ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 100 del r.d. 16
 marzo  1942,  n.  267  ("disciplina  del  fallimento  del  concordato
 preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
 coatta  amministrativa") promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio
 1991 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile  vertente  tra  la
 S.p.A. Nigeria in liquidazione ed il Condominio di Largo E. Fermi, n.
 6  ed  altro  iscritta  al  n.  647  del  registro  ordinanze  1991 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  42,  prima
 serie speciale dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 31 marzo 1992 il Giudice  relatore
 Renato Granata;
    Udito  l'avvocato  Dario  Di  Gravio  per  la  S.p.A.  Nigeria  in
 liquidazione e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
   Con ordinanza in data 20 febbraio 1991 - emessa  su  ricorso  della
 fallita  societa'  Nigeria  avverso  il  provvedimento,  del  giudice
 delegato, di ammissione al passivo di  un  credito,  gia'  contestato
 dalla  debitrice  ai  fini della esclusione dello stato di insolvenza
 nel giudizio  di  opposizione  alla  dichiarazione  di  fallimento  -
 l'adito Tribunale di Roma ha ritenuto rilevante, al fine del decidere
 sulla eccezione di difetto di legittimazione della fallita ex adverso
 formulata,  e non manifestamente infondata in riferimento all'art. 24
 Cost. - onde ha sollevato -  questione  incidentale  di  legittimita'
 dell'art.  100  r.d.  1942  n.  267  "nella  parte appunto in cui non
 prevede la legittimazione del fallito alla impugnazione  dei  crediti
 ammessi,  anche quando l'accertamento del credito e' pregiudiziale al
 giudizio di opposizione alla  dichiarazione  di  fallimento  proposto
 dallo stesso fallito".
    Secondo,  infatti,  il Collegio rimettente, "quando l'accertamento
 del passivo non ha, come nella specie,  efficacia  limitata  ai  fini
 delle  operazioni  procedurali  ma  investe l'accertamento di uno dei
 presupposti del fallimento, quando in particolare, la  pronunzia  del
 giudice  delegato  ha  efficacia  preclusiva anche in un giudizio nel
 quale il fallito conserva la sua  legittimazione,  appare  fortemente
 lesiva  del  diritto  alla  difesa,  garantito  dal  citato  art. 24,
 l'esclusione della legittimazione del fallito dalla impugnazione  dei
 crediti ammessi al passivo dal giudice delegato".
    2.  -  Nel  giudizio  innanzi  a  questa Corte si e' costituita la
 societa' ricorrente svolgendo, anche con successiva diffusa  memoria,
 considerazioni adesive alla prospettazione del giudice a quo.
    3.  -  L'Avvocatura  di  Stato,  per  l'intervenuto Presidente del
 Consiglio dei ministri,  ha  viceversa  concluso  per  l'infondatezza
 della questione.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Nel  contesto della procedura fallimentare disciplinata dal
 r.d. 16 marzo 1942 n. 267,  e  con  riguardo  al  subprocedimento  di
 formazione  dello  stato  passivo  che si conclude con il decreto del
 giudice che ne dichiara l'esecutivita' ai sensi  dell'art.  97  della
 citata  legge fallimentare, dispone il successivo art. 100 che, entro
 15 giorni dal deposito del suddetto provvedimento, "ciascun creditore
 puo' impugnare i crediti ammessi con ricorso al giudice delegato".
    Per consolidata interpretazione della Corte regolatrice (che rende
 la norma diritto vivente) analoga  legittimazione  (all'impugnazione)
 non  e'  riconosciuta  al  fallito;  e neppure (in suo nome e per suo
 conto) al curatore  (nei  cui  confronti  va  comunque  integrato  il
 contraddittorio nel giudizio promosso dal creditore).
    2.  -  Proprio  in relazione al riferito profilo di esclusione del
 debitore  dal  rimedio  impugnatorio  avverso  il  provvedimento   di
 verifica  del  passivo, il dubbio di legittimita' del menzionato art.
 100, per contrasto con l'art. 24 Cost., e' gia' stato  prospettato  a
 questa  Corte,  che  -  con  sentenza  n.  222 del 1984 - ne ha pero'
 escluso la fondatezza  sul  rilievo  che  -  "la  partecipazione  del
 fallito  alla  fase  sommaria  di  verificazione, la quale sfocia nel
 decreto di  ammissione  al  passivo,  consente  di  rappresentare  le
 ragioni  che  ad  avviso  del  fallito  vanno  poste a fondamento del
 decreto  del giudice delegato, mentre l'attribuzione al fallito della
 legittimazione in  persona  alla  impugnazione  dei  crediti  ammessi
 offrirebbe  facile  esca  alla perpetuazione della fase di cognizione
 ordinaria con grande nocumento dei creditori".
    3. - Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale  di  Roma,  che  non
 ignora  la richiamata sentenza 222/84, chiede pero' ora alla Corte di
 rimeditare la soluzione della  questione:  in  relazione  al  profilo
 nuovo  (rilevante  nel  processo  a  quo  e non esaminato perche' non
 prospettato,  dalla  precedente  pronunzia)  del   collegamento   tra
 l'accertamento  del  passivo  (  ex  artt.  97, 100 L.F.) e l'effetto
 preclusivo che, secondo lo stesso tribunale, ne consegue (anche)  nel
 giudizio  di  opposizione alla dichiarazione di fallimento ( sub art.
 18 L.  cit.)  nel  quale  il  fallito  formalmente  conserva  la  sua
 legittimazione.  Una  volta  infatti  che,  in  virtu' della ritenuta
 efficacia endofallimentare del provvedimento  di  accertamento  dello
 stato  passivo,  e'  impedito  al  fallito  di  contestare  i crediti
 ammessi, ne resta automaticamente pregiudicata - sempre ad avviso del
 Collegio rimettente - l'opposizione al fallimento, ove questa proprio
 a quella contestazione (come sulla specie) in tesi si correli.
    Di qui appunto la violazione (in questi  termini  riproposta)  del
 parametro costituzionale della difesa.
    Osserva la Corte che in realta' - pur nel contesto di un indirizzo
 consolidato  quanto alla sua enunciazione in termini "generali" circa
 l'efficacia endofallimentare dei risultati  della  verificazione  del
 passivo  - il quesito "specifico" se il decreto del giudice delegato,
 che  dichiara  esecutivo  lo  stato   passivo,   esplichi   efficacia
 preclusiva  anche  nel  giudizio di opposizione alla dichiarazione di
 fallimento non trova una risposta univoca  nei  precedenti  puntuali,
 peraltro pochi e neppure recenti, della Corte di Cassazione (in senso
 negativo  Cass.  1170/1964;  in  senso  affermativo Cass. 427/1969 e,
 obiter, Cass. 971 /1970).
    Ma  -  ove  anche  si  condivida  l'interpretazione  estensiva  al
 riguardo  accolta dal tribunale a quo e si ammetta che il sistema che
 ne risulta sia di dubbia compatibilita' con la garanzia di difesa del
 fallito - la correlativa questione di costituzionalita'  e'  comunque
 inammissibile  in  questa  sede,  per  i noti limiti entro i quali e'
 consentita l'adozione di decisioni additive, come quella nella specie
 richiesta.
    5. - Come, infatti, reiteramente gia' precisato (cfr., tra le piu'
 recenti sent. n. 287, 202, 44, 25/91; 29/90), una decisione  di  tipo
 additivo  e',  in  linea  di principio, consentita soltanto quando la
 soluzione adeguatrice non debba  essere  frutto  di  una  valutazione
 discrezionale,   ma   consegua   necessariamente   al   giudizio   di
 legittimita', si' che la Corte in  realta'  proceda  a  un'estensione
 logicamente   necessitata  e  spesso  implicita  della  potenzialita'
 interpretativa  del  contesto  normativo  in  cui  e'   inserita   la
 disposizione impugnata.
    Plurime  sarebbero  invece,  nella specie, le scelte astrattamente
 possibili per la richiesta reductio  ad  legitimitatem  del  disposto
 normativo denunciato.
    Potrebbe  infatti  il  rafforzamento  delle garanzie difensive del
 debitore - in tesi -  attuarsi  sia  sul  versante  del  giudizio  di
 opposizione  alla  dichiarazione  di  fallimento - con l'escludere in
 quella sede l'efficacia preclusiva del  precedente  accertamento  del
 passivo - sia nella fase appunto di verifica dei crediti ammessi.
    Ed  in questa seconda direzione, l'auspicata estensione al fallito
 della legittimazione alla impugnazione non  e'  (come  del  resto  lo
 stesso  giudice  a  quo  non  disconosce)  l'unico rimedio possibile:
 potendo  una  tale  legittimazione  alternativamente  attribuirsi  al
 curatore (nell'interesse del fallito), ed essendo anche possibile, in
 una  prospettiva  ulteriormente  diversa,  prefigurare  un meccanismo
 (come quello adombrato dall'Avvocatura nelle sue  conclusioni  orali)
 di sospensione obbligatoria della verifica in pendenza di opposizione
 alla  dichiarazione  di  fallimento  fondata  sulla  contestazione di
 crediti di cui sia chiesta l'ammissione.
    Per cui appunto,  di  fronte  a  tale  varia  gamma  di  soluzioni
 derivanti  da  diverse possibili valutazioni, l'intervento come nella
 specie richiesto  alla  Corte  non  puo'  esercitarsi,  spettando  la
 relativa scelta unicamente al legislatore.