IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti gli atti dell'emarginato procedimento, osserva.
                               F A T T O
    Il procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di
 Matera,  aderendo  ad  analoga istanza contenuta nell'atto di querela
 presentato dalla  Fiat  Sava  S.p.a.  di  Torino,  nei  confronti  di
 Manarello  Felice,  per  il reato p. e p. dell'art. 10 del r.d.-l. 15
 marzo 1927, n. 436,  ha  chiesto  a  questo  g.i.p.  di  disporre  il
 sequestro  preventivo  dell'autoveicolo marca Fiat, tipo 154, targato
 MT151809, telaio n. 0245571.
    Nell'indicato lamento penale, unica decumentazione posta a corredo
 della richiesta ex art. 321 del c.p.p.,  la  societa'  querelante  ha
 rappresentato:
      d'aver  finziato  l'acquisto  del mezzo, soggetto ad " ..ipoteca
 legale .." in proprio favore;
      d'aver chiesto ed ottenuto dal pretore di  Matera  provvedimento
 di sequestro ex art. 7 del r.d.-l. n. 426/1927, in quanto il debitore
 aveva trascurato di pagare alcune rate di rimborso del prestito;
      che  l'ufficiale  giudiziario  non  ha  rinvenuto il bene, ed ha
 redatto verbale negativo di sequestro;
      che  il  debitore,  sottraendo  il  veicolo  alla  garanzia  del
 credito, ha posto in essere il reato oggetto di querela.
                             D I R I T T O
    E'   opportuno   premettere   che  la  piu'  evoluta  dottrina  ha
 evidenziato come uno dei cardini del moderno diritto  penale  sia  il
 "principio della necessaria lesivita' od offensivita' del reato".
    Lo  stesso  implica  che un dato comportamento in tanto puo' esser
 previsto quale oggetto di sanzione penale, in quanto esso leda o, per
 lo meno, metta in serio pericolo beni giuridici di rilievo.
    A causa della sua  gravita',  la  sanzione  penale  viene  percio'
 considerata,  negli  ordinamenti  di ispirazione liberal-democratica,
 quale extrema ratio.
    Essa e' posta, percio', ad  esclusivo  presidio  delle  condizioni
 essenziali della convivenza civile e dei beni che vengono socialmente
 ritenuti   piu'   meritevoli  di  protezione  giuridica,  quando  non
 diversamente tutelabili.
    In sostanza,  all'intervento  punitivo  statuale  e'  riconosciuto
 l'ambito piu' ristretto possibile.
    Nel  nostro  ordinamento  siffatta concezione, dell'utilizzo dello
 strumento penale in casi di "stretta necessita'", ha permeato di  se'
 la stessa Carta costituzionale.
    Espressione  ne sono gli articoli che hanno affermato il principio
 di riserva di legge in materia penale  (25,  secondo  comma);  quello
 della  personalita'  (al  contrario  di altre forme di responsabita')
 della pena (27, primo comma e della sua neceessaria finalizzazione ad
 una  funzione   rieducativa   (27,   terzo   comma);   quello   della
 inviolabilita'  e  normale  incoercibilita'  della liberta' personale
 (13); quello della supremazia  assoluta  del  valore  della  dignita'
 umana  e  della persona e del favore per la sua piena estrinsecazione
 mediante l'abbattimento di vincoli ed ostacoli  economici  e  sociali
 che ne limitino lo sviluppo (2 e 3).
    Atteso il carattere primario e fondamentale della Costituzione fra
 le  fonti  dell'ordinamento  statuale,  conseguenza  necessaria della
 costituzionalizzazione del cennato principio e' che da quella bisogna
 ricavare orientamento per stabilire quali siano i beni, che  in  essa
 hanno  diretta  o implicita protezione, per i quali trova eccezionale
 legittimazione la tutela penale ed  e'  consentito  far  assurgere  a
 fattispecie  di  reato  i  comportamenti  che  li ledano o mettano in
 pericolo.
    Tanto premesso, si osserva che la normativa in esame (art. 10  del
 r.d.-l. n. 436/1927: "Disciplina dei contratti di compravendita degli
 autoveicoli  ed  istituzione  del  pubblico  registro automobilistico
 presso le sedi dell'Automobil club  d'Italia")  prevede  la  sanzione
 penale  della  reclusione  sino  a sei mesi e della multa sino a lire
 centomila per chi possedendo o detentendo, anche se proprietario,  un
 autoveicolo  oggeto del privilegio legale o convenzionale debitamente
 iscritto, in prima  persona,  oppure  prestando  consenso  all'azione
 d'altri,  lo  distrugga,  guasti,  deteriori,  ovvero  lo occulti, o,
 comunque, lo sottragga alla garanzia del creditore privilegiato.
    Tale normativa, in sostanza, sancisce una stravagante  ed  anomala
 ipotesi  di  responsabilita' penale per inadempimento, o, meglio, per
 il pericolo  d'inadempimento  di  obbligazioni  civilistiche  e,  con
 l'eccezione  dell'omologo e coevo art. 10 del r.d.-l. 29 luglio 1927,
 n. 1509 ("Provvedimento per l'ordinamento  del  credito  agrario  del
 Regno"), costituisce una singolarita' per il sistema vigente.
    Invero,  come  e'  stato  evidenziato in dottrina, nell'ambito dei
 delitti contro il patrimonio (bene che e', come  e'  ovvio,  ritenuto
 meritevole di tutela), il legislatore non sanziona penalmente le mere
 violazioni  contrattuali,  pur  se  capaci  di  provocare gravi danni
 patrimoniali,  ma  soltanto  certe  modalita'  di   aggressione   del
 patrimonio stesso.
    In siffatto contesto, assumono cosi' rilievo, ai fini della tutela
 penale, la sottrazione materiale della cosa nel furto, l'induzione in
 errore   nella  truffa,  l'approfittamento  dello  stato  di  bisogno
 dell'usura, il previo proposito di non adempiere e la  dissimulazione
 del   proprio   stato   d'incapacita'   patrimoniale  dell'insolvenza
 fraudolenta.
    Archiviato  come   un   arcaico   residuato   storico   l'istituto
 dell'arresto  per  debiti,  il  reato di cui alla legge citata sembra
 riecheggiarne il tristo ricordo.
    Esso appare, percio', in assoluta  dissonanza  con  l'ordinamento,
 avuto  riguardo alla scala gerarchica del valore dei beni socialmente
 rilevanti,  su  delineata,  ricavabile  dalla  lettura  del   dettato
 costituzionale  e  dalla quale bisogna desumere non solo le direttive
 programmatiche  di  tutela  che devono ispirare il legislatore per la
 normazione  futura,  ma  anche  il  criterio  per  il  controllo   di
 legittimita' costituzionale e della legislazione gia' esistente.
    E  la dissonanza si rivela ancor piu' evidente se si considera che
 tale reato, per cui e' prevista la pena della  reclusione  in  uno  a
 quella  della  multa,  e'  individuato  addirittura  come delitto: in
 contraddizione, cioe', con la scarsa considerazione sociale del  bene
 compromesso  e dell'entita' dell'offensiva arrecata, ed in contrasto,
 quindi, con il "principio di meritevolezza" della pena, che di quello
 di "stretta necessita'" della stessa e' corollario.
    Invero, i comportamenti che la norma sanziona,  caratterizzati  da
 una, peraltro solo potenziale, lesivita' dell'interesse del venditore
 o finanziatore dell'acquisto di autoveicoli o del creditore che abbia
 su  tale  tipo  di  bene  privilegio convenzionale, non sembrano piu'
 raggiungere un livello di gravita' tale  da  risultare  intollerabili
 per  il contesto sociale o, comunque, da farli ritenere non ovviabili
 mediante il ricorso alla (sola) forma di tutela  rappresentata  dalla
 responsabile da illecito civile.
    La disposizione appare come il reliquato di tempi, oramai lontani,
 in  cui  il tipo di beni che essa protegge avevano una importanza che
 loro non e' certamente piu' riconosciunta.
    Analogamente,  non  e'  piu'  ragionevolmente  ed  equitativamente
 possibile  attribuire  particolare  significato, tale da giustificare
 l'intervento tutorio  penale,  alle  ragioni,  meramente  creditorie,
 della potenziale vittima (d'inadempimento) che essa individua.
    Ma v'e' di piu'.
    Poiche'   la   responsabilita'   penale   e'  in  esso  "comunque"
 ricollegata alla semplice sottrazione  del  bene  alla  garanzia  del
 creditore,  l'art.  10  legge citata tipizza come illecito penale una
 condotta che e' ritenuta pericolosa in forza di una  mera  regola  di
 esperienza  la  quale,  in  fatto,  ben  puo' dimostrarsi falsa (e la
 ritenuta esposizione a rischio del tutto inesistente).
    Esso,  percio',  delinea  e  concretizza  un  reato  di   pericolo
 presunto,  ossia  una  ipotesi  normativa  che si pone, come e' stato
 autorevolmente osservato in dottrina, in contrasto con quel principio
 (costituzionalizzato) di necessaria lesivita' il quale, si e'  detto,
 condizionata ed ispira il diritto penale.
    Alla  stregua  di  tanto,  non  e' palesemente infondato, a parere
 dell'ufficio, sospettare che  l'art.  10  del  r.d.l.    n.  436/1927
 contrasti con la normativa fondamentale dello Stato.
    I  parametri  sono  quelli degli artt. 2, 3, secondo comma, 13, 25
 secondo comma, e 27, primo e terzo comma, per  via  della  violazione
 del   principio   di   necessaria   lesivita',  della  ingiustificata
 compressione  dei  valori  della  dignita'  umana  e  della  liberta'
 personale,   e  dell'irragionevolezza  della  scelta  legislativa  di
 prevedere per un tipo d'illecito (per  lo  meno  divenuto)  privo  di
 particolare   rilevanza  sociale  e  di  concreta  pericolosita',  la
 sanzione piu' grave, per giunta nella forma congiuntamente  detentiva
 e  pecuniaria,  correlata  alla  qualificazione  dello  stesso  quale
 delitto.
    Ne', infine, e' da  trascurare,  chiamando  ancora  a  riferimento
 l'art. 3 della Costituzione, che la norma instaura una ingiustificata
 disparita'  di  trattamento, sia tra le varie categorie di creditori,
 attesa la tutela particolare riconosciunta solo a  quelli  che  siano
 venditori o finanziatori dell'acquisto di autoveicoli, o che su detti
 mezzi  abbiano  comunque  privilegio,  sia  tra le varie categorie di
 debitori,   in   considerazione   della    previsione    di    penale
 responsabilita'  per  i  soli  debitori  proprietari,  in  possesso o
 detentori di autoveicoli oggetto di privilegio.
    La rilevanza della questione e' di palmare evidenza.
    Soltanto se la norma sospettata non e' incostituzionale, il  reato
 sussiste  ed  occorre  che  l'ufficio prenda in esame la richesta del
 requirente.