Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Emilia-Romagna,
 in persona del presidente della giunta regionale  pro-tempore  Enrico
 Boselli,  giusta  deliberazione  della  giunta regionale n. 606 del 4
 marzo 1992, rappresentata e difesa  dal  prof.  avv.  Fabio  Roversi-
 Monaco  e  dal  prof.  avv. Sandro Amorosino, presso il cui studio in
 Roma, via  Nazionale  230,  ha  eletto  domicilio,  come  da  mandato
 speciale  a  margine contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
 in persona del Presidente del Consiglio in carica, per l'annullamento
 per difetto di attribuzione del d.P.R. 14 febbraio 1992,  concernente
 "Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni recante i piani degli
 alloggi di edilizia residenziale pubblica".
                               F A T T O
    In  data  18  febbraio  1992,  e' stato pubblicato, nella Gazzetta
 Ufficiale, il decreto del Presidente  della  Repubblica  14  febbraio
 1992  cncernente  l'"Atto  di  indirizzo e coordinamento alle regioni
 recante i piani di cessione degli alloggi  di  edilizia  residenziale
 pubblica".
    Tale  d.P.R.,  emanato  con  il  fine di realizzare uniformita' di
 indirizzo per quanto attiene alla cessione degli alloggi di  edilizia
 residenziale pubblica e di indicare i criteri cui "dovranno attenersi
 le  regioni  per  realizzare  tale  uniformita'", prevede all'art. 1,
 primo comma l'obbligo per le regioni stesse, nell'approvare  i  piani
 di  vendita  di  tali  alloggi  predisposti  dagli  enti  gestori, di
 impartire direttive perche':
      " a)vengano  posti  in  vendita  interi  fabbricati  o  porzioni
 funzionali  di  essi,  in  ciacuno  dei  quali  coloro  che intendono
 chiedere l'acquisto dell'alloggio costituiscano  almeno  il  50%  dei
 locatari;
       b)  siano  esclusi  dalle alienazioni gli edifici ristrutturati
 nei quartieri del centro storico  o  gli  edifici  per  cui  esistono
 programmi di copa n. 2 c /2 d ristrutturazione".
    L'art.  5,  primo  comma  fissa,  inoltre, un termine di 90 giorni
 dalla  ricezione  dei  piani  di  cessione  degli  enti  gestori  per
 l'approvazione,  da  parte  delle regioni, dei medesimi piani. Infine
 l'art.  6  prevede,  al  primo  comma,  uno  specifico  limite  nella
 destinazione   dei   fondi   ricavati  dalle  alienazioni  attraverso
 l'individuazione di un vincolo di prevalenza in tale  destinazione  e
 al  secondo  comma stabilisce che le somme ottenute dalle alienazioni
 debbano  essere  versate  nelle  contabilita'  speciali   presso   la
 tesoreria dello Stato.
    Tali   disposizioni   si   presentano  gravemente  invasive  delle
 competenze  regionali   in   ordine   alla   gestione   dell'edilizia
 residenziale pubblica.
                             D I R I T T O
    1.  -  Violazione  degli  artt.  117  e  118 della Costituzione in
 relazione agli artt. 93 e 11 del d.P.R. 3.24 luglio 1977, n.  616  ed
 in  relazione  all'art.  28  della legge n. 412/1991.  Violazione del
 principio di "leale cooperazione".
    Le premesse del decreto si richiamano all'art. 93  del  d.P.R.  n.
 6161/1977  e  all'art.  28  della  legge 30 dicembre 1991, n. 412, in
 conformita' ed attuazione dei quali parrebbe porsi il decreto  stesso
 nel dettare le disposizioni in questa sede contestate.
    In  realta'  l'art.  93 sopra citato prevede soltanto che lo Stato
 attui  la  programmazione   nazionale   nel   settore   dell'edilizia
 residenziale  pubblica  ai  sensi  dell'art.  11,  primo comma, dello
 stesso d.P.R., secondo il quale  lo  Stato  determina  gli  obiettivi
 della  programmazione  economica  nazionale  con  il  concorso  delle
 regioni.
    A ben vedere, dunque, si tratta di  una  norma  generale  che  non
 prevede   l'esercizio   di   uno   specifico   potere  d'indirizzo  e
 coordinamento da parte del Governo.
    Per quanto riguarda la seconda norma  richiamata  dal  decreto,  e
 cioe'  l'art.  28  della  legge  n. 412/1991, esso detta una serie di
 disposizioni volte a definire  quali  siano  gli  alloggi  alienabili
 (primo comma), chi abbia diritto ad acquistarli (quarto comma), quali
 fini  perseguano  le  alienazioni (terzo comma) e come debbano essere
 effettuate (settimo comma).
    Le Regioni, infine, approvano i piani di  cessione  degli  alloggi
 predisposti   dagli   enti   gestori   nel   rispetto   dei  principi
 dell'articolo stesso, impartendo direttive per  la  destinazione  dei
 fondi ricavati dalle alienazioni (quinto e sesto comma).
    Anche  tale  norma  non  sembra  fondare  ne'  esplicitamente, ne'
 implicitamente (data la caratteristica di previsione di dettaglio che
 la  contraddistingue)   uno   specifico   potere   di   indirizzo   e
 coordinamento  in  capo  al  Governo,  che  lo  autorizzi  ad emanare
 disposizioni come quele qui contestate.
    Infatti, come ha da tempo precisato la Corte Costituzionale  (cfr.
 sentt.  29  luglio  1982,  n. 150; 15 giugno 1989, n. 338; 31 gennaio
 1991, n. 37; 6  febbraio  1991,  n.  49;  11  luglio  1991,  n.  359;
 l'esercizio  del  potere di indirizzo e di coordinamento da parte del
 Governo nei confronti di soggetti dotati di autonomia  costituzionale
 garantita, e' sottoposto alla condizione di validita' dell'osservanza
 del principio di legalita', nel senso che tale potere e' giustificato
 se  legittimato  e  supportato,  nella  legislazione  statale, da una
 specifica norma che lo richiami materia per materia.
    Cio' e' dovuto  al  fatto  che  la  funzione  di  indirizzo  e  di
 coordinamento  costituisce l'esercizio di una competenza particolare,
 svolta  attraverso  atti  consistenti  in  indirizzi  e  criteri   di
 coordinamento  volti  a  vincolare  teleologicamente  l'esercizio  di
 potesta'  legislative  ed  amministrative,  di  soggetti  dotati   di
 autonomia  costituzionalmente  garantita,  e  che,  per  questa  loro
 peculiare  finalita',  devono  rispettare   particolari   limiti   di
 svolgimento.
    Tali  limiti di svolgimento attengono all'osservanza del principio
 di legalita' sostanziale, che richiede, affinche'  il  Governo  possa
 indirizzare  e  coordinare  l'esercizio  di  funzioni  proprie  delle
 regioni  e  delle  province  autonome,  una  preventiva  disposizione
 legislativa la quale, in relazione alla specifica materia in oggetto,
 vincoli  e diriga l'esercizio del potere di indirizzo e coordinamento
 da parte del Governo stesso.
    Pertanto, quando siano adottati atti governativi  di  indirizzo  e
 coordinamento su determinate materie che comportino condizionamenti o
 limiti   di   poteri   della  regione,  la  legge  dello  Stato  deve
 precisamente  determinare  una   disciplina   che   funga   da   base
 sufficientemente  chiara  e  precisa  per  orientare  e delimitare la
 discrezionalita' del Governo nella determinazione degli  indirizzi  e
 delle  misure  di  coordinamento.  Di  tutto questo non vi e' traccia
 alcuna nell'art. 28 della legge 30 dicembre 1991, n.  412,  che  anzi
 presuppone,  chiaramente,  in  particolare  al  quinto,  sesto e nono
 comma, un'attivita'  regionale  senza  intermediazione  di  ulteriori
 precisazioni in funzione di indirizzo e coordinamento infatti si puo'
 rilevare  come  per  il  loro  carattere  dettagliato le norme di cui
 all'art. 28 della citata legge n. 412, siano esse stesse in  funzione
 di indirizzo e coordinamento.
    La  previsione  puntuale  dell'indirizzo e coordinamento presenta,
 rispetto alle norme che regolano in  via  generale  tale  potere,  un
 carattere di specificita' consistente, appunto, nell'esistenza di una
 precisa disposizione legislativa, che attribuisca il potere medesimo,
 ma  ne  vincoli e ne diriga anche l'esercizio. In assenza di cio', vi
 sarebbe  una  compressione  eccessiva  della   spesa   di   autonomia
 regionale.
    Orbene,  le  disposizioni  del  decreto  in oggetto non rispettano
 affatto il principio di legalita' sostanziale sopra delineato.
    Infatti  vengono posti limiti oltremodo restrittivi alle direttive
 che la Regione puo' impartire ex art. 28 legge n.  412/1991,  con  la
 fissazone  di  un  criterio  specifico  per  consentire la vendita di
 interi fabbricati o di porzioni funzionali di essi e con l'esclusione
 dell'alienazione di edifici ristrutturati e ristutturabili.
    Peraltro, l'art. 28 della legge n.  412/1991,  su  cui  parrebbero
 fondarsi le disposizioni del decreto impugnato, non costituisce certo
 un'idonea base giustificativa per l'emanazione di un'indicazione come
 quella sopra ricordata, che specifica e limita il potere di impartire
 direttive, attribuito dall'art. 28 medesimo alle regioni.
    Infatti tale articolo non riguarda ne' delimita per alcun verso il
 possibile   contenuto   sostanziale   di   atti  di  indirizzo  e  di
 coordinamento,  ma  pone  i  principi  generali   per   la   gestione
 dell'edilizia residenziale pubblica, fissando anche, le funzioni e le
 competenze delle regioni.
    Alla  luce  di  tali  considerazioni,  l'art.  1, primo comma, del
 d.P.R.  14  febbraio  1992   appare   lesivo   delle   competenze   e
 dell'autonomia regionale.
    L'indicazione   di   criteri   specifici  per  l'emanazione  delle
 direttive regionali connesse all'approvazione dei  piani  di  vendita
 degli  alloggi, oltre a non trovare supporto nell'art. 28 della legge
 n. 412/1991,  limita  ed  esclude  arbitrariamente  l'alienazione  di
 determinati edifici.
    Analoghe  considerazioni possono farsi per la previsione dell'art.
 5 dello stesso decreto, che fissa  il  termine  di  90  giorni  dalla
 ricezione,  entro cui le regioni devono approvare i piani di cessione
 predisposti dagli enti gestori.
    Anche  in  tal  caso,  l'art.  29  non  costituisce   disposizione
 legislativa idonea a fondare l'emanazione di atti di coordinamento ed
 indirizzo  conformi  al  principio  di  legalita'  sostanziale  sopra
 delineato.
    La previsione di un  termine  cosi'  stringente,  infatti,  incide
 profondamente  sull'autonomia  e sulle competenze regionali delineate
 dalla legge n. 412/1991  in  relazione  alla  gestione  dell'edilizia
 residenziale pubblica, violando, al pari dell'art. 1, primo comma, il
 principio  di  leale  cooperazione che avrebbe implicato un confronto
 con  le  regioni,  onde  poter  previamente  apprezzare  le   diverse
 situazioni  in essere nelle varie realta' locali; dato, quest'ultimo,
 che  richiede  un'adeguata   considerazione,   pena   un'aprioristica
 fissazione  di  regole e conseguentemente una lesione delle autonomie
 locali.
    Inoltre, le disposizioni qui impugnate si pongono in contrasto con
 la  peculiare  natura  degli  atti  di  indirizzo  e   coordinamento,
 concepiti come estrinsecazione di un potere che condivide, con quello
 legislativo,  la struttura generale delle sue manifestazioni, in modo
 da non privare le regioni destinatarie  degli  atti  stessi  di  quei
 margini  di  discrezionalita'  sufficienti e necessari per consentire
 loro un apprezzamento, non ineramente vincolato, dalle situazioni  in
 gioco.
    Infatti,  la  funzione  di  indirizzo  e  coordinamento  non e' la
 manifestazione di un limite "ulteriore"  rispetto  a  quelli  segnati
 nella   carta   costituzionale   come   momento   di   mediazione  ed
 armonizzazione. Cio' significa che tale  funzione  e'  preordinata  a
 fissare criteri minimali di uniformita', ma non togliere qualsivoglia
 spazio decisorio alle regioni.
    Pertanto,   esula   dai   poteri   di  indirizzo  e  coordinamento
 l'introduzione di prescrizioni attinenti al momento  organizzativo  e
 procedimentale  cosi' puntuali da predeterminare, in termini completi
 ed esaustici, lo svolgimento dei compiti di spettanza regionale e  le
 modalita'  di  esercizio  relativo (Corte costituzionale, sentenza n.
 744 del 30 dicembre 1988), situazione che,  in  questo  caso,  sembra
 invece determinarsi.
    2.  -  Violazione  degli  artt. 117, 118, e 119 della Costituzione
 sotto diversi e ulteriori profili in  relazione  all'art.  28,  sesto
 comma, della legge n. 412/1991 ed agli artt. 93, 94, 95 del d.P.R. n.
 616/1977.
    Con riferimento al presente motivo di ricorso viene in particolare
 considerazione l'art. 6 del d.P.R.
    Quanto  al  primo comma con riferimento alle considerazioni svolte
 nel motivo di ricorso che precede  in  quanto  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento  che  fuoriesce dal quadro definito dall'art. 117 della
 Costituzione, anche in relazione a quanto il  legislatore  ha  inteso
 statuire  nell'art. 28, sesto comma, con rifermento alla destinazione
 dei fondi ricavati dalle  alienazioni.  In  particolare,  poi,  nella
 fatispecie  si  introduce  un  dovere  di  vigilanza,  finalizzato  a
 ulteriori specificazioni circa la destinazione dei fondi, che  sembra
 concretare  anche una ulteriore violazione dell'art. 117 in relazione
 degli artt. 93, 95 del d.P.R. n. 616/1977,  posto  che  gli  I.A.C.P.
 debbono considerarsi a giusta regione enti strumentali della regione,
 talche'  nell'ambito  della legge e' la regione stessa e non lo Stato
 che deve fissare le direttive di azione.
    Sotto diversi ma collegati profili risulta  violato  anche  l'art.
 119   della   Costituzione  e  i  principi  in  ordine  all'autonomia
 finanziaria delle  regioni  e  dei  suoi  enti  strumentali  in  esso
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