IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza all'udienza di discussione del
 25 febbraio  della  causa  relativa  a  controversia  in  materia  di
 previdenza e di assistenza obbligatoria iscritta al n. 1896 dell'anno
 1991  del  ruolo  generale delle controversie in materia di lavoro di
 Lucera promossa dall'I.N.A.D.E.L., con sede in Roma, in  persona  del
 legale  rappresentante  pro-tempore, difeso dall'avv. Roberto Pucillo
 elettivamente domiciliato  in  Lucera  ricorrente  in  opposizione  a
 decreto  ingiuntivo,  contro  D'Attoli  Michele, residente in Lucera,
 rappresentato e difeso dall'avv. Pio Franco Caso e presso  di  lui  e
 nel  suo  studio  domiciliato  resistente-opposto;  letti gli atti ed
 esaminata  la  documentazione  prodotta  dalle   parti;   sentiti   i
 procuratori costituiti.
    Con  ricorso  depositato  il  23  dicembre 1991 l'I.N.A.D.E.L., in
 persona del legale rappresentante  pro-tempore,  propone  opposizione
 avverso  il  d.i.  emesso  dal  pretore  g.l.  di Lucera in favore di
 D'Attoli Michele in data 26 novembre 1991, chiedendone la revoca.
    Sostiene  l'opponente  che  la sentenza della Corte costituzionale
 n.150 del 12 aprile 1991  non  determina  l'automatico  diritto  alla
 rivalutazione  monetaria, ma subordina il pagamento della stessa alla
 verifica  delle  condizioni  legali  di   responsabilita'   dell'ente
 previdenziale:  ne  consegue che l'accertamento della responsabilita'
 per ritardo andrebbe eseguito sulla base di una specifica domanda con
 dimostrazione a carico del richiedente. L'opponente denuncia  inoltre
 la illegittimita' costituzionale per sopravvenuta arbitrarieta' della
 disposizione   di   estensione   ai   crediti   previdenziali   della
 rivalutazione monetaria di cui  al  terzo  comma  dell'art.  429  del
 c.p.c.,  contenuta nella sent. cit. C.c., per contrasto con gli artt.
 3 e 38 della Costituzione: l'aumento al 10% del tasso degli interessi
 (legge n. 353/1990, art. 1)  da  praticarsi  sulle  somme  rivalutate
 secondo  indici  Istat  porterebbe ad un incremento del preteso danno
 totale intorno al 17,15%, determinando un vero  e  proprio  lucro  in
 favore   del  creditore,  sicuramente  piu'  protetto  dalla  spirale
 inflazionistica anche rispetto ad ogni altro piccolo risparmiatore
    Aggiunge inoltre l'opponente che  l'applicazione  della  decisione
 della Corte costituzionale portera' nel recente futuro a violare quel
 principio  di  eguaglianza  che essa stessa ha voluto salvaguardare e
 che ha ravvisato nell'ordinanza di rinvio della Corte di  cassazione,
 perche'  gli  accantonamenti  pensionistici  in favore degli iscritti
 verranno in breve tempo ad essere depauperati per effetto di  esborsi
 consistenti, con la conseguenza che nello spazio di pochi anni non si
 potra'  assicurare  alle prossime classi di pensionabili la fruizione
 in tutto o in parte  del  trattamento  di  quiescenza,  in  tal  modo
 facendo  irrimediabilmente  "saltare"  il  diritto  del  lavoratore a
 vedersi assicurati i mezzi adeguati alle  esigenze  di  vita  per  la
 vecchiaia.
    Per  tali  ragioni sollecita il giudicante a pronunziare ordinanza
 di sospensione del procedimento e la  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte  costituzionale,  ritenendo  non  manifestamente  infondata  la
 proposta questione di illegittimita' costituzionale.
    Ritualmente si costituisce in giudizio  l'opposto  sostenendo  che
 l'assicurato  non deve compiere alcun adempimento una volta collocato
 a riposo, ma deve solo attendere il  termine  massimo  di  centoventi
 giorni  entro il quale deve essergli corrisposto dall'I.N.A.D.E.L. il
 premio fine servizio, in base al principio di cui  all'art.  7  della
 legge  n.  533/1973,  decorsi  i  quali  l'ente  e'  da  considerarsi
 inadempiente.
    Aggiunge  che  dopo  la  sentenza   della   Corte   costituzionale
 dell'aprile  1991  intervenuto  il  legislatore  con l'art. 16, sesto
 comma, della legge 30 dicembre 1991,  n.  412,  che  ha  previsto  la
 detrazione  degli interessi legali dalla somma eventualmente dovuta a
 titolo di svalutazione monetaria nel caso in cui quest'ultima  superi
 i  primi.  Sottolinea pertanto il contrasto della detta norma con gli
 artt. 3 e 38 della Costituzione perche', avendo  il  premio  di  fine
 servizio  carattere  retributivo,  esso  deve  essere  corrisposto al
 momento del collocamento a riposo dell'assicurato e se vi e'  ritardo
 l'ente  gestore  della  previdenza  e'  obbligato a corrispondere gli
 interessi e  svalutazione  per  assicurare  al  lavoratore  il  pieno
 recupero del risarcimento del danno.
    Conclude  l'opposto  chiedendo  la  pronuncia di esecutorieta' del
 d.i. per la parte non in contestazione, il  rigetto  dell'opposizione
 con  rimborso  delle  spese  processuali  e  la  dichiarazione di non
 manifesta   infondatezza   dell'eccezione   di    incostituzionalita'
 sollevata dell'art. 16, sesto comma, della legge 30 dicembre 1991, n.
 412, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione.
    La    questione    di    legittimita'   costituzionale   sollevata
 dall'opponente appare manifestamente infondata.
    Sembra sufficiente rilevare che il raddoppio del tasso  legale  di
 interessi,  introdotto  con  l'art.  1  della legge n. 353/1990, vale
 indistintamente per tutti i crediti pecuniari e  che  la  presunzione
 iuris et de iure introdotta dal legislatore per il lavoratore, ed ora
 -  a  seguito  dell'intervento  del giudice costituzionale - anche in
 favore del creditore previdenziale, per  l'inderogabile  esigenza  di
 tutela  del  potere  di  acquisto  di tali crediti che, geneticamente
 collegati al rapporto di lavoro, sono  destinati  al  soddisfacimento
 dei  bisogni  primari  della  vita  del  lavoratore, del pensionato o
 dell'invalido e dei membri delle loro famiglie.
    Mentre  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata
 dall'opponente  appare  manifestamente  infondata,  il problema della
 illegittimita' costituzionale dell'art. 16, sesto comma, della  legge
 30  dicembre 1991, n. 412, cosi' come prospettato dall'opposto e', ad
 avviso del pretore, rilevante e non manifestamente infondato.
    Con sentenza del 12 aprile 1991, n. 156, la  Corte  costituzionale
 ha eliminato la differenza di trattamento prevista dal codice di rito
 per  quanto  attiene  al  risarcimento  del  danno  dovuto  a ritardo
 nell'adempimento del debitore di obbligazione  pecuniaria  in  favore
 dei  titoli  di  crediti di lavoro rispetto ai crediti previdenziali,
 equiparando il trattamento normativo dei due tipi di credito.
    La stessa sentenza della Corte costituzionale ha precisato come le
 due categorie di creditori non siano da differenziare, poiche'  "  ..
 avvicina, sotto l'aspetto funzionale, le prestazioni previdenziali ai
 crediti  di  retribuzione  ..  la funzione di superare o integrare un
 reddito di lavoro cessato o ridotto  a  causa  di  uno  degli  eventi
 considerati dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione".
    Alla  luce della citata sentenza una sola differenza permaneva tra
 i crediti di lavoro ed i crediti previdenziali ed era  rappresentanta
 dalla  decorrenza  della  svalutazione,  che  per i primi decorre dal
 giorno della maturazione, per i secondi dal centoventunesimo  giorno.
 La  sentenza  C.c.  ha  dichiarato l'illegittimita' dell'art. 442 del
 c.p.c. "nella parte  in  cui  non  prevede  che  il  giudice,  quando
 pronuncia  sentenza  di  condanna al pagamento di somme di denaro per
 crediti  relativi  a  prestazioni   di   previdenza   sociale,   deve
 determinare,  oltre  gli  interessi  nella  misura legale, il maggior
 danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore
 del suo credito, applicando l'indice dei prezzi calcolato  dall'Istat
 per  la  scala  mobile  nel  settore  dell'industria e condannando al
 pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno  in  cui  si
 sono verificate le condizioni legali di responsabilita' dell'Istituto
 o ente per il ritardo nell'adempimento".
    La legge 30 dicembre 1991, n. 412, nell'ambito delle "Disposizioni
 varie  in  materia  previdenziale"  statuisce che "L'importo dovuto a
 titolo  di  interessi  e'   portato   in   detrazione   dalle   somme
 eventualmente  spettanti  a  ristoro  del  maggior  danno  subito dal
 titolare della prestazione per la  diminuzione  del  valore  del  suo
 credito" (art. 16, sesto comma), in tal modo parzialmente vanificando
 il portato della sentenza della C.c. citata.
    E'  proprio il rilevato contrasto tra la sentenza della C.c. ed il
 dettato normativo della legge finanziaria  a  rendere  "rilevante"  e
 "non   manifestamente   infondata"   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale prospettata.
    La rievanza si risolve nell'influenza, ai fini  della  definizione
 del  giudizio in esame, della disposizione dell'art. 16, sesto comma,
 della legge cit., tale norma  risulta  infatti  strumentale  rispetto
 alla  soluzione  della  questione  di  diritto  sostanziale,  che non
 richiede ulteriori accertamenti in fatto.
    In particolare il Pretore adito dovrebbe,  in  applicazione  della
 normativa  vigente,  detrarre  la  somma dovuta a titolo di interessi
 legali  e  quindi  riconoscere  in  favore  dell'opposto  una   somma
 inferiore rispetto a quella indicata nel d.i. emesso sulla base della
 situazione  normativa  sussistente  alla  luce  della  sentanza  C.c.
 dell'aprile 1991 e fino alla pronuncia del legislatore  del  dicembre
 u.s.
    Oltre  che  rilevante  la questione di legittimita' costituzionale
 prospettata e', ad avviso di questo Pretore, anche non manifestamente
 infondata, essendo la disposizione legislativa in esame in  contrasto
 con specifici precetti costituzionali.
    Essa  in  particolare  viola  il  principio  di uguaglianza di cui
 all'art.  3  della  Costituzione,  disciplinando  in  modo   difforme
 situazioni omogenee.
    Gli  emolumenti  previdenziali,  tendenti a realizzare la garanzia
 del reddito anche in circostanze di particolare  disagio  della  vita
 del lavoratore, inevitabili e soprattutto da questo non volute, hanno
 carattere  omogeneo rispetto ai crediti ordinari di lavoro, svolgendo
 una funzione analgoa a quella  svolta  dalla  retribuzione;  vi  sono
 anche ipotesi, come in particolare il premio di fine servizio oggetto
 del  d.i.  opposto,  in  cui il credito previdenziale ha carattere di
 retribuzione differita, eguale  -  quindi  -  ai  crediti  di  lavoro
 ordinario.  La  sola differenza riguarda il tempo dell'adempimento: i
 crediti di lavoro vanno soddisfatti  al  momento  della  maturazione,
 quelli   previdenziali  decorsi  inutilmente  centoventi  giorni  dal
 momento della collocazione  a  riposo  o  dalla  presentazione  della
 domanda  oppure  dalla  comunicazione  di  reiezione della domanda da
 parte dell'Istituto previdenziale, ma ad entrambi va riconosciuta  la
 natura giuridica di credito alimentare.
    Ciononostante  per il legislatore della legge finanziaria del 1992
 il titolare di crediti di lavoro ha diritto ad interessi legali  piu'
 svalutazione  monetaria, mentre il creditore previdenziale ha diritto
 alla svalutazione monetaria meno interessi legali. La discriminazione
 tra le due categorie di creditori e' evidente.
    Ne' si individua una  qualsiasi  ragionevole  giustificazione  del
 trattamento   diversificativo   delle   dette   omogenee   situazioni
 giuridiche, che non sia una valutazione contingente  alla  quale  non
 sono   estranee  preoccupazioni  di  politica  economica-finanziaria,
 adottata senza curarsi  di  violare  il  precetto  costituzionale  di
 uguaglianza a discapito dei creditori piu' bisognosi, dei piu' deboli
 (a  discapito  -  si osa pensare - di chi non ha neppure dalla sua la
 possibilita' di ricorrere allo sciopero. I  titolari  di  crediti  di
 lavoro  ordinario,  potendo fare ricorso all'arma dello sciopero sono
 di maggiore peso rispetto a pensionati, invalidi, ecc.).
    Non  va  neppure  trascurato  che  gli  enti previdenziali hanno a
 disposizione quattro mesi (i detti centoventi giorni) per evadere  le
 domande  degli  assicurati,  eppure  il legislatore ha pensato di far
 gravare sui piu' deboli i ritardi e le disfunzioni degli enti stessi.
    Nella disposizione legislativa in esame  si  ravvisa  altresi'  il
 contrasto  con  l'art.  38, secondo comma, della Costituzione, avendo
 determinato la parziale soppressione del  diritto  alla  svalutazione
 monetaria  cumulata  con  gli  interessi  legali, riconosciuto con la
 sentenza C.c. citata.
    Si rileva inoltre il contrasto della stessa con l'art. 38,  quarto
 comma,  della Costituzione. E' pacifico che il dettato costituzionale
 richiamato  non  limiti  l'attivita'  dello  Stato,  e   quindi   del
 legislatore ordinario, a realizzare la tutela previdenziale solamente
 attraverso la costituzione di appositi istituti, ma deve tendere alla
 concreta  realizzazione  della  tutela  dei singoli soggetti protetti
 anche attraverso la  partecipazione  alla  gestione  finanziaria:  il
 legislatore   ha   nella   fattispecie   realizzato   una   normativa
 contrastante con le indicazioni costituzionali, anche se - si suppone
 - mosso dall'esigenza di risolvere problemi finanziari contingenti.
    La   questione   va   dunque   rimessa   all'esame   della   Corte
 costituzionale.