ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  59, comma
 sesto,  del  d.P.R.  16  settembre  1958,  n.  916  (Disposizioni  di
 attuazione  e  di  coordinamento  della  legge 24 marzo 1958, n. 195,
 concernente  la  costituzione  e  il  funzionamento   del   Consiglio
 superiore   della  magistratura  e  disposizioni  transitorie),  come
 modificato dall'art. 12 della legge 3 gennaio 1981,  n.  1,  promosso
 con  ordinanza emessa il 12 aprile 1991 dal Consiglio superiore della
 magistratura - Sezione disciplinare nel procedimento  disciplinare  a
 carico di Scaduto Rosa Alba iscritta al n. 639 del registro ordinanze
 1991  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41,
 prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 5 febbraio 1992 il Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  Sezione  disciplinare  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura, con ordinanza emessa il 12 aprile 1991 nel procedimento
 disciplinare   a  carico  della  dottoressa  Rosa  Alba  Scaduto,  ha
 sollevato di ufficio questione  di  legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  agli  articoli  3,  24,  101  e  104 della Costituzione,
 dell'articolo  59,  comma  sesto,  d.P.R.  16 settembre 1958, n. 916,
 modificato dall'art. 12 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, nella parte
 in cui la disposizione viene interpretata come  diritto  vivente  nel
 senso  che  l'esercizio  dell'azione  disciplinare  e'  consentito  a
 ciascuno dei titolari dell'azione stessa (Ministro della giustizia  o
 Procuratore  generale  presso  la  Corte suprema di cassazione) entro
 l'anno dalla conoscenza del fatto che  ha  dato  luogo  all'addebito,
 anche quando e' gia' decorso un anno dalla intervenuta conoscenza del
 medesimo fatto da parte dell'altro titolare, cosi' indeterminatamente
 dilatando  nel  tempo  l'assoggettabilita'  del magistrato all'azione
 disciplinare.
    2. - Il giudice a quo ha  rilevato  che  nel  momento  in  cui  il
 Procuratore  generale  presso  la  Corte  suprema di cassazione aveva
 promosso l'azione disciplinare era gia' trascorso oltre  un  anno  da
 quando  il  Ministro della giustizia aveva avuto notizia dei medesimi
 fatti, con la conseguenza che si sarebbero verificate  le  condizioni
 che  determinano  l'estinzione  del  procedimento se fosse accolta la
 questione di legittimita'  costituzionale.  La  norma  sospettata  di
 incostituzionalita' stabilisce il termine di un anno per la decadenza
 dell'azione disciplinare senza provvedere a contrastare l'ipotesi che
 la notizia dei fatti di rilevanza disciplinare possa pervenire ai due
 titolari   dell'azione   stessa  in  tempi  diversi:  cosi'  consente
 l'eventuale esposizione del magistrato all'azione disciplinare  senza
 limiti di tempo.
    Dalla   esigenza   di   evitare   questo   inconveniente  e  nella
 impossibilita' di assumere la diversa  interpretazione,  per  cui  il
 termine  di decadenza, maturato nei confronti anche del solo Ministro
 della giustizia o anche del solo Procuratore generale presso la Corte
 suprema di cassazione, ha valore assoluto e pertanto estingue a  quel
 momento  il  potere  di azione anche per l'altro titolare, la Sezione
 disciplinare del Consiglio superiore della  magistratura  ritiene  di
 poter  individuare  nell'ordinamento  un  interesse  alla "conoscenza
 contestuale" delle notizie di tutti quei comportamenti  che  appaiono
 suscettibili  di  valutazione  in  sede disciplinare sia da parte del
 Ministro della giustizia sia da parte del Procuratore generale presso
 la Corte suprema di cassazione,  interesse  confermato  e  perseguito
 anche  nel  disegno  di  legge  in  materia  sottoposto all'esame del
 Parlamento.
    L'attuale  sistema,  nel   quale   non   e'   prevista   reciproca
 informazione tra i titolari dell'azione disciplinare, violerebbe - ad
 avviso  della  Sezione  rimettente - il principio di indipendenza del
 giudice garantito dagli articoli 101,  comma  secondo  e  104,  comma
 primo,  della  Costituzione  come  condizione  estrinseca di corretto
 esercizio della funzione  giurisdizionale;  renderebbe  inoltre  piu'
 difficile  l'esercizio del diritto di difesa dell'incolpato, tutelato
 dall'art. 24 della Costituzione, a causa del prolungato  decorso  del
 tempo  fra  l'infrazione  ed  il  giudizio disciplinare che ne segue;
 comporterebbe altresi' una disparita' di trattamento dei  magistrati,
 che  sarebbero  piu'  o  meno  garantiti a seconda che la notizia del
 fatto di rilievo disciplinare sia pervenuta ai  titolari  dell'azione
 contestualmente o meno.
    Pertanto,  secondo  il giudice a quo, la disposizione in questione
 sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 3, 24, 101, comma
 secondo (disposizione questa ultima  non  enunciata  nel  dispositivo
 dell'ordinanza  ma  contenuta  nella motivazione) e 104, comma primo,
 della  Costituzione,  "nella  parte  in  cui  non prevede a carico di
 ciascun titolare dell'azione disciplinare, qualora riceva notizia  di
 infrazioni  che  non  risultino  contestualmente portate a conoscenza
 anche  dell'altro  titolare,  l'obbligo  di  comunicarla   a   questo
 immediatamente al fine di consentire un tempestivo inizio del decorso
 del  termine  di  decadenza  di  un  anno per l'esercizio dell'azione
 stessa per entrambi i  soggetti  preposti  all'esercizio  dell'azione
 dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati".
    L'ordinanza   e'   stata  ritualmente  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica  n.  41,  prima  serie  speciale,  del  16
 ottobre 1991.
    3.  -  L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del
 Presidente del Consiglio dei ministri, ha chiesto  che  la  questione
 sia dichiarata infondata.
    Sulla  base  della  constatazione  dell'esistenza  di due distinti
 organi titolari dell'azione disciplinare, l'Avvocatura  ha  osservato
 che  l'eventuale  decorrenza  del termine annuale per uno di essi non
 potra'  avere  alcuna  influenza  sulla  facolta'   di   promovimento
 dell'azione  disciplinare  da  parte dell'altro titolare dell'azione.
 Altrimenti  si   verrebbe   a   creare   una   indebita   limitazione
 nell'esercizio  di  un potere riconosciuto dalla Costituzione, mentre
 e'  da  ritenere  corretta  la  possibilita'  che  il   termine   per
 l'esercizio  dell'azione  disciplinare  possa  decorrere e spirare in
 momenti diversi per il Ministro della giustizia e per il  Procuratore
 generale presso la Corte suprema di cassazione.
    Per  l'Avvocatura  dello  Stato,  che  richiama  in  proposito  le
 sentenze della Corte costituzionale n. 145 del  1976  e  n.  579  del
 1990,  si  deve  ritenere  che a mettere in pericolo l'indipendenza e
 l'autonomia del magistrato inquisito non e' il  tempo  di  potenziale
 esposizione alla possibilita' di azione disciplinare, ma quello della
 durata del procedimento una volta iniziate le indagini.
    In  relazione  all'eventuale  contrasto con gli artt. 3 e 24 della
 Costituzione, l'Avvocatura nega che vi sia diversita' di  trattamento
 di  situazioni  uguali  e  che  l'eventuale  sfasatura  nei  tempi di
 indagine  del  Procuratore  generale  presso  la  Corte  suprema   di
 cassazione  e del Ministro della giustizia possa ledere in alcun modo
 il diritto di difesa dell'interessato.
                        Considerato in diritto
    1.  -  La  Sezione  disciplinare  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura  dubita  della legittimita' costituzionale dell'articolo
 59, comma  sesto,  d.P.R.  16  settembre  1958,  n.  916,  modificato
 dall'art.  12, legge 3 gennaio 1981 n. 1, nella parte in cui prevede,
 secondo la interpretazione  dominante,  che  l'esercizio  dell'azione
 disciplinare e' consentito a ciascuno dei titolari dell'azione stessa
 (Ministro  della  giustizia  o  Procuratore  generale presso la Corte
 suprema di cassazione) entro l'anno dalla conoscenza del fatto che ha
 dato luogo all'addebito, anche se  e'  gia'  decorso  un  anno  dalla
 intervenuta   conoscenza  del  medesimo  fatto  da  parte  dell'altro
 titolare  dell'azione  disciplinare.  La  questione  di  legittimita'
 costituzionale  e'  stata sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e
 104 della Costituzione, menzionati nel dispositivo dell'ordinanza  di
 remissione.  La  motivazione  dell'ordinanza  integra  e  precisa  il
 riferimento alle norme costituzionali, indicando gli artt. 101, comma
 secondo  e  104, comma primo, della Costituzione. Segnala inoltre che
 la ritenuta illegittimita' costituzionale  potrebbe  essere  superata
 ove  fosse  posto  l'obbligo,  a  carico di ciascuno dei due titolari
 dell'azione disciplinare che riceva notizie  di  infrazioni  che  non
 risultino  contestualmente  portate  a  conoscenza  anche  dall'altro
 titolare, di comunicarle immediatamente anche a questi,  al  fine  di
 consentire  il  contemporaneo  inizio  del  decorso  del  termine  di
 decadenza.
    2.  -  Preliminarmente  e'  opportuno  ricordare  che  il  sistema
 disciplinare   relativo   ai   magistrati   non  prevede  termini  di
 prescrizione. Le infrazioni sono perseguibili  anche  dopo  un  lungo
 periodo   di   tempo   dalla   commissione   del   fatto  considerato
 disciplinarmente    rilevante,    secondo     un     principio     di
 imprescrittibilita'  dell'azione  che,  "mentre si giustifica in base
 all'esigenza  di  una  rigorosa  tutela  del  prestigio   dell'ordine
 giudiziario,  che  rientra senza dubbio tra i piu' rilevanti dei beni
 costituzionalmente protetti, non sacrifica oltre quanto necessario  a
 tal   fine   il  diritto  di  difesa  e  l'indipendenza  del  singolo
 magistrato" (sentenza n. 145 del 1976).
    La  imprescrittibilita'  dell'azione  disciplinare   e'   tuttavia
 bilanciata,  a  difesa  dei  diritti  del  singolo magistrato, da una
 sequenza di decadenze per l'esercizio dell'azione e per ciascuna fase
 del relativo procedimento, ad evitare che, avuta  notizia  del  fatto
 qualificabile  come disciplinarmente rilevante o iniziato il relativo
 procedimento, ciascuno dei soggetti investiti di un potere di azione,
 di istruttoria o di  giudizio  possa  differire  indefinitamente  nel
 tempo  l'esercizio  del  proprio  potere,  con il rischio di incidere
 sulla indipendenza del magistrato. In ragione di questa  esigenza  la
 legge  3 gennaio 1981, n. 1, ha integrato la disciplina gia' prevista
 dall'art. 59 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, disponendo (con la
 norma in  ordine  alla  quale  e'  stato  prospettato  il  dubbio  di
 legittimita'  costituzionale)  che  l'azione  disciplinare  non  puo'
 essere promossa dopo un anno dal giorno  in  cui  il  Ministro  della
 giustizia  o  il  Procuratore  generale  presso  la  Corte suprema di
 cassazione  hanno  avuto  notizia  del  fatto   che   forma   oggetto
 dell'addebito;  che,  successivamente,  entro un anno dall'inizio del
 procedimento deve essere  comunicato  all'incolpato  il  decreto  che
 fissa  la  discussione  orale davanti alla Sezione disciplinare; che,
 infine, nei due anni successivi  dalla  predetta  comunicazione  deve
 essere  pronunciata la sentenza. Questa sequenza di decadenze risulta
 completata dalla estensione dei termini fissati per  il  giudizio  di
 prima  ed  unica  istanza  anche  al  giudizio  di  rinvio  che segua
 l'eventuale pronuncia della Corte di cassazione (sentenza n. 579  del
 1990).
    Nel  sistema  cosi' congegnato, in coerenza con la scelta di fondo
 discrezionalmente  operata  dal  legislatore,   gia'   ritenuta   non
 illegittima  costituzionalmente,  di  escludere  la prescrittibilita'
 dell'azione  disciplinare  (ancorata  per  la  sua  decorrenza   alla
 commissione del fatto disciplinarmente apprezzabile), la garanzia per
 il   singolo   magistrato  viene  assicurata  in  modo  idoneo  dalla
 limitazione  temporale  dell'esercizio  del  potere  (di  azione,  di
 istruttoria o di giudizio) da parte di chi abbia conoscenza dei fatti
 (quanto   al   promovimento  dell'azione)  o  sia  investito  di  una
 consequenziale  fase  processuale  (quanto  alla  istruttoria  o   al
 giudizio  nelle  sue  diverse  fasi). Risulta coerente con il sistema
 delle successive e  concatenate  decadenze  che  il  termine  per  il
 promovimento  dell'azione  disciplinare  decorra dalla conoscenza dei
 fatti da parte  di  chi  e'  investito  del  potere  di  promovimento
 dell'azione  e  non  dalla conoscenza che altri, sia pure titolari di
 autonomo ed analogo potere, abbiano dei medesimi fatti.
    Del resto proprio a questo ordine di  considerazioni  finisce  per
 portare  argomenti la stessa ordinanza di rimessione, laddove segnala
 che non sembra neppure possibile che il termine di decadenza maturato
 nei confronti di uno dei due titolari dell'azione disciplinare  abbia
 valore  assoluto  e  pertanto  estingua  a  quel momento il potere di
 azione anche per l'altro titolare, che pur non abbia avuto conoscenza
 del fatto e non abbia quindi dato causa direttamente  al  verificarsi
 della  decadenza.  La  Sezione  disciplinare  del Consiglio superiore
 della magistratura sottolinea anzi che  sarebbe  "assai  discutibile,
 sul  piano  della  stessa  legittimita'  costituzionale, prevedere un
 meccanismo di estinzione per causa altrui di un potere  istituzionale
 riconosciuto  dalla  legge",  si'  che  questa  ipotesi  "non  appare
 comunque  ragionevolmente  applicabile  all'azione  disciplinare   di
 competenza  del  Ministro  della  giustizia  al quale e' riconosciuta
 addirittura dalla Costituzione ex art. 107, comma  secondo,  messa  a
 repentaglio  -  in  ipotesi  - nella stessa sua sperimentabilita' per
 disposto di legge (solamente) ordinaria". Aggiunge ancora l'ordinanza
 di rimessione che dalla estinzione del potere di azione anche per  il
 titolare  che non abbia conoscenza dei fatti "ne verrebbe su un piano
 generale una  seria  menomazione  alla  tutela  del  prestigio  della
 funzione  giudiziaria,  tutela  che  trova  in Costituzione un sicuro
 riconoscimento". Considerazioni tutte sulle quali si puo'  convenire,
 ma  che  portano  ad  escludere  la  fondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale sollevata,  con  riferimento  ai  diversi
 profili  segnalati  ed  attinenti alla indipendenza del giudice (art.
 101, comma secondo e 104 della Costituzione).  Ne'  si  vede,  quanto
 agli  altri  parametri  dedotti per la valutazione della legittimita'
 costituzionale  della  norma  denunciata  (artt.   3   e   24   della
 Costituzione),  come il prolungato decorso del tempo fra l'infrazione
 e il giudizio disciplinare che ne segue  possa  essere  riferito  non
 gia'   al   principio   di  imprescrittibilita'  dell'azione,  ma  al
 differenziato termine di decadenza per  i  due  titolari  dell'azione
 stessa,  egualmente  e  separatamente decorrente per ciascuno di essi
 dalla conoscenza dei  fatti.  Inoltre  essendo  identico  il  termine
 (annuale)  di  decadenza  e,  segnatamente  per ciascuno dei titolari
 dell'azione, identica la circostanza che da luogo alla decorrenza del
 termine (conoscenza del fatto), non se ne puo' dedurre una disparita'
 di trattamento  nei  confronti  dei  magistrati  e  di  garanzie  tra
 magistrati.
    3.  -  L'ordinanza  di  rimessione  prefigura  conclusivamente  la
 reciproca comunicazione dei fatti da parte dei  titolari  dell'azione
 disciplinare   come   idonea  a  superare  i  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale affacciati o comunque idonea a  contemperare  in  modo
 equilibrato  i  diversi interessi in gioco. In effetti il legislatore
 gia' tende a limitare e prevenire le sfasature temporali che  possano
 derivare dalla configurazione del sistema, disponendo che "i rapporti
 relativi  a  fatti  suscettibili  di valutazione in sede disciplinare
 sono trasmessi al Ministro ed al Procuratore generale presso la Corte
 suprema  di cassazione" (art. 59 della legge n. 916 del 1958); questa
 disposizione prevede inoltre atti che rendono  sempre  reciprocamente
 noto  ai  titolari  dell'azione  disciplinare  il  promovimento della
 stessa. Tuttavia le sfasature temporali nella decorrenza del  termine
 in questione non possono essere escluse in assoluto in un sistema nel
 quale  il promovimento della azione e' discrezionale e presuppone una
 preliminare  valutazione  della  rilevanza  disciplinare  dei  fatti.
 Nell'attuale  assetto  l'obbligo di reciproca comunicazione dei fatti
 tra i due titolari dell'azione non varrebbe in realta' a prevenire ed
 a dissolvere definitivamente le sempre possibili sfasature  temporali
 nella  decorrenza  dei  termini  di  decadenza,  giacche'  la mancata
 specificazione delle fattispecie di  illecito  disciplinare  consente
 che  siano  legittimamente  differenti,  da  parte  dei  due  diversi
 titolari dell'azione  la  valutazione  della  stessa  apprezzabilita'
 disciplinare   e  della  rilevanza  dei  comportamenti,  che  possono
 attingere o  meno  alla  soglia  dell'illecito  disciplinare  e  dare
 ingresso  al  conseguenziale procedimento secondo distinte e separate
 valutazioni del Ministro della giustizia e del  Procuratore  generale
 presso  la  Corte  suprema  di  cassazione;  valutazioni svolte senza
 reciproci condizionamenti o preclusioni e destinate ad  attuare,  con
 la  doppia  titolarita'  dell'azione,  una  duplice  possibilita'  di
 accedere  alla   verifica   della   deontologia   professionale   dei
 magistrati.