattispecie sottoposte al suo giudizio (fra
 l'altro, l'obbligo per le regioni di tenere le somme loro  trasferite
 dallo  Stato sui conti correnti presso il Tesoro; l'imposizione di un
 limite quantitativo alle disponibilita' che le regioni possono tenere
 presso i propri tesorieri;  l'imposizione  di  vincoli  alla  entita'
 delle  somme prelevabili dalle regioni da conti correnti, in assoluto
 e  non  piu'  in  correlazione col fabbisogno ne' con l'entita' delle
 giacenze presso il sistema bancario) ricercando un bilanciamento  fra
 istanze statali e regionali, definito nei termini seguenti:
       a)  il  "sistema  di  tesoreria  unica"  e'  espressione  della
 potesta' di coordinamento finanziario riservata dall'art. 119,  primo
 comma,  della  Costituzione  allo  Stato;  in  specie,  esso  mira ad
 impedire un ristagno di liquidita' presso le regioni, causa di  oneri
 ulteriori   per  la  finanza  pubblica,  disciplinando  i  "ritmi  di
 accreditamento" delle risorse regionali (v., fra  l'altro,  sent.  n.
 94/1981 e n. 162/1982);
       b) il "sistema di tesoreria unica" non deve "trasformarsi in un
 anomalo  strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale"
 (sent. n. 155/1977,  sistematicamente  ripresa  dalla  giurisprudenza
 successiva);
       c) in ogni caso, alla regione deve essere assicurata la "pronta
 disponibilita'"  delle  proprie risorse collocate presso la tesoreria
 dello Stato (sent. n. 162/1982, n. 243 e n. 244/1985), allo scopo  di
 evitare (proprio quel che e' accaduto nel caso in esame) "il pericolo
 di   improvvisi  vuoti  di  cassa,  che  pregiudicherebbero  il  buon
 andamento dell'amministrazione e paradossalmente  frustrerebbero  gli
 intenti cui mira la legge n. 720, imponendo alle regioni di ricorrere
 ad  onerose  anticipazioni per fronteggiare le spese indilazionabili"
 (sent. n. 243/1985);
       d) un simile esito non lo si puo' giustificare neppure con  "il
 richiamo ad una finalita' d'interesse generale", anche di "precipuo e
 stringente  rilievo",  quando  si "incidano e vulnerino competenze ed
 interessi costituzionalmente garantiti" (sent. n. 307/1983);
       e) se cio' accade, si ha una "sicura lesione degli  artt.  117,
 118 e 119 della Cost." (sent. n. 307/1983).
    L'esposizione diffusa e ragionata delle massime piu' significative
 delineate   da   codesta   Corte  dimostra  con  rara  linearita'  la
 sussistenza dell'invasione di competenza realizzata dal Ministro  del
 tesoro  quando  ha  accreditato somme in misura ridotta rispetto alle
 richieste e quando ha evidentemente eluso le rimostranze  prospettate
 dalla  regione: determinando con cio' una violazione, oltre che delle
 disposizioni regolatrici del  "sistema  di  tesoreria  unica"  (della
 legge   29  ottobre  1984,  n.  720,  e  successive  modificazioni  e
 integrazioni, e delle leggi da questa  richiamate,  esplicitamente  o
 implicitamente),  dell'art.  119  della  Costituzione,  che  ne e' il
 fondamento, e di riflesso degli artt. 117 e 118  della  Costituzione,
 dal  momento che le menomazioni finanziarie reagiscono - data la loro
 strumentalita'  -  sull'esercizio  delle   funzioni   legislative   e
 amministrative,  condizionandone  gli  esiti:  il  che  ha  importato
 altresi' la lesione dell'art. 97 della Carta costituzionale.