IL PRETORE A scioglimento della riserva formulata all'udienza del 7 febbraio 1992 ha pronunciato la presente ordinanza nella causa di previdenza n. 1376/91 promossa da Chiusa Levanda, ved. Pastore, con l'avv. M. Ziveri, contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.), con l'avv. Liveri osservando in F A T T O Con ricorso del 4 ottobre 1991 diretto al pretore di Parma in funzione di giudice del lavoro, la sig.ra Chiusa Levanda conveniva in giudizio l'I.N.P.S. e premesso che con domanda in data 5 aprile 1990 essa ricorrente richiedeva all'I.N.P.S. la reversibilita' della pensione cat. VO/C gia' in godimento dal marito Pastore Gaetano, deceduto il 1 novembre 1984; che in data 30 aprile 1990, l'I.N.P.S. comunicava la reiezione della domanda per il fatto che, alla data del decesso, il marito aveva superato il settantaduesimo anno di eta' e il matrimonio era durato meno di due anni, fondata com'era tale reiezione sulla norma ci cui all'art. 7, primo comma, n. 2, della legge n. 1338 del 1962, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 2 maggio 1991, n. 189; tanto premesso chiedeva la condanna dell'I.N.P.S. a erogare il trattamento pensionistico di cui sopra, oltre rivalutazione monetaria e interessi sui ratei arretrati. Radicatori il contraddittorio, l'I.N.P.S., a mezzo di memoria difensiva, ha dedotto che in data 8 novembre 1991 la domanda della ricorrente volta ad ottenere la pensione di reversibilita', era stata accolta in base alla sentenza n. 189/1991 della Corte costituzionale, provvedendo alla liquidazione della pensione, con gli arretrati dal dicembre 1984; pertanto l'Istituto chiedeva dichiararsi cessata la materia del contendere. All'udienza del 7 febbraio 1992, la ricorrente ha insistito nella domanda volta ad ottenere interessi e rivalutazione monetaria, giusta sentenza della Corte costituzionale n. 156/1991; ma essendo sopravvenuta nelle more la legge n. 412/1991 che, all'art. 16, sesto comma, ha escluso il cumulo di detti emolumenti, la ricorrente medesima ha sollevato questione di legittimita' costituzionale di detta disposizione. Il pretore si e' riservato di decidere. CONSIDERAZIONI IN DIRITTO La Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 12 aprile 1991 ha ritenuto assimilabili, dal punto di vista funzionale, anche se non strutturale i crediti previdenziali ai crediti di retribuzione del lavoratore in ragione della comune finalita' di sostentamento del lavoratore stesso e della sua famiglia, di guisa che e' possibile prospettare per i crediti previdenziali la stessa ratio sottesa all'art. 429 del c.p.c. Tale ratio, infatti, non e' tanto quella di assicurare la finalita' alimentare o di sostentamento del credito previdenziale, avendo piuttosto la funzione "di surrogare o integrare un reddito di lavoro cessato o ridotto a causa di uno degli eventi considerati dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione. Per il tramite e nella misura di questa norma si rende applicabile anche alle prestazioni previdenziali l'art. 36, primo comma, della Costituzione, quale parametro delle "esigenze di vita" del lavoratore (cfr. sentenza n. 119/1991) e poiche' l'art. 429, terzo comma, del cod. proc. civ. e' un modo di attuazione dell'art. 36 (sentenza n. 204/1989) appare fondata la valutazione .. che nella mancata previsione di una regola analoga per i crediti previdenziali ravvisa una violazione non solo dell'art. 3 della Costituzione, ma altresi' dell'art. 38". Ne consegue, percio', la corretta valutazione che, in presenza di fattispecie uguali, una diversa disciplina dei crediti retributivi e dei crediti previdenziali e' illegittima, per quanto riguarda il risarcimento del danno causato dal ritardo dell'adempimento. Nonostante la chiara enunciazione di tali principi, la legge 30 dicembre 1991, n. 412, all'art. 16, sesto comma, ha disposto che "gli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda. L'importo dovuto a titolo di interessi e' portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito". Cosi' statuendo, il legislatore ha considerato non cumulabili gli importi di rivalutazione monetaria e di interessi, nonostante la eadem ratio che assiste i crediti previdenziali e i crediti retributivi ai fini della applicabilita' a entrambi dall'art. 429, terzo comma, del c.p.c., stante la funzione surrogatoria o di integrazione propria del credito previdenziale rispetto al credito di lavoro. Pertanto, come prospettato da codesta Corte, la violazione dell'art. 429, terzo comma, del c.p.c., comporta anche violazione degli artt. 3, 38, secondo comma, e 36, primo comma, della Costituzione e quindi la nuova norma appare viziata di illegittimita' costituzionale; di guisa che la relativa questione appare non manifestamente infondata e rilevante ai fini della decosione della presente controversia.